A
prompt grotta
e sangue, per il bel
concorso “Gli elementi del contenuto” indetto da
AkaneMikael sul
forum.
Disclaimer:
Gli
avvenimenti narrati sono frutto di fantasia. Non intendo dare
rappresentazione veritiera del carattere delle persone descritte
né
offenderle in alcun modo. Se possibile, anzi, il tutto è da
intendersi come tributo di affettuosa stima.
Quando
fu tempo di
scegliere una parola che racchiudesse tutte le intenzioni, le
speranze e l'amore per l'Era appena terminata, Catherine scrisse
senza esitare “Serenia” sulla copertina.
Non
si sorprese di
scoprire, come spesso accadeva quando le sue improbabilità
statistiche si rivelavano abitate, che lo stesso nome fosse quello
scelto dalla gente del luogo per la propria terra. Un mondo di acque
e pietra, dai colori soffusi, non lontano in spirito dalla sua Riven
eppure da essa nettamente distinto, come lo è un sogno dalla
realtà
che l'ha originato.
Terra
tradisce, cuore non vede
La
loro biblioteca
su Myst si era allargata molto, da quel giorno. L'isola stessa era
cambiata.
Quando
Achenar e
Sirrus ebbero imparato a gattonare, correre e tuffarsi, aveva perfino
iniziato a sembrare troppo piccola.
Anna
era morta su un
mondo lontano ed era calato il silenzio.
Ogni
gioia nello
scrivere le fu tolta da quel lutto che li colpì tutti con
una
violenza da cui non si sarebbero più ripresi e a Catherine,
col
cuore pesante, non restò che iniziare un doloroso processo
di
riappacificazione con le sue creazioni, colpevoli senza
possibilità
di appello della sciagura. Le avrebbe riscoperte in privato, come una
bambina, e studiate con rigore maturo finché, dopo sei anni,
quaranta o forse mai, non fosse stata nuovamente certa di sé
e delle
sue parole.
La
sua serenità era così affidata unicamente a tre
persone e due Ere: la prima era la sua Myst, in cui ogni rivolo di
vento portava con sé il suo antico tocco di
libertà gioiosa assieme
a quello dolce e pratico di Anna.
La
seconda era tradita dal nome stesso: Serenia.
Catherine
era solita meditare lì, quando il giorno glielo permetteva.
Raramente si allontanava dalla grotta che lei e Atrus avevano eletto
a primo punto di Collegamento. Pur amando la foresta di pietra che si
stendeva fino alla riva e cedendo talvolta alla tentazione di
percorrerne i sentieri per ammirare la Camera della Memoria, con i
suoi petali bianchi e carnosi che s'innalzavano a toccare il cielo,
il più delle volte restava semplicemente lì,
protetta dalla pietra
scura, in grembo a un'Era misteriosa e femminile. Nel
punto di contatto fra ‘qui’ e
‘altrove’, luogo di simboli,
cordone ombelicale che legava Serenia a Myst e a tutti i mondi che da
lì si dipanavano.
Seduta
su una
stuoia, con la schiena appoggiata alla pietra liscia del pilastro,
Catherine si delineava per contrasti e paralleli.
Il Sogno
impregnava ogni aspetto dell’Era: era la faccia nascosta di
ogni
cosa, saggia e cosciente. Era indicazione certa del domani, memoria,
consolazione; era gli antenati che continuavano a guidare i vivi con
amore. Era il pilastro della società, mostrato,
regolamentato, noto
e interpretato.
Ed era gioiosamente semplice lasciarsene condurre
verso visioni nitide e sicure, che terminavano però in
circolo,
senza la forza di spingersi oltre i confini dell’Era. Serenia
era
il Sogno; il Sogno era Serenia. Un cerchio perfetto di pace.
Non
era, quindi, la forza che l’aveva sorretta fin da bambina:
simile
in superficie, ne era ancora una volta distinto quanto il sonno dalla
veglia. Lasciava le Protettrici del Sogno ai loro studi, sedeva al
centro della grotta e lo osservava da ospite estranea e gradita.
Nell’osservarlo, trovava se stessa.
Quando
vide uno schizzo di sangue per terra, sulle prime
non gli diede importanza.
