Note a caso:
1611
parole.
In cui
spero di non essere andata OOC e di avere strappato almeno un sorriso.
Ambientata quando ancora Xiao e Jin vivevano assieme.
Inutile
dire che è per Mana che mi ha trascinato nel fandom ed
è colpa sua se
ora scrivo di Tekken (e anche un po’ di Vale)
L'headcanon di Jin rompicoglioni che spacca le palle a Xiao, sopratutto con la menata del raffreddore e il suo lamentarsi per ogni singola cosa ogni volta che escono mi è stato attaccato da Mana (SHAMEONYOU) (e
sì, “Ricottina”
l’ho preso a Gemma perché era stupendo)
Jin
Kazama e il famoso caso della foto ricatto.
«Così
non va» borbottò Jin
osservando con fare perplesso il suo riflesso nello specchio.
Eppure
sapeva di esserci vicino,
mancava giusto qualcosa, quel tocco di seduzione che ancora lo separava
dalla
vera essenza del latin lover. Forse era colpa delle sopracciglia, gli
davano
quell’aria troppo da duro, da “vorrei
spaccarti la faccia anche se ti ho appena chiamato ricottina”,
ma
sistemarle era fuori discussione, altrimenti la sua aria minacciosa ne
avrebbe
risentito troppo e non poteva certo permettersi una cosa simile. Poi
come
avrebbe fatto durante il torneo? Come avrebbe intimidito i suoi
avversari
durante le risse? Non poteva certo presentarsi con un paio di
sopracciglia
perfettamente fatte, come se fosse appena uscito
dall’estetista, cosa avrebbero
detto di lui? Salve sono Jin Kazama e vi distruggerò con le
pinzette della
morte? Meglio evitare. Meglio trovare l’ingrediente segreto
per la conquista
senza modificare niente nel suo aspetto fisico.
Decise
di provarci di nuovo e,
sistemandosi a gambe divaricate di fronte allo specchio,
cercò di sfoggiare il
migliore dei suoi sorrisi.
«Come
va oggi, ricottina?» chiese al
suo riflesso, e il sé stesso nello specchio gli
lanciò un’occhiata così
seducente (o almeno secondo i parametri del giovane Kazama) che per un
attimo
considerò seriamente l’opzione di limonarsi da
solo.
La
scartò quasi subito, però, aveva
già provato a limonare uno specchio (per fare pratica, si
era ripetuto) e il
risultato era stato disastroso: troppo freddo e dal sapore troppo
simile al
vetril. Meglio lasciar perdere.
«Ehi,
sono nuovi quei ferma capelli,
topolina?» si domandò nuovamente.
«Ti
ha mai detto nessuno quanto sei
sexy?» continuò ancora.
E
probabilmente sarebbe andato
ancora avanti se un leggero colpo di tosse non lo avesse interrotto.
«In
nome di Dio, Kazama, cosa stai
facendo?»
Hwoarang,
che era entrato nella
stanza oramai da qualche minuto, lo guardava con gli occhi spalancati e
una
smorfia disgustata sul volto; probabilmente domandandosi che fine
avesse fatto
la già poca sanità mentale dell’amico.
«Non
vedi?» chiese Jin come se fosse
ovvio cosa stesse facendo, insomma, che domande erano?!
E in
realtà no, non vedeva. Gli
sembrava solo che sulla faccia del giovane Kazama ci fosse stampata una
smorfia
a metà tra la sofferenza e l’angoscia. Forse stava
male, pensò il coreano, e
questo avrebbe spiegato i deliri senza senso che uscivano dalla sua
bocca.
«Vuoi
un Imodium? Anzi, ti vedo un
po' costipato, aspetta che ti cerco un lassativo» disse
Hwoarang, dirigendosi
verso l’armadio nel quale sapeva essere contenuti i
medicinali.
«Di
che materiale la vuoi la bara?»
«Ok,
allora non stai male, ma si può
sapere che minchia stavi facendo?» domandò, troppo
incuriosito per offendersi
«E chi diavolo è che chiamavi “ricottina”?»
Jin
arrossì vistosamente, assumendo
una tonalità di bordeaux che non dovrebbe essere possibile
raggiungere per un
giapponese dalla carnagione pallida come la sua.
«Se
lo dici a qualcuno ti ammazzo».
