Nome sul
forum:
JKEdogawa
Nome su EFP: JKEdogawa
Titolo storia: Una scelta molto
difficile
Immagine scelta: Koda (5)
Fandom: Inazuma Eleven
Rating: Verde
Avvertimenti e
generi:
Missing
Moments, Introspettivo, Otherverse
NdA: Che bello! Che bello!
Partecipo ad un Concorso!
Okay, scusate
per lo sfogo, ma mi ci
voleva.
Dunque, che
dire... Lucian è un
personaggio che mi è sempre piaciuto, forse proprio per la
sua
situazione difficile e per la sua innocenza. Probabilmente è
anche
per questo che vedere Koda sorridente mi ha dato l'ispirazione per
questa storia.
Lo ammetto, sono
carini e coccolosi
entrambi, ma ciò che secondo me li accomuna di
più è la curiosità
e l'intraprendenza. Quella piccola scintilla che abbiamo tutti da
piccoli e la grande debolezza dell'inesperienza. Non sono
semplicemente dolci, ma anche testardi se vogliono e coraggiosi se
glielo si chiede.
Koda decide di
seguire Kenai sapendo
cos'ha fatto, Lucian decide di entrare nella Raimon benché
tema le
conseguenze. Due scelte difficili, una delle quali ho cercato di
trasporre in One-Shot. Spero mi sia venuta bene.
Credo di aver
fini... Ah, no! Come
tutte le mie fic nel fandom anche questa è prevalentemente
basata
sul videogioco(l'ultima parte ne è la prova). Comunque il
fatto che
non ci abbiate giocato non influisce, semplicemente sarà
diverso
dall'anime e scoprirete com'è nel gioco.
Okay, ho finito.
Buona lettura!^^
Il sole era
alto sopra Inazuma, l'aria
frizzante muoveva gli alberi di quella primavera straordinariamente
calda. Dava un po' di sollievo il movimento delle foglie e la brezza
che rinfrescava l'arsura e l'affaticamento durante le ore di
allenamento. Non era un vero e proprio allenamento, non come quello
che facevano alla Raimon o in qualsiasi altra scuola che avesse una
squadra, però gli faceva piacere lo stesso. Correre dietro
il
pallone lo riempiva di gioia ed entusiasmo, lo faceva sentire vivo
benché avesse iniziato da pochi mesi.
Tante volte si
era ritrovato davanti
alla porta del Club di Calcio della sua scuola, ma altrettante era
corso via appena aveva sentito qualcuno avvicinarsi. Lui voleva
giocare a calcio, era il suo sogno, lo sentiva.
Però
non poteva.
Non poteva
entrare nel Club e dire
“Salve a tutti, vorrei entrare in squadra.”.
In
realtà l'avrebbe potuto fare, ma
prima o poi la domanda che lo avrebbe smontato sarebbe arrivata
inesorabile e lui non sarebbe mai stato in grado di rispondere se non
con un “Scusate, ho sbagliato a venire”.
Il calcio gli
era precluso, soprattutto
quella squadra, come una legge del contrappasso che colpiva tutti
quelli della sua famiglia.
Tirò
il pallone troppo forte
ripensando alla sua codardia. Colpì la traversa e lo prese
in piena
fronte facendolo cadere a sedere con un gran male alla testa. Si
massaggiò dolorante ripetendo “Ahi!
Ahi!Ahi!” con una piccola
vocetta da criceto che gli veniva quando si faceva male. Teneva le
mani tra i capelli blu scuro scompigliando quel poco di normale che
avevano. Se si fosse nascosto dietro un vaso lo avrebbero
probabilmente scambiato per una pianta grassa a causa dei ciuffi blu
che gli spuntavano sul cucuzzolo della testa. Lo aveva anche detto
quel suo nuovo compagno di classe.
Lui
sì che aveva trovato il coraggio
di entrare in squadra ed aveva anche già giocato una
partita.
