OS - Because the Night
*****
Take
me now baby, here as I am
Pull
me close, try and understand
Desire
is hunger, is the fire I breathe
Love
is a banquet on which we feed
Era arrivato a casa stanco, quella sera, più
stanco del solito, forse.
Sì, perché le ore in sala registrazione lo
avevano sfinito, lo avevano sgretolato dall’interno, ogni
volta che ripeteva sempre le stesse canzoni, le stesse frasi, le stesse
parole che ormai gli suonavano in testa come un jingle. E proprio
quella testa, la sua, che aveva dato vita a tanti successi, se la
sarebbe voluta strappare, poggiare sul bancone della cucina, a fianco
all’Oscar, ed andare a letto, senza avere tra le palle
quell’enorme peso che non gli regalava mai sufficienti ore di
sonno.
Sarebbe stato molto più semplice, sì, ma lui non
era fatto per la semplicità. Lo si capiva fin troppo bene,
forse dai suoi abiti così strani, dai suoi modi di fare
così atipici, dal suo cuore, così nascosto, ma
incredibilmente grande.
Altrimenti per quale assurdo motivo si sarebbe ritrovato in quella
situazione?
No, non era facile essere Jared Leto, e non lo sarebbe mai stato,
probabilmente, anche senza il successo e la popolarità nel
mezzo. Anche se fosse stato un perfetto sconosciuto, sarebbe stato
davvero complicato essere lui, ma probabilmente sarebbe rimasto
l’unico a poterlo fare, a poter vivere in quel corpo, con
quella cazzo di testa, assurda e piena di idee incredibili.
“Pensavo
tornassi prima”.
Improvvisamente, in cucina, sentì quella voce,
troppo stizzita di quanto non fosse normalmente. Però aveva
ragione, lei: doveva tornare prima.
Si era stancato di far sempre le due di notte in studio, senza
concludere qualcosa di concreto, senza ritrovarsi in mano un progetto
fatto e finito.
“Per favore,
non rompere le palle, non è il momento”.
A volte si odiava, Jared, quando gli uscivano certe risposte dalle
labbra. Lei non aveva fatto nulla, la colpa era sua e della sua
testardaggine, del suo voler sempre essere un passo avanti agli altri.
“Scusa,
io… non volevo”.
E si odiava ancora di più quando era costretto a chiederle
scusa, perché non ci sapeva fare. Proprio per niente.
Certo, sapeva incantare le folle, sapeva cavarsela bene con interviste
e cazzate varie, ma con le scuse proprio per niente.
Lei era sempre stata quella brava con le parole, in qualsiasi
situazione, e forse era proprio stata quella sua caratteristica ad
attirarlo a lei, come se ci fosse stata una forza maggiore a muovere le
carte, al posto suo.
Si voltò, finalmente, incontrando il suo sguardo indagatore,
quei suoi occhi di ghiaccio, più chiari dei suoi,
più incantatori dei suoi. Aveva capito come ci si doveva
sentire a sostenere il suo sguardo, Jared.
“Abbiamo
lavorato fino a tardi, scusami”.
“Lavori sempre
fino a tardi, Jared, ogni stramaledetta sera che dovresti restare un
paio d’ore con me”.
Le sue risposte erano sempre state così, secche, fulminee,
capaci di farti sentire la persona più inadeguata del
pianeta.
“Lo so, ma ti
ho chiesto di prendermi così come sono, perché
solo tu puoi farlo, solo tu cerchi di capire”.
Perché sembrava tanto disperato? Perché sembrava
essere arrivato ad un punto di rottura, di non ritorno?
Lei era sempre rimasta, nonostante tutte le litigate, nonostante le
cazzate che aveva sempre fatto lui, nonostante lui fosse lui.
Mosse un passo, Jared, poi un altro ed un altro ancora, fino a
ritrovarsi a pochi centimetri dal suo volto, dal suo profumo che sapeva
ancora di sonno e lenzuola pulite, le loro.
Lei era sempre stata così impassibile, terribilmente
più brava di lui a nascondere i sentimenti, le emozioni:
quegli occhi di ghiaccio erano la sua arma migliore, e al tempo stesso
il suo scudo più forte. Poche volte si era lasciata andare,
si era lasciata davvero amare da lui, ed era stato come vivere nel
corpo di un’altra persona: ti può piacere, ma per
poco tempo e dopo un po’ cominci a reclamare te stesso, la
tua casa.
Lo amava, con tutta se stessa, ma le stava proprio sui coglioni!
