Questa FanFiction è originalmente scritta in inglese.
Spero di aver fatto e di continuare a fare un buon lavoro con la
traduzione.
Se l'autrice dovesse modificare i parametri della storia, lo
farò anche io.
Vorrei ringraziare musa07 che mi farà da beta.
Terry Conty "90"
Waiting Game
Capitolo 1
Law si reclinò lentamente sulla sedia con un sospiro,
allentando la sua cravatta. Chiuse gli occhi per qualche momento prima
di darsi una leggera scossa mentale per riordinare e guardare le tante
istanze sparse sulla scrivania di fronte a lui.
Ne scelse la domanda di un altro speranzoso studente, sfogliandola
pigramente e lasciandola cadere sul mucchio di quelle già
lette, non ci aveva trovato nulla di interessante, soltanto un altro
studente con voti semplicemente perfetti. Raggiunse le rimanenti
pratiche e ne prese una manciata, sfogliandole nella speranza che
qualcosa attirasse la sua attenzione, e buttandole nuovamente sulla
scrivania quando questo non accadde.
C’erano ancora molte pratiche da ordinare e lui non aveva
alcun dubbio che quella notte sarebbe stata un’altra di
quelle lunghe, così decise che poteva anche mettersi comodo.
Prese la pila di istanze ancora da leggere e si diresse verso il
tavolino da caffè vicino al confortevole divano in pelle che
aveva preso per momenti come quello.
Li fece cadere lentamente sul tavolo, sospirando quando alcuni fogli
caddero sul pavimento. Prima di sedersi o di raccoglierle,
però, guardò il bar e i bicchieri da whisky su di
esso e decise che avrebbe potuto davvero farsi un drink.
Lunghe dita guantate afferrarono il collo della bottiglia e ne tolsero
il tappo prima di scegliere un bicchiere. Una volta che si fu servito e
che rimise tutto al proprio posto, si prese un momento per fare un
sorso e godersi il forte sapore prima di deglutire lentamente.
Espirò dolcemente e tornò al suo tedioso ma
necessario lavoro che lo aspettava.
Camminò a lunghi passi verso il posto dove aveva lasciato i
documenti, lasciando il suo bicchiere sul basso tavolino con un piccolo
scatto prima di inginocchiarsi e risistemare i fogli caduti.
Una volta che li ebbe raddrizzati e riorganizzati in qualcosa di
gestibile, fece per mettersi in piedi, fermandosi però
quando qualcosa colse la sua attenzione.
Posò le cartelle da una parte, spostandole un
po’, sollevò quasi metà della
piccola pila di documenti che aveva lasciato sul tavolo per raggiungere
quella che aveva scoperto essere una foto, che sembrava
essere appena scivolata dalla rispettiva cartella. Per questo poteva
solamente vedere i capelli del richiedente, il loro colore, da solo,
bastava a cogliere la curiosità di Law.
La copertina della cartella aveva lo sticker rosso che la sua
segretaria aveva applicato sule istanze dei richiedenti classificati
come ‘sguardo basso’. Coloro che a causa delle loro
qualità, o di qualche fattore
‘indesiderabile’, non avevano potuto avere una
reale possibilità di ottenere una borsa di studio nelle loro
scuole.
I suoi occhi si mossero a leggere il nome scritto nella tabella, e
sorrise appena, divertito da quello che lesse. La curiosità
adesso era raddoppiata, questa volta chiedendosi che tipo di genitori
potesse dare un nome del genere al proprio bambino; aprì
l’istanza.
Non era sicuro di cosa si aspettasse di trovare, magari uno speranzoso
ragazzo che aveva attraversato una fase di ribellione e non aveva avuto
il buon senso di nascondere le prove dei loro errori*, per evitare di
essere immediatamente scartato dalle più grandi scuole
d’élite, ma di certo non si aspettava
ciò che incontrarono i suoi occhi.
Quando pioveva forte, molti, se ne avevano la possibilità
preferivano starsene dentro. Magari raggomitolati in una coperta a
guardare la TV con i propri cari. Quelli che credevano di
essere carini avrebbero speso un simpatico pensiero per coloro che
erano intrappolati fuori in quelle miserevoli condizioni.