«E
questo l’ho capito, ma non è una
novità, me lo dici
sempre» borbottò Hwoarang, che oramai le minacce
di morte le collezionava.
«Mi
stavo esercitando».
«Per
cosa, la fiera dell’idiozia?»
«No,
non vorrei mai rubarti il primo premio, per
quella basti tu. Mi stavo allenando a dire cose carine, sai, frasi a
effetto.
Per quando vedrò Xiao e–»
«E
hai intenzione di chiamarla “ricottina”?»
domandò l’amico
trattenendo a stento una risata «Oh, ti prego, fallo.
Così potrò vederla mentre
ti prende a pugni, di nuovo».
«Hai
forse idee migliori, faccetta di cazzo?»
Il
coreano si illuminò, come se gli avesse appena
domandato se sapeva come si guidasse una moto.
«Che
domanda idiota. Vieni ti insegno io come si
conquista una signora».
Quando
Xiaoyu tornò a casa, dopo un pomeriggio di
allenamenti estenuanti e di noiosissime ripetizioni di matematica,
cercò di
fare il più piano possibile. Sapeva che Jin a
quell’ora era solito allenarsi e
non voleva disturbarlo, dopo tutto aveva diritto ai suoi spazi e ai
suoi
momenti di tranquillità anche lui. Certo non si aspettava,
entrata nel salotto,
di trovarlo a cazzeggiare con Hwoarang, ignorando bellamente la tabella
di
esercizi preparata da suo nonno.
«I
tuoi capelli sono più luminosi di fili di seta!»
stava dicendo Jin in quel momento, e la giovane cinese di
domandò a chi
esattamente si stesse rivolgendo. A meno che improvvisamente non si
fosse
riscoperto omosessuale, e questo avrebbe spiegato l’insana
ossessione che lui e
il coreano nutrivano l’uno per l’altro.
«I
tuoi occhi mi ricordano orizzonti lontani!» celiò
subito
dopo Hwoarang, prendendo la mano dell’amico e portandosela al
petto.
Xiao
estrasse il cellulare dalla tasca, non aveva la
più pallida di cosa stessero facendo, ma li avrebbe filmati
comunque. Certe occasioni
capitano una sola volta nella vita e sprecarle è come
gettare rifiutare un
buffet gratis.
«Ma
è proprio necessario che le prenda la mano?» stava
domandando Jin.
«Certo,
poi la guardi negli occhi, la fissi per
qualche secondo e le dici “Ogni
minuto
passato con te è balsamo per la mia anima”»
concluse Hwoarang appoggiando
una mano sulla guancia dell’amico.
«E
ogni minuto di questa scena è balsamo per i miei
occhi» aggiunse Xiaoyu facendo l’ennesima foto,
questa volta con il flash,
rivelando infine la sua presenza.
Jin e
Hwoarang si congelarono sul posto, realizzando
per la prima volta come dovesse apparire la situazione vista
dall’esterno. Si scambiarono
un’occhiata veloce, prima di girarsi contemporaneamente verso
di lei e urlare,
nello stesso istante: «Possiamo spiegare tutto».
«Oh
non sia mai, non volevo mica interrompervi, solo
documentare per i posteri l’evoluzione della vostra
relazione. Continuate pure.
Fate come se io non ci fossi» ridacchiò la ragazza
salutandoli con la mano e
allontanandosi verso la cucina.
Jin si
girò verso l’amico, veloce come un fulmine, e
lo prese la collottola, iniziando a scuoterlo senza ritegno.
«Brutto
bastardo di un coreano! L’hai fatto apposta!»
«Apposta
cosa?! Ma se ha fotografato anche me!»
«Non
importa, in ogni caso è tutta colpa tua!»
«Cosa
stai dicendo, imbecille! Sei stato tu a
cominciare, ti ricordo… Ricottina!»
«Non
per ripetermi, stronzo, ma di che materiale la
vuoi la bara?»
«No».
«Xiao,
ti pago» borbottò Jin sull’orlo della
disperazione.
«La
mia risposta è sempre no, Kazama» rispose la
ragazza affondando il cucchiaino nella vaschetta di gelato.
«Per
favore?» tentò l’altro con scarso
successo.
«Mi
fa piacere vedere che hai un’anima, ma comunque
no».
