Goodbye
My Lover
La
casa era silenziosa, la pioggia era l'unica sua compagnia, insieme
alla radio accesa nel salotto, dove lei osservava una New York
movimentata e rumorosa come al solito. Il suo rituale serale era
quello, la sua fronte contro il vetro e il suono di quella voce che
per anni l'aveva accarezzati in modi in cui nessuno era riuscito.
Fissò
le macchine sfrecciare nella strada, alzando acqua e inzuppando le
persone ferme alle fermate dell'autobus, troppo sfortunate per
trovare un taxi e tornare a casa. Chiuse gli occhi e si
portò una
mano al petto, sentendo quella voce scuoterle l'animo, mentre ricordi
indelebili le tornavano alla mente.
«Oggi
mi sento nostalgica.» iniziò la donna dall'altro
capo
dell'apparecchio. «E voglio dedicare lo spazio che mi
è stato
accordato per cantare una canzone, ad una persona che nella mia vita
ha decisamente fatto la differenza.»
Le
mancò il respiro a quelle parole e senza riuscire a
controllarsi, si
voltò verso la radio, che la fissava come a volerla
sbeffeggiare.
«Devo
ringraziarla, perché senza di lei non sarei diventata la
donna che
sono ora.» continuò. «Non so se mi sta
ascoltando, probabilmente
no, ma voglio dedicargliela comunque.»
I
suoi piedi si mossero senza riuscire a fermarli, raggiunse la radio e
un nodo le si formò in gola al suono delle prime note.
«Did
I disappoint you or let you down? Should I be feeling guilty or let
the judges frown?
'Cause I saw the end before we'd begun,
Yes I
saw you were blinded and I knew I had won.»
Le
lacrime cominciarono a scorrerle lungo le guance senza che riuscisse
a fermarle, perché quella canzone era il colpo di grazia
dopo mesi
di disperazione.
«So I took what's mine by
eternal right.
Took your soul out into the night. It may be over but it won't stop
there, I am here for you if you'd only care.»
Non
riuscì a trattenere un grande singhiozzo, mentre si lasciava
cadere
seduta sul pavimento, la schiena contro il muro.
«You
touched my heart you touched my soul. You changed my life and all my
goals.
And love is blind and that I knew when, My
heart was
blinded by you.»
*
«Dio mi perdoni!» la
voce
della donna bionda penetrò nella foschia della sua mente.
«Sono
così maldestra, mi permetta di pagarle la
lavanderia!»
«N-non
è niente.» rispose guardando il suo cappotto
marrone
irrimediabilmente macchiato di caffè.
«La
prego, io mi sento dannatamente in colpa! Ero sovrappensiero, mi
permetta.» senza aggiungere una sola parola, si
avvicinò per
sfilarle il cappotto.
«I've kissed your lips and held
your head. Shared your dreams and shared your bed. I know you well, I
know your smell. I've been addicted to you.»
*
I
loro baci divennero sempre più infuocati, mani che si
cercavano,
labbra che si rincorrevano, cosce che strusciavano fra di loro. Il
muro di casa dietro la sua schiena non era mai stato invitante come
in quel momento e se quel giorno di novembre non avesse permesso ad
una perfetta sconosciuta di toglierle il cappotto in mezzo alla
strada, probabilmente non si sarebbe ritrovata in una situazione
così
eccitante.
«Dio
il tuo odore mi fa impazzire.» le sussurrò
nell'orecchio, mentre
con le sue mani le afferrava le cosce per tirarla su.
Sorrise
sulle sue labbra e le legò le gambe intorno alla vita,
indicandole
con un cenno del capo la camera da letto.
«Goodbye
my lover. Goodbye my friend. You have been the one. You have been the
one for me.»
«Perché
sono così stupida?» si chiese fra le lacrime,
mentre i ricordi del
suo più grande e forse unico amore le bombardavano la mente,
lasciandola vuota e senza alcuna speranza.
«I am a
dreamer but when I wake, You can't break my spirit - it's my dreams
you take.»
Le mancava terribilmente e ancora
adesso, rimpiangeva la scelta che aveva fatto, la scelta che era
stata costretta a fare, forse per paura o semplicemente per codardia.
«And
as you move on, remember me, Remember us and all we used to
be.»
Si
ricordava anche fin troppo bene come erano, come era... felice. Con
lei, fra le sue braccia, condividendo piccole cose e costruendo pezzo
per pezzo una relazione che pensava sarebbe durata per sempre.
«I've
seen you cry, I've seen you smile. I've watched you sleeping for a
while.»
*
Fissò
quel viso atteggiato in una piccola smorfia e sorrise notando quando
fosse ancora più bella mentre dormiva. Era innamorata,
innamorata
persa e doveva ringraziare un pomeriggio di novembre, un
caffè
bollente e la sua sbadataggine.
Sospirò
di felicità e appoggiò la testa sul cuscino,
facendosi più vicina
e stringendola fra le braccia, sorridendo quando la vide accollarsi
su di lei.
«Ti
amo.» sussurrò depositandole un dolce bacio sul
capo.
«I'd
be the father of your child. I'd spend a lifetime with you. I know
your fears and you know mine.»