L’idilliaco pensiero, gli fece venir voglia di tirare un
pugno a qualcuno.
'Vorrei vedere uno di questi camminare in questa strada proprio adesso'
Kid scosse la testa per liberarsi delle ciocce che gli
cadevano negli occhi, apparentemente solo per farlo arrabbiare.
Fottuta pioggia.
Fottute linee degli autobus e i ricchi stronzi che le hanno decise.
Fottuti ricchi stronzi che pensano di poter decidere chi può
andare dove.
Kid sospirò. 'Fottuti dirigenti universitari.'
Anche se per quanto gli piacerebbe maledire chiunque per i suoi
problemi, non avrebbe potuto dare agli altri la colpa per i suoi
errori. Un vero uomo non incolpa gli altri per i propri
fottuti sbagli. Era una sua dannata colpa se non aveva potuto entrare
in quella scuola, nonostante gli insegnanti di merda e
l’altrettanto schifoso ambiente. La sua mancanza di sforzo
per dimostrare qualcosa di simile ad un cervello nel dipartimento
dell’accademia era ciò che stava causando i suoi
dannati problemi.
Magari se avesse tenuto duro. Pagato per delle attenzioni in
più...
Ma fanculo a quella merda. Era lì adesso. E proprio in quel
momento era l’unico pensiero in grado di salvare il risultato
del suo esame ed ogni speranza di un futuro che non gli costasse la
rottura della schiena o la strada, rompendo teste per il territorio e i
soldi, rompendosi il suo stesso culo alla fine.
L’ultimo esame era stato quello stesso giorno e sperava che
l’emicrania e le nottate in cui Killer lo aveva aiutato
sarebbero valse a qualcosa. Se così non fosse stato, alla
fine lui ci aveva provato e non avrebbe avuto nessuno da incolpare se
non sé stesso.
Questo non significava che non potesse lamentarsene.
E se significava tenere il suo temperamento sotto controllo, non era
sufficiente per ottenere verbali dalla polizia per proprietà
nuovamente danneggiate, ma Killer non aveva tempo libero dal suo lavoro
per andare a prenderlo e contrattare coi droni militari travestiti da
poliziotti. Per questo continuava a mandare mentalmente a
‘fanculo’, meditando di degradare e smembrare ogni
singola persona e oggetto che gli venisse in mente.
Con questo pensiero nella mente continuava a maledire tutto e tutti,
ciò che continuava ad infastidire i suoi nervi
già tesi.
Dopo quelli che sembravano anni, ma in realtà era solo
qualche ora, vide la sua strada e sentì la pioggia
cominciare a smettere.
'Figurarsi se non smetteva quando sono finalmente arrivato a
casa.' Kid borbotto a sé stesso. Sarebbe stato
troppo fottutamente conveniente fermarsi prima, obbligandolo a
camminare per due miglia sotto la torrenziale pioggia e facendolo
sentire come un gatto annegato.
Si era decisamente pentito di aver rifiutato l’offerta di
Killer di riaccompagnarlo a casa.
Ma sapeva che Killer aveva probabilmente messo da parte il suo lavoro
per aiutarlo così tanto la scorsa settimana e non voleva
farlo finire nella merda col suo capo. Specialmente dopo che Killer gli
aveva concesso le migliori tre ore del suo giorno, e dopo che lo aveva
aspettato per due ore che finesse il suo esame per parlare di
applicazioni, prestiti agli studenti e piani di pagamento per quando le
lettere di accettazione avrebbero iniziato ad arrivare.
Solo che loro non ne avevano.
Kid aveva evitato di dire a Killer che sperava che alla fine qualcuna
sarebbe arrivata presto. Le uniche lettere che aveva avuto erano tutte
formali ed educatamente scritte, ma in sintesi gli dicevano 'va a farti
fottere'.
Sospirò, portandosi indietro i capelli che gli cadevano sul
viso per l’ennesima volta nelle ultime ore, completamente
assorto. Non sapeva perché era addirittura seccato,
facendoseli scivolare indietro, a destra del viso.
La freschezza della pioggia lo aveva aiutato a contenere la sua rabbia,
evitandogli di farla esplodere sull’oggetto più
vicino, frustrato.