Erano
oramai trascorsi venti minuti da quando Hwoarang,
rassegnato e depresso, era uscito dalla villa e si era mestamente
diretto a casa
sua, minuti durante i quali Jin aveva vanamente tentato di convincere
la
piccola cinese a cancellare tutto il materiale ripreso quella sera con
il suo
cellulare.
«Ti
compro tutto il gelato che vuoi per i prossimi tre
mesi. E farò io le pulizie del bagno al tuo posto».
La
ragazza sembrò soppesare l’offerta, ma nel vedere
la faccia disperata del ragazzo, capì che poteva tirarla
ancora per le lunghe,
quindi scosse la testa.
«Ok,
gelato e pulizie del cesso per tre mesi, più la pulizia
del dojo. E ti giuro che ti accompagnerò a vedere quella
piaga di festival
estivo delle lanterne».
«Davvero?»
domandò Xiao improvvisamente interessata,
perché sì, insomma, a Jin queste cose non erano
mai piaciute e ogni volta che
ce lo trascinava a forza, passava l’intera serata a
lamentarsi. Eh, ma le lanterne sono troppe,
fa troppo
caldo, fa troppo freddo, il vento soffia nella direzione sbagliata, sai
quanto
inquina questa roba, sono troppo gialle, sono troppo bianche, sono
troppo
colorate, c’è troppa gente, non
c’è abbastanza gente. Ogni singola
volta.
«E
prometti che non inizierai a lamentarti di ogni
cosa come tuo solito?»
«Promesso.
Dai, Xiao, come puoi dubitare della mia
parola!»
«E
mi comprerai tutto quello che voglio se mi viene
fame?» domandò la ragazza.
«Tutto».
«Anche
le mele caramellate?»
Jin
soppresse una smorfia, che schifo! Maledetti dolci
del cazzo, appiccicosi e puzzolenti, ma se lei voleva cariarsi i denti
non
sarebbe certo stato lui a impedirglielo; a dire la verità
normalmente lo
avrebbe fatto, ma era disposto a qualsiasi cosa pur di farle cancellare
dal
telefono il video e le foto che aveva scattato.
«Anche
le mele caramellate» borbottò a mezza voce.
Xiao si
fece improvvisamente silenziosa, perché ehi! quello
sì che era uno scambio conveniente, se avesse saputo che
bastava ricattare Jin
per renderlo così docile avrebbe pagato Hwoarang molto tempo
prima perché lo
spingesse verso situazioni incredibilmente imbarazzanti.
«E
giurami che appena inizieranno a volare i pollini
non mi scasserai i coglioni come tutti gli anni».
«Io
non scasso i coglioni! Io soffro! Soffro davvero,
non è mica qualcosa su cui scherzare! Un povero ragazzo le
cui vie aeree si
bloccano, che non riesce più a respirare e soffoca
–»
«Kazama…
Sei una piaga per l’umanità. Giuralo».
«Tsk.
Giuro».
Xiaoyu
scese dalla sedia con un saltino e gli sorrise,
tendendogli la mano.
«Ok,
affare fatto».
Jin
sentì un brivido gelido percorrergli la schiena,
una sensazione molto simile a quella che provava ogni volta che
qualcuno voleva
fregarlo, ma quella era Xiao e sì, insomma, gli aveva appena
dato la sua parola
quindi doveva per forza essere una sensazione sbagliata. Probabilmente
era solo
dovuta all’imbarazzo per essere stato beccato in una
situazione così ambigua
assieme a quell’imbecille patentato di Hwoarang.
«Guarda
siccome sono magnanima ti concedo di
cancellarli tu stesso» esclamò la ragazza
porgendogli gentilmente il cellulare.
Kazama
sospirò, sollevato, mentre le sue dita
armeggiavano con il telefono eliminando qualsiasi prova incriminante.
«Xiao,
grazie».
La
giovane sventolò la mano, sparendo oltre la porta
con una vaschetta di gelato sotto braccio, come raggiunse camera sua
prese il
cellulare e iniziò a comporre velocemente un messaggio.
Da: Xiaoyu
A: Miharu
Testo: Hai ricevuto
gli allegati che ti ho inviato? Mandameli sulla
mail, poi fanne tre copie e stampali su carta lucida impermeabile.
Voglio
regalarli a Jin per il suo compleanno.
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