Tornò
quattro
giorni dopo e lo schizzo era diventato una piccola pozza fresca,
quasi fosse colato dal centro esatto del soffitto. La volta di roccia
sopra la sua testa era intonsa.
~/~
La
macchia cresce. Anche oggi: impercettibile all’osservazione
diretta, sono tuttavia sicura che quando me ne sono andata fosse
più
grande.
Chiederò a Raan alla prima occasione. Non mi sembra una
manifestazione del loro Sogno, ma in fondo come posso dirlo con
certezza, se mi sono sempre tenuta lontana da quelle tradizioni?
Domandare non costa nulla… al contrario, la superbia
può avere un
caro prezzo.
E inizio a essere inquieta.
~/~
“Atrus?”
Suo
marito alzò il naso dai suoi lavori e la salutò
con un sorriso
radioso impiastricciato di olio e polvere.
Catherine si avvicinò
piano, incerta.
“Fra quanto partirai per Stoneship?”, chiese
infine.
Atrus si sistemò gli occhiali e osservò con aria
critica
il macchinario di fronte a sé.
“Una settimana… dieci giorni
al massimo. Appena avrò finito con questo.”
“Emmit ne sarà
entusiasta.”
“Non ci vediamo da anni. Un piccolo regalo è il
minimo che cortesia richieda”, annuì lui. Si
voltò a guardarla
chinando la testa da un lato. “Sei venuta fin su Selenitic
per
chiedermi questo?”
Catherine scosse il capo.
“Volevo stare
un poco con te”, rispose, ed era buona parte della
verità. Si
inchinò per stampargli un bacio in punta di naso e
tornò a passi
lenti verso il Libro.
Atrus rispettò il suo riserbo, ma la
osservò turbato finché non si fu Collegata a casa
e si rimise
all’opera con difficoltà, persa ogni
concentrazione.
~/~
Raan è
stata inaspettatamente gentile: non condivide la competizione che in
qualche modo sento nelle sue compagne più anziane.
Ed è un
peccato, perché per loro non vorrei essere un'intrusa
né una
potenziale minaccia.
Oltre
alla
gentilezza, però, dalla ragazza ho ottenuto ben poco se non
un
indizio e qualche ipotesi raffazzonata.
Il
dato
certo: nessuna di loro ha visto nulla. Per lei e per le altre
Protettrici, il suolo della grotta è pulito come sempre
– mentre
me lo diceva, ai miei occhi stava lasciando impronte rosse su tutto
il perimetro.
Cosa
questo
significhi: non lo so.
La
cultura
di Raan la porta a offrirmi due possibilità. Non credo, in
tutta
onestà, che quest'Era mi stia rifiutando (e nemmeno lei ne
pareva
convinta). La sua seconda idea può invece avere radici
più
profonde: se il messaggio fosse destinato a me soltanto? Spiegherebbe
molto. Ancora non mi aiuta, però, a svelarne il significato.
Serenia
sanguina? La grotta? O che altro ancora?
Non
vorrei
distrarre Atrus dai preparativi per il viaggio, ma non nego che sarei
più serena se sapessi che sta lavorando al problema con la
sua
logica, il suo metodo.
~/~
Se
i miei augusti genitori richiedono ancora la nostra presenza per la
sera concordata,
recitava con
grafia svolazzante un foglio in bella mostra sul tavolo di cucina,
avrò cura di stanare il mio
recalcitrante fratello e
renderlo presentabile per una cena almeno. Non sarà impresa
semplice, ahimé! Ma confido nelle mie risorse. Distinti
saluti,
Sirrus
Catherine
rise. I rapporti con i suoi figli si facevano
più e più distanti, limitandosi a incrociarsi nei
loro brevi
passaggi su Myst o per un raro pasto insieme. La prospettiva della
cena la rallegrava: aveva piacere di vederli nuovamente girare per
casa e Sirrus si era mostrato essere un conversatore colto e
brillante. Anche troppo brillante, a tratti, ma sua madre aveva da
tempo concluso che dovesse essere il suo ultimo modo di dimostrarsi
superiore a tutti e in fondo, per il suo ristretto pubblico, era un
modo ben più piacevole di altre fasi attraverso cui era
passato in
gioventù.
