12
Start
Forse ai nostri giorni
l'obiettivo non è quello di scoprire
che cosa siamo,
ma di rifiutare quello
che non siamo.
Dobbiamo immaginare e
costruire
quello che potremmo
essere.
Paul-Michel Foucault
Ottantaquattro ore e dieci minuti. Questo il tempo
trascorso dal suo risveglio in ospedale. Spencer è seduto
sul divano, la testa reclinata e gli occhi chiusi, per cacciare
indietro le lacrime. Non è triste o afflitto, malgrado il
costante tremore e lo strato di sudore attaccato alla pelle. Tutto
ciò che sente è distante, come se la sua mente
fosse sospesa nella nebbia. È nella stessa posizione
dall'alba, quando Morgan è uscito dal suo appartamento dopo
averlo accompagnato dall'ospedale. Si è alzato solo lo
stretto necessario e ora stringe il manico di una tazza di the
bollente. I medici gli hanno sconsigliato la caffeina, almeno per un
po', e lui teme che occorrà molto tempo prima che possa
assaporare ancora un caffé.
Riapre gli occhi, fissando lo sguardo sulla
brochure che Hotch gli ha dato in ospedale. Ora è sul
tavolino, su una pila di libri, e le sue tonalità accese
contrastano con le copertine antiche.
Prati sempreverdi e
attività ricreative - a stretto contatto con la natura -
un'oasi di pace.
Questo dicono quasi tutte le brochure di quei
posti, facendoti dimenticare che sono luoghi dove anime perse cercano
di uscire dal limbo delle proprie miserie.
Spencer resta immobile, perché davvero
non sa che altro fare. Il ticchettio dell'orologio, un clacson che
dalla strada erutta in un suono acuto, la TV a volume altissimo della
vicina del piano di sopra...questo tutto ciò che riempie il
silenzio. Sembra tutto troppo lento, tutto troppo quieto, e lui non sa
cosa dovrebbe fare.
Ci sono troppe cose da processare, anche per il
suo cervello, che ora non è nelle migliori condizioni. Sa
che il momento della verità non è ancora giunto e
che la sua mente lo sta proteggendo con l'apatia.
Daniel e ciò che lui ha provato per
quello sconosciuto; il terrore di aver perso la testa e aver ucciso
persone innocenti; il Dilaudid e le proprie colpe, il proprio abbandono
a quella fuga così semplice; quell'uomo misterioso, Lucas
Carter, che era stato così vicino a lui, così
vicino a sua madre...Il solo pensiero riesce ad accellerargli il cuore.
Quando Spencer sente suonare il campanello, la
tazza di thè gli traballa nella mano e una goccia gli
finisce sul dito, ustionandolo. Sopprime un gemito di dolore e poggia
la porcellana sul tavolino, affrettandosi alla porta. Ritornare a
vivere normalmente in quella casa gli ha causato un certo grado di
paranoia.
Il viso di Morgan gli sorride dallo spioncino.
«Che ci fai qui?» chiede guardingo. Non
ha il tempo di aggiungere altro, che l'agente si è
già intrufolato nell'appartamento.
Sospira, richiudendo la porta.
«Non sei felice di vedermi?» chiede
raggiante Derek, aprendo le braccia tranquillo.
Spencer annuisce e recupera la tazza dal tavolino.
«In realtà stavo per iniziare una pacifica
lettura.»
«Avanti, ragazzino, parlare con un libro non ti
servirà!» lo rimbecca. «Ci sono
io.»
Spencer non riesce a impedirsi di sorridere e scuotere la
testa, sedendosi sullo sgabbello e trascinandosi davanti la tazza di
thé, seguito a ruota da Derek, che gli si siede accanto e lo
fissa pieno d'aspettativa.
«Vuoi chiedermi qualcosa?» domanda
Spencer, grattando con l'unghia del pollice la ceramica della tazza.
Non sa bene cosa Derek si aspetti che lui dica o faccia. Forse dovrebbe
chiedergli scusa, di perdonarlo...non lo sa, e ricorda vagamente il
giorno in cui, sul letto d'ospedale, ha farfugliato parole futili, alla
ricerca disperata di un perdono che nessuno avrebbe potuto accordargli.
