Ho deciso,
purtroppo per chiunque si imbatta nella lettura, di riprendere in mano
questa fanfiction che avevo abbandonato mesi fa per causa di forza
maggiore. Cambierò direzione: i protagonisti presenti non
formeranno necessariamente delle coppie o presunte tali, si
tratterà in linea generale di relazioni e avvenimenti.
Qui è
ancora presente la vecchia one-shot postata millenni or sono, che ho
voluto tenere per una questione di affetto; il mio stile come magari
noterete è piuttosto cambiato, quindi se volete siete
liberissimi di saltare questa storia e passare a quella successiva.
La raccolta
è già conclusa e non rimarrà
più incompiuta, infatti una volta a settimana
posterò puntualmente - salvo imprevisti che spero non
capitino - le parti mancanti.
Buona lettura.
Tipologia: One-shot
Rating: giallo
Genere: Introspettivo, malinconico
Avvertimenti: //
Personaggi: Mihael
Keel; Kyomi Takada
Battito.
Sentiva la velocità scompigliare i capelli, il rumore della
moto e del vento che sfioravano in un ritmo confuso le sue orecchie.
La notte.
I lampioni che illuminavano la strada con debolezza, l'asfalto che
veniva divorato con velocità impressionante al loro
passaggio.
Un cielo metropolitano che si allontanava trascinando con sé
anche le insegne e le chiacchiere della gente.
Chiuse gli occhi per un istante mentre aveva il suo petto appoggiato
contro quello dello strano ragazzo, uomo forse, dal volto coperto.
Lo teneva stretto come se temesse che fosse lui a scappare piuttosto
che il contrario.
E quando quei due corpi, distanti e mossi da ideali diversi, entrarono
in contatto entrambi lo avvertirono: un momento di
elettricità.
Un brivido e una rigida tensione in quella vicinanza.
Era imbarazzante stargli addosso, sentire il respiro misurato del
ragazzo, la gabbia toracica che si dilatava pur sotto strati di vestiti.
Spero che non senta il
mio cuore battere.
Le sembrò addirittura che il ritmo accelerato per la
tensione, per la paura, rimbombasse nella sua testa.
Lo sentirà.
Come può non sentirlo?
Lo strinse più forte quando prese una curva piegandosi
pericolosamente, si premette maggiormente contro di lui, avvertendo il
calore di quel corpo.
E per un solo istante, nel riflesso dello specchietto, scorse su di
sé i suoi occhi.
Profondi, pieni di tanti sentimenti nei quali lei rischiava di affogare
se solo osava avventurarcisi.
Quel volto... quella cicatrice... quello sguardo... perché
si sentiva curiosa?
No... non era curiosità bensì un bisogno, una
necessità. Di comprendere un uomo nel quale, nell'attimo in
cui si erano guardati, aveva intravisto la sua stessa altezzosa
superiorità, divenuta il suo scudo personale per difendersi
dal resto del mondo.
Alla fine nemmeno lei sapeva cosa ci facesse su quella moto, con uno
sconosciuto, lei che da studentessa universitaria era diventata il
braccio destro di Kira.
Un mondo di promesse, di traguardi, di omicidi a fin di bene.
E cosa le restava poi?
Tanta paura.
Di morire.
*°*°*°*
La moto si era fermata dentro un camion vuoto, con qualche scatolone
ammassato in un angolo. Un posto anonimo, avvolto da un silenzio
surreale dopo che il rumore del motore era cessato.
La donna fu costretta a scendere rimanendo poi immobile, con la schiena
quasi appoggiata alla parete del furgone. E rimase altrettanto immobile
quando il rapitore con rapidità si tolse il casco, facendo
fluire una massa di capelli biondi che gli arrivavano alle spalle.
La cicatrice. Nei disegni che Kira le aveva mostrato non c'era ma ormai
ne era sicura... quella frangetta, quel volto sicuro di sé.
Ormai era ovvio: lui era Mello.
Non disse nulla quando, improvvisamente, questi le puntò
contro una pistola, nera come la giacca che aveva addosso:
“Spogliati.”
Un ordine netto e preciso, come lo scatto della sicura. Si
irrigidì sentendo il cuore continuare a pulsare
più frenetico, in lotta contro la fredda
razionalità che da sempre la caratterizzava.
No, va tutto bene. So
cosa devo fare.
Si guardarono.
Per dei secondi.
Incontrandosi in una piena consapevolezza: di essere troppo orgogliosi
e fieri di loro stessi ma anche di essere legati ad altre persone,
sebbene in modo diverso.
Lei lo aveva voluto, lui no.
Ma in ogni caso avevano lasciato alle spalle tutto quello che avevano.
Le sue obiezioni, in quel luogo e con l'arma puntata addosso,
sembravano valere ben poco.
“Sbrigati. Guarda che almeno una coperta te la do.”
Avvenne tutto lentamente: coprirsi ... denudarsi ... sfilare
quel pezzo di carta che l'avrebbe salvata e tenere, a rischio, un
cellulare perché lui la trovasse.
Ogni movimento fu calcolato, ponderato, mentre si sentiva solo un
fruscio di vestiti.
Si lanciarono un'occhiata, come per studiarsi, osservando i reciproci
movimenti e avvertendo gli imbarazzi, la rabbia, la determinazione di
entrambi.
Finché con la mano libera Mello non si abbassò la
zip della giacca rivelando una tuta da fattorino.
Un movimento brusco e deciso per cambiarsi, tipico del suo carattere,
ben lontano dagli imbarazzati e tesi gesti della donna.
