ciao
Chi gioca con il fuoco solitamente
è propenso a bruciarsi, ustionarsi le dita. Ogni cosa
impossibile da fare diventa possibile grazie alla forza di
volontà. Anche i ricordi si possono eliminare senza indugi
se
solo lo volessimo; anche le lacrime versate su una fotografia
incorniciata potrebbero essere dimenticate. Il freddo causato da una
tempesta di neve, le strade ghiacciate, le armi cariche sulla spalla.
Come si poteva ricevere la pace provocando una guerra?
«Plotone 8, Forza 2», voci in sottofondo, sembrava
quasi
una brutta musica o, peggio ancora, una zanzara che continuava a
ronzarti intorno, cosciente del fastidio che poteva causare.
Il paesaggio era monocolore, marrone. Terra marrone, camion marroni,
verande marroni... Non c'era la possibilità di farsi un bel
sogno ad occhi aperti per quanto potesse mettere in ansia quel colore
così insolito.
«Plotone 8, Forza 2!» La chiamata fu
più alta e Wyatt riuscì a riceverla pienamente.
Sbattè le palpebre qualche volta per riprendersi, per essere
cosciente di ciò che stava accadendo e alzò lo
sguardo
per osservare la figura verde e grigia dell'uomo di fronte a
sé.
Lo spostamento dell'aria causato dall'elicottero non faceva altro che
mandargli la polvere negli occhi e dovette socchiuderli per poter veder
meglio chi c'era ad aspettarlo.
Non era pronto. Nessuno lì era pronto.
Sembravano un branco di moscerini pronti per andare a scontrarsi contro
qualche parabrezza, in autostrada. Moscerini che comprendevano la
realtà delle cose, sapevano ciò a cui andavano in
contro.
Eppure continuavano a lottare per se stessi, per conoscere i propri
limiti, per vedere quanto forti erano, l'eroe che c'era dentro ognuno
di loro.
Ma la guerra non piace a nessuno. La guerra è quell'atto di
vandalismo e terrorismo che ti fa storcere il naso; è
l'odore
del sangue al mattino, pane e acqua ogni giorno, freddo pungente, paura
di qualche agguato, paura della morte.
Lottare per la Patria voleva dire anche provare il terrore di
un'eventuale sconfitta.
Dopo qualche secondo di indugio, Wyat si alzò in piedi. Con
leggere pacche si spolverò la giacca e i pantaloni,
infilandosi
l'antiproiettile dalle braccia e legandoselo dietro la schiena.
Avrebbero fatto un giro di perlustrazione, per vedere se tutto andava
secondo i piani. Ma l'America era pronta a tutto. L'esercito era ben
fornito, le armi erano state caricate a dovere e se c'era qualche
emergenza... la si poteva richiedere senza paura che ci mettesse troppo
tempo per arrivare.
«Arrivo», passi lenti,
sguardo vitreo.
Non era un uomo, era un oggetto utilizzabile per la guerra, e quel
destino se l'era scelto da solo, consapevole di ciò che
stava
facendo. Avrebbe difeso il paese a costo della vita, avrebbe fatto di
tutto per far vivere la pace nonostante questo richiedesse un gran
numero di vittime. Si chiedeva, qualche volta, se anche i nemici
avessero una famiglia. Il motivo per cui fossero entrati dentro ad un
vicolo cieco, senza più via di fuga. Come dei cani chiusi in
gabbie più piccole di loro, costretti a rimanere
lì
dentro fino alla morte.
Come si sentivano loro? Come si potrebbe sentire un uomo quando uccide,
quando vede una persona del suo stesso sesso morire a terra, in preda
alle convulsioni, al sangue che striscia via dal corpo e dall'anima che
fugge. Molti si sentono bene.
Raggiunto l'elicottero, Wyatt salì. Si sedette, non era
molto
comodo. Avrebbe preferito passare quel tragitto sul camioncino, di
certo i sedili erano fatti meglio. Portò la One Shot
appoggiata
alle gambe, strette. La One Shot era il fucile da cecchino
più
potente che potesse esistere sulla faccia della Terra: un colpo, un
morto, senza indugi. Vento, pioggia, tempesta... nessuno riusciva a
fuggire alla terribile carneficina che poteva provocare.
