That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Chains - IV.029
- Endgame (1)
Jarvis Warrington
Foresta di Dean, Gloucestershire - sab. 22 gennaio
1972
«Hai fatto bene a mostrarmelo:
è una manifestazione della Traccia, seppur molto
debole… »
Fear non disse altro, continuò a massaggiarsi le tempie con
i polpastrelli incartapecoriti, rimanendo in un silenzio assorto per
molto più tempo di quanto avesse mai fatto, infine
sollevò lo sguardo stanco dalla superficie brunita della
Pietra Veggente, per puntarlo su di me: non riuscii a decifrarne
l’espressione. Quando Margareth entrò con
l’infuso d’erbe, il vecchio lasciò
scivolare il palmo sul volto, lentamente, fino alla barba e
iniziò a lisciarla, sovrappensiero. Solo dopo minuti, che mi
parvero eterni, agitò la mano e con un incantesimo
silenzioso chiamò a sé e srotolò
un’altra delle carte di Doire, sul tavolaccio intorno al
quale eravamo seduti. L’alba era ormai passata da un pezzo,
m’infastidiva quella calma, una calma che rasentava
l’indolenza, il sangue mi bruciava dentro, volevo agire: quel
segno aveva un solo significato possibile, era la Traccia di un bambino
del Nord. E c’erano solo due bambini, al momento, fuori dalle
Terre, senza un motivo legittimo. La Traccia era di uno dei figli di
Alshain Sherton: volevo partire al più presto per ritrovarli
e riportarli a casa.
Il fumo aveva ormai smesso di sollevarsi in ipnotiche spire quando Fear
colpì il ciondolo che gli avevo portato e con
l’opportuno incantesimo lo fece librare per aria, ne seguii
le oscillazioni sopra la carta, ammaliato: era un piccolo Triskell che
ruotava impazzito su se stesso, talmente rapido e lucente da ricordare
un boccino. Non era d’oro, era molto più prezioso:
secondo la leggenda, durante il dominio sulle terre del Ross, i
Vichinghi, per ordine della loro Völva, presero in ostaggio
alcuni dei nostri figli, nel tentativo di soggiogare la Confraternita.
Hifrig Sherton chiese aiuto a Salazar, il quale impose un incantesimo
alla propria spada, con la sua lama incise i palmi delle Streghe del
Nord e ne raccolse il sangue, ne aggiunse un po’ del proprio
e mescolò il tutto all’argento, infine, con
quell’intruglio, forgiò il Triskell. La Magia del
Sangue rintracciò i bambini e Salazar li portò in
salvo e mentre la Confraternita scatenava implacabile la propria
vendetta sulla feccia, sterminandola, Hifrig uccise la Völva
con la spada di Salazar. Da allora ogni Signore di Herrengton difendeva
la Confraternita con la Spada di Hifrig e teneva il Triskell con
sé o l’affidava al proprio custode: erano passati
quattro secoli dall’ultima volta che entrambi erano stati
utilizzati. Avevo ricevuto il ciondolo da Alshain Sherton la notte in
cui Fear era partito con Mirzam e Sile, in esilio forzato,
l’avevo consultato di continuo, giorno e notte, da quando i
piccoli Sherton erano spariti, ma non avevo mai trovato conferma alla
speranza che fossero ancora vivi. Fino a quella notte.
Di ritorno a Inverness, dopo una visita alla mia famiglia, nascosta nei
dintorni di Calanais, nel cuore delle Terre del Nord, avevo sentito per
un istante il ciondolo farsi rovente sul mio petto: sapevo quale fosse
il significato, ma avevo bisogno delle Carte di Doire per identificare
il luogo da cui proveniva il segno e dell’esperienza e del
consiglio di Fear su come comportarmi. Mi ero Materializzato nei pressi
della grotta, nella foresta di Dean, in cui si rifugiavano, avevo
trovato Margareth di guardia e il vecchio impegnato a studiare le
Carte: da quando si erano separati da Mirzam e Sile, si erano mossi di
continuo, facendo anche tre incursioni nel Wiltshire, con le sembianze
dei due fuggiaschi, nella speranza di portare il Lord a fare una mossa.
Margareth si avvolse nel mantello e si avvicinò, passando
appoggiò la mano gelida sulla mia spalla e andò a
sedere di fronte a me, alla sinistra del vecchio, accanto al fuoco.
«Una volta capito dove si
trovano, cosa facciamo? Avvisiamo il resto della
Confraternita?»
«Agiremo da soli, Margareth:
non sappiamo se ci sono altre spie… Inoltre, anche ammesso
siano tutti leali, non si deve sapere che voi due siete qui e che state
impersonando Mirzam e Sile.»
«In tre non possiamo farcela:
se c’è uno Sherton, quel nascondiglio
sarà ben protetto… »
«Dovremo bastare, Margareth:
se raccontassi al Consiglio tutto ciò che so, si capirebbe
che ruolo svolgo per Sherton e in che rapporto sono con voi…
a quel punto sarei del tutto inutile… »
«Saresti inutile anche da
morto, Warrington! Tu hai solo troppa paura di coinvolgere i
tuoi!»
«Solo un folle non avrebbe
paura di mettere in mezzo la propria famiglia, Margareth! È
una trappola: il Daily ha parlato degli avvistamenti nel Wiltshire,
Milord si chiederà se Mirzam è davvero tornato!
Ed ecco la Traccia… un’esca perfetta per spingere
Sherton a fare una cazzata!»
«Non è quanto
volevamo facesse? Stai forse suggerendo di tirarci indietro, proprio
adesso?»
«Da quando “agiamo da
soli” significa “tiriamoci
indietro”, Margareth?»
«Basta azzuffarvi, voi due!
Milord ha fatto ciò che ci aspettavamo e ci auguravamo, ora
abbiamo la certezza che almeno uno dei bambini è vivo, non
esiste Magia, Oscura o meno, capace di simulare una Traccia del Nord!
Noi lo riporteremo a casa, qualunque sia il prezzo da pagare.
Ciò detto, Milord non è uno sciocco, sa che a
tentare il salvataggio non sarà Mirzam, non da solo:
sfrutterà l’occasione anche per saggiare le nostre
forze, per capire chi siamo, quanti siamo, se la Confraternita
è divisa. Dovremo fare in modo di fornirgli quante meno
informazioni possibili!»
«Se fosse una trappola per
catturare voi, Maestro? Le vostre conoscenze, i nostri
segreti… »
«Temo non abbia più
bisogno di me, per conoscerli… »
Fear scattò in piedi, si mosse veloce attorno al tavolaccio
mentre noi rapidi ci tiravamo indietro, infine si protese, il naso
storto a pochi centimetri dalla carta, gli occhi fissi. Era
già pallido, sbiancò completamente, quando
riprese a parlare, la voce era tanto debole e lontana, da non sembrare
la sua.
«Salazar, non è
possibile… questo non è… non
può averlo trovato… non…
lui… »
Mi avvicinai e mi chinai anch’io sulla mappa, sul punto
indicato dal Triskell che, librato a mezz’aria, ruotava su se
stesso, lento, perpendicolarmente alla costa del Cornwall. Un brivido
mi percorse la schiena quando capii che puntava su un luogo mistico e
leggendario per la Confraternita: Mên-an-Tol. Fissai Fear,
incapace di proferire verbo: le conseguenze del tradimento di Kenneth
Emerson ora apparivano più spaventose di quanto avessimo mai
temuto o compreso.
