Titolo:
Cuore
Giacciato, Anima in Fiamme Autore:
RedLolly (su EFP), LoLLy_DeAdGirL (sul forum) Fandom:
Fullmetal Alchemist Tessera
ed elementi:
-
Tessera: Primavera
-
Citazione: “Affondate la lama nella carne di un uomo, ed essi vi
ameranno per questo.” (Il Gladiatore)
-
Canzone: Soul on Fire (HIM) Tipologia/Numero di parole: One
shot/3218 parole Personaggi: Alphonse Elric, Edward
Elric Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale
Rating: Arancione Avvertimenti: Tematiche
Delicate, What If?
Introduzione:
Mi sembrava passata una vita dall’ultima volta che mi ero sentito
libero. Passavo le giornate sui libri, cercando di ingombrare
la mente il più possibile per non pensare a mio fratello, quando in
realtà era proprio allo scopo di trovare un modo per ricongiungermi
a lui che straziavo in quel modo il mio cervello. […]Ero troppo
sensibile. Lo sapeva Edward, lo sapevano tutti. Ero sempre stato
troppo tenero, troppo molle. Mi lasciavo sbatacchiare a destra
e a sinistra come una banderuola dai miei sentimentalismi, e non
potevo farci nulla. Le emozioni vincevano sempre contro di me.
Corri,
Alphonse, corri… Vieni avanti se vuoi sapere la verità, corri se
vuoi ritrovare tuo fratello. Sacrificati al dolore, lasciati
straziare e verrai ricompensato.
Note
dell'autore: Ho
deciso di ambientare questa fan fiction, molti anni dopo la fine
dell’anime del 2003, senza però tenere conto del lungometraggio
“Il conquistatore di Shamballa” del 2005, e difatti si presenta
come un finale alternativo alla vicenda.
Ho
deciso di impostare la storia come un ipotetico racconto narrato in
prima persona da Alphonse, ad un ipotetico interlocutore esterno, in
quanto desideravo soffermarmi molto sull’introspezione del
personaggio. Ho cercato di concentrarmi molto sulla descrizione delle
sue emozioni e sensazioni, piuttosto che sull’azione. Ho
privilegiato molto i momenti descrittivi, mentre la narrazione delle
azioni è ridotta al minimo indispensabile. Ho utilizzato un lessico
per lo più ricercato e “pesante, dato l’argomento trattato,
intercalato da termini più gergali (come schiantare,
caracollare, eccetera) e che a mio parere sono quasi
onomatopeici, per rendere molto vivide le sensazioni descritte da
Alphonse.
Per
quanto riguarda la canzone mi sono concentrata sui alcuni passaggi
delle strofe e del ritornello (We are like the living
dead/Sacrificing all we have/For a frozen heart and soul on fire),
oltre al fatto che ascoltando la canzone ad occhi chiusi mi sentivo
ispirata da sensazioni di freddo intenso. In questo modo ho creato la
dualità primavera/inverno che si ripete nel testo come la frase For
a frozen heart and soul on fire che da il nome anche al
titolo.
Partecipante
al Mahjong Contest - III° Edizione indetto da My Pride.
(Altre
note a fine fan fiction)
C’erano
fiori attorno a me.
Tanti,
tantissimi fiori, fiori di primavera, fiori di ciliegio che
ondeggiavano al tocco di una brezza tiepida. Era una giornata così
bella, mi sentivo avvolto da un leggero torpore, e avevo voglia di
chiudere gli occhi e di buttarmi per terra, per poi lambire con le
dita l’erbetta soffice. Quella prateria era un paradiso, sarei
potuto rimanere lì per ore a bearmi di tutta quella bellezza.
Mi
sembrava quasi di sentire una voce che sussurrava dolcemente nel
vento, e le sue parole erano latte e miele per me.
Alphonse…
Alphonse,
rimani qui con noi…
Sì,
rimango… Voglio vivere qui! Vi prego, vento, primavera,
accarezzatemi e lenite le mie ferite…
Camminavo
lentamente, sorridendo estasiato, fino a che non trovai un alberello
che per un qualche motivo sconosciuto mi piaceva più di tutti gli
altri. Mi ci sedetti lentamente sotto e posai le mani sul terriccio.