Alla fine aveva messo a fuoco l’ambiente circostante,
irritandosi per la sua negligenza, aveva abbassato la guardia e non era
la cosa più dannatamente intelligente che potesse fare in
quella zona, si fermò a prendere la posta.
Si inginocchiò, accigliandosi per il freddo che filtrava nei
suoi jeans attraverso il calcestruzzo. Tirò fuori la catena
a cui erano attaccate le chiavi, incastrandone una nella serratura
arrugginita, lottando e scuotendo la porta blu sbiadita per farla
aprire per vedere cosa era stato consegnato quel giorno.
Aprire il dannato sportello di metallo era una spina nel culo, ma era
meglio di prima, quando il coperchio era talmente arrugginito che il
piede di porco faceva più danno che altro. La salvaguardia
del postino per il prezzo della chiave ha risolto molti problemi.
Raccolse la manciata di lettere in un piccolo pacchetto, premurandosi
di tenerle lontane dal suo corpo bagnato, sbatté la porta,
chiudendola. La calciò per essere sicuro di averla chiusa
bene, attorcigliò la catena intorno alle chiavi prima di
rimettersele in tasca.
Guardando il pacchetto per capire chi fosse il mittente,
iniziò a mettere in ordine le lettere camminando sul cemento
bagnato del marciapiede intorno all’apparentemente disabitato
edificio, a pochi passi dalla casella postale.
Diede una spallata alla porta e fece una smorfia per il forte stridio
che produsse. Prese mentalmente nota di tornare più tardi
per oleare di nuovo le cerniere.
Guardò intorno a sé il fatiscente appartamento
mal pulito, notando, dal silenzio, che non c’era nessuno. La
calma lo faceva sentire leggermente inquieto. Di solito era abituato ad
avere qualcuno intorno quando rientrava. Solitamente in una situazione
come quella, c’era sempre qualcuno come Wire a dargli il
benvenuto con una tazza di caffè fumante. O nel caso di
Heat, qualcuno che silenziosamente si agitava per il suo stato
annacquato. Sebbene probabilmente sarebbe stato afferrato da un paio di
fratelli troppo entusiasti. Metà delle volte finivano con
lui che prendeva pugni diretti al suo culo, dai quali poi partiva il
disco rotto di orripilanti scuse, discutendo su quale dei fratelli
fosse il colpevole, e assecondando l’adorazione rivolta nei
suoi confronti.
Pensandoci bene, la tranquillità poteva essere bella ogni
tanto.
Sbuffando, Kid si diresse verso la scala, saltando il secondo scalino
quasi istintivamente, avviandosi alle camere. C’era un
ascensore ma il rosso non ne vedeva l’utilità
quando doveva salire solo una rampa di scale.
Sfogliò nuovamente le lettere per essere sicuro che fossero
nell’ordine giusto prima di raggiungere il pianerottolo. Kid
alzò lo sguardo verso la sala vuota delineate dalle porte,
piccolo tavolini sistemati vicino l’entrata delle camera
occupate, le porte che erano state dipinte in colori diversi, e
decorate nel caso dei gemelli.
Percorse il corridoio, lasciando le lettere sulle corrispondenti
scrivanie. Il pacchetto era per i gemelli, e Kid poteva solo sperare
che, questa volta, non contenesse fuochi d’artificio.
Dopo aver consegnato la posta, si fermò a guardare
l’unica lettera rimasta, indirizzata a lui. Il rosso si
accigliò osservando la carta certamente costosa che
riportava l’indirizzo del mittente. Un’altra
lettera dell’università e, senza dubbio, un altro
rifiuto.
Con uno sbuffo di irritazione, si decise a leggere il contenuto
indubbiamente negativo della lettera dopo la doccia.
Camminò verso la sua porta, senza preoccuparsi di usare la
chiave, spingendo la porta per aprirla, non preoccupandosi quando si
bloccò appena. Prese nota che il colore rosso si fosse
leggermente sbiadito, promettendosi di farci un altro strato di vernice.
'Solo un’altra cosa da aggiungere alla dannata lista.'
Pensò stancamente.
