Rieccomi a pesce su Braska
FFX! Capitolo uno di cinque, per l'ennesima follia indetta da
Criticoni. :3 Meno cervellotico della volta scorsa, in teoria la
consegna era semplice: suddivisi in squadre, ogni squadra ha ricevuto
un prompt di squadra - una frase - e un set di prompt singoli - coppie
di opposti - da smazzare fra i partecipanti, uno a testa.
Tuttavia!
La mia amabile squadra *sparge
brillantini*, eroicamente capitanata da Keiko, ha deciso che tali
prompt erano per poppanti. Ergo, le seguenti limitazioni aggiuntive:
per prima cosa, la fanfiction avrebbe avuto piacere d'esser angst e,
secondo, sarebbe stato gradito un riferimento musicale più o
meno
marcato. E noi che fangirl siamo, beviamo, beviamo...
I prompt:
"I grandi eroi, quelli che vengono ghermiti da me, dalla
Gloria, non sono mai esseri imperfetti."
Immortalità/Precarietà
L'angst viene gentilmente fornito dalla casa *batte cinque a Yu Yevon*
E la musica... ah, la musica. Chi mi conosce almeno un po' sa che
'musica' e 'FFX' nella stessa frase tendono a farmi rincantucciare in
un angolino tutta tremante, con in testa immagini delle Thunder Plains
in cui smette di piovere per il p0t3r3h della Mary Sue e di concerti a
Luca con lo stadio pieno. D'acqua.
Però, però...
Falsità
di una statua
"So you're a champion of Yevon
now, Braska?"
(Auron, Tempio di Djose)
1. Rumori di fondo - priorità
I
call
And
there is no reply
Like
some phantom cry
On
ears too far away
(Yoko
Kanno - Cowboy Bebop, No Reply)
“Torneremo.”
Questione chiusa, Jecht si azzittì.
Non poteva rispondere male al capoccia della loro allegra brigata
–
si chiese se la piccola carogna in rosso avesse atteso apposta,
così
da troncare lo spassoso scambio di opinioni che li aveva intrattenuti
negli ultimi minuti. Non era ancora certo di poterlo ritenere al di
sopra di simili stratagemmi. Né di volerlo.
Ad ogni modo, la promessa non gli
dispiaceva. Anche se era solo un dannato fiume. Anche se un fiume che
la notte sbrilluccica sembrava uscito dalla testa
di una
bambina di dieci anni tutta fiocchi e bambole e sorrisi. E pertanto
causa di imbarazzo profondo per chiunque non rientrasse nella
categoria. Ma Jecht ci si era bagnato i piedi, in quella fantasia
infantile. Ci aveva abbattuto l'unica bestia che avrebbe dovuto
lasciare lì dov'era. Era un punto definito su una carta
geografica ed era più di quanto si potesse dire di... di
altro, dannazione. Era stato il suo ultimo compagno di bevute, in un
certo senso. 'Torneremo' era una buona promessa.
“Forse neanche allora sarà
sera”, disse Braska. “Ma avremo un'altra
possibilità. E,
ad ogni modo, torneremo.”
Salutò con affetto gli alberi
alle sue spalle, che si stavano diradando per lasciare spazio alle
imponenti formazioni rocciose dell'area di Djose.
“È uno dei privilegi concessi
a chi s'incammina dal nord, io credo”, confidò
loro, “quello
di conoscere la strada due volte, di non dover dare il primo saluto
come se fosse l'ultimo. Siamo benedetti.”
Auron si schiarì la voce.
“E ho piena fiducia nei miei
guardiani”, lo precedette l'evocatore. “Se anche
dovessi girare
tre volte in cerchio attorno Spira, so che sarei al sicuro. So che lo
sarò, a meno che Yevon non si faccia burla di noi mettendoci
sul cammino del Distruttore.”
“Mio Lord”, rispose, ed era
un'accettazione, una supplica e un'offerta. Il resto della risposta
aveva perso importanza. “Ma questa baldanza ha già
lasciato
troppe vittime sul suo cammino.”
Senza appigli per un'entrata in scena
che fosse abbastanza chiassosa e appariscente da soddisfarlo, Jecht
li lasciava fare, silenzioso, a cinque passi di distanza: abbastanza
pochi per sentire ogni loro commento, aveva stabilito, e abbastanza
per potersi permettere, di tanto in tanto, una telecronaca
bisbigliata dei momenti salienti della conversazione.