<<
Potresti venire a fare
l'attaccante, a me non importa.>> aveva detto alzando le
spalle
sotto i capelli azzurri a caschetto<< La mia
specialità è la
difesa, per cui...>>.
<<
Quindi pensi che mi
prenderebbero?>> aveva chiesto il nostro protagonista
titubante.
<<
Certo.>> il ghigno che
aveva tirato fuori lo aveva solo spaventato
ulteriormente<<
Sempre che non ti scambino per un Imperiale.>>.
Ci mancava
solo quella.
Se fosse stato
identificato come
Imperiale come minimo suo zio lo avrebbe disconosciuto da dietro le
sbarre della cella in cui si trovava. Infine avrebbe sospirato
esasperato, come se quel nipote timido ed introverso non fosse alla
sua altezza. Come se non fosse nemmeno parte della famiglia.
Eppure non
riusciva ad odiarlo.
Aveva fatto
tante cose cattive in
passato, era andato in carcere pentendosene, aveva fatto soffrire
persone e famiglie. Però lui, suo nipote, quello che non
vedeva come
sangue del suo sangue, non riusciva ad odiarlo.
Non era certo
un modello, sopratutto
per la condanna che aveva lanciato su tutta la famiglia,
però aveva
quel fascino del giocatore decaduto che al ragazzino non dispiaceva.
Forse era per
quello che continuava a
calciare quel pallone all'insaputa di tutti. Forse era per quel
motivo che non poteva smettere di allenarsi e cercare di capire come
funzionava quello sport. I passaggi, i dribbling, le parate, i falli.
Tutto lo attirava e probabilmente anche per riscattare il suo
cognome.
<<
È il cognome di un grande
giocatore.>> aveva detto suo padre<< Ma
è anche il
cognome di una persona spregevole. Tocca a te decidere a chi
ispirarti.>>.
Il suo
problema è che non voleva
ispirarsi a nessuno dei due.
Lui era lui,
un ragazzino di tedici
anni che tremava per un nonnulla e ogni volta che credeva di aver
trovato il coraggio che gli serviva ricadeva nella timidezza e
scappava dalle sue aspirazioni.
Scagliò
il pallone e scivolò a pancia
in giù coprendosi di terra la divisa scolastica.
“Perfetto.”
pensò cercando di
pulirsi il meglio possibile “La mamma mi ammazza se non lo
fanno
prima a scuola.” un brivido gli percorse la schiena e si
guardò
attorno allarmato.
Aveva
già avuto a che fare con dei
bulli e non voleva essere visto ad allenarsi. Di nuovo.
La prima volta
gli avevano bucato il
pallone ritenendo che “Lui non ne fosse capace”, la
seconda
glielo avevano mandato nel fiume(quando ancora si allenava al campo
al fiume) con un calcio alto dicendo che “Lui non sarebbe mai
stato
in grado di recuperarlo”, cosa che aveva smentito riuscendolo
a
ripescare in una risacca pochi metri oltre il campetto, la terza
volta glielo avevano rubato dicendo chiaramente che “Lui non
aveva
il diritto di giocare a calcio”.
Il pallone che
aveva adesso era di
seconda mano, sgualcito e gonfiato alla bene e meglio in un negozio
di biciclette dove non gli avevano fatto troppe domande. L'aveva
trovato in cantina, tra gli scatoloni dello zio e gli appunti del
nonno. Nascosto come se fosse stato pericoloso usarlo all'aria
aperta. O addirittura usarlo in generale.
Era il suo
tesoro, il suo piccolo
segreto che nessuno, nemmeno i suoi genitori, sapevano.
Una sfera
tonda di cuoio dove aveva
riposto tutte le sue speranze ed i suoi sogni.
Aveva anche
recuperato degli
scarponcini neri con due linee rosse, ma non li usava molto. La prima
volta che suo padre li aveva visti gli aveva chiesto dove li avesse
trovati e lui aveva risposto innocentemente “in
cantina”.
Avevano fatto
un nuovo viaggio negli
scatoloni tra buio ed umidità costringendolo a tornare a
perquisire
quel posto all'insaputa di tutti, compresa dei suoi genitori.