Chiuse la porta dietro di sé col piede e camminò
verso la sua camera da letto. Fermandosi solo per gettare
l’inutile pezzo di carta sul tavolo del cucinino, stabilendo
di farsi una doccia nella speranza che il bagno caldo lo rilassasse un
po’.
Tutti gli studi e gli esami che aveva fatto lo avevano lasciato teso e
stanco.
'Ma alla fine, per il momento avrò una pausa.'
Con un sospiro, si tolse la giacca e la lasciò cadere a
terra, l’avrebbe raccolta e messa a posto il giorno seguente.
I suoi stivali vennero dopo, sfilandoseli dalla punta e lanciandoli in
direzioni opposte con profonda e grande soddisfazione, ascoltando il
suono che emisero da ovunque lui li avesse lanciati.
Si fermò per togliersi la sua t-shirt a tinta unita,
sfilandosela dalla testa e slacciando la sua cintura prima di spingersi
i jeans in basso, fino alle caviglie, gettando la maglietta e calciando
i pantaloni lontano da sé. Non aveva avuto il tempo di
prendere un paio di boxer la mattina, quindi era finalmente privo di
vestiti.
Camminò verso il bagno e accese le luci.
Aprì il box doccia e lasciò scorrere
l’acqua calda a piena forza prima di aggiustare il grado di
calore con un po’ di acqua fredda per renderla sopportabile.
Verificò la temperatura ed entrò,
chiudendo la porta dietro di sé.
Sospirò, appoggiando la fronte contro le piastrelle,
lasciando che l’acqua calda lo lavasse. Per qualche secondo
la sentì lavorare per liberarlo del gelo che gli aveva
lasciato addosso la pioggia.
Improvvisamente ringhiò irritato, desiderando di tirare un
pugno a qualcosa, ma non avendo la voglia di aggiungere
“sistemare il muro della doccia” alla lista
infinita di merda da fare.
Nonostante il conforto fisico offerto dall’acqua calda, che
lui stava ringraziando per avergli allentato un bel po’ i
muscoli, le sedie all’esame erano uno schifo, molto
più adatte per un interrogatorio. Dannazione, era stato
così a disagio, incapace di sedersi in una posizione per
più di qualche secondo senza il rischio che le sue gambe e
il suo culo si addormentassero.
I suoi pensieri alla deriva tornarono alla lettera che lo aspettava sul
tavolo, ringhiò.
'Grandi ed enormi stronzi. Sono sorpreso, non mi hanno dato nemmeno un
giorno prima di inviarmi la lettera di rifiuto.'
Non c’era nient’altro che potesse fare.
L’indirizzo di partenza era chiaramente quello della scuola
da cui arrivava, e Kid sapeva che le sue possibilità di
entrare in un’università di prestigio per ricchi e
brillanti studenti come quella erano meno di zero. Killer aveva detto
di inviare comunque la domanda da qualsiasi parte, Kid doveva aprirsi
tutte le opzioni, anche quelle che sembravano impossibili.
Ma Kid capiva le cose abbastanza bene, a dispetto di quanto pensava
Killer. Sapeva che il suo ambiente e i suoi non brillanti risultati
erano più che sufficienti per radiarlo praticamente da
qualsiasi scuola decente.
Questo senza considerare quello stupido incidente.
Quel pensiero fece stringere i pugni a Kid, così forte che
poteva sentire le sue unghie conficcarsi nei palmi.
Ma veloce come era venuta, tutta la sua rabbia sembrò
drenare dal suo corpo, e lui tornò ad appoggiarsi
al muro della doccia. Il viso inclinato verso l’alto e gli
occhi chiusi, sospirò e si fece scorrere le dita fra i
capelli, facendo uno ‘tsz’ quando
incontrò un nodo.
Ricordandosi il motivo per cui era lì, afferrò un
po’ di shampoo ed iniziò a strofinarsi con forza
il cuoio capelluto.
'Perché ci ho provato? Le probabilità sono contro
di me. Non importa in che modo mi rivolgo. Ogni volta penso che sto
facendo progressi, ma improvvisamente un altro posto di blocco mi
spinge indietro. Sono stanco… Magari è il momento
di lasciar perdere. Dovrei avviare un’officina o qualcosa del
genere.'