Erano partiti da meno di un mese e già
il chiacchiericcio dei compagni si era imposto come rumore di fondo
della sua nuova vita, come un tempo era stato il boato del pubblico o
un pianto sommesso da oltre il muro, che non voleva essere scoperto e
che di conseguenza il blitzer non aveva mai consolato, per una
personale forma di rispetto.
Era lieto di constatare che il suo
evocatore, al contrario, fosse ben in grado di consolarsi da
sé.
Da cosa, Jecht non sapeva ancora dire, né era –
ancora –
sicuro di interessarsene a sufficienza. Vedeva solo Auron affannarsi
come una bambinaia dietro a un lattante troppo cresciuto e Braska
stesso, un pilastro di certezze, perdere ogni tanto il terreno da
sotto i piedi e doversi aggrappare, per non cadere, alle parole che
gli piacevano tanto. Come aveva appena fatto. Parole mirate e gentili
come chi le aveva espresse, mai sprecate, ma non richieste.
E Jecht camminava cinque passi
indietro, il giusto per ascoltare e non essere ascoltato, per fare da
retroguardia e irrompere nel mondo discreto dei suoi compagni di
viaggio ogniqualvolta la fantasia lo sosteneva. Per osservare un
mondo che non era il suo.
***
"Mete turistiche di spicco?"
"Prego?"
"Ristorantini nei dintorni, centri
sportivi...?"
Rallentando il passo, Braska si voltò
e offrì a Jecht un perplesso sorriso di circostanza. Era
grato
al suo guardiano per gli interventi giocosi – a volte al
limite
della maleducazione – con cui lo sviava da pensieri
più
cupi, non meno che per la speranza nascosta che la sua stessa
esistenza implicava, quella di una Zanarkand viva come nelle leggende
che li aspettasse in gloria oltre l'orizzonte.
Ciò premesso, a volte proprio
non lo capiva.
“Ehi, Braska”, attaccò in
spiegazione, ma si fermò di colpo, indicando
in avanti con gesto teatrale.
“Lord Braska”, lo riprese
puntualmente Auron da qualche passo
in avanti,
con una forte enfasi sul Lord. Il
ragazzo si strinse
nelle spalle.
“Almeno c'è l'eco”, concluse
Jecht soddisfatto dell'esperimento. “Saranno le montagne.
È
un inizio, vedi, ma ci si annoia presto. Yocun!”,
esclamò,
per riprova.
Il suo bersaglio piantò la spada
in terra e si fermò a braccia incrociate. Jecht lo
osservò
con soddisfazione: l'ultima volta era riuscito a farsi correggere
quattro volte sugli appellativi di politici e santi prima che l'altro
si rendesse conto che lo stava prendendo in giro.
“Chi?”, lo salutò
Auron quando fu raggiunto, con voce piatta tradita da un ghigno che
ancora stonava sul suo viso serio. “La fornaia del ponte
basso?
Davvero una cara signora, molto pia.”
Braska scoppiò
a ridere e finì per reggersi alla sua asta, sia per un
concetto pur remoto di dignità, che gli impediva di piegarsi
in due, sia per i bordi impietosi della sua corazza, che gli
vietavano fisicamente il gesto minacciando lividi se ci si
fosse appoggiato con troppo slancio. Rise di cuore, per
i suoi
guardiani e non di loro, come il più
giovane aveva
dapprima temuto.
Jecht guardava altrove, scostando
inesistente polvere dal suo guanto ferrato.
“Come dicevo”, commentò, “ci
si annoia presto, ha già smesso. E io ho bisogno di qualcosa
da fare quando mi scaricherete in locanda per andare al vostro
specialissimo tempio, signori miei. L'altra volta avete rischiato di
riportare indietro un morto di noia, e qui non c'è neanche
la
neve.”
“C'è, in effetti, un luogo di
primario interesse nell'area”, rispose Braska pensieroso.
“Potremmo
accompagnartici. Per meglio dire, potresti tu accompagnare noi. Te
la senti, Jecht?”
La notizia penetrò a fatica.
“Il tempio? Con voi?”, chiese
incredulo dopo qualche passo. “E me lo chiedi?”
“Non è il modo di...”,
iniziò Auron.