Era
da tempo che non mi sentivo così… Ero in pace con me stesso,
tranquillo, senza pensieri. Non avevo in mano nessun libro di
alchimia, finalmente avevo la testa vuota, senza formule, disegni,
principi né teoremi… Mi sembrava passata una vita dall’ultima
volta che mi ero sentito libero. Passavo le giornate sui
libri, cercando di ingombrare la mente il più possibile per non
pensare a mio fratello, quando in realtà era proprio allo scopo di
trovare un modo per ricongiungermi a lui che straziavo in quel modo
il mio cervello.
Mi
venne in mente di mandare tutto all’aria. In realtà, lo avevo già
pensato tante volte, ma qualcosa me l’aveva impedito, probabilmente
il senso di colpa. Non potevo sopporta l’idea di dimenticare del
tutto Edward, dato che già gran parte dei miei ricordi relativi alla
nostra adolescenza erano spariti. Certo, mi erano stati raccontati,
eppure non era la stessa cosa. Mio fratello rischiava di diventare
una figura lontana, indistinta, che apparteneva più al mito che alla
realtà.
Era
per questo motivo che non potevo permettermi di abbandonare i miei
studi sull’alchimia, su quel maledetto Scambio Equivalente
che mi tormentava. L’avevo fatto per lui, e dovevo continuare…
Alzai
piano gli occhi verso il cielo limpido. Era proprio una giornata
meravigliosa, eppure io avvertivo comunque quella spina conficcata in
fondo al mio cuore. Faceva male.
Iniziai
a percepire una sensazione sgradevole, che mi costrinse ad alzarmi in
piedi. Non era possibile avvertire un malessere del genere in quel
paradiso colorato, era inspiegabile.
Ero
troppo sensibile. Lo sapeva Edward, lo sapevano tutti. Ero sempre
stato troppo tenero, troppo molle. Mi lasciavo sbatacchiare a
destra e a sinistra come una banderuola dai miei sentimentalismi, e
non potevo farci nulla. Le emozioni vincevano sempre contro di me.
Corri,
Alphonse, corri…
Vieni
avanti se vuoi sapere la verità, corri se vuoi ritrovare tuo
fratello.
Sacrificati
al dolore, lasciati straziare e verrai ricompensato.
Iniziai
a correre senza curarmi della bellezza che mi sfrecciava attorno,
animato da una brillante fiamma vitale. Non sapevo dove andare, non
sapevo cosa mi stesse attirando fuori da quella radura alberata che
avrebbe potuto proteggermi. Se fossi rimasto lì, avrei potuto
crogiolarmi in un ingenuo benessere, ma Edward era troppo importante.
Per lui mi sarei anche fatto scorticare vivo, e avrei dimostrato che
io, Alphonse Elric, non ero solo uno sciocco sognatore, troppo
sensibile per combattere, adatto solo a piegare la schiena sui
libri.
Corsi,
corsi senza curarmi di nulla. Gli alberi sparivano intorno a me, e mi
sembrava di sentire più freddo. Non mi interessava, dovevo trovare
Edward. Continuai il mio cammino, attirato da un’invisibile
fiammella di speranza. I miei occhi erano umidi per lo sforzo. Il
cielo pian piano divenne grigio, e man mano che avanzavo piccoli
fiocchi di neve iniziarono a cadere mollemente dalle nuvole che
avevano oscurato il cielo. Era strano quel cambiamento, ma non era il
momento per porsi delle domande. La razionalità non mi apparteneva
più. Magari ero morto e stavo arrivando all’Inferno, magari stavo
solo sognando, forse ero allucinato dall’alcool, anche se non era
mia abitudine bere fino a svenire. Quando stavo male preferivo
rifugiarmi nei miei testi e nella ricerca.
Corsi,
fino a che le gambe diventarono rigide per il gelo che mi entrava fin
dentro le ossa. La mia vista era annebbiata, le lacrime mi colavano
senza controllo sulle guance segnandole con una linea tiepida.
Non
era più primavera, ora era inverno, un inverno gelido, che poteva
distruggermi da un momento all’altro, perché io ero un uomo debole
e sensibile, non come Edward. Lui sì che aveva il fuoco nell’anima…
La timida fiamma, che invece mi aveva accompagnato fino lì brillando
nel mio petto sembrava essersi spenta, eppure io non vedevo mio
fratello. Avrebbe dovuto portarmi da lui, e mi aveva abbandonato.
Mi
fermai, completamente intirizzito e tremante. I miei visceri stavano
congelando, i piedi non li sentivo nemmeno più. Edward doveva essere
lì o niente di tutto quello che stavo passando avrebbe avuto senso.