«A quale domanda hai bisogno di
rispondere?» gli rilancia Derek, perché sa che
c'è qualcosa che l'altro vuole dirgli, che ha disperato
bisogno che gli venga posta quella
domanda. Ma lui non è certo di quale si tratti
e temporeggia, scrutando il ragazzino che si morde il labbro inferiore
e fissa la tazza. «Hei, guardami.» Non avrebbe mai
voluto, ma il tono risulta più duro del previsto, e fa
sobbalzare Spencer, che gli rivolge uno sguardo incerto. Sembra
trattenga il respiro e d'improvviso il linguaggio del corpo muta,
rendendolo simile a un accusato.
Morgan si accorge di questo cambiamento e decide di prendere
la palla al palzo. «Non va molto bene, vero?» Fa un
cenno alle braccia del ragazzo, che se le stringe al petto, a disagio.
«Sto bene» dice Spencer, distogliendo lo
sguardo. L'ultima volta che un ago è entrato nel suo
braccio, è stato all'ospedale. A volte gli sembra di
sentirlo ancora, come se lo avessero dimenticato sottopelle.
È rimasto in ospedale tre giorni, dando il suo consenso a
cominciare la disintossicazione. Ggli sembrano passati anni. Malgrado
il peggio sia passato, i dolori e le ferite mentali sono ancora lontani
dall'essere un ricordo; è triste, pensa, che una volta lo
erano, prima che tutto questo cominciasse.
«Hey, non devi mentirmi, altrimenti è
inutile che sia qui. Credevo ci fossimo accordati su questo.»
Spencer annuisce debolmente e si massaggia distratto un
braccio. Morgan deve attendere ancora prima che il dottore cominci
finalmente a parlare. «No, non sta andando molto bene. Ho
questi continui sbalzi d'umore, l'emicranea è tornata
e...sono tornato da quanto? Otto ore? Cosa dovrei fare non lo so. Non
riesco più a pensare, mi distraggo, dimentico quello che
stavo facendo mentre lo faccio.» Alza lo sguardo, incerto, ma
trova negli occhi dell'amico solo attenzione. «Io non credo
di poter ricominciare. Sono stanco.»
Derek lo osserva, sospendendo ogni giudizio. «Non
devi arrenderti, d'accordo?»
«Io non voglio arrendermi, non posso. Non sto
valutando l'idea di farlo. È solo che doverci riprovare
è sfinente. Lo sai che la probabilità di una
disintossicazione definitiva, in chi ha già intrapreso un
percorso e ha avuto una ricaduta, cala drasticamente?»
«Ragazzo, no» gli dice Derek.
«Dimenticati tutto ciò che sai. Lascia stare le
probabilità. Sei tu, non un numero percentuale.»
Il dottore stringe le palpebre e sembra meditare, poi
annuncia: «Ho raggiunto un momento di pura
felicità. So che non era reale. In realtà, nulla
lo era, ma non volevo pensarci. Comunque, è stato il momento
più bello che io ricordi. Pensi sia triste, vero?»
Non riesce a guardarlo negli occhi. Non può dirgli che in
quell'attimo di felicità lui aveva un ago nel braccio e il
corpo di Morgan nella mente, un'immagine partorita spontaneamente dalla
sua fantasia. Non sa ancora cosa pensarne.
Morgan interpreta in maniera erronea il suo imbarazzo e una
punta di fastidio gli inacidisce il cuore. «Eri con
lui?»
«Cosa?» chiede Spencer sbigottito.
«Eri con Daniel, vero? Con lui ti sei sentito
felice.»
Spencer si sente offeso senza saperne il reale motivo. Sa
solo che il sangue comincia a rombargli nelle orecchie. «Io
no-...non voglio parlarne.»
Derek scende dallo sgabello e afferra la giacca, sotto gli
occhi smarriti di Spencer.
«Cosa fai?»
Ormai sulla porta, il ragazzo si volta di scatto.
«Vado via, dato che non vuoi parlare.» La parte
razionale del cervello gli dice che si sta comportando in modo
immaturo, ma Derek non riesce a sentirla.
«Sì, provavo
attrazione per lui» sputa fuori Spencer, guardando Derek con
concentrazione. «Ho dormito con lui, l'ho baciato
e...» malgrado l'ostentata forza d'animo, le guance si
imporporano. «Bhe, è questo che volevi
sentire?»
«Ci hai fatto sesso» conclude Derek, una
nota di veleno nelle parole, ignorando la sua provocazione.
