Chiunque abbia conosciuto lo
Stregatto, potrà darmi ragione:
sorrideva sempre. Sempre. Amava sorridere, era ciò che lo
rendeva unico e
speciale. Anche quel giorno sorrideva, come il giorno prima e come il
giorno
prima ancora, come se non fosse successo niente. Ma i suoi profondi
occhi verdi
dicevano tutt’altro. Lui pensava a tutt’altro.
La Lepre Marzolina
tossicchiò verso di lui, per richiamare
la sua attenzione. Aveva smesso di ridacchiare, mentre in compenso i
suoi tic
erano notevolmente aumentati.
Era il suo turno di parlare, dopo
Mallymkum. Ma cosa poteva
dire? Non era mai stato un buon oratore. Lo Stregatto si era sempre
limitato ad
apparire e scomparire a suo piacimento, mettendo in confusione la
gente. Ma doveva,
comunque, dire qualcosa, lo doveva… a LUI.
“… Adoravo il
suo cappello.”
La cerimonia finì quasi
subito, e tutti gli abitanti di
Sottomondo tornarono alle proprie case. Solo lo Stregatto rimase
lì, a fissare
a testa in giù quel pezzo di pietra senza senso.
Cos’è peggio, un cappello
senza testa o una testa senza cappello? Qual è la differenza
tra un corvo e una
scrivania?
Le sue pupille si allargarono. Non
l’avrebbe mai saputo.
“… Sai,
l’amavo veramente tanto quel cappello”.
Strizzò l’occhio,
sorridendo per l’ultima volta.
Fu la coda la prima a sparire. Poi le
zampe e il corpo. La sua
faccia svanì piano piano, come volute di fumo nel cielo. Gli
occhi aleggiarono
un po’ nel vento, troppo difficili da cancellare, ma alla
fine svanirono anch’essi.
Il sorriso bianco salì in alto, e divenne una terza luna,
brillante nel cielo.
Nessuno rivide mai più il
Gatto del Cheshire.
|