Mi guardai attorno: vidi un cielo grigio e la neve bianca che cadeva
lentamente attorno a me.
Osservai
meglio provando a ricacciare indietro le lacrime, tentando di
riaccendere quel piccolo fuoco che sembrava essere la mia unica
possibilità.
Fu
allora che li vidi.
C’erano
delle figure più avanti, le scorgevo nere ed indistinte, ma c’erano,
immobili ed eteree. Con la speranza che di nuovo riempiva il mio
cuore, ripresi a camminare. Finalmente l’ombra di un sorriso stanco
increspava le mie labbra.
Avanzai
ancora, poco importava il dolore che sentivo. Era come se l’inverno
mi stesse staccando lentamente la carne dalle ossa...
La
mia gioia però si spense subito, appena fui abbastanza vicino da
poterli vedere meglio. Ero arrivato a poca distanza da loro, e mi
fermai, guardandomi attorno nervosamente. Sentivo pulsare le arterie
alla base del collo per la tensione.
Erano
persone, indubbiamente, tuttavia c’era qualcosa che non andava in
loro. Avevano la pelle grigia, secca, e mi scrutavano fin nell’anima
con le loro orbite vuote. Erano poi stranamente alti, e ondeggiavano
appena, come se stessero fluttuando, mentre i loro pied erano sepolti
da quello che ormai era diventato uno strato di neve spesso. Alcuni
erano completamente nudi, talmente magri che le costole e lo sterno
sporgevano sotto la pelle sottile e incartapecorita, altri al
contrario avevano divise militari che io non avevo mai visto, altri
avevano abiti più comuni.
Erano
solo anime vuote, impalpabili, inerti, e più le guardavo e più
sentivo il ghiaccio farsi strada dolorosamente nel mio petto.
Avrei
dovuto scappare, perché la paura iniziò ad insinuarsi dentro di me.
Le mie gambe tremavano vistosamente, eppure combattevo con tutto me
stesso per non fuggire via come un coniglio.
Non
dovevo comportarmi così, dovevo essere forte.
Ingoiai
il grosso nodo che mi aveva bloccato la gola e guardai dritto di
fronte a me per un tempo indefinito. Nessuna di quelle figure si
muoveva, ma restavano immobili, i loro sguardi fissi e vuoti che
parevano poter leggere nel mio inconscio più intimo.
Aspettai.
Sarebbe arrivato, ne ero certo, Edward era lì da qualche parte, fra
di loro. Il mio stomaco era diventato un blocco di pietra per colpa
dell’apprensione che provavo. Quell’attesa divenne quasi
insopportabile, ma io ce la feci a resistere. Ero talmente risoluto
in quel momento che riuscii a raggiungere il mio obiettivo, anche se
il tormento era stato lancinante.
Lasciati
straziare e verrai ricompensato.
Edward
Elric, il mio fratello adorato, colui che per me aveva sacrificato
tutto, comparve a pochi metri da me, facendosi spazio tra gli altri
esseri che al suo passaggio non avevano alcuna reazione.
Si
fermò appena fu uscito fuori da quella calca infernale, esaminandomi
da capo a piedi con i suoi occhi dorati. Era il ragazzo che appariva
in tutte le foto che custodivo gelosamente nella scatola che stava
sotto il mio letto. Non sembrava cambiato per niente, e mentre io ero
diventato un adulto, quello che avevo davanti era rimasto
l’adolescente di cui non avevo più ricordi. Il mio cuore
traboccava di gioia, eppure non riuscivo a spostarmi a causa del
freddo. Volevo abbracciarlo, eppure facevo fatica a muovere ogni
muscolo. Ogni gesto mi causava una sofferenza fisica insopportabile.
Edward sembrava non risentire di quella temperatura polare, la sua
pelle era rosea, le mie mani erano livide.
“Nii-san…”
Non
ottenni risposta a quella che per me era una supplica tra le lacrime,
sussurrata con un filo di voce.
“Finalmente
ti ho trovato… Sapevo che ce l’avrei fatta…”
Per
la seconda volta mio fratello non proferì parola, e per me fu una
pugnalata. Avanzai di un passo verso di lui, con uno sforzo immane.
Doveva essere una situazione alquanto ironica, dato che mi era stato
raccontato che la mia anima era stata per anni chiusa in una pesante
armatura, e riuscivo a muoverla senza difficoltà, mentre in quel
momento faticavo a spostarmi.