Soprattutto quando sembrava che tutto gli fosse dovuto, solamente
perché era Jared Leto. Ma questo non era vero, era un
persona normale, a volte, e lei preferiva quella persona
all’uomo di spettacolo che conoscevano tutti.
Sollevò una mano, Jared, che andò a scontrarsi
delicatamente con il viso di lei, così perfetto ed etereo da
sembrare il frutto di racconti e leggende. Come poteva, lei, essere
ancora lì? Con un casino
com’era lui?
Assaporò la sensazione della sua pelle calda, liscia a
contatto con la sua mano che, per ore, aveva passato fin troppi fogli
ed oggetti inanimati. Era come tornare a respirare dopo tanto tempo,
toccarla.
Era sempre stato tanto
forte il desiderio, affamato, tra loro, come se non
riuscissero a smettere di bramare il corpo dell’altro per
almeno un paio d’ore. Un fuoco che brucia in una fiammata,
muore, e che si riprendere in un battito di ciglia, come una fenice
pronta a spiccare il volo. Un
fuoco che respiravano, che assimilavano.
Un banchetto da quale
non smettevano mai di cibarsi.
Come on now, try and understand
The way I feel when
I’m in your hands
Take my hand, come
undercover
They can't hurt you now
“Penso
sia stato l’errore più grande che potessi fare,
quello”.
Stronza.
Era sempre stata una grande stronza, sempre con la battuta pronta ed il
sarcasmo sottobraccio, come se volesse distribuirlo ai passanti per la
strada, ai bambini che strillavano al parco, alle vecchiette che
attraversavano la strada con il deambulatore.
“Ah
andiamo”, cominciò lui, con un
sorriso incerto sul viso. Nulla era mai certo, quando si trattava di
lei. “Cerca
di capire anche questa volta, so che puoi farlo”.
La sua voce era ridotta ad un sussurro, forse per paura che persino i
muri di casa sua ascoltassero le sue debolezze.
Lei era la sua più grande debolezza. Stronza e maledetta
debolezza.
“Ci provo,
Jared, davvero, ma ormai non ce la faccio più”.
Le era uscito quasi come un lamento, quella frase.
Ma era verità servita su un piatto d’argento.
Cercava di mandare giù ogni rospo, ogni rientro ad orari
impossibili, ogni periodo di distanza con solo chiamate come contatto.
Non voleva cuori e fiori, voleva solamente che Jared fosse
più presente, più normale, ma sapeva fin troppo
bene che sarebbe stato come chiedere ad un poeta di tagliarsi la mano
con cui scrive, una tortura.
“Dimmi cosa
devo fare, allora”, cominciò,
infervorato dal desiderio di non voler perdere la sua unica ancora di
salvezza, il suo unico cavillo capace di riportarlo alla
realtà.
“Come posso spiegarti tutto quanto? Il modo in cui mi sento
quando i tuoi occhi posano su di me, quando tutto il casino che vuole
abbattermi scompare, solo perché ci sei tu, come posso farti
capire il modo il cui mi sento quando sono tra le tue mani? ”.
Le aveva preso il viso tra le mani, si era avvicinato ancora, senza
aver paura che l’ossigeno non potesse bastare per due
persone, ad una distanza tanto breve, aveva poggiato la fronte alla
sua, come faceva sempre. Voleva farle capire tutto quanto, tutto il
mondo, tutto il casino che viveva dentro di lui e che gli faceva
commettere cazzate su cazzate.
“Jared”.
Perché la voce le era morta in gola?
Perché le sembrava tanto disperato? Perché non si
era mai sbilanciato tanto, lui? Aveva sempre chiesto scusa, con la
bravura di un bimbo di cinque anni, ma mai in quel modo. Non aveva mai
chiesto chiarimenti, non aveva mai fatto domande.
Era strano vederlo in quel modo, sentirlo in quel modo, con la fronte
premuta con forza alla sua, quasi volesse spiegarle tutto per osmosi,
quasi volesse fondersi con lei: due menti aperte, fuse in una sola, in
una sola anima.
“Prendi la mia
mano, Jared”.
Quattro parole, il suo nome, la vista che cominciò a farsi
meno annebbiata. La speranza che ricominciava a percorrere la via
giusta.
Perché solamente dopo quattro parole sembrava essere tutto a
posto?
Lui non era rientrato tardi, lei non era arrabbiata, avevano trascorso
una semplice serata insieme, avevano fatto l’amore sul
divano, perché quel film era troppo noioso e non volevano
sprecare nemmeno un minuto per sentire il proprio corpo addossato
all’altro, come se fosse fondamentale per vivere.
