Uno
Questa è
politica o
Grandi tette
Raven si appoggiò al
bancone della cucina, annuendo in silenzio e
masticando l’aria circostante come una pantera che fiuta la
preda e si prepara
ad attaccare senza pietà.
Tamburellò con le unghie
della mano destra contro la fredda e
levigata lastra di granito bianco, osservando con particolare
attenzione il
giovane ragazzo seduto di fronte a lei, intento a leggere il giornale
sul
divano color cachi.
“Allora! Chi sarà
l’affascinante donzella che ti accompagnerà alla
cena con i tuoi probabili – anzi più che certi
– nuovi colleghi di lavoro?”
Bellamy sollevò un
sopracciglio folto, allontanando il quotidiano
dalle ginocchia e scuotendo una spalla con fare spazientito.
“Mh? Pensavo che saresti
venuta tu.”
Lei fece un sorrisetto, ammettendo
che sì, era
alquanto affascinante e sì, loro
due si conoscevano davvero bene –
specialmente da quando un paio di anni prima erano andati a letto
insieme –
ma no, lei non l’avrebbe
accompagnato alla sua vecchia e spocchiosa
cena di archeologi perché aveva appena iniziato a
frequentare qualcuno.
“Cosa?” chiese
Bellamy, attonito, siccome gli unici argomenti di
conversazione di Raven ruotavano, di solito, attorno al lavoro da
consulente
finanziario che aveva ottenuto meno di un anno prima da una grande e
importante
impresa legale alla quale – per quel che ne sapeva lui
– dedicava la maggior
parte del suo tempo libero.
“Chi? E da quando?”
“Calma, Sherlock”
gli rispose, sfoggiando un sorrisetto rilassato.
“Tutto a suo tempo. Chi
sarebbe la tua seconda scelta?”
Bellamy scrollò le spalle,
aggrottando la fronte e agitando i
riccioli neri. “Uh…Miller?”
Raven scoppiò a ridere,
staccandosi dal bancone e diffondendo,
dentro la stanza, un’invisibile scia di profumo dolciastro e
fruttato.
“La prima volta che ho
parlato seriamente con Miller è stata anche
l’ultima. Per Nathan non sei degno di attenzione se non sei
un tifoso dei New
York Giants e a meno che i tuoi futuri collaboratori non si rivelino
essere
anche dei patiti di football…”
“O sta finendo la seconda
specializzazione alla Brown; potrei
chiedere a lei.”
Raven scosse la testa.
“Impossibile, la sessione
d’esami è dietro l’angolo. In
più”
aggiunse, fissandolo con gli occhi color nocciola e mordicchiandosi le
labbra
carnose “penso tu abbia bisogno di una partner che non
sia anche tua
sorella. Mostrerebbe loro che sei una persona affidabile.”
Bellamy acconsentì
lentamente, ingobbendosi sul divano mentre
l’amica, decisamente soddisfatta, si sedeva davanti a lui,
accavallando le
gambe ambrate e atletiche.
“Okay” insistette
la mora. “Che tipo stiamo cercando,
esattamente?”
“Intelligente”
propose lui, sollevando l’indice con l’intenzione
di tenere il conto con le dita della mano.
“Caparbia”
replicò Raven.
Il moro, confuso, si
raddrizzò per squadrarla meglio.
“Mmh?”
Raven ruotò gli occhi di
trecentosessanta gradi, agitando
ripetutamente una gamba incrociata.
“Tu sei un personaggio
carismatico; un leader, per così dire. Hai
bisogno di una persona equilibrata che sappia anche tenerti testa. Una
con la
lingua tagliente e il cuore freddo come il ghiaccio. Preferibilmente
con le
tette grandi.”
“Raven.”
“So come mi
chiamo” rispose la mora, per nulla turbata
dall’occhiataccia torva dell’amico.
“Sei un ragazzo
fastidiosamente seccante ma altrettanto piacevole
– meriti una compagna che sia al tuo stesso
livello.”
Bellamy incassò la prima
parte del discorso e riprese a parlare in
modo imperturbabile, come un avvocato esperto durante
l’arringa finale.
“Perciò, stiamo
cercando qualcuno d’intelligente, caparbio, magari
una stronza ma di bell’aspetto che voglia frequentarmi per
finta e
accompagnarmi a una cena di lavoro che potrebbe solo cambiarmi la vita.
Non
potremmo saltare direttamente alla parte del…è
troppo bello per essere vero?”