Finché questa non chiese tagliente: “Che cosa vuoi
da me? Speri di ottenere qualcosa?”
Lui rimase un istante immobile e, dopo averla fissata con occhi
straniti, rispose:
“La morte di Kira.”
Perché?
“Non dovresti ostacolarlo, lui è la
giustizia.” asserì decisa, come da anni si
ripeteva prendendo ordini da Light, sperando che fosse amata e non
usata da lui.
Era doloroso autoconvincersi.
“No – rispose con tono di voce apparentemente calmo
il biondo – la giustizia è morta. Tempo
fa.”
Emise una leggera risata, sforzandosi di apparire sprezzante:
“Da me non ricaverai nulla. Se io muoio l'opera di Kira
andrà avanti.”
Non gli servo
più ormai. L'ho detto... ma lui... a me serve?
“Chi ha detto che devi morire, Kyomi Takada?”
Spalancò gli occhi, sentendosi bloccare il respiro. Il suo
nome, quasi in un sussurro, pronunciato da lui con
profondità.
Perché doveva trovarsi così in bilico?
Perché dovevano incrociare i loro occhi, perché
doveva essere coperta da quel velo trasparente e restare
così nuda, scoperta e vulnerabile, davanti a lui?
Chi era Mello? Un estraneo... un uomo malvagio che l'aveva rapita per
uccidere il grande Kira.
Ma cos'ha fatto Kira per
me?
No. Non doveva cedere, non doveva supplicarlo di portarla via, lontano
da Light Yagami, non doveva rivelargli il nome di Kira.
Perché altrimenti la sua esistenza non avrebbe avuto
più senso, nemmeno se a guardarla fosse stato quel ragazzo
così diverso eppure talmente vicino a lei da sentire il suo
respiro sfiorarla.
Infine se ne andò, cambiato, chiudendo lo sportello alle sue
spalle.
Lasciandola sola, non prima di averla guardata un'ultima volta.
Forse, se avessero saputo come andava a finire, si sarebbero detti
addio... o magari sarebbero fuggiti.
Estrasse il foglio di carta con mano tremante, cercando di non fare
rumore e sperando che Mello non tornasse. O avrebbe capito.
Lo guardò, passò gli occhi su quelle righe vuote
che aspettavano solo di essere riempite.
Con il suo nome.
Lei lo sapeva come lui sapeva il suo. Si conoscevano prima di
incontrarsi.
Un solo gesto, rapido, veloce, per lei che aveva avuto l'occasione di
vederne il volto. E tutto sarebbe finito.
Fine.
Quella parola riecheggiò seducente nella sua testa.
E allora forse Light si sarebbe accorto di lei. Detestava essere
dipendente da lui ma ormai era dentro il suo mondo e non poteva
uscirne, nonostante ci fosse quel ragazzo che, inconsapevolmente, le
stava lasciando aperta la porta.
Guardò lo sportello del camion con ansia, il foglio stretto
in mano e il respiro mozzato.
Entra, avanti. Non farmi
fare questo... scappiamo.
Si morse un labbro, sentì le lacrime bagnarle il volto col
trucco ormai sfatto.
Stava impazzendo? Perché voleva così
disperatamente andarsene da quella Terra perfetta che credeva plasmata
da una giustizia superiore?
Bugie, solo bugie.
Ma erano belle bugie. E lei ci aveva convissuto troppo a lungo per
evitarle.
Infine un ultimo pensiero: Kira conosceva il suo nome. Se fosse fuggita
l'avrebbe uccisa.
No, non sarebbe morta scappando.
In fondo magari, ci sperava davvero, Light Yagami l'avrebbe salvata.
Estrasse tremante la penna e, lentamente, scrisse le lettere che
componevano il suo nome.
“Mi dispiace, Mihael Keehl.”
*°*°*°*
Quel posto di guida era austero, senza calendari o tanti fronzoli
appesi. Mello strinse il volante tirando un gran sospiro e gettando sul
posto a lato il cappello.
Perché si sentiva così teso?
Era colpa di quella donna. Di quegli occhi spaventati e orgogliosi, di
quella fierezza superba che lo faceva andare su di giri...
perché si era rivisto in lei... nella rassegnazione e
nell'orgoglio.
Va bene così.
L'avrai terrorizzata. Se ora andassi di là e cercassi di
comportarmi meglio non servirebbe a nulla.
Ho il mio compito e il
mio rischio.
Li ho accettati
entrambi, 'fanculo il resto.
Finché non gli sembrò di avvertire il fruscio di
una penna, un tocco leggero, quasi una sensazione. E poi un sussurro..
delle scuse rivolte a lui.
Non aveva avvertito mai così tanto affetto e dispiacere nel
sentire qualcuno pronunciare il suo vero nome.
Stupido. Questa storia
mi sta dando alla testa.
Non c'erano bisbigli, fruscii, sfiorare di carte... solo lui e Kyomi
Takada alle sue spalle.
Erano soli, separati da quella sottile lamiera.
E infine ci furono quaranta secondi.
Per raccogliere gli ultimi pensieri, le ultime attrazioni reciproche,
per sentire ancora una volta quel cuore frenetico che bussava alla sua
schiena mentre lei lo ghermiva in un abbraccio teso.
Se non ti fossi chiamata
Kyomi Takada ti avrei portata a fare un altro giro in moto.
Se lui non fosse stato Mihael Keehl non sarebbe morto, appoggiando con
leggerezza la testa bionda sul volante, gli occhi spalancati in una
attonita sorpresa, e la frangia che svelava la sua cicatrice.
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