“Prendi la mia
mano, Jared, vieni al riparo”.
A volte farneticava, diceva cose senza senso, ma quali frasi hanno
senso quando un amore di queste dimensioni sconvolge
l’esistenza di due poveri esseri umani, destinati a
soccombere sotto il peso di un sentimento così grande?
Fece aderire il suo corpo a quello di lui, si fece più
vicina ed avvolse le sue spalle forti con le braccia esili che si
ritrovava, ma si sentiva forte come non mai, capace di sconfiggere
qualunque mostro al mondo, capace di scacciare via ogni preoccupazione
dalla mente di quella creatura tanto strana che si ritrovava davanti
agli occhi.
“Nessuno
potrà farti del male, ora che sei qui, Jared”.
Continuava a farneticare, lei, ma al diavolo le frasi sensate e la
logica!
La amava, cazzo. E la amava anche per quello, per quando saltava su con
argomenti assurdi e pretendeva di essere capita al volo, senza che ci
fossero momenti di scompenso ad ostacolarla.
“Loro non
possono farti del mare, ora”.
Come bisogna comportarsi quando tutti i mali del mondo scompaiono,
quando restano due cuori battenti ed il respiro di due individui,
quando il resto dell’umanità sparisce e resta
solamente quel sentimento malsano ad unire due persone che non sono
affatto destinare a stare insieme senza farsi del male a vicenda?
Because
the night belongs to lovers
Because
the night belongs to lust
Because
the night belongs to lovers
Because
the night belongs to us
Perché la
notte appartiene agli amanti.
Appartiene a chi trova il coraggio di non fare le cose in grande, di
non sventolare in faccia al mondo ciò che ha, quando in
realtà non ha niente. Appartiene a chi si ama in segreto e a
chi lo urla ai quattro venti, appartiene a chi si ama davvero, non a
chi maschera una finzione con il sentimento più puro e
malsano che esista.
Appartiene a chi continua ad amarsi nonostante tutto, a chi lascia
perdere tutte le cazzate, a chi non pensa a cosa è giusto o
sbagliato, ma solo a cosa è più forte, se un
sentimento o l’altro.
Appartiene a chi decide di emozionarsi, a chi cerca un sorriso tra la
folla solamente per sorridere di conseguenza, a chi trova la
felicità nel luogo più improbabile.
Quella notte apparteneva a loro, che non erano nemmeno arrivati alla
camera da letto, la prima volta.
Apparteneva a loro, sul tavolo in cucina, tra sospiri mozzati e
contatti cercati con affanno.
Apparteneva a loro e a quei ti
amo usciti per caso, senza un senso, senza permesso.
Perché la
notte appartiene al desiderio.
Lo stesso che erano riusciti a soddisfare, al bisogno irrefrenabile di
sentirsi vicino ad un’altra vita, ad un altro cuore che
batteva all’impazzata, alla stessa parte di anima che
percepivano dentro il loro stesso corpo.
Perché la
note appartiene agli amanti. A chi ha il coraggio di
mostrare quel sentimento, senza maschere, senza riserve.
“Perché
la notte appartiene a noi, Jared”.
Have
I doubt when I’m alone
Love
is a ring, the telephone
Love
is an angel disguised as lust
Here
in our bed until the morning comes
Erano saliti in camera da letto, in silenzio, senza guardarsi negli
occhi, come due estranei, se non fosse stato per quella mano
nell’altra, che si ostinava a non interrompere quel contatto.
A quelle mani unite, in cerca di un appiglio per non cadere
nell’oblio, per non crollare a terra senza avere la forza di
rialzarsi in piedi.
Erano l’uno la forza dell’altra, e nemmeno lo
sapevano.
Si credevano tanto forti, tanto spavaldi, ma non erano altro che due
idioti resi deboli da ciò che riserva l’amore, da
tutte i tiri a segno che quel fottuto sentimento non sbaglia mai.
Ha una mira infallibile, l’amore. Quello lo avevano capito
bene.
E su quel letto era ricominciato tutto da capo, come se
quell’elemento di arredo non fosse abbastanza consumato dai
solo corpi, dal loro bisogno di restare appiccicati, vicini.
Era ricominciato tutto, come se nulla fosse accaduto, come se fosse
stata una semplice giornata di ferie per Jared, dove lei aveva avuto la
fortuna di inciampare.
Con quale forza potevano allontanarsi, quando l’ossigeno era
appena tornato ad albergare nei loro polmoni?
Come avrebbero potuto fermarsi, proprio in quel momento, dove la vita
si faceva sentire di più e scorreva come uno spirito libero
nelle loro vene?