Raven ignorò volutamente la
battuta sarcastica e rimase in
silenzio per qualche secondo, strofinandosi la lingua sui denti
scivolosi e
pregustando con calma la sensazione di vittoria imminente.
“Veramente te ne ho
già trovata una.”
Lui la studiò, guardingo.
“Oh?”
“Sua madre è una
dottoressa e suo padre lavorava per una grossa
società simile all’Ark. È appassionata
d’arte, di scienze politiche e legge; è
anche la prima ragazza che vorresti dietro l’angolo se
dovessero spararti a una
gamba. È la più intelligente, altruista e
ostinata ricercatrice che io conosca.
Ha anche delle tette grandiose. E mi
deve un favore!”
“Hai imparato il suo
curriculum a memoria? Perché non me l’hai
presentata prima?” chiese Bellamy, scettico.
Raven guardò altrove,
arricciando le labbra.
“Vi siete già
incontrati.”
“Oh, Dio,
dov’è la fregatura? Perché
c’è sempre una
fregatura, vero?”
Lei si astenne
dall’affermare che ovviamente no,
non
c’era alcuna fregatura e si limitò a
sbuffare spazientita, alzandosi in
piedi.
“Voi due non vi siete
approcciati nel migliore dei modi ma ascoltami Bell”
– lo zittì, notando che il ragazzo stava per
scattare come una molla impazzita
– “lei è quella giusta e ti
farà ottenere il lavoro, maledizione!”
Improvvisamente, calò un
silenzio preoccupante tra loro, nel quale
Bellamy temette di soffocare.
Fissò Raven, incredulo.
“Vuoi che esca con
la Principessa? Cazzo –
con Clark Griffin?”
Raven lo studiò, abbassando
le sopracciglia ed evitando
intenzionalmente di prenderlo a pugni sulle gengive.
“Quanto disperatamente vuoi
questo lavoro?”
“Non lo farà
mai” insistette Bellamy, incrociando le braccia e
aggrottando la fronte…ma Raven aveva
un’espressione così decisa sul
volto.
“Credimi quando ti dico che
mi deve un favore, Bellamy.”
Lui imprecò sottovoce,
rinunciando a discutere con la mora.
“Fammi parlare con
lei” continuò Raven, docilmente. “Tipo
stasera.
Potreste vedervi domani. Sei libero per pranzo?”
“Raven, dovresti sapere che
non sono il genere di persona
che esce a pranzo.”
“Bene”
sbuffò lei, seriamente vicina a un esaurimento nervoso.
“Preferiresti incontrarla
per cena, allora?”
Il ragazzo grugnì.
“Se le cose dovessero
andare così tanto male,
potrai sempre decidere di trascinarti dietro quel caso umano di Miller.
La cena
ti sembra un’opzione tanto spaventosa, adesso?”
Bellamy alzò gli occhi al
cielo.
“Qualunque cosa è
meglio del pranzo.”
…
Il ragazzo era sicuro come non mai che
per nessun motivo al mondo
Clarke Griffin avrebbe accettato di cenare con lui,
figuriamoci di aiutarlo,
ma Raven non l’aveva mai deluso prima e guarda caso, qualche
minuto dopo essere
arrivato al ristorante e aver occupato un tavolo per due, Clarke fece
il suo
ingresso, vestita meno come una soldatessa e più come se
effettivamente
desiderasse trovarsi lì.
Bellamy si alzò
cortesemente e le spostò la sedia, cosa
sorprendente - almeno per Clarke.
“Rilassati,
Principessa” borbottò lui, sedendosi al lato
opposto
del tavolo per paura che potesse prenderlo a pugni – di
nuovo.
“Raven crede che per fingere
di essere fidanzati sia necessario
fare prima un giro di prova.”
“Non ho bisogno delle tue
spiegazioni da quattro soldi.”
Bellamy Blake si morse la lingua
mentre una cameriera con qualche
ciuffo argentato tra i capelli si affrettò a ripulire il
ripiano, versando due
bicchieri d’acqua liscia ed evitando così che la
situazione potesse subito
sfuggirgli di mano.
La cameriera tornò dopo
qualche secondo con un paio di menù che
Clarke sfogliò distrattamente prima di rivolgersi a Bellamy
con tono austero.
“Punto numero uno: non sono
una di quelle ragazze che si sente
lusingata quando l’uomo sceglie loro il cibo al primo
appuntamento. Punto
numero due: non aspettarti di vedermi mangiare una misera insalata
e Punto
numero tre!: ricordati che amo ordinare il dolce alla fine
della cena.”