«Non ci credo, Fear! Quel
luogo non esiste! Siete persino andati a cercarlo, tu e
Sherton!»
«Che c’è
ora? Cosa dovrebbe esserci di tanto sconvolgente e spaventoso
a… Mên-an-Tol?»
Margareth aveva la sua classica espressione impudente e scettica, ci
guardava sempre come due idioti presi da quisquilie di scarsa
importanza quando Fear ed io ci infervoravamo su faccende della
Confraternita. Doveva credere che fosse uno di quei momenti. Di colpo
ammirai Mirzam che, in quelle settimane stressanti, era riuscito a
viverle vicino senza provare a ucciderla, non doveva essere stato
facile, per lui che, quando non faceva il pazzo, prendeva tutto molto
più seriamente di me.
«La grotta scomparsa, in cui
gli antichi Daur trovarono la Fiamma di Habarcat, uno dei tre segni del
benvolere del dio Lugh; lì fu venerata e protetta fino alla
Diaspora quando fu estratta e il Venerabile delle Innse Gall, in groppa
al suo Nero delle Ebridi, la nascose nelle Terre del Nord…
»
Recitai a memoria, i peli ritti sulla schiena, lievi gocce di sudore
freddo m’imperlavano la fronte, mentre Fear restava muto e
attonito e Margareth lo guardava preoccupata, come se fosse malato.
«Jarvis, non sprecare
tempo… raccontale la parte più…
interessante… »
«Nella grotta… un
Mago del Nord può guarire se malato o ferito… ma
non può eseguire incantesimi offensivi potenti, neanche per
difendersi… »
«E perché
mai?»
«Perché, nei tempi
antichi, le tribù in lotta tra loro provenienti da
Britannia, Gallie e Irlanda, si riunivano lì per venerare
Habarcat e spesso accadevano incidenti e scontri sanguinosi. Per
evitare che le celebrazioni dei Sabba diventassero
l’occasione per sprecare prezioso sangue magico, i saggi
imposero degli incantesimi infrangibili, che proteggono ancora oggi
quel luogo… »
«Il Lord ci attirerebbe in una
grotta in cui non possiamo nuocerci a vicenda?
Perché?»
«No, lui non appartiene alla
Confraternita, Margareth, lui non ne subisce gli effetti…
»
«Lui non ne subisce gli
effetti? Non capisco… »
«Questa è la parte
dell’informazione che il resto del Mondo Magico non
conosce… uno dei nostri segreti che il Ministero
sfrutterebbe volentieri contro di noi… Morvah e gli altri
luoghi citati nelle Carte potenziano la Magia di Habarcat, rendendola
intoccabile per chi non ha le Rune, e a subirne gli effetti…
positivi e negativi… sono solo i Maghi che portano le
Rune… »
«E perché dei saggi
avrebbero imposto una simile sciocchezza che di fatto vi rende
inermi?»
«Non immaginavano, Margareth,
che i conquistatori babbani avrebbero dilagato in tutta Europa, che i
Daur sarebbero stati costretti a scegliere tra morire, integrarsi o
fuggire. Noi fuggimmo e ci salvammo, integri nel corpo e nella Magia,
ma gli altri… Nessuno poteva immaginare che un giorno parte
dei Maghi avrebbe rinunciato alle Rune! Dopo la Diaspora, invece, al
sud e sul continente si scatenò la furia dei Babbani, la
Fiamma conservata in Irlanda fu distrutta, quella dell’Est
trafugata, il sacrario di Habarcat fu devastato, i nostri boschi dati
alle fiamme, fu eretta una chiesa cristiana nei pressi del pozzo, nel
tentativo di spezzarne la Magia e di tenerci alla larga. I Maghi furono
perseguitati ovunque, subirono esecuzioni di massa, i superstiti si
nascosero e la paura finì con il cambiare la loro natura.
Per sopravvivere, rinunciarono alla tradizione, per essere meno
riconoscibili rinnegarono le Rune, i riti del Sabba presso i cerchi di
pietra, le nostre divinità pagane, iniziarono a contenere la
Magia, a esercitarla solo con l’ausilio della Bacchetta,
s’interessarono più che altro alle Arti
pozionistiche, alla Divinazione, all’Astronomia, arti che
affascinavano i Babbani, che li assoldavano per arricchirsi.
Rinunciando alla Magia Antica, al rapporto con la Natura, hanno smesso
di alimentare il riflesso della Fiamma che portano dentro di
sé. Sono sordi a Habarcat, senza le Rune, per questo quella
grotta non ha più il potere di curarli... »
«... al tempo stesso,
però, non limita più il loro potere…
»
«Basta perdere tempo,
Warrington! Emerson ci ha tradito, confidando questo e
chissà quali altri segreti al Signore Oscuro! La scelta di
quel luogo non è stata “casuale”,
sanno che lì siamo “quasi”
del tutto inermi, in quella grotta può trattenere non solo i
bambini, ma anche Alshain!»
«E perché non siete
andati a cercarlo lì, allora? Sembrerebbe la scelta
più scontata!»
«Per tutti noi, Margareth,
quella grotta è ormai solo un luogo distrutto, perduto, come
il diadema di Rowena per i Ravenclaw, una leggenda… nei
secoli, tutti l’hanno cercata, ma nessuno ha mai scoperto
dove fosse: Alshain ed io siamo stati a Morvah pochi mesi
fa… invano… »
«Evidentemente il Signore
Oscuro ha saputo cercare meglio di tutti voi!»
«Il Lord ha avuto solo
più… fortuna… nel trovare la persona
capace… di farsi corrompere!»
Fear rivolse a Margareth un’occhiata feroce, lei non distolse
lo sguardo, fiera. Io fissai la carta, mi chiesi cosa potessimo fare:
opporsi al Signore Oscuro era follia già in condizioni
normali, stavolta poi… per avere
un’opportunità, dovevamo attirarli fuori da una
grotta che non sapevamo neanche dove fosse. Con un brivido, compresi
che quello sarebbe stato il giorno del nostro suicidio.
«Dobbiamo perlustrare
l’area, trovare l’ingresso di quella dannata grotta
e scoprire com’è difesa, useremo Incantesimi di
Disillusione, non è roba offensiva. Se il problema
è solo la grotta, voi due mi coprirete le spalle restando
fuori ed io entrerò, posso farlo, non sono una Strega del
Nord, conosco i vostri incantesimi ma non sono Pureblood e non ho le
Rune, dovrei essere come loro, se ho capito bene: giusto? Inoltre non
credo che Milord si aspetti che seri Maghi del Nord come voi due si
presentino insieme a misera “feccia”
come me… »
«Non è il momento
di scherzare, Margareth! So che ti senti in debito, ma tu non
entrerai!»
«Certo che lo farò,
Jarvis! Se ben ricordi, è stato proprio il Maestro a dirti
che, “pur con un quarto d’immondo sangue
babbano” sono sfuggita indenne al potere di Habarcat a
Herrengton!»
«Certo, perché tu
hai il sangue di Orion Black nelle vene!»