Con quale coraggio potevano dire basta e far morire quel momento tanto
perfetto da sembrare irreale, dove le labbra correvano a cercare
compagne con le quali congiungersi, dove le mani non smettevano di
viaggiare sul corpo dell’altro?
Come potevano scogliere quell’abbraccio, quel riparo che si
erano creati dopo essere arrivati al culmine del piacere?
No, non erano da cuori e fiori, ma ciò non significa che non
si amassero tanto da star male.
“Ho dei dubbi
quando sono sola”.
Non le serviva parlare ad alta voce, le bastava un sussurro, un fiato
uscito con calma capace di arrivare al cuore di lui senza alcuna
difficoltà.
Era piena di dubbi, troppi e velenosi quanto l’arsenico.
Le suonavano fin troppi campanelli d’allarme, in testa,
quando lui rientrava a tarda notte, troppi dubbi la svegliavano a suon
di schiaffi ed insinuazioni sputate in faccia.
Crudeli e brutali erano i suoi dubbi, capaci di corroderle le ossa e di
incatenarle il cuore con l’orgoglio.
Ma non è questo ciò che, in realtà,
è l’amore?
L’amore
è un campanello, il telefono pronto a squillare
nel cuore della notte, per strapparti ai tuoi sogni già
inquieti, popolati da falsi angeli, per farti arrivare a mattina con il
fiato corto e le certezze morte sul cuscino, insieme alle lacrime che
non vorresti versare, ma che son lì a ricordarti quanto puoi
essere debole.
Aveva tanto desiderato che fosse stato il suo angelo a svegliarla,
quella notte, invece di tutte quelle cazzate che le frullavano per la
testa.
Quanto avrebbe voluto privarsi di quella cazzo di testa per qualche
ora, anche lei. Sarebbe stato tutto più semplice,
più istintivo, con il solo cuore a comandare tutto
l’organismo, senza l’intromissione del suo cervello
fottuto dal sospetto e dall’orgoglio.
Non si sarebbe lamentata, avrebbe accolto il suo angelo con un sorriso
ancora addormentato in volto, per poi svegliarsi pian piano grazie ai
suoi baci.
Ed allora sarebbe montato il desiderio, si sarebbe fatto preda di
entrambi ed avrebbe mandato tutto a puttane, contegno e galateo
compresi.
Ma chi sta ancora a guarda il contegno, quando si tratta di amore?
Ed il suo amore era un
angelo mascherato da desiderio, con quegli occhi capaci di
farla sentire la persona più importante della terra,
l’ancora di salvezza senza la quale sarebbe affondato.
La realtà è che lei sarebbe affondata, non lui.
Lui l’avrebbe superato, ma lei no. Quando mai le sarebbe
capitato di conoscere una persona anche solo lontanamente simile a lui?
“Puoi avere
tutti i dubbi che vuoi, urlarmi in faccia qualunque cosa, ma io
tornerò sempre”.
Gliel’aveva sussurrato all’orecchio, Jared, quasi
fosse un segreto, quando in realtà era un particolare ben
noto ad entrambi e a quella stanza che di loro aveva vissuto tutto.
Le aveva carezzato il viso con gli occhi, scavato il cuore con lo
sguardo, solamente per poterla vedere indifesa tra le sue braccia,
senza parole per la sua sincerità. Funzionava sempre, la
sincerità.
Era troppo fragile, lei, quando Jared decideva di mostrarle chiaramente
i suoi sentimenti, altrimenti non si sarebbe fatta più
piccola e non si sarebbe stretta a lui, senza smetterete di osservarlo.
“Potrà
mai diventare più semplice, tutto questo?”.
A volte le sue domande lo destabilizzavano. Perché
l’unica risposta plausibile era proprio quella che non voleva
sentirsi dire, perché a volte la sincerità faceva
anche male.
Per questo motivo, a volte, mentiva, anche se serviva davvero a poco:
lei lo conosceva fin troppo bene.
“No, non
sarà mai più semplice”,
rispose, lui, passandole una mano tra i capelli. “Ma non saremmo noi,
altrimenti, e preferisco che sia complicato e vero, piuttosto che
semplice con falsi sentimenti”.
“Allora
sarà più semplice adesso, qui nel nostro letto,
finché il mattino non arriverà”.
Lei aveva ragione, aveva sempre ragione su tutto. E l’aveva
sempre avuta, anche quando gli aveva urlato in faccia che era un idiota
rincoglionito dai sogni e dalla speranza.
