Bloodstream
DISCLAIMER
Tutti i personaggi sono frutto della mia fantasia, solo il nome
corrisponde a realtà. Questa storia non vuole in nessun modo
offendere i protagonisti.
Stava seduta a quel tavolo ogni venerdì sera, il solito drink, la solita giacca, la solita faccia. Sembrava
che qualcuno l'avesse appena pugnalata alla schiena, aveva gli occhi
che fissavano costantamente le assi del vecchio parquet del Nevo's Bar.
Un locale come tanti, nel vecchio sobborgo nel quale Eva viveva. La
ragione per cui se ne stava seduta tutta sola era che Lara lavorava
lì e lei il venerdì sera andava a farle compagnia, per
non farla sentire sola. Il sabato e la domenica lavorava come
badante e non poteva accontentare l'amica e alleggerirle la pesantezza
che quel locale trasmetteva. Non aspettatevi orde di gente in fila per
un cocktail o per assistere ad un concerto. L'età media si
aggirava sui 65 e ogni sera aspiranti Jazzisti tentavano di conquistare
il pubblico con serenate improvvisate.
«Ti porto qualcos'altro?» le disse Lara, che aveva un tono
di voce sempre al limite tra il materno e il compassionevole che Eva
non riusciva mai a distinguere.
«Credo di aver
bevuto a sufficienza per stasera: i dispiaceri li ricordo a
stento.» le rispose Eva, il cui tono di voce, invece, era
irremovibile dall'essere totalmente rassegnato.
«Le cose
andranno meglio, vedrai.» Mentre Lara tentava di rassicurarla
dalla porta principale entrò l'unica persona che Eva aveva
pregato di non dover mai più incontrare. A Lara venne
spontaneo sussultare e la sua schiena fu percorsa da un brivido che le
arrivò fino alla testa. Si girò fulminea verso Eva che
fissava l'individuo impassibile con gli occhi di chi ne ha avuto a
sufficienza ma evidemente non abbastanza.
«Io.. posso farlo sbattere fuori se vuoi. Davvero.»
«Lara..»
«E' la prima volta che lo vedo girare in zona, te lo avrei detto, lo sai..»
«Lara! Basta. So
cavarmela da sola, ti ringrazio.» l'amica si allontanò
voltandosi un paio di volte per controllare che Eva fosse ancora seduta
al solito tavolo prima di raggiungere il lungo bancone di marmo dove il
ragazzo si era accomodato, appoggiando i gomiti.
Non lo raggiunse subito: lavò qualche bicchiere, anche se erano
perfettamente puliti, sistemò gli alcolici e asciugò dei
piatti perfettamente asciutti.
Trascorsero circa 10 minuti quando lui stanco le fece un fischio.
«Non penso di essere invisibile. Vorrei ordinare.»
«Cosa
vuoi.» Questa volta il tono di voce di Lara fu chiaramente
privo di qualsiasi tipo di dolcezza e sembrò più una minaccia che una domanda.
Era chiaramente nervosa, le mani che stringevano continuamente il grembiule ne erano una prova inconfutabile.
«Wishky e un po' di gentilezza, se possibile.»
Il tono sarcastico era palese e a Lara non fece particolamente piacere,
anche se no lo diede a vedere e resse il gioco dell'uomo
di fronte a lei.
«Perché sei qui? Sai benissimo che non sei gradito.»
«Non mi pare di aver visto nessun cartello che vietasse il mio accesso. Sbaglio?»
«Senti, non tirare la corda. Cosa diavolo ci fai qui dentro?»
«Ho bisogno di parlarle. Ora posso avere il mio wishky?»
«Non avrai un bel niente. Vattene. Le hai procurato abbastanza guai. Anzi, tutti voi glieli avete procurati.»
«Hey bambola, non è colpa mia se si è innamorata della persona sbagliata. Chiaro?»
Lara lanciò letteramente il bicchiera di wishky addosso al
ragazzo che per poco non se lo trovò sulla maglietta. Non era
solita avere questo tipo di comportamento, soprattutto se stava
lavorando e il locale era discretamente pieno. Ma non riuscì a
trattenersi.