Sentii le unghie della Strega graffiare il legno, appena pronunciai
quel nome, un nome che da sempre era tabù, in presenza della
ragazza. Fear si limitò a schiarirsi la gola e rivolgermi
un’occhiataccia. Margareth rimase immobile,
l’espressione indurita, lo sguardo sprizzava odio.
«I Black non fanno parte della
Confraternita e mi risulta che si vantino di essere
Pureblood!»
«Non far finta di non sapere!
Ci hai spiato quando Fear mi ha spiegato la sua teoria, tu parli dei
Black rimasti nel sud, mai entrati in contatto diretto con noi; ma sai
che un Mago di Zennor, Daghall il Nero, raggiunse le Terre del Nord,
dopo la Diaspora, e che in realtà era un Black: la famiglia
che generò visse al nord e si unì alla
Confraternita, nei secoli si è estinta, certo, ma solo nel
ramo maschile. Tuo padre è figlio di una MacMillan: il
sangue dei Black “scozzesi”
scorre ormai solo nelle vene di quella famiglia, quindi anche in te.
Non puoi sapere come reagirai nella grotta!»
«Non sarà la tua
paura a fermarmi! E non mi sembra che tu abbia idee migliori della
mia!»
Mi voltai verso il vecchio, in una tacita richiesta di aiuto per farla
ragionare, lui era l’unico che poteva riuscirci, ma Fear era
immobile e muto, immerso nella contemplazione della mappa, le mani
strette dietro la schiena, gli occhi socchiusi, distante, come se non
avesse ascoltato mezza parola.
«Maestro… vi
prego… convincetela… »
«Warrington… tu
andrai a Londra… informerai il Ministero… in
particolare quel Moody!»
«Cosa? Coinvolgere il
Ministero? Non pensate a Crouch? Cercherà di catturarvi,
Maestro!»
Fear sorrise, furbo, con un rapido movimento della mano le Carte di
Doire si cancellarono e riarrotolarono, le Pietre Veggenti mutarono la
propria natura e si rinchiusero nel bagaglio e il Triskell mi
volò in mano. Mentre il resto dei bagagli si ricomponeva e
si celava con un incantesimo di Disillusione ai piedi della quercia
dinanzi a noi, Fear si erse in tutta la sua altezza dinanzi a me.
«Gli uomini del Signore Oscuro
penseranno ai Ministeriali, Jarvis, e mentre lo faranno, non penseranno
a noi. Voglio tutto l’“aiuto”
che riuscirai a trovare a Londra, non sacrificherò sangue
della Confraternita a Morvah nel tentativo di sbarazzarci del nemico;
mentre loro si combattono, troveremo ed entreremo nella grotta aiutati
da qualche Aurors, basterà dire loro che pensiamo che
Habarcat stia per essere consegnata al Lord, Crouch non
esiterà. Voi due porterete via gli Sherton, prima che lo
facciano loro. Milord sarà lì, io lo
attirerò su di me mostrandomi come Mirzam…
»
«Ma potrebbe uccidervi,
Maestro! »
«Probabile, anche
se… nessuno dei due conosce il vero potere
dell’altro… e Milord non ha interesse a uccidere
né me né Mirzam, prima di avere ciò
che vuole… ci vediamo a Morvah! Vai!»
***
Rabastan Lestrange
Hogwarts, Highlands - sab. 22 gennaio 1972
«Perché siamo
saliti quassù? Non ti è bastata la serata di
pulizie con Pringle, giovedì?»
«Rilassati Rosier, non
attenterei mai alla tua
“virtù” in un posto tanto
indegno delle tue “grazie”!
Anche se, ora che me l’hai ricordato, dopo la disinfestazione
profonda dell'altra sera… in realtà…
potrei farci un pensierino! Ahahah… »
Mi voltai a osservarlo, ghignando: piega disgustata sulle labbra, occhi
fissi a terra, capelli spettinati dalla corsa, Evan neanche mi
ascoltava, impegnato com’era a saltellare in punta di piedi,
come un idiota, nell'arduo tentativo di non pestare escrementi di gufo
sul pavimento ricoperto di segatura. Eravamo nella torre della Guferia,
la gelida luce del mattino invernale era già stata soffocata
dall’ombra di nubi fosche, scese rapide dalle montagne, a
infrangere la timida speranza di una giornata di sole;
all’improvviso, il rintocco della campana, dalla torre
dell’Orologio, squassò l'aria, segnando le nove e
trenta, Rosier sobbalzò nella penombra, un “maporcaputt”
strozzato a decretare il fallimento della missione “scarpe
pulite”. Scoppiai a ridere come un folle, e gli
insulti di Evan, intervallati a incantesimi “Gratta e
Netta”, mi fioccarono addosso.
«Siamo molto spiritosi, oggi,
vero Lestrange?»
«Che cosa pretendi? Non ho
iniziato io, con le battute sceme in Sala Grande... o
sbaglio?»
La penombra non gli permise di vedere l’occhiataccia che gli
rivolsi ma non gli sfuggì il tono aspro della mia voce: la
mano gli scivolò verso la bacchetta e si fermò
solo quando incrociai le braccia, ostentando falsa
tranquillità. Evan Rosier non era un idiota, mi conosceva,
sapeva che non perdonavo neanche le sciocchezze e che ero solito
attaccare quando il nemico pensava di averla fatta franca, per questo
sarebbe stato in guardia. Alla fine, però, anche lui avrebbe
subito l’umiliante lezione che pregustavo di dargli.
Desideravo farlo, pertanto… era deciso: non aveva scampo.
«Non ti capisco, non
più tardi di due settimane fa, parlavi ridendo del cavaliere
e del pazzo assassino. Godi da mesi a giocare a gatto e topo, e ora?
Avrebbe smesso di essere un gioco?»
«Già,
chissà come mai… Hai dimenticato che, nel
frattempo, mio padre ha tirato le cuoia?»
Aprì la bocca per scusarsi ma non trovò le
parole, deglutì nervoso, a disagio per
l’argomento, io sogghignai, vedendolo imbarazzato e contrito;
Evan mi osservava furtivo, tentando di capire e anticipare i miei
pensieri ma non poteva riuscirci, neanche lui che era il mio migliore
amico, perché, al contrario di me, era solo il “frutto sano e normale
di un’orgogliosa famiglia Slytherin, sana e normale”.
«Mi dispiace, lo
sai… le condoglianze che ti ho fatto, però, non
erano pura formal… »
«A me no, non
dispiace… non me ne frega un cazzo di quel bastardo,
anzi… sono felice che si sia tolto dai coglioni! Lo sai, sei
l’unico… al quale ho detto che pezzo di merda
fosse mio padre!»
«Festeggia, allora! Da quando
ti conosco, hai sempre ripetuto che l’avresti fatto con le
tue mani, se solo avessi potuto! Ora sei libero, libero e ricco!
Festeggia, no? Di cosa ti preoccupi?»
Colpii col palmo la tasca della giacca, la lettera di Rodolphus
produsse un rumore di carta sgualcita.
«C’è
Rodolphus, ricordi? E tre lunghi, fottutissimi anni, prima di essere
legalmente libero anche da lui… In questi tre anni, Merlino
solo sa cosa potrebbe accadermi, lo conosci mio fratello!»