Aveva avuto ragione soprattutto quella volta, altrimenti in quel
momento non avrebbe imprigionato ancora una volta le labbra di lei con
le sue.
With
love we sleep
With
doubt the vicious circle
Turn
and burns
Without
you I cannot live
Con l’amore
avevano dormito, incatenati dai loro respiri e dai loro
battiti che, diversamente, avrebbero cessato di utilizzare la cassa
toracica come un rullante da batteria.
Erano arrivati a mattina, con poche parole, pochi discorsi inutili,
pochi sprechi di fiato. L’ossigeno serviva loro solamente per
riprendersi dopo essersi esplorati per l’ennesima volta.
No, non avevano abbandonato i dubbi, e non potevano nemmeno farlo:
erano un continuo percorso in bilico, sul filo del rasoio, loro due.
E la caduta non era piacevole, qualunque parte decidessero di scegliere.
Avevano continuato ad alimentarsi di dubbi, mentre facevano finta di
dormire e con i dubbi
il circolo vizioso girava e bruciava, e corrodeva la loro
determinazione. Perché sarebbe potuto accadere qualunque
cosa che loro si sarebbero sempre ritrovati, l’uno sarebbe
sempre tornato dall’altra e viceversa, perché non
avevano le palle di smettere di amarsi, di liberarsi da quel gran peso
che li opprimeva.
Preferivano morire schiacciati dai sentimenti, finire in poltiglia,
piuttosto che crepare nel sonno a novant’anni in un letto di
un ricovero.
Sarebbero morti giovani, ribelli e liberi. E se anche avessero vissuto
un secolo, sarebbero morti giovani dentro. Perché la
sensazione di libertà alimenta l’anima, anche
quando cominci ad avere bisogno di un sostegno per camminare.
L’amore alimenta l’anima e rende giovani, anche
quando a volte fa male.
Si continua a preferire quel male, perché qualsiasi altro
sarebbe nulla in confronto.
Preferivano quella vita piena di dubbi e parolacce gridate in faccia,
litigate alle due del mattino e il sesso sul tavolo della cucina, far
la pace solo con uno sguardo, perché quello bastava a
comprendersi, perché
l’una senza l’altro non avrebbe potuto vivere.
Because
tonight there are two lovers
If
we believe in the night, we trust
C’erano due amanti. Pazzi e dubbiosi di ciò che
provavano, mentre l’amore scorreva nelle vene, nei capillari,
fin giù alle dita dei piedi.
C’erano due amanti che risolvevano tutto con la passione, che
avrebbero rovesciato il mondo intero pur di continuare a trovarsi ed a
ritrovarsi, ancora ed ancora.
C’erano due amanti che non erano fatti l’uno per
l’altra, assolutamente, ma che preferivano di essere
assolutamente sbagliati che assolutamente scontati.
Perché quella
notte c’erano due amanti che avevano rovesciato
il mondo per trovare l’ennesimo motivo per restare insieme,
ed avevano creduto in quella notte che li aveva riavvicinati.
L’ennesima notte, l’ennesimo riavvicinamento.
L’ennesima litigata trasformatasi in fumo davanti a tutto
quello. Perché parole dette di traverso non meritano di
restare davanti ad un sentimento tanto puro, tanto malsano e cattivo,
tanto stronzo da rincoglionire chiunque gli capiti a tiro.
Tutto diventa fumo.
E loro avevano creduto in quel fumo che si era dissolto per
l’ennesima volta: lo avevano visto volare via, scomparire
dalla loro vista per poi ritrovarsi davanti gli occhi
dell’altro, le labbra dell’altro, il cuore
dell’altro servito su un piatto d’argento, come per
dire tieni, fanne
quello che vuoi. Ormai peggio di così non può
andare.
Si erano fidati di quel fumo e di quella notte, che aveva messo al
posto giusto tutti i tasselli del puzzle. Come se bastasse
così poco a cancellare tutto il resto, ma per una notte
poteva bastare.
Si erano detti che, se
avessero creduto in quella notte, si sarebbero fidati. Si
sarebbero amati, si sarebbero odiati… tanto, che differenza
avrebbe fatto?
Per loro nessuna: tra odio e amore resta una linea tanto sottile da
sembrare invisibile. Per loro non esisteva affatto.
Era tutto mescolato in un unico assurdo sentimento che li distruggeva
dentro, che li rimetteva in sesto ogni volta e che poi ricominciava da
capo.
Si amavano, si odiavano. Erano loro stessi, quella notte!
Perché
la notte appartiene agli amanti!
“Perché
la notte appartiene a noi”.
|