NOTA BENE
Questo testo mi è stato “commissionato”: mi è stato dato un
titolo su cui ho dovuto costruire una storia. Ringrazio Adrian Fartade per questo.
Ormai ho il vizio di scrivere con della musica di sottofondo
perciò, a chiunque stia leggendo, mi sono “aiutata” con il concerto n.1 per
violino di Philip Glass: https://www.youtube.com/watch?v=Owf8tk1MdPM
L’uomo che aveva troppo da fare e
le sue tre virtù
Un passo.
Fili di luce si
insinuavano nella tranquillità della camera, svelando luccicanti granelli di
polvere, celati nell’ombra soffusa. Impazziti danzavano e, se qualcuno li
avesse osservati, con grande fantasia avrebbe potuto pensare che i raggi
splendenti avessero donato loro la vita. Ma nella stanza non vi era nessuno ad
ammirarli, se non un uomo adagiato sul letto, con gli occhi chiusi e la testa
colma di mutevoli pensieri. Non dormiva, né era del tutto sveglio, e le parole
si rincorrevano nella sua mente, sfuggevoli e inconsistenti come la polvere
della camera. L’uomo aveva la nebulosa consapevolezza che di lì a poco la
sveglia sarebbe suonata, ma l’importanza di questo fatto per lui era pari a
quella che il Sole dà alla Terra quando splende su di essa.
La sveglia infine
suonò, dissolvendo con i suoi acuti i fumosi pensieri del dormiveglia. L’uomo
aprì gli occhi lucidi, le labbra appena incurvate in un sorriso di
soddisfazione. Si alzò, inspirando profondamente, e accese il telefono.
Dopodiché fu assorbito nella quotidianità delle sue azioni: si fece la doccia,
sistemò accuratamente le cose che aveva lasciato in disordine la sera prima,
cominciò a vestirsi. Scelse gli abiti con particolare attenzione; pensò che,
dopotutto, era davvero un giorno importante. Trascurò invece completamente il
telefono il quale, da quando era stato acceso, aveva cominciato a vibrare
pressoché ininterrottamente. L’uomo aveva deciso di non badarci, ma solo per la
singolarità di quel giorno. Normalmente avrebbe impugnato con decisione il
cellulare e avrebbe fatto colazione borbottando istruzioni e infuriandosi
silenziosamente con metà dei suoi collaboratori. Fin da quando aveva memoria,
aveva sempre trovato che la maggior parte della gente non avesse sufficiente
organizzazione mentale per lavorare su qualsiasi cosa. Questa consapevolezza
perlopiù lo spazientiva, ma aveva imparato a conviverci.
Quel giorno,
invece, nulla l’aveva messo in agitazione, nulla aveva turbato la sua mente. La
gioia per l’evento che si sarebbe svolto di lì a poco riempiva l’uomo di una
tranquillità quasi angosciante: era rassicurato, ma anche fremente, come quando
si aspetta un amico mancato da tanto tempo. Afferrò infine la giacca e il
cellulare, il quale continuava ad agitarsi vivacemente, e si diresse alla
stazione dei treni, poco distante da casa sua.
Era una giornata
meravigliosa. Ogni colore rifulgeva, come innamorato della propria bellezza, brillante
nell’aria fredda del mattino. Alberi con bianchi fiori costeggiavano la strada,
ergendosi fieri dopo l’inverno nel quale erano appassiti. L’uomo percepì un
indistinto profumo di fiori e rimase così estasiato dalla perfezione di quel
momento che lo catturò in un’immagine mentale che avrebbe tenuto per sempre con
sé.
Qualche persona
faceva capolino tra i binari, ma non vi badò. Un pensiero fugace gli passò per
la testa, ma lo scacciò bruscamente. La gente era l’ultima cosa che lo
preoccupava, in quel giorno. Si soffermò ad osservare ancora per qualche attimo
le fronde fiorite degli alberi, udendo in sottofondo qualche ovattato annuncio
all’altoparlante, che non ascoltò. Si accorse a stento che il treno era
arrivato sferragliando: era davvero una giornata bellissima. Si sedette in una
spoglia carrozza, lo sguardo fisso al di là del finestrino, tra i prati splendenti
e piccole casette. Riflettendo, gli sembrava che ogni cosa su cui posasse lo
sguardo fosse traboccante di luce, pulsante di vita nascosta. Sorrise e il
cuore cominciò a battergli più forte: era arrivato.
Scese
velocemente e, senza nemmeno aspettare che il treno fosse ripartito, cominciò a
camminare rasentando i binari, verso una stradina in mezzo ai campi. L’aria cominciava
a farsi più frizzante ed egli la respirò avidamente. Non ci volle molto.
Qualche stretta curva e il sentiero si aprì nel vuoto. L’uomo ascoltò il
familiare rombo lontano dell’acqua. Dinanzi a lui, un enorme ponte faceva
proseguire i binari attraverso il burrone, sotto cui scorreva un lungo fiume.
Eccolo, il suo
paradiso.
Proseguì in
mezzo ai binari, riempiendo i polmoni di quella brezza pungente, che gli
scompigliava la giacca e lo faceva sentire vivo. Il cellulare aveva smesso di
vibrare, ormai troppo lontano da qualsiasi campo elettromagnetico, se non
quello della Terra stessa. Giunto in mezzo al ponte, si fermò, rimirando il
sole appena sorto illuminare d’oro le acque del fiume. L’immagine gli tolse il
fiato.
Eccolo, dunque,
ad osservare la meraviglia della natura. Contemplò l’astro e, per l’ennesima
volta, si accorse che tutto quello splendore non aveva alcun significato.
Quanti anni aveva sprecato prima di capire. Ma infine
era stato
abbastanza sensibile da vedere la bellezza e lo sconforto della vita,
abbastanza intelligente da trovare l’unica soluzione, abbastanza coraggioso da
decidere di attuarla.
Poggiò il
telefono sulla ringhiera e si innalzò oltre le barriere.
Un passo.