«Non penserai che Rodolphus
possa… ma dai… sei suo… »
«… fratello?
Sì… esatto! E mio padre era… guarda un
po’… suo padre. Dico bene?»
Lo guardai di sotto in su, un ghigno sporco sulle labbra: Rosier mi
fissava preoccupato, sapeva che non ero mai andato d’accordo
con Rodolphus, ma da mesi gli parlavo del mio progetto di entrare nella
cerchia del Signore Oscuro e di come mio fratello, stranamente, mi
avesse promesso non solo di non ostacolarmi, ma di addestrarmi per
essere all'altezza delle aspettative del Lord. Quella lettera, invece,
buttava al macero le promesse e gettava su tutto il mio futuro un velo
d’incertezza.
Rosier era preoccupato per me ma era anche implicato in prima persona:
combattere era anche il suo desiderio ed io gli avevo proposto di
affrontare quell’impresa insieme, benché a volte,
quando si comportava da coglione, temessi di aver commesso un errore,
confidandomi e coinvolgendolo. All’inizio ero sospettoso, un
moccioso amato e vezzeggiato come lui non poteva sapere nulla della
rabbia che provavo io, col tempo, però avevo scoperto che la
rabbia non era l’unica molla che spingeva verso la causa di
Milord, c’erano, tra gli altri motivi, anche il disgusto e
l’ambizione. Entrare nelle fila del Signore Oscuro, per
esempio, era un modo per sfuggire alla vita inutile, fatta solo di
cene, balli, matrimoni combinati, figli nati troppo presto, ricchezze
accumulate per riempire forzieri già colmi, imposta a molti
di noi dai decadenti costumi delle nostre antiche e annoiate famiglie.
Rosier mi parlava spesso, nauseato, dei progetti dinastici che suo
padre aveva già fatto su di lui, del suo sogno di opporsi a
quella vita sprecata, priva di ambizioni ed emozioni, della sua
volontà di riscattarsi, nelle fila del Lord, impegnandosi
per la rinascita della Magia. Quando raccontava che avrebbe lavato nel
sangue le turpitudini che avevano reso i Maghi una masnada di
rammolliti gli s’illuminavano gli occhi, io lo ascoltavo,
all’inizio irridendolo, non era credibile, uno come lui, che
parlava di sangue, morte e distruzione, poi però, anche se
non l’avrei ammesso nemmeno sotto tortura, mi ero reso conto
di quanto fosse convinto e avevo iniziato a stimarlo.
«Insomma, tuo fratello non ti
aiuterà più e tu finirai come me a gestire affari
di famiglia!»
«Lui mi aiuterà,
fidati! DEVE presentare devoti veri, dopo la figuraccia fatta con
Sherton!»
«Salazar… pensa se
la mocciosa ti sentisse adesso… ahahahah…
»
Portai l’indice alle labbra, intimandogli di non parlarne
più. Mi accostai alle feritoie, tornai a guardare in basso,
mentre la neve, lenta, riprendeva a cadere: si poteva controllare il
cortile d’ingresso della scuola senza essere visti, da
lì, per questo ero corso in Guferia. Avevo già
osservato Meissa Sherton deviare dal percorso verso i cortili, in cui
si teneva lezione di Volo, per avvicinarsi al porticato, con un brivido
lungo la schiena, avevo ammirato le chiome dorate di Narcissa Black far
capolino da dietro una colonna. Poco dopo, a rovinare tutto, come al
solito, era apparso mio fratello.
Avevo ricevuto quella sua dannata lettera a colazione, Rosier era
passato alle mie spalle e mi aveva spiato mentre inorridivo leggendo la
seconda pagina, da lì aveva cominciato a sfottermi in Sala
Grande, dicendo a tutti che Rodolphus aveva deciso che dovessi
contribuire allo sviluppo dinastico della famiglia Lestrange quanto
prima, il che significava che si sarebbe “preoccupato di
trovarmi LA fidanzata”. Avevo accartocciato la
lettera e mi ero scagliato contro Rosier, legnandolo per bene lungo i
corridoi e in Sala Comune, per sfogarmi e, soprattutto, per perdere
tempo: Rodolphus voleva vedermi quella mattina, al termine della
colazione, davanti all’ingresso, sarebbe venuto a scuola per
chiedere a Dumbledore di farmi partecipare al funerale di nostro padre,
l’indomani, in Francia.
Come se vibrassi dal desiderio di lasciare i miei amici per partire con
te e quella stronza di tua moglie, incontrare insulsi parenti
cerimoniosi e stucchevoli quasi quanto quei damerini dei Malfoy e
produrmi con tutti voi in un piagnisteo falso, dinanzi alla bara vuota
di un bastardo!
Fuggire in Guferia non era risolutivo ma la prospettiva di mandargli a
puttane i piani della giornata e farlo incazzare come una iena mi
allettava, avrebbe capito che non mi sarei sottomesso docilmente e che
parlare con lui, prendere accordi con lui, andare in Francia con lui
non era esattamente il primo dei miei desideri. Io non volevo proprio
avere nulla a che fare con lui!
Credi di aver ereditato, con il titolo di Lord Lestrange, il diritto di
mettermi un guinzaglio al collo? Beh, ti sbagli di grosso, stupido
buffone! Vieni, fratello, vieni… te la farò
vedere io! Subito!
Evan si grattò la corta peluria rossiccia che si lasciava
crescere sul mento da qualche tempo, si avvicinò alle
feritoie, pensieroso, affacciandosi a poca distanza da me,
l’inconfondibile odore di sapone misto ai residui di tabacco
rubato a suo padre mi riempì le narici, ma riuscii comunque
a percepire anche il profumo sottile della sua pelle accaldata. Studiai
il suo profilo, di sottecchi, gli occhi chiari che brillavano sotto le
ciglia folte, la curva ironica delle labbra e la linea irregolare del
naso. Risalii con le dita fino alla base del suo collo, tenendomi a
mezz’aria, sarebbe sobbalzato come un gatto, se
l’avessi toccato. Ghignai, Evan non se ne accorse, preso
dalla scena sotto di noi.
«Guarda! Malfoy ha un piano da
proporre a tuo fratello o sta facendo una delle sue spiate?»
Mi ridestai dagli strani pensieri su Evan e sghignazzai: Lucius Malfoy
era un buon argomento per tornare presenti a se stessi. Aveva raggiunto
Narcissa e gli altri sotto il porticato, ma non era per la sua
fidanzata che si era presentato lì: quando le due Streghe
erano corse a lezione, non si era congedato educatamente da mio
fratello, anzi, da diversi minuti erano presi in un colloquio fitto
fitto, che, conoscendo entrambi, doveva essere incentrato su qualcosa
di piuttosto losco.
«Dev’essere
più coglione di quanto sembri, se pensa di fare affari con
tuo fratello!»
«Malfoy è un
coglione, Evan, ma non va sottovalutato: mio padre diceva che il
doppiogiochismo è connaturato nei Malfoy come i ridicoli
capelli da Veela che hanno in testa e che Abraxas addestra il suo
cucciolo a cogliere in ogni occasione un vantaggio per se stesso...