“È proprio il modo di
rivolgersi a un tipo a posto, invece.”
Braska sorrise.
“È quello che sei”, continuò
Jecht, con l'entusiasmo che di solito si accompagna a un granello di
commozione e che invece, Jecht essendo Jecht, restava entusiasmo
schietto, calore ed energia.
“Sarebbe un triste mondo, quello in
cui un evocatore non si potesse fidare dei suoi guardiani.”
“Lasciarmi indietro l'altra volta è
stata una scelta tutta vostra, non mia.”
“Mia, mia! Me ne assumo ogni
responsabilità”, disse Braska. “Come
avrei dovuto fare
davanti al tempio. Puoi capirmi?”
“E Yevon comanda”, recitò
Auron per completezza, “che il sacro viaggio sia compiuto da
un
corpo e da uno spirito; così il guardiano è
braccio e
voce del suo evocatore e, se pecca, entrambi avranno peccato; se
pronuncia il falso, entrambi avranno mentito; ma se il suo agire
è
degno del ruolo di cui è stato investito, due saranno i
raggi
di speranza sul nostro mondo corrotto dal peccato.”
“E se starnutisce, saranno
raffreddati entrambi? Bada che questa avrebbe anche senso...”
“Oggigiorno nessuno prende le
Scritture così alla lettera, ma è pur vero che
sarei io
il responsabile di danni da voi arrecati.”
“Quindi, visto e considerato che ho
abbattuto un dannato shoopuf, ti sei detto 'ehi, tanto una
più
grossa di così non la può combinare' e
via?”, chiese
Jecht con una punta di amarezza. Più apriva gli occhi su un
mondo che non era fatto solo per adorarlo e più si scopriva
un
idiota. La sensazione non era piacevole; quello sgangherato trio,
l'unica consolazione.
“No, anche se si può dire che
la povera bestia vi abbia giocato un ruolo importante. Mettiamola
così, Jecht: io mi fido di te. Non mi fido dell'alcool che
ti
guidava fino a qualche giorno fa.” Sospirò.
“Mi fido dello
sportivo. Mi fido della persona che da allora ha sperimentato cosa
significhi realmente una vita che dipende dalla sua. Così
oggi
mi seguirai al tempio, perché il pellegrinaggio è
di
un'anima e un corpo e giungeremo da pari a Zanarkand o non vi
giungeremo affatto.”
“Ben detto”, approvò una
voce infantile dentro la sua testa, talmente esile che si confuse fra
altri pensieri.
“Ritiro: sei dannatamente a
posto, capo”, le fece involontariamente eco Jecht.
“Se fossimo a
bordo campo, con un discorso del genere avresti già la
squadra
in tasca.”
“Fosse così semplice.”
“Parola mia, chi ti ha sbattuto fuori
ha perso un ingaggio.”
Risero.
Auron osservava, in disparte, un mondo
che era stato il suo. Sentì con chiarezza, in quel momento,
di
essere rimasto un passo indietro. Per l'età, si disse, o un
concetto di famiglia condiviso che lui aveva invece respinto con
tutte le sue forze. O una rigidità mentale che gli veniva
spontanea e che fino a quel giorno non gli aveva reso disservizi.
Osservando, vide.
Braska era troppo impegnato nella
conversazione, o troppo fiducioso, o tende davanti agli
occhi,
sono tende davanti agli occhi, per Yevon, l'inutilità di
fregiarsi di quelle vesti se l'hanno cacciato, o forse
è a
questo che servono i guardiani, quando chi è troppo intento
a
guardare oltre l'orizzonte non si accorge di quello che succede al
suo fianco. Ma Auron vide. Vide
Jecht
tendersi come un animale, rispondendo a un richiamo fatto per lui
solo, e prepararsi a scattare. Dove e perché non avevano
importanza: Auron balzò al fianco del suo evocatore, mano
ben
salda sull'elsa della spada. “Lord Braska!”,
gridò,
vedendolo ancora immobile con la coda dell'occhio e pregando che si
preparasse a combattere qualunque pericolo si fosse parato loro
davanti – senza escludere la possibilità che si
trattasse di
Jecht stesso.
Ma Jecht era già altrove. Era
corso via per il sentiero con tutta la forza che aveva nelle gambe,
spiritato e selvaggio.