***
Tornò
su Serenia nel momento in cui una nuova goccia si
staccava dalle stalattiti e smuoveva la superficie rossa, ora larga
quasi quanto la grotta stessa. Le gambe non la reggevano. Si
appoggiò
al muro, alla roccia solida, e senza lasciare quel sostegno
strisciò
fino all'esterno. Caddero altre tre gocce. Cresceva a dismisura.
Sul
prato, si lasciò cadere per terra e, portandosi le
mani al petto, le sembrò di respirare per la prima volta
dacché si
era Collegata.
L'aria
fresca la purificò dall'oppressione e
lentamente, inspirando a fondo, riacquistò il controllo dei
suoi
pensieri, dei suoi muscoli, per ultimo del suo stomaco, chiuso come
in una morsa. Si rialzò. Ammirò il lago e le
montagne in
lontananza, facendo sua la loro calma. Abbassò lo sguardo e
si sentì
mancare: il sangue era arrivato fino al fiume, un rivolo rosso che si
insinuava nelle sue acque calme e scompariva oltre un'ansa.
Vuoi
che ti segua?
Qualunque
cosa fosse, per orrendo che fosse secondo
l'istinto e secondo ogni simbologia a lei nota, non le aveva fatto
del male. Decise di fidarsi.
Camminò
sull'erba seguendo quel filo di sangue, che non
s'ingrossava né si disperdeva nella corrente. Il prato
lasciò
spazio alle rocce e il fiume a una piccola cascata. Catherine si
tolse le scarpe, si legò i lacci in spalla e la
seguì senza indugi,
sentendosi tornare bambina. Riven, Riven, Riven, casa,
gridavano i suoi ricordi, e forse qualcosa in più.
Il
fiume la portò dietro la vecchia Camera della
Memoria, ancora maestosa nonostante il suo gigantesco fiore fosse
ormai appassito. Vi girò attorno, cercando di capire se
fosse quello
che la sua visione voleva mostrarle, ma ogni entrata era sigillata e
ovunque aleggiava un'aria di abbandono e decadimento. Perfino gli
spiriti e le creature eteree che pervadevano l'aria di Serenia
evitavano quella parte dell'isola, lasciandone dominio incontrastato
a soffioni e sterpi.
Ritornò
per il sentiero, senza disturbare ulteriormente
quel luogo di morte.
Poco
dopo, l'acqua del pozzo si abbassò e Achenar
risalì una scalinata segreta con aria soddisfatta.
Sirrus
è un genio,
avrebbe scritto sul suo diario. Non
sono certo di come ce l'abbia fatta ma, a giudicare dai risultati del
suo primo test di oggi, sembra proprio che ce l'abbia fatta. Quasi mi
spiaceva per il topo.
Non
ti capisco,
pensò Catherine
tornando in vista della grotta e del fiume. Cosa
vuoi da
me?
Il
sangue taceva, ma si era mostrato solo a lei, in
un'Era di prodigi e visioni, ed era determinata a scoprire
perché.
A
modo suo, decise di affrontarlo. Dominò il disgusto e
sedette sul piedistallo, reggendo in grembo il Libro di Myst. Chiuse
gli occhi, si estraniò dall'odore che le aggrediva le
narici, lasciò
andare i pensieri uno a uno e attese che il suo mistero la riempisse
con i suoi.
Per
lungo tempo non successe nulla. Infine, lo sentì.
Distante e confuso, un sentimento basilare, quasi la somma di una
moltitudine di voci in cui la singolarità di ognuna si
perdesse nel
dolore che le accomunava.
Il
sangue non le era ostile. Era triste, e la chiamava.
Quindi?
***
L'indomani
si svegliò sola nella sua stanza su Myst.
L'altra metà del letto era già fredda.
Sul
cuscino, un biglietto con quattro note su un
pentagramma sbarrato e il consueto “Sempre tuo,
Atrus”
scribacchiato in fondo.
Nel
caso potesse venirmi il dubbio di aver sposato qualcun altro,
sospirò Catherine, sedendosi sul bordo del letto e
stropicciandosi
gli occhi. Girò il biglietto, lo ruotò e lo
piegò secondo la linea a penna, senza troppe speranze di
trovarvi nuovi indizi. Provò a
cantarlo, re mi la fa, ma ancora non le ricordava nulla. Rilesse le
note per sicurezza: oltre alla chiave di sol erano proprio re, mi,
la, fa... cioè D E A F, riformulò con
un'intuizione secondo l'altro
uso terrestre, quindi 'sordo' sbarrato, quindi se
hai
voglia di parlare, sai dove trovarmi. Caro...