Smettendo di pensarci, lavò via lo shampoo dai suoi capelli,
i suoi occhi si fermarono sul suo braccio. In particolare, su una
cicatrice.
Era passato circa un anno da quando l’aveva, ma pesava ancora
nella sua mente.
"Quindi, lo faccio perché voglio farlo. Perché
dovrebbe importarmi altrimenti?"
Sogghignò, l’espressione calma ma troppo
provocatoria per essere chiamato sorriso.
Per il momento, avrebbe continuato a provare, almeno fino alla scadenza
imposta; e sapeva che non c’erano altre opzioni. Se solo non
si fosse mostrato completamente...
Sentendosi leggermente meglio con quei pensieri, e dopo una veloce
lavata al suo corpo, chiuse l’acqua. Decide di non asciugarsi
i capelli per il momento, voleva solo mettersi comodo e mangiare
qualcosa.
Spingendo la porta, uscì dal box afferrando
un’asciugamani usandola prima per pulire un po’ di
condensa dallo specchio, e poi per asciugarsi. Vide il suo riflesso e
si accigliò. Non gli importava di attraversare la lenta
routine dell’applicazione dei suoi soliti cosmetici, ma si
sentiva sempre nudo senza loro.
Killer lo aveva messo in guardia riguardo all’indossare uno
dei suoi soliti outfits o make up, e aveva detto che le sue unghie, per
quanto eccentriche, potevano passare come un accettabile accessorio
fashion se non vi si richiamava l’attenzione. Qualsiasi altra
cosa rischiava di attrarre le attenzioni sbagliate. Già i
suoi capelli bastavano a sollevare qualche critica.
Killer non gli aveva chiesto di cambiare, solo di abbassare i toni
abbastanza da non dare ai funzionari della scuola un pretesto. Ma non
era ancora sicuro di sé o si sarebbe offeso un po’
per quest’ultima nota.
Un altro vantaggio della fine degli esami era che poteva nuovamente
sentirsi un po’ più sé stesso. **
Un altro pensiero fu interrotto dal borbottio del suo stomaco.
'Sarà meglio che i ragazzi non abbiano assalito il mio
frigorifero mentre ero via, i loro complimenti sulla mia cucina non li
salveranno questa volta.'
Si mise l’asciugamani intorno al collo e si diresse verso la
cucina, fermandosi solo per prendere dal comò un paio di
morbidi pantaloni della tuta grigi e metterseli addosso.
Fatto questo, aprì il frigorifero con sospetto, poi sorrise
quando vide che non solo i suoi avanzi erano dove li aveva lasciati, ma
i ragazzi avevano apparentemente preso anche una piccolo torta con
'Congratulazioni Capitano!' scritto sopra con lettere di un audace
rosso smerigliato.
"Bastardi." Disse con un sorriso, la parola ingannevolmente
dura piena di affetto e calore.
Sapeva che probabilmente ad un certo punto lo avrebbero trascinato
fuori per festeggiare da qualche parte e questa era la sua doverosa
attenzione. Avrebbe mangiato qualcosa più tardi, dopo aver
preso qualche vero cibo per il suo stomaco.
Frugando oltre il dolce della pasticceria per prendere gli
avanzi conservati dalla sera prima, Kid roteò gli
occhi quando notò che mancava qualche boccone.
Strappò l’involucro di plastica avvolto intorno
alla ciotola, e si accigliò quando gli si attaccò
alla mano. Gli ci vollero dieci secondi buoni per liberarsene, prima di
riuscire finalmente a buttarlo nel cestino. Sballottò il
cibo nel microonde e schiacciò il tasto per riscaldare,
tutto quello che aveva da fare poteva aspettare.
Si appoggiò al bancone ad aspettare, muovendosi solo per
prendere una forchetta da uno dei cassetti.
Tornò a suo posto per sistemare la forchetta sul tavolo, e
il suo sguardò catturò la lettera, accigliandosi.
Quella dannata cosa sembrava prenderlo in giro.