«Hai 5 minuti per uscire da qui prima che io chiami la sicurezza.»
«Me li
farò bastare. Tu conta, mi raccomando.» Sul viso del
ragazzo spuntò un ghigno che fece tendere i nervi di Lara ancora
più di quanto non lo fossero già.
Afferrò lo spesso bicchiere di vetro e d'istinto le venne di
alzare il braccio pronta a lanciarlo contro la testa dell'uomo che si
stava ormai allontanando, diretto verso il tavolo di Eva.
Sul piccolo palco allestito era appena salito un uomo sulla quarantina
che indossava un cappello grigio di lanetta e un impermeabile color
cammello macchiato sul fondo che si mise al pianoforte e iniziò
a suonare una musica malinconica e melensa.
«Dio, ci mancava
solo questo.. » disse Eva fra sè e sè, mentre dava
l'ultimo tiro alla Marlboro per spegnere poi il mozzicone nel
portacenere in acciaio al centro del tavolo.
«Pare che al peggio non ci sia mai fine. Non trovi?»
«Haner, forse è il caso di tornare da dove sei venuto.»
Il ragazzo si fermò a qualche passo da lei, con un sigaro spento
in una mano e il cellulare nell'altra. La fissava.
Indiscretamente, violentemente, maleducamente. La squadrava come se
fosse un poster appeso al muro. Forse per non tradire l'agitazione che
ormai aveva preso possesso del suo sistema nervoso o forse per cercare
di farla innervosire ancora di più e farla cedere alla sua
indifferenza.
«Ho solo 5
minuti, quindi cercherò di essere breve. Mi dispiace che le cose
siano andate oltre i limiti previsti ma..»
«Oltre i limiti?
Oltre? Ci sono stati due feriti. Uno ha anche rischiato di mo..»
Eva si guardò intorno e controllò che nessuno li stesse
osservando o stesse ascoltando la loro conversazione, soprattutto Lara,
alla quale aveva omesso diversi particolari.
«Uno ha anche rischiato di morire! E secondo te le cose sono andate solo
oltre i limiti?» Disse tutto d'un fiato e bisbigliando, sperando
che nessuno avesse letto il suo labbiale o avesse sentito le parole che
erano uscite dalla sua bocca.
«Parla con lui, ti prego.»
«E rischiare di essere pestata a sangue anche io solo perché non sa controllare la sua rabbia? No, grazie!»
«Non ti farebbe mai, mai del male. Lo sai questo. Lo conosci.»
Proprio nel momento in cui Eva stava per rispondere, Lara arrivò
tra i due con il buttafuori alle sue spalle che fece segno a Brian di
seguirlo.
«Chiamalo. Ti prego.»
Lara scosse la testa, guardando Hubert che portava fuori il ragazzo che
camminava girandosi continuamente verso la direzione delle due ragazze.
Eva riabbassò la testa non appena lui fu uscito dalla vecchia
porta di legno e vetro. Non riusciva a tenere ferma la gamba, che
trotterellava incontrollata.
Non sapeva cosa fare, se alzare lo sguardo e dire tutto a Lara o se
continuare a fare la parte di chi ha superato egregiamente la cosa.
Nell'indecisione sfilò dalla tasca posteriore dei jeans il cellulare ma la mano dell'amica la fermò.
«Sei impazzita?»
«Non posso lasciarti fare una stronzata del genere. Non lo chiamerai.»
«Lara voglio solo guardare che ore sono!»
Lara, mortificata, le ridiede il cellulare e si sedette al suo fianco,
nella vecchia sedia di legno vuota accanto a quella di Eva.
Si sistemò il grembiule e giocò con i lacci che le
penzolavano sul davanti, segno della sua magrezza. Si sistemò i
capelli, di un nero corvino, e la frangia portata di lato.
«Promettimi che non lo farai. Non voglio vederti soffrire ancora.»
«Non lo farò.»
Mentì. Mentì mentre stringeva la mano della cara amica, perché con l'altra
inviò un messaggio scritto fulmineamente per non essere scoperto
da Lara.
"Sunset Beach. 18:00. Domani."
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A chi ama talmente tanto da accettare il dolore.
A chi ama talmente tanto da odiare.
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