“Nii-san…
Non sei felice di vedermi? Alla fine hai visto che ho mantenuto la
promessa? Ti ho trovato, non mi sono mai stancato di cercarti…
Anche se adesso siamo morti… Questo posto… Ti prego… Dimmi
almeno se siamo all’Inferno!”
“Sì,
siamo all’Inferno.”
La
sua voce era affilata come una lama di rasoio. Era così triste, così
come il suo sguardo. Aveva gli stessi occhi di quando era morta la
mamma…
“Ti
prego… Non fare così… Siamo insieme, no? Cosa ti importa? Anche
all’Inferno, anche se questa neve ci torturerà per sempre,
Nii-san…”
Uccidilo!
Uccidilo, e ti dimenticherai di lui!
“Non
capisci, Al… Ti ho cercato anche io con tutto me stesso, ma… Ora
è inutile. Lascia perdere.”
“Ma
perché dici così? Siamo insieme, siamo insieme!” ripetei gridando
con la voce che mi si strozzava in gola “Non ti lascerò andare
via! Non lo farò mai!”
Uccidilo,
e noi ti ameremo! Non vuoi far tornare la primavera, Alphonse Elric?
Uccidi
tuo fratello, e ti onoreremo succhiando via il dolore dalle tue
ferite…
Quella
voce che prima mi aveva accompagnato fino lì, improvvisamente era
mutata, e mi trapanava il cranio per convincermi ad obbedire. Non mi
sentivo lucido, più cercavo di resisterle e più il dolore si faceva
insopportabile. Mi strappava i muscoli, mi schiantava le ossa, mi
sviscerava, mi faceva esplodere la testa, eppure io non volevo più
ascoltarla. Erano quelle anime dannate a parlare? Erano dei demoni?
Non mi interessava la risposta a quella domanda, non avrei
compiaciuto quei feroci osservatori per nessun motivo al mondo. Non
avrei dimenticato Edward, il mio unico desiderio era quello di stare
accanto a lui. Non avrei rinnegato il mio salvatore, non sarei stato
così debole, anche se era lui stesso a chiedermelo! Lui la sua
promessa l’aveva mantenuta, mi aveva restituito il corpo che avevo
perso, e adesso toccava a me.
Sollevai
appena la mano destra, con il palmo rivolto verso l’alto, verso la
sua figura, che continuava a fissarmi, scuro in volto, come se
riuscisse a trattenere a stento il risentimento che provava nei miei
confronti a causa del mio diniego.
Intorno
a noi, le anime avevano iniziato a oscillare, agitate. Non mi
importava, perché non le avrei soddisfatte, non avrei aggredito mio
fratello per nessun motivo.
“Vieni
con me, Nii-san…” lo implorai di nuovo “Dammi la mano e staremo
insieme!”
“Non
voglio che tu stia qui! Io volevo solo avvertirti! Non doveva finire
così!”
A
quel punto era stato Edward ad urlare verso di me. Ne avvertii con
emozione l’energia, il calore che una volta era sempre al mio
fianco e che con quel grido stizzito mi aveva infiammato.
“Vattene,
Al! Uccidimi, dimenticami! Ma non capisci che voglio solo
proteggerti? Fai quello che ti dico, lo sai che ho sempre ragione! Mi
devi ascoltare, fidati di me! Non mi cercare più!”
Era
proprio l’Edward che mi ricordavo, impetuoso, energico, pieno di
fiducia in sé stesso. Io non potevo fare altro che sorridergli,
beandomi di quella sua furia che mi scaldava tra la neve. Lui era
diverso da tutti quegli altri morti viventi, me ne rendevo conto da
solo. Era un anima in fiamme in quel cuore ghiacciato, quell’inverno
infernale che ci aveva intrappolati.
Anche
se mio fratello continuava a tempestare, io non abbassai la mano. Al
contrario, mi accostai a lui con un primo passo, e poi un secondo, e
man mano iniziai ad avanzare più velocemente. Più mi avvicinavo e
più stavo bene, la neve mi feriva sempre meno violentemente. Lui era
caldo, e io dentro di me sentivo un vuoto che solo Ed poteva colmare.
“No…
Al, ti prego…”
Uccidilo…
Saziaci
con la sua carne e noi ti ameremo fino a consumarti…
“Sono
così felice di poterti finalmente riabbracciare…”
Non
ascoltavo più nessuno ormai, né lui, né le anime che bramavano il
suo sangue.