Pensò cupamente di bruciarla e prendersi alla fine qualche
soddisfazione, ma sapeva che avrebbe dovuto almeno leggerla, fosse solo
per la curiosità di conoscere come i fottuti
avessero deciso di scrivere il loro politicamente corretto modo per
dire 'marcisci all’inferno'. Probabilmente con un mucchio di
'grazie' per aver tenuto in conto una così 'umile
istituzione dell’apprendimento', seguito dalle loro 'sincere'
scuse, ma lui non era in grado di frequentare la loro scuola a causa di
una 'mancanza di requisiti distinti' e speravano di vedere nuovamente
la sua domanda una volte che avesse 'raffinato i suoi studi'.
'Come se avessi vinto alla lotteria, diventando un milionario, e dopo
scoprissi di essere il fottuto erede disperso del supremo regno di
ChissàIlCazzoDove, casa delle fottute fate dai capelli rossi
e dalla regale pelle pallida.'
Il suo tentativo di umorismo amaro fu interrotto dal microonde che si
spegneva e lo avvisava di andarsi a prendere il suo dannato cibo.
Prendendolo, si sedette su una delle sue sedie. Kid strofinò
il pollice su uno a caso dei solchi sul tavolo, ingoiando un boccone di
pollo all’aglio.
Quando metà del suo piatto divenne vuota, il suo sguardo
tornò a fissarsi sull’innocente lettera. Se fosse
stato assennato, sarebbe stato più che probabile temere per
la sua esistenza in quanto giovane dai capelli rossi. Inutile parlare
di come stesse tenendo la sua forchetta, nemmeno fosse un pugnale.
Con un sospiro, Kid prese un altro boccone prima di lasciar cadere la
sua forchetta nel piatto con clangore, e raggiungere la lettera.
Non si prese nessuna cura nello strapparle il sopra e prenderne il
contenuto. Non poteva onestamente capire perché le persone
spendessero così tanti soldi in bei fogli di carta che
sarebbero stati gettati via una volta portato a termine il loro scopo.
Kid scosse la testa per liberarla dai pensieri inutili, cosa volessero
farci i ricchi coi loro soldi non era un suo problema, e restando a
lungo in quel modo non avrebbe concluso un cazzo.
Mentalmente preparato come credeva di essere, Kid sfoderò la
lettera, liscia all’esterno, ed iniziò a scorrere
le parole.
Si fermò, e lo fece di nuovo, questa volta lentamente.
Si soffocò con la sua stessa saliva.
Una volta placato il suo attacco di tosse, Kid scatto in piedi dalla
sedia, stringendo la lettera in una morsa mortale e correndo alla
ricerca del suo cellulare.
"Cazzo, cazzo, CAZZO! Dov’è?!"
Inciampando in uno dei suoi maledetti stivali, quasi perdendo
l’occhio sulla maniglia, e mancando di poco alcuni resti
metallici che da tempo non aveva volute mettere a posto, Kid
arrivò alla sua giacca e tirò fuori il suo
telefono.
Il cuore in gola e il fiato corto, compose un numero che aveva
memorizzato anni prima.
"Killer?! Sì, sono io. No, sto bene, ascolta, sta zitto per
un secondo. No! Solo STA ZITTO! Non ci crederai fottutamente mai!"
Fissò nuovamente la lettera, sentendosi la testa un
po’ leggera.
Le porte automatiche della sede principale si aprì di fronte
a lui, e Kid camminò con calma, o almeno così
sperava, nel grande atrio del palazzo.
Attese di fronte alla scrivania per qualche istante finché
lei lo riconobbe. Quando lei nemmeno rialzò gli occhi, lui
parlò.
"Mi scusi, Signora? Sto cercando 'Trafalgar Law' "
Lei sollevò lo sguardo con un sorriso stampato in volto,
solo per congelarlo quando lo guardò.
"Cosa?" Il tono era piatto e il sorriso sembrava forzato.
Voleva agguantarla e chiederle se fosse sorda o, semplicemente,
fottutamente stupida. Ma prima di farlo, si ricordò cosa gli
aveva detto Killer.
'Sii educato, non fare scenate, non bestemmiare e non essere grezzo, e,
ti prego, tieni sotto controllo i tuoi istinti.'
"Sono qui per vedere Trafalgar Law. Ho un appuntamento."