Lucius in questa scuola è “occhi e
orecchi” di suo padre… e suo padre
è molto vicino al Signore Oscuro… lo terremo
d’occhio… Hanno finito, Malfoy se ne va, guarda
che sorrisetto viscido! No, non mi piace! Alla fine, però,
vedrai, Lucius non sarà tanto allegro quando
scoprirà che lo tengo per le palle!»
«Hai deciso di usare la famosa
carta segreta pescata la sera del fidanzamento, Lestrange?»
Scoppiai a ridere e gli circondai le spalle con un braccio, in un
impeto d’improvvisa ilarità.
«Ho capito! Hai ideato IL piano, quello
capace di fargli venire i capelli ricci! Ahahahah…
»
«Ho sempre un piano, Rosier,
ma quello che mi si sta formando in testa adesso…
sarà molto… molto divertente… A te va
di farti due sane risate alle spalle di quel pallone
gonfiato?»
«E me lo chiedi, Lestrange?
Guardalo! Sembra uno dei suoi dannati pavoni albini!»
«Bene, allora ho trovato
l’unico elemento che mi mancava… il “degno
compare”… »
***
Jarvis Warrington
Ministero della Magia, Londra - sab. 22 gennaio
1972
Erano quasi le dieci di sabato mattina e il Ministero non era ancora in
pieno fermento. Uscii da uno dei camini dell’Atrium con
l’aspetto e la bacchetta di Gwryon Williams, un Mezzosangue
gallese sulla ventina che avevo incontrato nel bosco di Twyn-gwyn Wood,
alla mia terza Smaterializzazione dalla Foresta di Dean. Era talmente
sbronzo e derelitto, dopo una notte di bagordi in un pub babbano, da
non riuscire a tornare a casa, nei pressi di Pembroke, dove, per un
incredibile colpo di fortuna, viveva da solo. Mi ero offerto di
accompagnarlo e, una volta sul posto, il suo delirio alcolico mi aveva
permesso di sottrargli senza Magia capelli, bacchetta, e una firma su
un modulo per richiedere una “squadra
disinfestazione” al dipartimento Creature
magiche: dopo avermi conosciuto, infatti, Williams era convinto di
avere la soffitta infestata da Doxy. Ghignai.
Passata la pesa della bacchetta, m’infilai in uno degli
ascensori: stando alla recita, mi sarei dovuto fermare al quarto
livello per cercare lo “Sportello
per le Consulenza Flagelli”, ma a me interessava
il secondo, dove c’era il Quartier Generale degli Aurors.
Mentre l’ascensore si apriva e la luce piena di una falsa
finestra mi colpiva a tradimento, strinsi un pezzo di carta che avevo
in tasca come se fosse il foglio di scarcerazione da Azkaban, svoltai
l’angolo e aprii un portone a doppio battente. Mi trovai in
un enorme open space pieno di cubicoli ancora semi vuoti, al punto che
con un po’ di accortezza, nonostante l’indecisione,
riuscii a muovermi fino a quello più grande sulla cui porta
c’era scritto “Quartier
Generale Aurors” senza essere notato e fermato
da nessuno. Spinsi la porta semi aperta ed entrai, c’erano
altri cubicoli più piccoli, per lo più vuoti,
camminai facendomi indirizzare dalla voce aspra della persona che stavo
cercando: oltre una porta socchiusa, Alastor Moody stava dettando un
rapporto alla sua penna prendi appunti, camminando in cerchio attorno
alla sua scrivania, lo sguardo fisso a terra e il passo pesante,
leggermente claudicante, sulla fronte un vistoso livido e sulla guancia
un cerotto che non stava a indicare un innocuo scontro col rasoio.
Bussai piano, osservai le pareti tappezzate di manifesti di ricercati,
un Mirzam vestito con i colori del Puddlemere, già visto in
almeno una dozzina di altri cubicoli, mi salutò nervoso.
«Che cosa ci fa lei qui?
Quest’ufficio non è aperto al pubblico!»
Moody si avventò sulla porta, ero sicuro che me
l’avrebbe tirata in faccia, non sapevo se prima o dopo avermi
affatturato in maniera dolorosa. L’avevo visto una sola
volta, il giorno del processo a Williamson, io ero sugli spalti degli
ospiti, lui su quello del Wizengamot, il timore che riuscì a
incutermi in quel momento era dieci volte quello provato
nell’Aula10. Deglutii con difficoltà, estrassi
dalla tasca e gli porsi il foglio, l’Auror non lo
toccò, si limitò a guardarlo a distanza:
riconobbe al volo la calligrafia, non era la prima volta che vedeva e
leggeva qualcosa scritto da me, non da quando avevo convinto Dumbledore
ad aiutarmi a tenere nascosta l’identità
dell’erede.
«Non so chi sia lei
né perché pensa che questo pezzo di carta
dovrebbe interessarmi… »
Moody mi strappò il foglio di mano, lo
appallottolò e gli diede fuoco, mi piantò addosso
quei suoi occhi allucinati, ed io sentii il mio respiro farsi lento e
profondo, come quello di una bestia braccata.
«Lei sa chi sono…
non mi ha mai visto finora, ma sa che…
Dumbledore… »
Mi tirò dentro all’istante in malo modo, quasi
caddi riverso sulla sedia davanti alla scrivania, mentre quella specie
di pazzo chiudeva la porta e cominciava a lanciare Muffliato in tutte
le direzioni.
«Dumbledore sa che non intendo
parlare di cose esterne al lavoro qui al Ministero!»
«Io devo parlarle, qui e ora,
non c’è tempo da sprecare in stupide…
procedure… c’è una…
»
«Non m’interessa
cosa c’è! Sa cosa sta facendo, lei? Sta mandando
tutto a puttane!»
«Senta… »
«“Senta”
lo dico io! Le sue informazioni mi fanno comodo ma non
m’importa nulla di lei, se è così
idiota da andare in giro con quei pezzi di carta in tasca e presentarsi
qui con la sua faccia… »
«Questa non è la
mia faccia, Moody! Mi ascolti, c’è in ballo la
vita di un bambino… lei sa di chi parlo… lei sa
che abbiamo indizi seri… quelle persone non sono
morte… sa che li stavo cercando e ora ho colto un segno che
lo dimostra… la prego, mi aiuti… ho bisogno di
uomini… »
Moody si era rimesso seduto, mentre io mi agitavo camminando avanti e
indietro, fermandomi ogni tanto, sporgendomi sulla sedia per attirare
la sua attenzione. Avrei potuto evitare tutte quelle scene,
perché l’Auror non mi staccava gli occhi di dosso,
l’espressione impenetrabile, le mani impegnate a girare e
rigirare una penna babbana che, ci avrei scommesso, tutto faceva tranne
che scrivere. All’improvviso prese un foglio di carta, sempre
senza staccarmi gli occhi di dosso, buttò giù due
o tre parole e subito il promemoria, dopo essersi librato in aria e
aver ruotato su se stesso come a cercare qualcosa o qualcuno, era
schizzato via a tutta velocità, sopra i divisori, simile a
un razzo.
«Non manderò i miei
uomini da nessuna parte senza saperne di più…
»
«Lei sa già, vi ho
fatto sapere dove andava aumentata la sorveglianza, vi ho sempre detto
che, se uno o entrambi i bambini fossero stati vivi, probabilmente il
Lord avrebbe dato un segno per proporre uno scambio, ho trovato il
segno… lo scambio si può fare solo lontano dalle
Terre!»