Spencer abbassa lo sguardo un attimo, corruga la fronte e
stridulo quasi urla: «E allora? Possibile che tu non riesca a
pensare ad altro?» Il ragazzo si alza dallo sgabello,
facendolo stridere sul pavimento. «Insomma, mi piaceva, ci
stavo bene. Parlavamo. Il sesso cosa c'entra?»
«Tu lo sapevi da prima. Sapevi di
essere-»
«Omosessuale?» sbotta Spencer,
gesticolando animatamente. «Oh, ora è tutto
chiaro. Sei venuto qui solo per saperlo. Tranquillo, la mia presenza
devirilizzata non intaccherà in alcun modo la tua
mascolinità. È come pensavo, tu vuoi solo sapere
che avermi come collega non ti minacci come uomo, giusto?»
«Non lo pensi davvero» dice stupito
Derek, prima che la rabbia gli incrini il viso. Getta via la giacca per
fronteggiarlo e qualcosa, nello stomaco di Spencer, si agita a quella
presenza troneggiante di forza. «Tu non puoi davvero
pensarlo. Sei solo arrabbiato con te stesso. Perdonati, una buona
volta.»
«C-cosa dovrei perdonarmi?» farfuglia
confuso.
«Di aver commesso un errore, di non aver pensato.
Hai agito d'istinto e questo non lo tolleri.»
«E' ridicolo. Io...l'istinto non
c'entra.»
«Allora cosa?» chiede Derek, aprendo le
braccia in un disperato invito. «Qual è il
motivo?»
Spencer non sa davvero cosa rispondere.
«Sai perché sono venuto qui?»
Chiede Derek, avvicinandosi. «Non riuscivo a dormire. Dormo
male a causa di una domanda che mi tortura.» Fa una pausa e
cerca il suo sguardo, riuscendo faticosamente a incatenarlo.
«Mi chiedo perché non me ne hai parlato.
Perché hai affrontato tutto da solo? Mi sono detto che sei
testardo, che non ti fidi abbastanza né di me né
di nessun altro, mi sono detto tante cose. Ma solo tu puoi
rispondermi.»
Il dottore si siede, le gambe gli cedono. Ha la risposta,
anche se non sa come interpretarla. Vale la pena divulgare un dato che
non si comprende? Ma qui dati e variabili si confondono sullo sfondo e
lui si sente confuso. Non gli resta altro che parlare e lasciare il
compito dell'interpretazione a Derek.
«Avevo paura.»
«Di me?» chiede l'altro incredulo.
«Non volevo mi guardassi come un
colpevole.»
Derek resta pietrificato, incredulo.
«Io non ti avrei mai chiuso fuori» dice
alla fine, poggiando una mano sulla sua spalla. «Accidenti,
ragazzo, farei qualunque cosa per aiutarti.»
Su
quel letto d'ospedale Spencer sembrava solo un essere bisognoso. E tu,
Derek, tu volevi solo essere quel bisogno, sentirti ancora il suo
bisogno, come quando aveva gli incubi, come quando Tobias lo teneva
prigioniero e tu non dormivi alla sua ricerca.
Reid resta in silenzio, cercando di dominare l'istinto di
liberarsi della mano sulla sua spalla. È un gesto
così intimo e così tipico di Derek, da
raggerarlo. Troppo vicino. Si alza e annuncia: «Ora vorrei
restare solo.»
«No» dice deciso Derek.
«Spencer, io resto qui stanotte.»
Spencer vorrebbe protestare, ma si arrende. «Come
vuoi» si volta e si dirige verso la sua stanza, la porta si
chiude piano. Derek fissa le proprie mani chiudersi in pugni deboli.
Cosa devo
fare perché tu smetta di nasconderti?
Melbourne,
Australia
Lucas Carter ha fame, davvero troppa. Si guarda
attorno nell'assolata strada, dietro le spalle ancora visibile il tetto
luminescente dell'aereoporto. Diciotto ore di viaggio e neanche un
misero boccone gli hanno fatto ridefinire il concetto di fame. Ora si
pente di non aver mangiato al Cairo, prima di partire. D'altra parte,
non avrebbe mai messo le mani su quelle buste scintillanti piene di
cibo lucido che le hostess osano chiamare cibo.
Fa scivolare gli occhiali da sole appena comprati sulla
fronte e scruta i dintorni, individuando subito un menù
esposto davanti una vetrina. Sorride e risistema gli occhiali,
ravvivando i capelli ora biondi. Si massaggia il mento, dove la barba
comincia già a ricrescere. Quel nuovo look non lo convince,
ma è certo che presto se ne farà una ragione.