Edward
mi rifiutava a parole, tuttavia stava fermo. Forse anche io ero
un’anima calda, e quindi lo attiravo, o forse era semplicemente
anche lui felice di stare con me tanto quanto lo ero io.
“Al…
Sei l’unico fratello che ho… Non farlo… Ti ho già condannato
una volta a causa dei miei peccati…”
“E
io ho scelto di seguirti…”
Lo
abbracciai forte, le mie braccia strinsero quel corpo di ragazzo come
se volessi fondermi con lui. La ferita che da anni lacerava la mia
anima si richiuse, e mi sentii in pace, finalmente. Non avevo più
freddo, sorridevo. Le lacrime che colavano sulle mie guance erano di
gioia. Avevo ritrovato la mia famiglia in quel deserto di ghiaccio, e
noi eravamo caldi. Due anime di fuoco.
“Ti
voglio così bene, Nii-san…”
hhh
Fuoco.
C’era
fuoco, dappertutto! La mia pelle si scioglieva, i miei organi
bruciavano!
Aprii
gli occhi mentre mi dimenavo nel letto, e solo allora mi accorsi di
cosa mi era capitato. Non ero più in una prateria primaverile, né
in mezzo al gelo circondato da volti funerei, che mi chiedevano,
anzi, mi imploravano di uccidere mio fratello. Mi ritrovavo
semplicemente nel mio letto, le coperte sfatte buttate sul pavimento
della piccola stanza che avevo preso in affitto a Central City.
I
miei occhi erano sbarrati nel buio, il mio pigiama era completamente
fradicio di sudore, appiccicato alla pelle.
Avevo
sognato… Lo ripetei più volte a me stesso con un filo di voce. Il
sogno era stato così reale, diverso da tutti quelli che avevo fatto
fino a quel momento. Avevo avuto davvero freddo, avevo provato
davvero un dolore straziante, avevo davvero avvertito
il calore del corpo di Edward. Le sensazioni e le emozioni che avevo
sperimentato mi avevano sconvolto.
Mi
alzai lentamente a sedere, e mi passai una mano tremante tra i
capelli umidi, per riordinare le idee. La mia vista si stava pian
piano abituando all’oscurità resa parziale da una lama di luce
lunare che filtrava da una finestra.
Perché
avevo fatto un sogno tanto vivido? Aveva un qualche significato?
Ero
indeciso sulle risposte che avrei potuto dare a quelle domande, ma
più ci pensavo e più avvertivo il bisogno impellente di aprire la
piccola scatola che custodivo con grande cura sotto il letto.
Caracollai
per terra ansimando. Il suono del mio respiro affannato era forte
come lo sbuffo di un treno nel silenzio della notte. Arrancai tra le
coperte che avevo buttato alla rinfusa e allungai la mano verso il
tesoro che nascondevo gelosamente. Tirai fuori il piccolo contenitore
di legno, e subito mi sentii rassicurato, anche se il mio cuore
batteva forte di trepidazione. Lo aprii con solennità.
Lì
dentro preservavo i miei ricordi più cari: un pacchetto con dentro
circa una ventina di fotografie di varie dimensioni, legate da un
nastrino, che sciolsi con dita impacciate. I miei movimenti erano
maldestri e ansiosi…
Il
bagliore lunare mi permetteva di distinguere abbastanza bene i
soggetti che conoscevo a memoria. Era tutto ciò che mi rimaneva di
lui…
In
una eravamo tutti insieme, due bambini nelle braccia dei nostri
genitori. Mamma era raggiante e bellissima, l’angolo con la faccia
di papà era stato strappato via da mio fratello. Io non ero mai
riuscito ad odiare papà… Lui invece lo detestava, perché se ne
era andato, aveva trascurato la sua famiglia… Non era nemmeno
venuto al funerale di nostra madre…
In
un'altra fotografia eravamo con Winry, nel periodo più bello e
spensierato della nostra vita.
Poi
ce n’era una con solo Edward, quando era diventato Alchimista di
Stato. Da qui iniziavano le foto di cui io non serbavo alcun ricordo.
Quello
era l’unico modo che avevo per sapere come era diventato, com’erano
le sue fattezze prima di abbandonarmi. Era stato quello il prezzo che
aveva pagato per restituirmi il mio corpo, un corpo a cui avrei
rinunciato definitivamente se solo avessi saputo che in cambio avrei
dovuto dare il mio adorato fratello... Mi aggrappavo con tutto me
stesso a quelle poche fotografie, al ragazzo con l’anima in fiamme
che avevo appena stretto a me in quello strano viaggio onirico.