«Sempre ammesso che il nostro ricercato numero uno
sia innocente come crede lei… »
Alastor Moody ruotò appena la sedia come se volesse ammirare
meglio l’immagine di Mirzam stampata sul manifesto sopra di
lui, alla sua destra, ma i suoi occhi non si staccarono da me.
«Le prove le ha trovate lei,
Moody, non io… ma se non crede neanche lei in ciò
che fa… »
«Si può essere
innocenti per alcuni reati… e non per altri…
»
«Alastor, mi hai
chiamato?»
Sobbalzai, quando la porta si aprì e un Mago sulla
cinquantina, con brizzolati capelli sparati sulla testa e gli occhiali
tondi, si presentò sulla porta: guardai ostile Moody, quello
appena entrato era l’Auror Potter, che tanti problemi aveva
dato a Mirzam testimoniando di averlo visto uccidere un collega. Mi
alzai, pronto a guadagnare la porta, ma Potter, notando la mia
espressione spaventata, per reazione, si piantò meglio
davanti all’uscio, per impedirmi di passare.
«Tra quelli oggi in servizio,
Potter, quanti possono essere impiegati in un sopralluogo?»
Potter mi soppesò, immaginai il suo cervello alla ricerca di
una relazione tra la richiesta di un sopralluogo e il mio disagio,
guardò Moody, interrogativo, ne colse
l’espressione un po’ esasperata e impaziente,
valutò che non dovessi essere un problema e fece un rapido
calcolo a mente.
«Non più di una
dozzina, sai che c’è quella faccenda dai
Black… »
«Già…
dobbiamo fare da balia al Ministro… proprio oggi…
che bizzarra coincidenza,
no? Crouch non può proprio distaccare nessuno da
lì? Vorrei fare visita a quei posti della lista…
»
Potter dovette capire al volo di quale lista stesse parlando,
perché l’occhiata che tornò a
rivolgermi era molto più sospettosa, mi scrutava
attentamente per fissarsi bene in mente la mia faccia e cercare di fare
opportuni collegamenti. Ringraziai Merlino, di nuovo, per aver
incrociato sulla mia strada un idiota che si stordiva di brodaglia
babbana e aver avuto l’occasione di prenderne le sembianze.
«Anche Crouch è
invitato. Che cosa sta succedendo? Perché ti servono uomini
da mandare in quei posti desolati? Bartemious ha detto di avvisarlo,
sai che gli interessa questa storia… »
Sbuffai, impaziente e sarcastico: certo che Crouch voleva essere
avvertito, godeva all’idea di un nuovo guaio in cui poter
tirar dentro noi della Confraternita, si diceva che volesse candidarsi
come Ministro, immaginavo quale vantaggio sarebbe stato per la sua
immagine, portarci alla distruzione. Dumbledore non poteva
ammetterlo, ma secondo me aveva i nostri stessi timori, per questo mi
aveva consigliato di contattare l’Auror che aveva scagionato
Mirzam, me ne aveva parlato come di un uomo onesto e obiettivo.
Stavolta, però, non potevo andare tanto per il sottile.
Moody mi fissò, la decisione di coinvolgere Crouch dipendeva
solo da me, io non avevo alcuna intenzione di vedere
quell’individuo, ma Fear aveva detto “portami
quanto più aiuto possibile”.
«Signor Potter, ho
informazioni sulla scomparsa di Alshain Sherton e dei suoi
familiari… »
***
Rabastan Lestrange
Hogwarts, Highlands - sab. 22 gennaio 1972
Appena vidi Rodolphus, di profilo, appoggiato a una colonna,
l’aria truce di uno Schiopodo Sparacoda, dovetti fermarmi a
respirare a fondo, per non scoppiare a ridere e rivelare la mia
presenza, lì a pochi metri da lui. Dovetti anche piegarmi,
sghignazzando dentro il bavero, per non tradirmi, non potevo farci
nulla, immaginavo la solennità della sua faccia, la sua
pomposità di fratello maggiore, peggiorata dal “titolo” di
Lord Lestrange, la voce sibilante che mi minacciava.
Salazar… anche se volessi, non riuscirei mai a restare serio
con lui…
Mi strofinai gli occhi, colmi di lacrime, sentii le guance in fiamme:
chiunque avrebbe pensato fosse colpa del freddo, non mio fratello che
sapeva quanto amassi deriderlo, era sempre stato il mio principale “divertimento”
sfotterlo, nei tetri giorni della mia infanzia. Rodolphus
si allontanò dalla colonna, impaziente, riprese a camminare
dandomi le spalle, misurava il porticato con passo marziale, il
mantello che svolazzava per la corrente che saliva dal Lago Nero; con
indolenza estrasse la bacchetta e iniziò a incendiare le
foglie secche infilate nei pertugi più nascosti:
conoscendolo, probabilmente vedeva la mia faccia stampata su ognuno di
quei riccioli rinsecchiti. L’idea era così
realistica, poetica e sentimentale che non riuscii più a
trattenermi e riversai nel cortile deserto l’ululato
selvaggio della mia risata sguaiata.
«Fratello! Che fai? Vuoi
appiccare un incendio “anche” alla scuola adesso?
Ahahahah… »
L’idiota ruotò sui tacchi e mi fissò di
sotto in su, la piega storta della bocca di chi osserva merda di cane;
gli occhi gli balenarono d’ira, forse per la mia
insinuazione, forse solo per il mio ritardo, ma restò
immobile: non avrebbe fatto un passo per raggiungermi, se fosse stato
tranquillo, figurarsi lì, in quel momento, incazzato
com’era per la mia mancanza di rispetto. Soffocai
un’altra risata in un colpo di tosse e lo raggiunsi,
esibendomi pure in una sorta d’inchino cerimoniale, quanto
irridente.
«Milord… »
«Hai finito di fare il
coglione, Rabastan?»
«Ho sbagliato? Credevo si
dovesse fare così, no? Bisogna rispettare
l’etichetta… »
Vidi il respiro interrotto, la piega dura tra le sopracciglia
cespugliose, le mani contratte, tutto in Rodolphus esprimeva
un’esasperazione sul punto di sfociare in rabbia furiosa.
Ghignai: a quanto pareva, nonostante il suo impegno, il “titolo” di
lord non era sufficiente a raffreddargli il sangue.
«Ti avevo scritto di
presentarti qui subito, appena fatta colazione… dove cazzo
sei stato?»
«Mi sono dovuto trattenere in
Sala Comune… »
«Bugiardo! Sei andato non si
sa dove con quel… quel Rosier… »
«E allora?
Cos’è tutto quest’altezzoso disprezzo?
Non è mezza
Rosier, tua moglie?»
«Finiscila, idiota!
Fa’ quello che ti pare con chi cazzo ti pare, ma fatti
sbattere fuori da qui ed io ti rovino! E quando ti do un ordine, tu
scatti, hai capito? Ho di meglio che star dietro a te!»
«Non ti ho chiesto io di
venire a Hogwarts, vivi la tua vita senza farti i cazzi miei,
grazie!»
«Fino alla tua maggiore
età, sono il tuo tutore, pezzo di un imbecille! Senza la mia
firma non puoi venire in Francia con me, domani… o fare
qualsiasi altra cosa richieda la mia firma!»