Bellamy la guardò divertito
dall’altro capo del menù, preparandosi
a una delle sue solite battutacce strafottenti ma prima che potesse
aprire
bocca, con la coda dell’occhio, intercettò un
ragazzo seduto al bar che
sembrava parecchio interessato al loro tavolo.
“L’unica cosa che
desidero per te, Principessa, è un po’ di
veleno.”
“Disse il mio –
cito – fidanzato, il cui lavoro
dipende da me e da questo appuntamento infernale.”
La cameriera dai capelli argentati
ricomparve, strisciando i piedi
sul pavimento cosparso di piastrelle a scacchi bianche e nere ed
entrambi i
ragazzi ordinarono senza esitazione.
Bellamy, a fatica, cercò di
guadagnare tempo, proponendo alla
ragazza di condividere con lui un contorno di verdure o di patate
fritte mentre
Clarke sembrava sorridere più spontaneamente alla cameriera
che al suo finto
partner e non c’era la benché minima speranza che
assieme potessero portare a
termine quella missione altamente suicida.
“Niente alcolici?”
chiese Clarke, non appena la cameriera strisciò
via goffamente, portandosi dietro le ordinazioni al completo.
“Credevo avessi bisogno di
liquori forti per riuscire a sopportare
una serata con la sottoscritta.”
“Mi aspettavo lo stesso da
te. Che fine hanno fatto i tuoi
Spritz?”
“Qualcuno suggeriva del
veleno, prima...”
“Divertente” borbottò
Bellamy, rimpicciolendo gli occhi neri
e sorridendo con arroganza.
“Non credo che tu mi voglia
ubriaco mentre ti riaccompagno a casa
in macchina.”
“Non noto alcuna differenza
tra quando sei sobrio e quando non lo
sei” rispose la bionda, sdegnosamente.
“Adesso, mettiamo in chiaro
il punto numero quattro: sono qui solo
per fare un favore a Raven.”
“Sapevo che in fondo al
cuore eri una buona samaritana” affermò
lui, incapace di smettere di provocarla.
“E comunque,
anch’io.”
La cameriera arrivò con i
piatti – una pasta alle vongole per
Bellamy e una bistecca a cottura media per Clarke, con contorno di
verdure
miste e noci per entrambi.
Quando l’attenzione
tornò finalmente l’una sull’altro,
tuttavia,
Clarke parlò nuovamente, agitando il tovagliolo beige con
decisione.
“Come giustifichiamo la
nostra relazione? Non possiamo certo dire
ai tuoi capi di esserci fidanzati due giorni prima della cena di
lavoro.”
Bellamy sorseggiò
l’acqua fresca, sentendola mischiarsi al sapore
del pesce caldo contro il palato sensibile e rugoso.
“Stavo pensando a una
galleria.”
“Cosa?”
“Io mi trovavo là
per la storia e tu per l’arte” spiegò,
fissandola. “Non ti piace l’arte?”
Lei annuì, distrattamente,
accigliandosi impensierita. “E…e forse
stavi litigando con un assistente. Riguardo alla data di alcuni pezzi
esposti
questo mese – un Oppenheim.”
“Cosa; Robert
Oppenheimer? Sono diventato Morte?”
“No, no. Ehm, la
surrealista Svizzera.”
“Oh, immaginavo.”
“Comunque, tu stavi
discutendo riguardo all’Oppenh – ”
“ – E tu ti sei
intromessa, dandomi ragione?” le suggerì Bellamy.
Di nuovo, Clarke annuì,
assottigliando le sopracciglia bionde.
“Sì, credo di
sì. E dopo abbiamo iniziato a parlare, delle nostre
vite, della galleria e…”
“E forse mi avevi chiesto se
avevo notato quel locale sulla
47esima, con le ricostruzioni di antiche statue romane?”
La facciata cadde per un momento e gli
occhi di Clarke
s’illuminarono.
“Oh mio Dio, sei andato
davvero?”
Bellamy trattenne un sorrisetto
soddisfatto perché effettivamente
le aveva scoperte il giorno prima, sotto stretto consiglio di Raven.
“Ah ah – e dopo ti
avevo suggerito che, anche se come regola ferrea
non esco mai a pranzo, sarei stato felice
di portarti là, una volta
libera da impegni.”
Clarke fece una smorfia divertita.
“Ho detto di sì
ed è stato un vero, romantico appuntamento?”
“Tu ed io?