Infilando le mani in tasca, si dirige alla tavola calda. Un fastidioso
campanello annuncia il suo ingresso, ma nessuno si volta a guardarlo
mentre si siede ad un tavolino e attende una cameriera.
Poggia il mento sul palmo della mano, chiedendosi
cosà avverrà ora. Una coppietta felice
è seduta a qualche tavolo di distanza, ridono dei tentativi
del figlioletto di mangiare un grosso panino al tonno. Lucas sorride,
nascondendo il disgusto.
«Salve, signore, posso esserle utile?»
La cameriera ha una voce cristallina e giovane. Merita di
essere osservata, pensa Lucas. Ha grandi occhi verdi e lunghe ciglia
chiare, i capelli rossicci raccolti in una coda di cavallo che le da un
aspetto ancor più innocente. Lucas sorride in quel modo che
riserva solo alle donne.
«Certo, Lydia» dice, leggendo il nome
sulla targhetta.
La ragazza sorride e le guance si imporporano, mentre
risistema un ciuffo dietro le orecchie. Lucas è convinto di
aver fatto centro.
Mentre ordina un panino al prosciutto e un caffé
forte, pensa che forse Lydia potrebbe essere un buon inizio per la sua
nuova vita. In fondo, lui ora è un ragazzo pieno di vita e
sorrisi, pronto a mettere su famiglia, magari. Guarda le strade di
Melbourne oltre la grande vetrata e pensa al giorni in cui
tornerà da Spencer. Dovrà attendere, uscire dai
radar e crearsi una nuova vita di facciata, ma è certo ne
varrà la pena.
Sente già l'acqualina in bocca, ma
questa volta non è quel tipo di fame.
Washington,
USA
Washington è sotto la neve, che scende
ondeggiando. Le finestre rimandano il bagliore tenue della notte, sotto
la luna che crea quell'effetto ottico di irridescenza del nevischio
posato sui vetri. Spencer, disteso su un fianco in posizione fetale,
finge di dormire, ma gli occhi sono puntati sulla finestra, quel
rettangolo d'aria sigillata.
Stringe un pugno vicino alle labbra e sospira, sentendo il
proprio alito caldo raffreddarsi sulla pelle ghiacciata. I piedi nudi
sono freddi, ma non li copre. Vuole sentire quella strana sensazione,
come se fossero a contatto con un pavimento di ghiaccio secco. Gli
piace ricordarsi del proprio corpo, della propria esistenza sospesa.
Abbassa le palpebre e scivola in un dormiveglia inquieto, dove le
allucinazioni ipnagogiche lo risucchiano nel vortice della surreale
fusione tra reale e fantastico.
L'immagine del corpo di Morgan gli colpisce la mente,
improvvisa, ricacciata da un angolo sconfinato del cranio. L'immagine
vista nelle ore di allucinante benessere, quando Daniel lo stringeva e
lui immaginava le mani del collega, ruvide per aver stretto troppo la
pistola, in mesi e mesi di addestramento duro. Allora non si chiedeva
il perché, ora la domanda è impellente.
Morgan?
Derek Morgan?
No, pensa una voce nella sua testa, la sua voce. Non lui.
Non potrebbe mai accadere. Ma il confine diventa labile, e la mente
precipita nelle nuvole elastiche della fantasia.
Le mani di Morgan. D'un tratto le sensazioni si rovesciano e
le vede, quelle mani forti e scure, stringersi intorno al proprio
collo. Si vede nudo lottare su di un pavimento gelido e sporco e gli
occhi di Derek incendiarlo. L'aria gli manca, si dibatte, le membra
esili ed esposte. È impotente. Si vede sopraffare dalla sua
virilità.
Aria!
Senza rendersene conto, comincia ad agitarsi convulsamente,
scalciando e dimenando le braccia come ad afferrare qualcosa.
«No, no!» urla sempre più forte, per
sovrastare il silenzio, che gli sembra uscire come fiato dalle labbra.
«Spencer! Hey, Spencer!» gli risponde
una voce. La sua voce. La riconosce ma non riesce a muoversi. Mani gli
afferrano le spalle, lo scuotono, e lui riemerge dalle tenebre,
aggrappandosi furiosamente alla sua t-shirt.
Gli occhi sono rossi, iniettati di sangue, il respiro corto
che brucia nei polmoni e lo sguardo terrorizzato.