«E chi ha detto che voglio
venire in Francia con te, domani?»
«Era nostro padre, Merlino
santissimo! Abbi un minimo di rispetto almeno adesso!»
«Parli del tipo di rispetto
che gli hai dimostrato tu, fratello, l’ultima volta che vi
siete visti?»
Gli risi in faccia, fu più forte di me, la mano di Rodolphus
si contrasse violentemente nella tasca, mi stava puntando la bacchetta
addosso, lo sapevo, ed io lo fissai ancora più irridente.
«Non farmi perdere la
pazienza, Rabastan… »
«Altrimenti? Che fai? Cerchi
di bruciare anche me… come… »
I suoi occhi divennero lava ma il volto era pallido ed io ghignai: non
avevo prove ma ero certo che fosse stato lui a uccidere nostro padre e
che l’avesse fatto col fuoco; trovavo strano, infatti, che il
bastardo fosse sparito proprio quando Sherton era stato attaccato a
Londra e, nella sua casa, era stato trovato un corpo carbonizzato che
nessuno aveva rivendicato. E ora, bastava il misto di paura ed
esaltazione negli occhi di Rodolphus per capire che quella non era solo
una mia fantasia.
«… come quelle foglie laggiù?
Ahahahah… »
«Rabastan… te lo
ripeto… non mi provocare… »
Mi avvicinai un po’ di più, ero alto per la mia
età ma ancora gli arrivavo solo alla spalla, mi protesi e
gli sussurrai all’orecchio, la mia migliore voce in falsetto.
«Dai fallo, fallo davanti a
Dumbledore… fallo… poi mi racconti
com’è, finire ad Azkaban!»
«A luglio, Rabastan, devi
tornare a casa… posso rendertela peggio di
Azkaban… pensaci!»
«E tu pensa che hai un
fratello idiota che potrebbe lasciarsi scappare la parola sbagliata,
con la persona sbagliata… »
«Pensi di poter
minacciare… me? Sei andato con quel Rosier, di nuovo, a
fumare roba?»
«Lascia perdere Rosier,
fratello… ti sto solo dicendo in faccia ciò che
penso di te, consapevole della totale impunità che questo
luogo mi garantisce!»
Rodolphus mi scansò dandomi una spallata e portandosi a
distanza di sicurezza, le sue dita si contrassero, si stava impegnando
molto per non prendermi a ceffoni, come amava fare, quand’ero
molto piccolo. Gli unici momenti di felicità, prima di
entrare a Hogwarts, erano stati quando mio padre se ne accorgeva, lo
prendeva per la collottola e lo portava con sé, nei
sotterranei. A Rodolphus poi ci volevano giorni, molti giorni, prima di
ritrovare la voglia di picchiarmi. Ghignai.
«Hai ragione, cazzi tuoi, la
vita è la tua… Rendila merda come preferisci!
Avevo un compito per te, credevo fossi serio quando mi parlavi dei tuoi
interessi futuri… stupido io che ti ho creduto! Non
perderò altro tempo con te, perciò
d’ora in poi non aspettarti più favori da parte
mia!»
Erano parole diverse, ma la tattica era la stessa, suscitare timore e
piegarmi, come identico era il mio desiderio di mandarlo al diavolo, ma
ero pure curioso di vedere cos’altro si sarebbe inventato.
«A proposito dei miei
interessi futuri, Rodolphus… non sono io che ho rotto i
patti… »
«Patti? Quando avrei rotto i
patti, Rabastan? Sei solo un bambino, credi sia tutto un gioco. Questo
non è un gioco, non si parla a vanvera, si deve essere
coerenti, perché non si torna indietro!»
«Sei un lurido
ipocrita… Tu hai altri progetti per me, progetti che io non
condivido!»
«Fammi capire…
Tutta questa piazzata, tutto questo tempo perso, per… ? Solo
perché ti ho parlato del contratto di matrimonio?
È così? Non ci posso credere! Ed io non dovrei
considerarti un moccioso senza cervello? Dovrei fidarmi di te? Dovrei
presentarti a…?»
«Non cambiare le carte in
tavola, Rodolphus! E torno a ripeterlo, impicciati dei cazzi
tuoi!»
«Un giorno potrai avere tutte
le cagne che vorrai, fratello, se è questo che ti
rode… ma tua moglie e i tuoi figli avranno nome e sangue
all’altezza della nostra famiglia… Io ho a cuore
il nome dei Lestrange e, con le buone o le cattive, imparerai ad averlo
anche tu… Quando mi si è presentata
l’occasione, ho fatto quello che reputo sia il bene della
famiglia, perché io non sono un coglione come nostro padre,
che ha fatto un casino, permettendo a Malfoy di prendersi Narcissa
Black!»
Quello fu un colpo basso ed io lo odiai: mio fratello sapeva che
Narcissa era il mio unico, vero, punto debole, sapeva che la sera del
suo fidanzamento mi ero sbronzato e avevo dato di matto… era
stato lui a beccarmi e a rimettermi in sesto, prima che mi scoprisse
nostro padre. Rodolphus vide il mio turbamento e affondò. Il
mio cervello non seppe più dove aggrapparsi, come salvarsi.
«Sai perché ti
volevo aiutare, piccolo idiota? Perché pensavo che
l’idea della vendetta ti avrebbe fatto crescere…
so che certe cose fanno male, quando si è “innamorati”…
evidentemente sei più stupido di quanto immaginassi e non ti
disturba vederla tra le braccia di Malfoy… pensa come se la
godrà, per tutta la vita, alla faccia tua! Forse lo vedi
già… magari li spii e ti fai le seghe quando se
la scopa nel Bagno dei Prefetti o nella stanza del settimo
piano!»
«Finiscila!»
«Fai bene,
fratellino… abbassa la testa, guarda, sopporta…
che cos’altro potresti fare? Dumbledore ti ha pure detto che
alla prossima che combinerai nel castello, ti caccerà, no? A
quel punto cos’altro ti resterebbe? Tornare a casa? A farti
umiliare da me? Io non aspetto altro, lo sai… »
Teneva la bacchetta in mano, ci giocava e la fissava, il volto ora era
compiaciuto, sembrava un gatto felice di aver dato la zampata finale
alla preda, ma io non sarei rimasto all’angolo;
gliel’avrei fatto vedere io, a lui, a Malfoy, a Narcissa che
mi preferiva quel pallone gonfiato, a Dumbledore e a mio padre, ovunque
fosse, giù, scaraventato all’inferno.
«Mentre ti aspettavo, ho visto
proprio Lucius Malfoy… penso che alla fine
l’incarico andrà a lui, visto che qualcuno, qui
dentro, dovrà pur farlo… »
«Che cosa deve fare,
Malfoy?»