L’appuntamento è stato un fiasco totale; ci siamo
tirati dietro un paio di bicchieri di vetro e abbiamo fatto piangere
uno
psicologo. Fine della conoscenza.”
Per poco la ragazza non
scoppiò a ridere ma Bellamy la vide mentre
cercava di contenersi.
“Come alla festa di
Capodanno a casa di Raven?”
“Esatto”
rispose lui “e non abbiamo più parlato fino a tre
settimane fa, quando stavo in giro con Raven e ho scoperto per caso che
la sua
fastidiosa amica del college altri non era che la cocciuta bionda con
cui ero
uscito e che per poco non mi aveva ammazzato.”
Clarke sorrise, prepotentemente
sdolcinata.
“Hai pensato che fosse un
segno del destino e mi hai supplicato di
darti un'altra chance.”
“Principessa, io
non supplico.”
“Beh, l’hai fatto,
quella volta. Come un bambino piccolo.”
Dato che lui non rispondeva, la
ragazza si piegò più vicina,
infilandosi in bocca l’ultimo pezzettino di bistecca,
sorridendo beata.
“Non ti aiuterò,
se non mi supplichi.”
Bellamy alzò gli occhi al
cielo.
“Bene. Hai detto
sì, abbiamo cenato e il resto è storia. Letteralmente.
Perché ho bisogno di questo lavoro.”
Il sorriso sul volto di Clarke
sembrò più genuino.
“E quanto tempo fa
è successo, il fattaccio?”
Bellamy sollevò le spalle.
“Cinque mesi?”
“Sicuro.”
Quando finirono di cenare, il moro
costatò che il curiosone del
bar li stava ancora fissando.
Si pulì la bocca e
tornò a indossare la solita maschera prepotente
e sarcastica prima di farlo notare alla compagnia di fronte.
“Vedi laggiù, al
bar? Non ha mai smesso di guardarti per tutta la
sera – presumo” confermò, con un cenno
del capo.
“Non lo biasimo;
anch’io farei lo stesso se non fossi il tuo finto
fidanzato. Dev’essere a causa dell’enorme
bastone che tieni infilato su
per il culo o per l’aura da portatrice di morte che ti
aleggia intorno.”
Clarke tornò a squadrare il
tovagliolo accuratamente ripiegato
davanti a se, senza lasciar trasparire alcuna emozione. Sembrava una
sfinge
intoccabile e impossibile da scalfire, con la faccia di pietra e gli
occhi di vetro.
“Comico, Bellamy. Forse
dovresti baciarmi.”
Il moro, per poco, non
sputò il resto del suo drink sulla
tovaglia.
“Principessa.”
“Beh, se tu
fossi stato davvero il
mio
ragazzo, mi avresti dato ragione?”
Bellamy valutò attentamente
la domanda.
“Avrei atteso fiducioso il
momento in cui te lo saresti preso,
quel bacio.”
Diede un’occhiata al suo
piatto vuoto e poi a quello di Clarke.
“Allora, che dessert
vorresti ordinare? La red velvet cheesecake
potrebbe sicuramente soddisfare la tua sete di sangue.”
Lei esaminò il
menù che la cameriera aveva lasciato cadere sul
tavolo.
“Mi è passata la
fame; vorrei solo uscire di qui.”
Dopo aver pagato – cosa per
cui Bellamy aveva insistito, pur
sapendo che potenzialmente avrebbe dovuto a Clark molto di
più se la cena con
l’Ark sarebbe andata a gonfie vele – i due
s’incamminarono nella notte.
O, più precisamente, lungo
il pezzo di strada che separava il
ristorante dalla macchina parcheggiata del moro.
“Vuoi andare da qualche
parte?” chiese a Clarke che, nel
frattempo, aveva tirato fuori dalla borsa uno scialle elegante e si era
coperta
le spalle.
“Non salto di gioia a
sprecare il mio tempo con te, Bellamy.”
“Ottimo”
replicò lui, sentendosi allo stesso modo.
Eppure, stasera, le cose non erano
andate poi così male come aveva
previsto.
Per lo meno non si erano azzannati;
non letteralmente.
E Raven aveva ragione: Clarke aveva
delle tette da capogiro;
sicuramente portava una quarta.
“L’importante
è che escogitiamo qualcosa prima di
Venerdì.”
Clarke schioccò la lingua.
“Ci abbiamo già
pensato. Siamo una squadra fantastica.”
“Ci hai appena fatti
sembrare come gli Avengers.”
“O come quei terribili e
inutili film su Wolverine.”