Si
rimproverò per averci impiegato così tanto tempo
ma, in fondo, era Atrus quello dal risveglio veloce. Imputò
la
disfatta al mattino inclemente, si vestì in tutta fretta e
si avviò
con passo sostenuto verso l'unico luogo cui un invito scritto in tal
modo potesse alludere.
Come
dedotto, e mentre ancora rabbrividiva per l'impatto
con l'aria gelida, sentì un semplice motivo a una mano
provenire da
nord, oltre il camminatoio. Il talento di Anna per le arti era
precluso alla sua discendenza, ma ciò non impediva loro di
dilettarsi di tanto in tanto con quel piccolo organo, ognuno secondo
le sue capacità e ben lontano dalle mura domestiche, per il
sollievo
delle orecchie altrui.
Atrus
si attardò su qualche nota quando sentì i suoi
passi risuonare sulla chiglia metallica, chiuse con un maldestro
accordo e si girò per salutarla.
“Scusami”,
disse lei. “Non volevo preoccuparti.”
Atrus
si alzò e le offrì il braccio.
“C'è qualcosa
di cui dovrei preoccuparmi?”
“Non lo so.”
“Vuoi
parlarmene?”
Si
sedettero sull'angolo del camminatoio, reggendosi a
vicenda. Il mare, parecchi metri sotto di loro, era grigio e calmo.
Catherine
gli appoggiò la testa sulla spalla e gli
parlò della grotta e del sangue, di tristezza e di un dolore
lontano. Lui chiese del Sogno, dei suoi principi; lei disse di
simboli e archetipi e cose imperscrutabili. Il suo metodo e la sua
logica tracciavano segni nuovi in un campo familiare: chiedeva di
cause e di conseguenze, prendeva appunti, tracciava schemi.
Atrus
non amava l'idea di visioni e destino; amava però
sua moglie e come questi si manifestavano in lei. A disagio
nell'inedito ruolo di consolatore, si strinse nella giubba e strinse
a sé la sua compagna.
“Ci
lavoreremo insieme”, promise. “Stoneship
può
aspettare. Non vado da nessuna parte finché non avremo
risolto
questo enigma.”
***
Si
Collegarono insieme.
Per
Atrus era la prima visita dopo quasi trent'anni:
oltre a un vago senso d'inferiorità nei confronti del
folklore
locale, non aveva mai trovato grandi spunti d'interesse nell'Era. Si
tolse gli occhiali protettivi e socchiuse le palpebre, abituandosi
alla scarsa luce soffusa della grotta. Colse d'istinto la bellezza
delle rocce sedimentarie che la componevano e, guardando all'esterno,
non ebbe difficoltà a immaginare un tempo in cui il suo
punto di
osservazione era stato l'ansa impetuosa di un fiume, ora imbrigliato
da chiuse.
Non
rimanevano che pozze di fanghiglia e sassi oblunghi
erosi dalla corrente. Qualche vaso, forse un'offerta votiva, e
frammenti di una stele incisa. Nulla di strano.
Si
voltò in cerca di spiegazioni e vide la sua
Catherine paralizzata dall'orrore. Spostava febbrilmente lo sguardo
da una parete all'altra e sempre verso di lui, scuotendo la testa.
Tremava.
“Catherine?”,
la chiamò, spaventato. “Katran?”
Gli
rispose con una secca frase nella sua lingua natale.
“Catherine!”
“Lontano!
Sta' lontano!”, gridò lei in D'ni.
Atrus
si bloccò, incapace di comprendere cosa stesse
succedendo. Era lui a doverle stare lontano? Tutto era immobile
lì
dentro. Oltre alle loro parole, si sentiva solo il gorgoglio
tranquillo del fiume provenire da fuori.
“Lascialo!”,
disse, e gli si mise davanti a braccia
aperte, come a fargli da scudo.
Vederla
così era più di quanto potesse sopportare.