Non voleva
pesare sulle spese della
famiglia ed un paio di scarponcini con i tacchetti costavano
parecchio, anche i più economici. Aveva usato la paghetta
per
comprarsi il pallone che gli avevano rubato e non voleva certo andare
a chiedere ai suoi genitori. Sopratutto giustificando la spesa con
l'onestà che lo distingueva.
Un conto era
nascondere, un altro era
mentire apertamente ad una domanda.
Lui era capace
a fare la prima cosa, ma
la seconda no. Se mai(il dio del calcio gliene scampasse) suo padre
gli avesse chiesto “Cosa fai il pomeriggio?” oppure
“Cosa porti
nello zaino che sembra sempre così pieno?” dopo un
momento di
esitazione avrebbe ceduto senza troppe pressioni, neanche fosse stato
davanti al terzo grado di giudizio in tribunale.
Calciò
il pallone verso la rete.
Incrocio destro dei pali e rimbalzo, questa volta in piena faccia.
Fece un paio di capriole indietro ripetendo “Ahi! Ohi!
Uhi!”, ed
infine rimase steso a terra ansimante guardando il cielo con gli
occhi castani.
L'azzurro del
cielo rilassava la mente,
ma l'assenza completa di nuvole dava un non so che di ansia. Come se
non ci fosse nulla che potesse proteggere da qualcosa che cadeva
dall'alto. Come un pallone ad esempio.
Gli
arrivò sulla pancia come una palla
di cannone prima che si rendesse conto che non stava sognando ne
aveva allucinazioni. Rotolò di lato chiedendosi come fosse
successo,
poi qualcuno disse:<< Scusa, non ti avevo visto. Con quei
capelli sembri una pianta grassa. È tuo questo
pallone?>>.
Il ragazzino
si alzò a fatica ancora
scosso dai colpi, poi guardò l'uomo che gli stava davanti.
Doveva
avere ventiquattro anni, capelli castani scuri che gli ricadevano
sulle spalle. Alcuni ciuffi erano all'insù, come la cresta
di un
gallo, mentre gli occhi blu scuro lo fissavano perplessi.
<<
Tutto bene?>> domandò
mentre il pallone gli rotolava sotto al piede.
<<
Sì... credo...>>
rispose il ragazzino.
<<
E questo è il tuo pallone?>>
insistette l'uomo accennando ad un lieve sorriso, l'unico problema
è
che sembrava un ghigno calcolatore più che un un gesto di
amicizia.
<<
S... sì...>>.
<<
Sai, non vedevo un pallone
così da anni.>> gli fece un passaggio facile
da prendere<<
Dove lo hai preso?>>.
<<
Era nella cantina di casa
mia.>> rispose il ragazzino non riuscendo a mentire.
Provò a
passare nuovamente la palla ma scagliò completamente l'uomo
che
guardò la sfera di cuoio rotolare via con le mani in tasca
come se
se l'aspettasse<< Mi scusi.>>.
<<
Se parlasse direbbe “Certo
che ne ho vista di gente scarsa, ma come te proprio
mai.”>>
disse l'uomo recuperando il pallone e facendo arrossire il
ragazzino<< Davvero lo hai trovato in
cantina?>>.
<<
Sì signore.>>
annuì
rigido.
<<
Come gli scarpini?>>.
<<
E... esattamente, signore.>>
lo vide sorridere e s'irrigidì ulteriormente<<
Non sto
mentendo, lo giuro.>>.
<<
E io ti credo.>> gli
passò la palla<< Ti piace il
calcio?>>.
<<
Sì.>> calciò
sbagliando nuovamente la direzione<< Ops, mi
dispiace.>>.
<<
E giochi in qualche squadra?>>
recuperò il pallone e lo passò nuovamente al
ragazzino<< Non
mi sembra di averti visto nelle squadre del Cammino
Imperiale.>>.