«Spencer, sono io. Sono Derek» gli dice
rassicurante, ma guardandolo con una profonda nota di stupore e
sospetto. «Va tutto bene.»
«Ho bisogno...» prova a dire, ma la gola
secca raschia le parole. «Acqua.
No...thé.»
Alle due di notte, Spencer e Derek sono seduti sul divano,
quest'ultimo rivolto verso il ragazzino, che tiene le ginocchia unite e
il corpo leggermente rivolto nella parte opposta. Il linguaggio del
corpo, questa volta, non mente.
Il dottore stringe tra le mani la tazza di thé
fumante, mentre fuori la bufera infuria implacabilmente lenta.
L'unica luce è la lampada che pende su una
poltrona, una luce calda che lascia scivolare strane ombre sul viso del
ragazzo, rivelandone le sporgenze e gli angoli. Non si è
ancora del tutto ripreso, considera Derek, che ben poche volte lo ha
visto così magro e stanco. Una stanchezza che, in questa
notte piatta, appare in tutta la sua drammatica insistenza.
E' una notte in cui tutto si può dire. Il tempo
è sospeso, le nuvolette del thé e la foschia
della neve nascondono il mondo, chiudendo l'universo nei confini
dell'appartamento carico di libri; libri che aprono le finestre di
altri universi, tuttì lì sugli scaffali, tutti a
portata di mano. L'ecosistema di quelle mura sorregge due uomini,
seduti vicini ma distanti, ognuno a combattere con le proprie domande,
ognuno potrebbe rispondere all'altro, bastandosi a vicenda. Ma il primo
passo è arduo.
Troppo in
sospeso, troppo in gioco, considera Derek, al quale il
senso pratico ora viene meno.
«Le cose tra noi non sono mai andate
male» dice, guadagnandosi una rapida occhiata circospetta.
«Semplicemente da un po' non andavano. Non abbiamo parlato
molto, in questi ultimi mesi.» Si china a cercare il suo
sguardo e, quando lo ottiene, dice deciso: «Mi dispiace,
Spencer.»
Il ragazzo tira le labbra in un sorriso e si passa un palmo
sulla fronte, risistemandosi un ciuffo ribelle, le sopracciglia
aggrottate. Tossicchia nervoso.
«No-non importa. Capisco» sussura,
rivolgendo gli occhi alla catasta di libri sul tavolino. La broschure
è ancora lì, ma sembra perdere colore.
«Cosa?»
Che non sono
così importante. Vorrebbe dire Spencer. Ma sa
che si tratta di una riflessione stupida, una di quelle osservazioni da
adolescente introverso, da piccolo genio cresciuto troppo in fretta,
che si porta sempre dietro gli strascichi di una vita vissuta al
margine, solo. Spencer Reid è una di quelle poche persone
che sono state davvero sole, perché nessuno poteva capirlo,
perché nessuno era al suo passo e lui era sempre lasciato
indietro. Scuote la testa, rimproverando se stesso: un adulto non pensa
così. Un bambino non avrebbe mai dovuto avere la testa che
avevi tu anni fa, quando il gioco più divertente era
fantasticare la soluzione di un intricato caso di omicidio plurimo.
«Hai ragione, abbiamo parlato poco in
questo periodo» si costrige a dire, guardandolo fugacemente.
«E' colpa mia.» Morgan lo ascolta attento.
«Tu mi hai sempre mostrato di non giudicarmi, ma io...io
giudico me stesso quando parlo con te. Credevo che non parlandoti dei
miei demoni loro sarebbero rimasti affar mio, che avrei trovato la
forza di combatterli da solo o che...sarebbero solo
scomparsi.» Fa una pausa e rigira la tazza tra le dita,
mentre il thé si intiepidisce. Alza uno sguardo ironico
sull'amico. «Guarda dove siamo finiti.»
«Hey, ragazzo, ascoltami» dice Derek,
posandogli un palmo sul ginocchio, ma poi ritirandolo subito per non
invadere il suo spazio. «Avere delle debolezze è
normale, avere paura del buio è solo un modo di essere vivi.
Tu non sei come nessun altro, tu sei diverso, ma come credi sia io?
Anche io ho paura, anche io sono diverso dagli altri. Questo
lavoro...ci rende unici e soli. Non potremo mai toglierci di dosso
questa solitudine, ma possiamo cercare di accorciare le distanze. Tu
hai me, mi avrai sempre, capito?»