*
«E
se non potessi avere dei bambini?» chiese con un filo di
disperazione nella voce, stringendo fra le mani il piccolo pezzo di
plastica, l'ennesimo test di gravidanza negativo.
«Non
è così amore.» la rassicurò
accarezzandole i capelli. «E se così
fosse, adotteremo una squadra di calcio! L'orfanotrofio ha
così
tanti bambini che hanno bisogno d'amore ed io lo so bene.»
Si
strinse a lei, appoggiando la testa sulla sua spalla, lasciandosi
cullare in quelle braccia forti che erano sempre in grado di
sostenerla in ogni momento.
«Se
vuoi possiamo andare a fare qualche visita,se ti fa sentire
più
sicura, possiamo andare a fare qualche visita, anche se so
perfettamente, anche senza un dannato dottore, che non c'è
niente
che non va in te.»
«Le
parole!» la riproverò schiaffeggiandole la spalla.
«Ma... grazie.»
«And I love you, I swear that's
true. I cannot
live without you. Goodbye my lover. Goodbye my friend. You have been
the one. You have been the one for me.»
*
«Mi
dispiace.» disse fra le lacrime. «I-io non so cosa
fare...» le
confessò con disperazione.
«Avresti potuto
combattere! Per me! Per noi!» gridò piena di
rancore.
«Tu
non la conosci, tu-tu non sai di cosa è capace!»
ribatté scuotendo
la testa. «La mia vita sarebbe un inferno e-»
«E
sei una fottuta codarda.» terminò per lei, il
disgusto che aveva
preso il posto del dolore nella sua voce. «E i nostri
progetti? Il
bambino?» chiuse gli occhi e scosse la testa. «Io
non so più
nemmeno chi sei...»
Non
le rispose, in realtà non aveva idea di cosa dirle, sapeva
che le
parole erano superflue in una situazione come quella. Sua madre non
le avrebbe mai permesso di sposare una donna e avere un figlio con
lei era ancora più impensabile.
Si
fissarono per un tempo interminabile e avrebbe tanto voluto dirle di
rimanere, di stringerla, di fare l'amore con lei, sul divano, come
erano solite farlo dopo che non si vedevano per troppo tempo.
Ma
rimase in silenzio, il fantasma di sua madre che ancora una volta
dominava la sua vita.
«And I still hold your hand in
mine. In mine when I'm asleep. And I will bare my soul in time, When
I'm kneeling at your feet.»
Il
rumore della chiave nella serratura la fece scattare in piedi, mentre
le ultime strofe della canzone si disperdevano nella casa vuota. Si
asciugò prontamente le lacrime con la manica del maglioncino
che
indossava e si diede uno sguardo allo specchio poco lontano, notando
quanto i suoi occhi fossero traditori in quel momento.
L'inconfondibile
rumore dei passi riempì il corridoio, mentre la porta si
chiudeva e
una voce richiamava all'attenzione chi stava producendo quel grande
trambusto. Qualche istante dopo una bambina dai capelli neri fece la
sua apparizione nel salotto, i piedi scalzi e lo zaino ancora
saldamente ancorato alle spalle.
«Mamma!»
disse con un enorme sorriso, lasciando cadere lo zaino sul pavimento
con un rumore sordo. Stava per dirigersi verso di lei quando
sentì
una voce che conosceva bene provenire dalla radio.
«È la signora
dalla voce bella!» commentò raggiungendola
velocemente.
La
prese fra le braccia e la strinse forte, ispirando il suo odore e
cercando in lei la forza di mascherare il tumulto di sensazioni che
non sembravano intenzionate ad abbandonarla.
«Regina
sei in casa?» la voce e, successivamente, la figura di suo
marito
comparve in salotto. «Sei tornata presto.» disse
avvicinandosi per
baciarla dolcemente.
Regina annuì, non molto sicura della
sua voce in quel momento, ma Daniel la guardò negli occhi e
sollevò
un sopracciglio confuso.
«Questa
era Emma Swan che cantava per voi e che ora vi lascia alle notizie
sul traffico in cinque minuti.» disse con voce divertita.
«Poi
torniamo qui per il nostro ospite della giornata.»
Daniel
si voltò verso la radio e sorrise senza ironica.
«È giovedì, ecco
perché sei a casa a quest'ora, mi ero quasi
dimenticato.»
Regina
poté sentire chiaramente un po' di astio nella sua voce, ma
non ci
diede peso, non gli avrebbe permesso di rovinare quel momento. Si
voltò a guardare la bambina e questa le sorrise, sfregando
il naso
contro il suo.
«La donna dalla voce bella si chiama come
me.» disse felice.
«Sì,
Emma, si chiama proprio come te.» rispose Regina dandole un
dolce
bacio sulla guancia.
Si
chiamava come l'amore della sua vita, quell'amore che aveva lasciato
scappare per sempre.
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NoteAutrice:
È
nata in 30 minuti questa mini shot, perché tale va
considerata visto
che sono solo 4 pagine. Ho valutato quale coppia usare e ci ho messo
2 minuti a capire che era adatta per la SwanQueen, spero che vi
piaccia.
Un bacione e alla prossima!
ManuKaikan
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