<<
Non ho mai giocato a quel
livello.>> sorrise appena<< In
realtà mi è venuta la
passione guardando proprio quei ragazzi giocare.>>.
<<
E la tua scuola ha una
squadra?>> un'altra volta il ragazzino sbagliò
l'obbiettivo e
la palla finì contro un albero.
<<
Sì.>> rispose
cupo<<
Sì, ce l'ha.>>.
<<
Quindi ne fai parte?>>
gli fece l'ennesimo passaggio facile.
<<
Non mi prenderebbero.>>
il pallone gli colpì lo sterno, poi rotolò a
terra praticamente
abbandonato.
<<
Perché sbagli un paio di
passaggi?>> rise<< Devi guardare
l'obbiettivo, è questo
il segreto.>>.
<<
Non è quello.>>
alzò
la palla sul piede<< È solo
che...>>.
<<
Cosa?>>.
<<
Non posso dirglielo.>>
prese la palla tra le braccia<< Se glielo dicessi se ne
andrebbe.>>.
Lo
guardò poi scoppiò a ridere:<<
Questa è forte, Testa da Pianta.>>.
<<
Testa da Pianta?>>.
<<
Non so il tuo nome, Testa da
Pianta è la prima cosa che mi viene in
mente.>> sorrise<<
Comunque non mi serve il tuo nome, il pallone e gli scarpini parlano
per te.>>.
<<
Cosa?!>> iniziò ad
agitarsi.
<<
Li ho portati anch'io tempo
fa. A Ehime.>> guardò verso il cielo quasi a
perdersi nei
ricordi<< Non sono mai stato bravo a scuola, e nemmeno in
altre
attività. Però il calcio mi piaceva, mi faceva
sentire forte e
veloce.>> prese un respiro profondo<< Era
liberatorio, ma
non mi sentivo mai all'altezza. Me ne stavo da solo, isolato. Un po'
come te, insomma. Poi un uomo è venuto, mi ha visto e mi ha
proposto
di giocare nella sua squadra. Come capitano.>>.
<<
Caspita.>>.
<<
Già.>>
sorrise<<
Non sono mai stato il suo pupillo, anzi sono sempre corso dietro ad
altri tre ragazzi che ha allenato prima e dopo di me. In confronto a
loro ero niente, solo uno dei tanti a cui ha dato la
possibilità di
giocare, credo.>>.
<<
Ora la vedo meno bene.>>.
<<
Però grazie a lui mi sono
allenato con uno schema, una disciplina. Ho imparato molte cose e
alla fine sono pure stato scelto per la nazionale. Già devo
tutto a
tuo zio, il Comandante.>>.
Il ragazzino
avvampò:<< Le...
le... lei ha ca... ca... ca...>>.
<<
Certo! Io sono un detective.>>
scoppiò a ridere<< No, Testa da Pianta. Mi
ricordo di averti
visto qualche anno fa nei pressi del carcere.>>.
<<
Poteva dirlo prima.>>
sbuffò.
<<
E poi dove stava il
divertimento? Inoltre riconoscere le persone dopo quasi dieci anni
che non le vedo è un po' difficile, mi ci è
voluto qualche
minuto.>>.
<<
Effettivamente.>>.
<<
Dai, passa.>>.
<<
Ma non ho buona mira.>>.
<<
Cosa ti ho detto? Occhi
sull'obbiettivo.>> il ragazzino ci provò e la
palla quantomeno
arrivò ai piedi dell'uomo<< Bene, ora
però manca la forza.>>.
Rimasero a
calciare il pallone per
delle ore sotto il sole che piano piano calava all'orizzonte. Le luci
attorno al campetto iniziarono ad accendersi al crepuscolo dando loro
l'opportunità di proseguire senza problemi. Nel frattempo
parlarono
anche di cosa fare, di come migliorare e del passato che sembrava
così in comune.
<<
Abiti qui vicino, Testa da
Pianta?>> chiese l'uomo mentre stavano seduti sull'erba a
riposare, il ragazzino annuì<< E hai deciso
cosa fare?>>.