Lei serrò le labbra come se avesse assaggiato uno schifo, e
disse:
"Ho bisogno di verificare."
Era stata una buona mossa portarsi dietro la lettera nel caso
succedesse una cosa del genere. Non ne era felice, ma non poteva dire
che non se lo aspettava.
Gliela consegnò per fargliela ispezionare, sentendo un tic
all’occhio quando lei sollevò la lettera verso la
luce.
"Eustass Kid?" Davvero non gli piaceva il disgusto con cui lei aveva
pronunciato il suo nome
"Sì, sono io." 'Calma, calma.'
"Posso vedere un tuo documento?"
'Presuntuosa fottuta troia.'
Kid estrasse il portafoglio dalla tasca, la catena tintinnò
quando lui lo aprì, tirando fuori la sua carta
d’identità. Fermandosi a malapena dal
lanciargliela.
Il modo in cui lei la prese, solo con la punta delle dita, come per
evitare di toccarlo era completamente ridicolo. Sentì
l’improvviso bisogno di allungare la mano e correre verso la
sua tastiera e la sua penna per metterci le mani sopra. La puttana
probabilmente avrebbe avuto un attacco.
La sua attenzione tornò a lei quando la sua carta gli fu
rimessa davanti.
"Il dottor Trafalgar è fuori al momento, ma
ritornerà presto. Puoi aspettare laggiù."
Un’unghia curata gli indicò alcune sedie raffinate
vicine alla scrivania.
Arraffò la sua carta d’identità e la
rimise nel suo portafogli prima di andarsene.
"Grazie." Aggiunse mentalmente 'Troia.'
Camminò verso le sedie prendendo quella con la miglior
visuale sulla stanza.
Adesso, senza niente da fare, prese ad osservare i dettagli
dell’ambiente. Anche se, in realtà, non ci fosse
molto da guardare, era un qualsiasi posto d’affari
d’alta classe. Un mazzo di fiori finti, luci troppo
brillanti, odore di plastica, e le sedie erano più per
l’apparenza che per la comodità, come poteva
personalmente verificare.
Già annoiato dal guardarsi intorno, Kid spostò le
sue attenzioni ai suoi piedi. Erano i suoi stivali migliori, senza
buchi, quasi nessuna ammaccatura, e brillavano per il lucido che gli
aveva dato. La ragione per cui non le indossava più era
semplicemente perché il dorso gli scavava le calcagna.
Accarezzò il tessuto bianco della camicia che gli aveva
prestato Killer. Non aveva gradito le motivazioni di Killer di doverla
portare, ma aveva accettato quando gliel’aveva messa fra le
braccia nel momento in cui Kid aveva aperto la porta per farlo entrare.
Dopo che ne aveva una che più o meno rispecchiava i suoi
gusti, ma poteva accettare di metterla vista l’occasione,
così si era cambiato.
I jeans neri erano stata una scelta più facile.
Si mosse nervosamente sulla sedia - guardando il suo orologio e
combattendo la voglia di passarsi le mani fra i capelli per pettinarli
- e pensò di chiamare Killer.
E se avesse frainteso? Se tutto quello era solo un malinteso e avessero
messo il nome sbagliato sulla lettera? Sarebbe stato imbarazzante, per
non dire umiliante. Avrebbe potuto dare un pugno o uno sputo, senza
alcun problema, in faccia a qualche delinquente omicida e non
fregarsene, ma non riusciva a stare in situazioni imbarazzanti.
'Magari dovrei andarmene prima che lui arrivi...'
Fu improvvisamente strappato ai suoi pensieri, tutto concentrato a
fissarsi i piedi, quando entrò nella sua zona un altro paio
di scarpe vicino alle sue.
Alzò lo sguardo e si congelò.
"Buongiorno, Eustass-ya. È un piacere incontrati finalmente."
Continua....
* l’autrice non specifica di quali prove si tratti, ma lascia
intendere che non siano cose positive per il cv di un candidato.
** anche qui non è specificato, ma si comprende con la
lettura del resto del capitolo. Si riferisce, infatti, al modo in cui
Killer gli aveva chiesto di comportarsi, rendendolo più
“calmo” rispetto a quello che realmente
è.
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