Catherine era il suo sostegno e la sua ragione, una forza che
procedeva nella vita con grazia propria, con un grado di
libertà in
più rispetto alle esistenze comuni, non
così.
Con
la determinazione che solo le situazioni più nere
riuscivano a smuovere in lui afferrò il Libro di Myst e,
tenendolo
aperto, prese Catherine per il polso e le appoggiò a forza
la mano
sul pannello. La seguì subito dopo, lasciando quell'orrore
invisibile a fato incerto.
***
“Catherine?”
Il
volto minuto di sua moglie spuntava appena dalla gran
massa di coperte in cui l'aveva avvolta. Atrus le sedeva a fianco,
reggendole la mano e rivolgendole quello sguardo un po' triste e
indagatore che fin da giovane si era sedimentato sui suoi lineamenti.
“Era...”
Cercò un termine adatto. Quello che trovò
fu un lungo suono gutturale, la parola rivenese per 'incubo' che
più
di ogni altra parlava di foschia, oscurità e mistero.
“Mi
capisci?”, riprese, tornando al D'ni.
Atrus
scosse la testa, non solo per quello che, per lui,
era appunto solo un lungo suono gutturale: anche l'altra non era la
loro lingua. Era quella con cui Catherine aveva
maggior
dimestichezza, tolto l'idioma natio, ma anche quella da cui
guardarsi, quella delle responsabilità e del passato sempre
in
agguato. Era scossa al punto che trent'anni di inglese semplice e
affettuoso le erano scivolati via di dosso come olio.
“Era
un sogno che credevo di essermi lasciata alle
spalle tanto, tanto tempo fa”, sussurrò,
rannicchiandosi con le
ginocchia al petto. “Quando ancora... prima della
Fessura.” Prima
di dover fingere di tradirlo per garantirgli la vita, quando il
cammino non era ancora fissato e ogni contrattempo, ogni minimo
errore li avrebbe resi vittime inermi di fronte a Gehn. Lei, sua
sposa. Lui...
“Cosa
è successo in quella grotta, Catherine?”
“Era
ovunque.”
“Il
sangue?”
Annuì.
“A terra, un lago. Macchie fresche sulle
pareti. Un incubo rosso, un inferno. Quando sei apparso al mio fianco
ti si è rivoltato contro, come una cosa viva.”
Atrus
le strinse la mano fra le sue.
“Ancora
una volta, ti ho visto... sporco di sangue.
Ovunque... risaliva come una spirale e... Non tu, non tu,
volevo gridare. Amore mio, promettimi che non succederà
nulla del
genere...”
“Lo
prometto”, disse lui in tutta onestà.
“Il
segno lasciato dalle tue mani non può essere una
scia di sangue, mai. Il tocco lasciato sulle tue
mani...”
Scosse la testa. “Era un avvertimento. Non so da dove giunga,
non
so pagato da chi né a che prezzo. Stai lontano da Serenia,
amore
mio. Ciò che il male brama sei tu.”
“È
un prezzo troppo caro, se arriva a farti questo.”
“Passerà”,
rispose lei abbozzando un sorriso. Si
districò dalle coperte, cercando un abbraccio.
***
Aveva
visto anche altro, prima di scomparire nel buio
del legame.
L'indomani
su Myst, seduta sul bordo della vasca di
pietra, non riusciva ad allontanare da quel particolare le sue
riflessioni. Più tempo passava, più vedeva nel
dettaglio quella che
all'inizio era stata solo un'immagine sfocata dalla fretta, come
depositi d'argento su una pellicola fotografica. C'era stato un unico
punto in cui la macchia fresca era stata rovinata, lasciando una
traccia.
Sulla
parete insanguinata, Catherine aveva visto
l'impronta di una mano sinistra.
Osservò
le sue, piccole e appena toccate dalle rughe.
Che tipo di mano aveva lasciato quel segno? Se fosse tornata su
Serenia, l'avrebbe ritrovato? Probabilmente no, ma, anche se fosse,
avevano convenuto di dare ascolto al monito e restare entrambi
lontani dall'Era. Tornò alla sua memoria, che non era solo
di 'una
mano'. La forma dell'impronta era particolare, ma ancora non
ricordava in che modo. Lasciò sedimentare il ricordo.
Ecco:
non era l'impronta di una sinistra! Le dita erano
chiuse, tranne il mignolo, aperto quasi da sembrare un pollice.