<<
Non lo so.>> rispose
guardandosi i piedi.
<<
Meglio se ti sbrighi a fare
una scelta, potrebbero metterti nelle riserve se ci metti
troppo.>>.
<<
A me interessa solo giocare a
calcio.>> l'uomo lo guardò eloquentemente e
lui rise<<
Va bene, non mi dispiacerebbe giocare tra i titolari.>>
s'incupì<< Ma non mi prenderanno
mai.>>.
<<
Perché?>>.
<<
Vado alla Raimon.>>
l'uomo scoppiò a ridere<< Che
c'è?>>.
<<
Il loro allenatore è un
bonaccione, non rifiuta nessuno.>> gli dette un
affettuoso
pugno sulla spalla<< Nemmeno te.>>.
Qualcuno
chiamò nella strada.
<<
Cavolo! La mamma!>>
esclamò il ragazzino<< Se mi trova qui sono
morto.>>
infilò rocambolescamente nello zaino il pallone e gli
scarpini, poi
andò verso l'uscita del campetto<< Ah, grazie
signo...>>.
<<
Caleb, chiamami Caleb.>>
disse prima che qualcuno gridasse dalla strada
“STONEWALL”<<
Diamine! Sono in ritardo per il lavoro.>>.
Infatti un
uomo dai capelli viola e
vestito da cuoco arrivò di corsa e lo prese per un orecchio.
<<
Dovevi essere al ristorante
quasi un'ora fa!>> esclamò<<
Muoviti, abbiamo degli
ordini da recapitare.>>.
<<
Scusami, Testa da Pianta.>>
disse Caleb<< Non entrare in squadra, se poi ti prendono
in
nazionale rischi di trovarti come datore di lavoro un tuo compagno
dei bei tempi andati. Piano Archer, mi fai male.>>.
Il ragazzino
li guardò allontanarsi
ridendo per la scenetta, poi sua madre arrivò e lo
riportò a casa
nello stesso modo in cui i due adulti se ne erano andati.
Il giorno dopo
era di nuovo davanti
alla porta del Club di Calcio della sua scuola.
La squadra era
già entrata e
sembravano discutere del più e del meno tra compagni.
Sarebbe mai
riuscito a fare amicizia? Ne dubitava. Sembravano tutti conoscersi
così bene, inoltre erano lì da molto
più tempo e probabilmente non
sarebbe mai riuscito a farsi accettare.
Un ragazzo dai
capelli grigi a
caschetto ed un po' mossi che stava leggendo gli puntò gli
occhi
color rosso mattone addosso e lui rabbrividì.
<<
Ehi tu chi sei?>>
domandò perentorio mentre lui si faceva piccolo piccolo e
chiudeva
la porta. Lui e la sua malsana curiosità. Poteva benissimo
ascoltare, perché aprire ed osservare?
<<
Che cosa succede, capitano.>>
chiese qualcun altro all'interno. Era il momento buono per scappare,
per andarsene. Poteva tornarsene nel campetto vicino casa e lontano
da scuola, andare a studiare, magari scegliere un altro club. Quello
di musica sembrava interessante, aveva anche la chitarra e non se la
cavava malaccio. Eppure qualcosa lo spingeva a rimanere lì.
<<
Qualcuno ci sta spiando.>>
disse il primo ragazzo serio, poi ordinò<<
Vieni fuori!>>.
<<
S... scusate.>> rispose
aprendo la porta<< Io non vi stavo spiando, ve lo giuro.
È
così. Io... io voglio solo giocare a calcio.>>
lo guardarono
tutti sorpresi<< Fatemi entrare nel club. Lo desidero da
tanto
tempo! Farò quello che volete.>>.
<<
Ehm... dicci come ti
chiami...>> chiese una donna dai capelli blu mossi
sorridendo
affabile.
<<
I... il mio nome è Lucian.>>
non poteva più tirarsi indietro, quella era la sua
occasione<<
Lucian Dark.>>.
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