Bellamy ridacchiò.
“Ce ne sono davvero troppi.
Io sarei Xavier e tu
Magneto.”
“Sei tremendo”
disse Clarke, scuotendo la testa bionda.
“Perché devo
fingere di stare con te?”
“Perché sono
disperato e perché la nostra fittizia vita sessuale
è
straordinaria.”
I due ragazzi raggiunsero una quattro
ruote, ben tenuta anche se
segnata dalle intemperie che Octavia, la sorella di Bellamy, non voleva
lasciargli vendere.
I lampioni, nascosti dagli imponenti
edifici e da qualche albero
sparso, non riuscivano a illuminare tutto il veicolo.
Bellamy aprì cortesemente
la portiera alla bionda e si diresse al
posto di guida, facendo una giravolta.
“Non vorrei fare il
pessimista della situazione” affermò,
accendendo il motore e inserendosi in mezzo al traffico.
“Ma che succede se qualche
pezzo grosso mi chiede i dettagli e le
nostre storie non coincidono?”
Clarke tirò su col naso,
picchiettandosi il mento con le dita.
“Possiamo sempre dire che ci
siamo sbagliati. Nessuno farà caso a
noi.”
“Difficile non notare una
coppia di piccioncini che aspetta solo di
prendersi a coltellate nel bel mezzo della cena.”
Lei grugnì.
“Ho ancora bisogno di sapere
di più sul tuo lavoro, credo. Se devo
sembrare informata su qualunque cosa tu stia passando il tuo tempo a
fare,
dovrai apparire più entusiasta al riguardo.”
“Io sono entusiasta!”
protestò Bellamy, ma alla
fine concordò silenziosamente con lei.
“Forse le cose dovrebbero
seguire entrambe le direzioni. Che
succede se qualcuno mi chiede del tuo, di
lavoro?”
Clarke lavorava per il procuratore
distrettuale quando non era
impegnata a dipingere qualsiasi parete di casa sua o a irritare Bellamy
a
morte.
Lei era una delle due persone che
esercitavano in quell’ufficio;
non che l’altra dipendente fosse stata tanto diversa dalla
bionda.
Lexa o il Comandante,
come tutti la chiamavano –
avevano tentato di spiegargli il motivo durante il suo primo anno di
college,
senza successo – era intelligente, come Clarke, ed era
spaventosa, come Clarke,
e astuta, forte e pragmatica, come Clarke, ma c’era una
sfumatura bianca e nera
nel modo di pensare di Lexa che Bellamy dubitava Clarke potesse
condividere.
Non era sicuro del perché
si fosse inaspettatamente concentrato su
Lexa mentre scortava la bionda a casa, ma non se ne
preoccupò più di tanto.
La voce di Clarke, chiara e distinta,
infranse le sue
fantasticherie.
“Allora digli che ho
cominciato a lavorare subito dopo aver finito
il college – forse gli piacerà, dato che non
è una cosa da tutti. Inizialmente
mi ero inscritta a medicina” aggiunse “ma le
circostanze sono cambiate e le
opportunità di leadership si sono ampliate e scienze
politiche era l’unica
strada da percorrere, l’unico modo per eccellere,
l’unica possibilità per
sopravvivere.”
Bellamy non poté non
sorridere di fronte a quella dichiarazione
quasi teatrale.
“La Principessa è
una sopravvissuta?”
“La Principessa”
disse
Clarke, tra i denti “è più di quello
che pensi. Ha anche bisogno di essere
lasciata a casa di Raven.”
“Saltiamo la parte del bacio
della buonanotte e andiamo
direttamente al punto in cui lo racconti a tutti i tuoi amici,
eh?”
Clarke roteò gli occhi
– e Dio, la ragazza doveva avere una forte
propensione a farlo perché non appena Bellamy
cambiò corsia, stringendo
fermamente il volante, comprese che era una delle solite cose che
faceva quando
stava con lui.
Lei roteava gli occhi, borbottava tra
i denti o si lamentava o
perdeva la testa o gli gridava contro.
Non c’era alcuna
possibilità che ce l’avrebbero fatta.
“Ti propongo una
cosa” annunciò, non appena gli venne in mente
un’idea. “Perché non ci incontriamo
un’ultima volta prima della cena, giusto
per essere sicuri che la storia combaci?”
“Pensavo fossi
più il tipo che trascura gli eventi e improvvisa.”
“Lo sono” ammise,
un lato della bocca sollevato verso l’alto.
“Ma questa
è politica, Principessa.”
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