Le
lacrime mi rigarono il viso.
Forse
avevo capito che cosa avrei dovuto fare. Era fin troppo evidente, ma
l’ultimo barlume di razionalità che mi era rimasto fino a quel
momento mi aveva impedito di compiere un tale gesto. Forse l’avevo
sempre saputo, e incontrare Edward mi aveva reso realmente cosciente
di cosa avrei dovuto fare davvero per rivederlo. Del resto, si
trattava di uno scambio equivalente, e io l’alchimia l’avevo
studiata per anni dopo essere diventato Alchimista di Stato.
Fino
a quel momento mi ero preoccupato di non fare alcun rumore, ma non
riuscii a reggere oltre, e scoppiai in singhiozzi.
Sacrificati
al dolore, lasciati straziare e verrai ricompensato.
Avrei
sofferto, ma dovevo essere forte, di nuovo. Alla fine, nulla poteva
essere peggio del supplizio che avevo provato in tutti quegli anni a
causa della mancanza di Edward. Ero stato incapace di farmi una nuova
famiglia, le mie amicizie erano lontane, anche se scambiavo molte
lettere con Winry o Izumi Curtis…
Mi
alzai lentamente e mi guardai attorno.
Nell’appartamento
c’era tutto quello che mi serviva.
hhh
Edward
Elric (? – 1940) fu filosofo e scienziato, pioniere dalla ricerca
missilistica e astronautica. Non esistono notizie certe sul suo
passato fino al 1921, dove si trasferì insieme al padre a Monaco di
Baviera. Strenuo antinazista, si dichiarò apertamente contrario alle
politiche del Terzo Reich, rifiutando di condividere le sue ricerche
con gli scienziati del regime.
Nel
gennaio del 1940, riuscì a bruciare tutti i suoi scritti, che
andarono irrimediabilmente perduti, appena prima di essere arrestato
e deportato nel campo di concentramento di Flossenbürg come
prigioniero politico. Giudicato inabile al lavoro a causa della
mancanza di un arto e pericoloso per le sue idee antinaziste, fu
fucilato immediatamente dopo essere giunto al campo in una notte
d’inverno davanti a tutti gli altri prigionieri, come monito. Il
corpo fu bruciato in un forno crematorio.
Alphonse
Elric
(1900 – 1933 del calendario continentale di Amestris) fu un
Alchimista di Stato di Amestris. Studioso e scrittore, i suoi testi
sono tra i più completi e studiati per quanto riguarda
l’insegnamento e l’apprendimento dell’alchimia, dalla base ai
concetti più complessi e controversi, tra cui la Trasmutazione
Umana.
Nel
gennaio del 1933 morì in un misterioso incendio che distrusse
completamente la sua abitazione a Central City. Non ci furono altre
vittime accertate a causa del rogo. Le indagini rivelarono che
l’incendio fu molto probabilmente di origine dolosa, appiccato
dallo stesso Elric e il caso fu archiviato come suicidio. Chi lo
conosceva afferma che l’alchimista manifestava periodicamente degli
episodi depressivi, la cui origine era da ricercare nella sparizione
avvenuta nel 1915 del fratello Edward a cui era molto legato.
Il
1940 del calendario gregoriano, corrisponde al 1933 del calendario di
Amestris.
NdA:
Ho
cercato di strutturare il sogno di Alphonse come un vero sogno:
pensandoci, ci si ritrova nel mezzo delle nostre immagine oniriche
senza sapere bene come ci si è arrivati e senza capire che ci si
trova effettivamente in un sogno, nonostante quello del protagonista
sia decisamente atipico: ho immaginato appunto uno “spazio di
incontro” tra lui e Edward appena dopo la morte di quest’ultimo,
in modo che finalmente i due potessero reincontrarsi. Ovviamente non
c’è un lieto fine: Alphonse ha capito perfettamente che lui e il
fratello avrebbero potuto rivedersi solo alla loro morte, nonostante
tutti gli sforzi fatti da entrambi per riaprire i varchi tra i due
universi paralleli.
La
parte finale che descrive in breve la vita di Edward nel nostro mondo
è ispirati a fatti realmente accaduti sia al filosofo e teologo
Dietrich Bonhoeffer (che fu giustiziato nel campo di Flossenbürg
dopo aver tentato una cospirazione ai danni di Adolf Hitler) che allo
scienziato Hermann Oberth.
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