Sperarono dapprima che avesse visto o
sentito un pericolo davanti a loro, ma non sentirono scontri, solo
passi pesanti che si allontanavano fino a scomparire del tutto.
Lentamente, abbassarono insieme asta e
spada, ancora muti per lo stupore. La strada rimaneva deserta e
silenziosa.
“Jecht!”, chiamarono più
volte, senza risposta. “Jecht! Jecht!”
“Ci ha lasciati... così?
Canaglia...”, disse infine Auron, incerto.
Braska scosse la testa. “Non essere
così veloce a giudicare, amico mio.”
“Cosa devo fare, allora? Accettare
che si sia preso gioco della nostra fiducia solo per andarsene
così?
O che detta fiducia sia stata riposta fin da principio in un
pazzo?”
“Non giudicare. Non abbiamo certezze.
E, credo, neanche lui.”
“Così sia”, si arrese Auron,
in cui la rabbia stava già facendo posto a riflessioni
diverse
e contrastanti su quanto e cosa, di preciso, quella diserzione avesse
incrinato in lui. Appoggiarsi al giudizio di Braska era la via
d'uscita più semplice. “Da dove
iniziamo?”
“Cosa?”
“Le ricerche”,
rispose stupito.
L'evocatore chiuse gli occhi e il
pesante copricapo che portava scivolò in avanti sulla sua
fronte aggrottata.
“Mio Lord?”
Dovette attendere molto prima di
ricevere risposta.
“Parli come un buon soldato e
compagno di viaggio. Ma questo non è un normale viaggio,
né
una campagna militare. E solo pochi minuti fa gli ho promesso che
saremmo arrivati a Zanarkand insieme...”
“È stato lui a rompere la sua
parte di promessa, mio Lord.”
“Sei lesto a scusarmi”, gli sorrise
Braska, ma la sua voce era bassa e triste. “Mi sono legato a
molte
promesse, sai? Verso Yevon, mia moglie, la mia piccola Yuna. Se
tornassi indietro, farei ancora in tempo ad assolverne molte. Ma
più
vado avanti, più ne stringo... più mi rendo conto
che
viviamo in un mondo che non permette di onorarle. Così ne
resta solo una, la più grande... quella fatta a tutta Spira,
cui non verrò meno. Tutto il resto viene dopo.”
Auron tacque.
“Arriveremo al tempio prima di sera.
Chiederemo di lui, lasceremo istruzioni. Con qualche fortuna, ci
starà già aspettando lì, curato della
sua
improvvisa follia, se di follia si trattava. Non è
più
l'uomo di un altro mondo che abbiamo conosciuto nelle prigioni di
Bevelle: sa qual è la nostra meta e fino a poco fa aveva la
mente abbastanza sgombra da saperla raggiungere. Ho ancora fiducia in
lui.”
“Così sia.”
“Non voglio credere che l'abbiamo
perso”, concluse Braska, con gli occhi sempre chiusi e la
testa
china, un pugno stretto sotto le ampie maniche. “Non voglio
pensarci. Ma non possiamo essere noi a cercarlo. Non possiamo
ritardare il nostro viaggio, non quando ogni giorno può
portare con sé la morte di molti.”
“Centoquarant'anni”, avrebbe
risposto d'istinto Auron. Tanto era passato dall'ultima Calma: certo,
un giorno in più non avrebbe fatto la differenza? Avevano
passato una vita senza partecipare con tanta urgenza al ciclo di
distruzione che avvolgeva Spira. Ma non avrebbe guadagnato che,
appunto, un giorno,
forse due, a cercare
quel pazzo nei campi. Finché Zanarkand si fosse erta
all'orizzonte dei suoi incubi, un giorno in più sarebbe
stato
un misero rattoppo, uno per cui non valeva nemmeno la pena di opporsi
ai suoi principi o ai dettami di una religione lontana, men che meno
al suo evocatore. Avrebbe convinto Braska a non gettare la sua vita o
l'avrebbe sorretto fino all'ultimo respiro.
Quindi tacque.
“Auron?”
“Sì?”
“Rispetto il tuo silenzio. Grazie.”
Sentirono, da oltre l'ultima curva del
sentiero, il canto profondo della Fede riempire la vallata. Il tempio
era vicino.
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*indica l'ultima
frase* Musica!
A presto col secondo capitolo, nella speranza che quest'introduzione abbia destato qualche curiosità. :)
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