Aprì
la sua mano nello stesso modo, poggiandola sulla superficie
dell'acqua, e venne sommersa dai ricordi.
In
quello stesso spiazzo, in un inverno lontano, il suo
bambino più grande era corso piangendo da lei a lamentarsi
che suo
fratello e Atrus passavano tutto il tempo a giocare agli indovinelli
senza che lui potesse divertirsi. Le parole non gli erano mai state
amiche e anche solo esprimere quello sfogo gli era costato un grande
sforzo, così sua madre aveva lasciato da parte i panni per
trovare
al figlio un modo di comunicare che gli fosse più
congeniale. Aveva
unito i palmi delle loro mani e separando prima un dito, poi due, poi
ogni possibile combinazione, avevano coperto con quel loro sistema
inventato tutte le maggiori emozioni dell'animo umano.
Era
stato il loro codice per mesi interi. Poi Sirrus
l'aveva scoperto e un fratello maggiore aveva l'obbligo di scegliere
fra la dignità e un segreto da femminuccia con la mamma.
Achenar
aveva scelto l'ovvio e lei, col tempo, aveva quasi dimenticato.
Achenar?
La fonte è lui?
Era
un pensiero così vile che gli negò ogni
verità.
Passò la giornata fra cucina e lavori di casa, attendendo
l'arrivo
di Achenar e Sirrus per la loro cena a lungo attesa.
Come
una goccia sulla pietra, tuttavia, il sospetto
continuava a battere con insistenza.
***
“Madre”,
salutò Sirrus con un inchino quando fu
apparso nella biblioteca all'ingresso. “Padre...”
Achenar
lo imitò in silenzio.
Catherine
li osservò come sospesa, a cavallo fra più
mondi. La goccia aveva battuto e battuto sulla pietra, arrivando a
scavarla, e nelle due figure in piedi di fronte a lei si
sovrapponevano ora milioni d'ipotesi e di possibilità. Su
tutte, due
spiccavano, ed erano abbastanza per paralizzarla. Da una parte vedeva
i suoi affetti di sempre, anche se lontani, cambiati: adulti.
Dall'altra – remota e inconcepibile, ma la grotta, il sangue,
l'impronta! – assassini grondanti sangue.
“Che
c'è, madre? Non ti avrà sfiancata con la
manodopera per un qualche esperimento, spero...”
“Fatemi
vedere le mani”, ordinò loro, calpestando
tutto quello che il suo cuore le suggeriva. E poteva sentirlo
battere, quel cuore, scandire lentamente le immagini dei suoi figli
che si guardavano titubanti e infine si decidevano ad avvicinarsi a
lei, porgendole le mani come due bambini piccoli, e
sentì
appena Sirrus rispondere offeso che sapeva
rispettare una promessa mentre le studiava. Tracciò con le
dita ogni
linea della pelle su cui si era incrostato il sangue di popoli, ma
Myst, diversamente da Serenia, era fatta di terra solida, dura e
sensata: quando lasciava aperto uno spiraglio ai sogni, o alle
visioni, era unicamente nell'intimità notturna.
Le
mani dei suoi figli profumavano di sapone.
Catherine
chiuse gli occhi e sprofondò nel sollievo.
Note:
@ Serenia come Riven stinta: impressione personale di cui mi assumo
ogni responsabilità. Di fatto, appena visto il flyby, subito
commentai “Andrea Andrea sono in un posto strano in cui non
dovrei essere e... perché hanno stinto Riven?”
@ lutto di Katran: mi sembra implicito nello straordinario lavoro della
sciura sceneggiatrice. Credo intendesse, attribuendo a Kathy l'Era in
cui è morta Anna, spiegare la buffa transizione dalla
Scrittrice formidabile dallo spirito indomito che vediamo nel primo
libro e in Riven alla casalinga perfetta di Myst.
@ Atrus deve rimanere lontano da Serenia: THE PLAAAAAAAAAN consisteva
nel portarlo a Serenia per fare... qualcosa... con la sedia nella
Memory Chamber. Il sangue metaforico di tutte le vittime dei fratelli
si manifesta quindi nel punto di Collegamento di Serenia per avvertire
Catherine del fatto.
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