Spencer ricambia il sorriso aperto di Derek, ma gli occhi si
infiammano di lacrime. L'abbraccio viene spontaneo ed è
lungo e difficile da sciogliere, mentre il ragazzino piange sulla
spalla dell'amico, che con cura gli accarezza i capelli.
«Tu hai me.»
Quando Morgan apre gli occhi, il mattino è appena
sorto. Vorrebbe strofinarsi il volto con le mani, ma scopre che la
destra è bloccata. Spencer è lì sul
divano, addormentato contro il suo braccio, il volto finalmente sereno.
Vorrebbe restare a guardarlo così a lungo da dimenticare
tutto il resto, eppure sa che non è tempo. L'orologio alla
parete segna le cinque e mezza e, tra mezz'ora, dovranno partire alla
volta del luogo dove Spencer passerà i prossimi tre mesi.
Delicatamente, gli scuote un braccio, trovandosi
quasi ad abbracciarlo. Lui apre piamo gli occhi ancora arrossati e lo
guarda confuso. Sul suo volto passa un lampo di sorpresa, poi
sostituito da sollievo e infine imbarazzo. Si stacca immediatamente
dalla sua spalla e Morgan sente la circolazione tornare normale nel
braccio intorpidito.
«Buongiorno» mormora Spencer, alzandosi
sulle gambe incerte. Senza attendere risposta, guarda l'orologio e si
volta per dirigersi in bagno. È allora che Morgan gli
afferra un braccio, con più forza del previsto. Il dottore
si volta e lo guarda confuso.
«Andrà tutto bene, Spencer»
dice Morgan, la bocca ancora impastata. Spencer non risponde, ma dai
suoi occhi Morgan capisce che lui non lo crede. Lo attira in un
abbraccio, trovandolo stupito e privo di forza per respingerlo. Lacrime
involontarie annebbiano la vista del moro, mentre la mano gli carezza
la schiena. «Te lo prometto, Spencer, andrà tutto
bene. Quando tornerai, io ci sarò.»
.........
Note
finali: Prima di passare a ringraziamenti che sento
davvero di cuore di dover fare, voglio annunciare che la storia non
finisce qui. Questa parte della storia sì, per vari e
misteriosi motivi (anche per me), credo debba finire qui. Ma...To be
Continued! Ovvero, presto ci sarà un sequel, al quale sto
già lavorando e che dovrebbe iniziare a comparire molto a
breve. Quando scrissi la prima volta questa long, avevo già
in mente di continuarla con un'altra long, ma al tempo non ebbi
né tempo né ispirazione sufficienti. Ora ho molta
ispirazione e un po' più di tempo, quindi...why not? Non mi
perdonerei mai se lasciassi la vicenda in sospeso. Dunque, Lucas Carter
sta per tornare! Nella prossima storia si parlerà meglio di
lui, tirandolo fuori dall'alone di mistero che, suppongo, questa storia
lasci; altri nodi verranno al pettine, come il recupero di Spencer, il
rapporto con Morgan e il confronto con William Reid.
Inserirò il tutto in una serie, tanto per mettere
ordine. Se vorrete seguirmi ne sarò infinitamente felice.
Detto ciò, ho altre due cosette da dire.
Una parola speciale per
MartiAntares e
cam_mi_cam: Siete
stata sempre molto presenti e incoraggianti e non avete idea quanto
apprezzi la vostra costanza che, in qualche modo, mi ha aiutata a
cercare di essere
più puntuale. Chiedo perdono per la lunga pausa invernale,
grossa parte
dovuta alla quasi totale inesistenza di un posto fisso e, di
conseguenza, una rete fissa. Spero di risentirvi presto!Ps per MartiAntares:
All'inizio mi avvertisti del fatto che lo slash non è il tuo
debole e sono davvero molto contenta del fatto che, malgrado grossa
parte della storia girasse intorno a una coppia slash, tu abbia trovato
comunque qualcosa di interessante e hai deciso che valesse la pena
continuare a leggere.
E un grazie sincero a tutti quelli che hanno seguito, inserito tra i
preferiti o tra le seguite questa storia. lunablack_21, mrslightwood_, DAlessiana, estelle holly, Giulia Who e stydia, i vostri
commenti sono davvero molto graditi e questa storia è anche
merito vostro.
A presto, spero.
Alex.
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