Non era semplice uccidere ogni persona che gli capitava sotto tiro; la
maggior parte erano donne e bambini che trasportavano pesanti bombe e
correvano contro i salvataggi per poter farli esplodere. Persone
innocenti, con una vita, uccise per un unico scopo: il potere. Non
c'è nient'altro che accomuna questo mondo se non l'immenso
potere che tutti si proiettano nella mente, l'enorme mania di poter
essere perfetti ed immortali, di avere tutto sotto controllo, di
sentirsi Dio.
Senza pietà. Senza dignità. Uccidevano per
arrivare a
conquistare il mondo sotto un'unica nazione, un'unica religione e un
unico scopo. Abusare delle donne, sottomettere i figli e far
sì
che quest'ultimi crescano nella più completa violenza.
«Hey
Leggenda, a che pensi?» Quel nome lo fece
sorridere.
Lo chiamavano "Leggenda" da quando era riuscito a far fuori sette
persone su sette. In un unico colpo. Basta concentrarsi, trattenere
il respiro e pensare che cosa stiamo facendo,
si giustificava. Non era modesto, non si sentiva questo
grande
eroe come tutti lo descrivevano, ma di certo, grazie a lui, qualcosa
erano riusciti a fare, come debellare territori e proteggere le mura
del proprio Paese.
Pensava a tante cose. Alla sua vita, alla sua famiglia che non vedeva
da anni da quando era entrato lì dentro, a quando l'unica
cosa a
cui aspirava erano le donne, la birra e il gioco d'azzardo.
«A
quando finiremo. Voglio tornare a casa»,
un sospiro uscì dalle sue labbra screpolate e leggermente
gonfie; quel particolare non si vedeva data la barba allungata.
Un colpo in testa e tutto sarebbe finito, bastava non sbagliare.
L'adrenalina nelle vene, emozione che ti pervade in ogni minimo muscolo
fino a contrarsi in un piacere indescrivibile, inimmaginabile. Era
questa la guerra? Sì. Era soddisfazione, piacere. E questo,
a
Wyatt, faceva paura. La guerra non era amore, non era pace, non era una
stretta di mano; ma sangue, morte, odio, disgusto.
Sparisce tutto: sparisce l'umanità, l'unica ragione di vita
a
cui l'essere umano si aggrappa, la voglia di vivere. L'unica tratta che
si può fare è alzare le armi e iniziare a
spararsi
addosso, come i bambini. Ma i bambini usano proiettili invisibili
invece di metallo pieno di polvere da sparo.
A lui piaceva tornare bambino, ma solo con la mente. Amava perdersi in
ricordi, rammentare quando giocava a palla in mezzo alla strada con i
suoi amichetti, quando giocava con le prime armi finte che mamma e
papà gli avevano comprato per il compleanno. Mamma e
papà, chissà se erano fieri di lui, della scelta
che
aveva intrapreso; li stava difendendo, voleva che avessero una vita
degna.
Non sapeva se il vuoto che provava faceva più male di un
coltello infilato nella schiena o il dolore che provi quando lo togli.
Si sentiva male ad ogni uccisione, ad ogni guerra; la pressione gli era
aumentata e i problemi alla testa erano diventati più
frequenti.
La nausea non si faceva problemi a presentarsi quando, in un attimo di
concentrazione, stava per sparare un colpo nel cranio di un bambino
trasportatore di armi o di bombe.
La felicità è uno stato mentale.
E lui doveva trovare il suo.
***
Angolo autore: sono
ritornato con una long improvvisata. L'altra sera stavo ripensando alla
guerra e quindi ho voluto fare una storia che la rappresenti,
nonostante non si possa descrivere tale abominio. La presentazione
è un po' ripresa da American Sniper, mi sono solamente
ispirato al film, non ho copiato assolutamente niente, né
tanto meno la trama (che sinceramente non so come sviluppare ma
pazienza).
Spero che possa piacere come prologo e che non possa essere una
grandissima schifezza come penso. Ma vabbè, non bisogna
sempre essere negativi, no? Un saluto.
iceofglass
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