«E dovrei dirlo a te? Dopo che
mi hai pure minacciato di parlare? Non sono un coglione! Il Signore
Oscuro ha bisogno di qualcuno che faccia un lavoro nella
scuola… visto che io ho solo un fratello inaffidabile,
l’unica alternativa è che Abraxas…
faccia un altro regalo al suo Lucius… »
Si fissava le unghie, soddisfatto, sapeva che nella mia mente,
fomentata d’odio dall’immagine di Lucius che
affondava nel caldo corpo di Narcissa nel Bagno dei Prefetti, era stato
azzerato qualsiasi altro ragionamento: tutta la rabbia che provavo per
mio fratello, si era spostata, centuplicata, su Malfoy. Non potevo
permettere che, dopo Narcissa, Lucius si prendesse pure il posto che
Rodolphus mi aveva promesso, nella cerchia del Signore Oscuro! Erano
già settimane che, su suo consiglio, avevo raccolto
informazioni all’interno della scuola, non avrei lasciato che
Malfoy approfittasse anche del frutto del mio lavoro!
Inoltre… era ossessionato dall’idea di compiacere
suo padre, perciò, se Abraxas voleva che conquistasse a
scuola la benevolenza di Milord… io mi sarei messo in mezzo.
Solo umiliandolo davanti al padre, infatti, avrei avuto parte della mia
vendetta.
E chissà, se diventassi grande agli occhi di
Milord… le donne di solito cambiano idea, davanti al potere!
Rodolphus godeva del mio turbamento, mi stava manipolando e non lo
sopportavo, ma in gioco c’era tutto ciò che io
desideravo, non potevo negarlo e oppormi, solo per fare dispetto a lui.
«Sai che ero sincero, quando
ti ho parlato dei miei progetti, e che ti detesto, ma non
rinuncerò a ciò che desidero, solo per far
dispetto a uno stronzo come te! Dimmi cosa devo fare!»
«Ubbidireo,
invece del mio guinzaglio attorno al collo, avrai il bastone del Lord tra le chiappe!»
«Smettila con le
stronzate!»
Rodolphus ghignò, mise la mano in tasca ed estrasse una
boccetta, soppesò la mia sorpresa, non era esattamente
quello che immaginavo, lo guardai, aveva assunto
un’espressione seria, professionale.
«Devi versarne cinque gocce
nel bicchiere di Rigel Sherton domattina, prima del mio arrivo: mi
raccomando solo cinque e solo domani… voglio che tu sia
lontano, quando farà effetto… »
«Che cosa gli
farà?»
«Lucius Malfoy non farebbe
domande simili a suo padre… Se hai remore, non sei
adatto… d’altra parte, è il tuo primo
compito, quindi… No, non ti sto chiedendo di uccidere un tuo
amico, ma sappi che gli farà male… Ti crea
problemi sapere che avrà i sensi alterati e potrebbe fare
stupidaggini? Soprattutto se tu sarai bravo e gliela farai assumere
prima dell’arrivo del Daily?»
«Perché? Che cosa
ci sarà sul giornale di domani?»
«Non sono affari tuoi,
fratello… Allora? Ti crea problemi?»
«No… Ho
già fatto scherzi simili ai miei amici… E Meissa?
Non devo darla anche a lei?»
Rodolphus mi guardò e rise, una delle poche risate sincere
che gli avevo sentito in tutta la mia vita.
«Meissa? Oh no, lei
no… Potrai avvelenare o fare qualsiasi altro genere di
nefandezza alla mocciosa solo dopo che lei avrà dato ai
Lestrange un bel maschietto purosangue. Ci siamo capiti?»
Tremai: una volta, intorno a Natale, l’avevo sentito dire con
nostro padre di “prendere
Meissa per costringere Mirzam alla resa”, io
pensavo a un vero rapimento, non avrei mai immaginato a…
«Hai perso la lingua,
fratello? Non ti fa più ribrezzo l’idea che tuo
fratello si preoccupi per te, vero? La mocciosa ti piace, lo so, ti ho
visto andare tutti i giorni a Inverness, dopo
l’incidente.»
«Che cazzo
d’intenzioni hai? Ti avverto… io non
ho… le
abitudini… di nostro padre, chiaro?»
«Meglio così,
perché puoi spaventarla come so che hai già
fatto, ma guai a te se le metti le mani addosso, se le torci un solo
capello e se ti fai espellere da questa scuola! Puoi averla solo se lei
vuole, è quello il segreto con gli Sherton… Tu
farai in modo che sia lei a volere te, chiaro? Se mandi a monte i miei
piani con una stronzata, com’è vero Merlino, io ti
rovino!»
«Perché? Tutto
questo… così… non ha senso…
»
«Perché se ti
fiderai di me e seguirai i miei consigli, fratello…
otterremo entrambi questa e tante altre soddisfazioni…
vedrai… i nostri nemici… cadere…
uno… dopo… l’altro…
»
Mi aveva preso la mano e aperto il palmo poi, uno dopo
l’altro, vi aveva lasciato cadere i tre anelli di nostro
padre, quelli che avevano lasciato tanti segni sul mio corpo di
bambino. Lo guardai, ardevo: anni prima, quando era morta nostra madre,
Rodolphus aveva promesso di portarmeli.
***
Orion Black
Zennor, Cornwall - sab. 22 gennaio 1972
«Non ti avevo consigliato di non essere patetico, Black,
almeno per oggi? Ahahahah… »
Sconvolto e sovrappensiero com’ero, non mi ero accorto che
Malfoy, un sigaro in mano e lo sguardo sornione di un gatto ben
pasciuto, era scivolato silenzioso alle mie spalle, mentre fissavo
assente il giardino divorato dall’oscurità. Ormai
da qualche minuto avevo salutato gli ultimi ospiti, sconcertati quanto
me dall’apparizione del Patronus ministeriale e carichi di
domande su quanto stesse accadendo a Morvah: appena ricevuta la
notizia, due Aurors avevano accompagnato il Ministro a Londra, due
erano rimasti a Zennor, nell’improbabile caso che gli uomini
di Milord lo cercassero a Black Manor, il resto della scorta si era
smaterializzato, con Crouch, per combattere.
«Vorreste seguirci? Non siate
sciocco, Black! Solo un pazzo porterebbe con sé un civile in
una situazione di pericolo! Restate a occuparvi dei vostri ospiti e
lasciateci fare il nostro lavoro!»
Strinsi i pugni. Avevo cercato d’impormi e obiettare ma era
una causa persa e non era mio interesse rallentare i Ministeriali con
una disputa verbale, se in ballo c’era la vita di Alshain,
inoltre… Tremavo ancora, non sapevo se per il terrore o per
la vergogna della mia codardia: quando Crouch aveva posto
l’accento sulla presenza dei Mannari, un brivido mi aveva
scosso nel profondo, rizzando i peli della mia schiena, ed io avevo
perso la mia fermezza. In quell’unico istante
d’indecisione, Crouch si era smaterializzato con i suoi e
Pollux aveva preso le redini della situazione, organizzando con mio
padre la partenza via camino di un gruppo di ospiti, mentre Cygnus,
Alphard, i due Aurors ed io scortavamo gli altri all’esterno,
nel punto più sicuro da cui era possibile smaterializzarsi
velocemente. Avevo vissuto quei minuti concitati come in una bolla
sospesa, non mi rendevo conto di che cosa mi accadesse intorno, la mia
voce pronunciava saluti a persone che neanche vedevo, il pensiero,
l’attenzione erano fissi sull’idea e sulla speranza
celati in quella traccia di Magia del Nord ricomparsa a Morvah. Al
tempo stesso maledicevo me stesso per la mia inettitudine: mi ero
sempre vantato con Alshain delle mie conoscenze di storia e
archeologia, nei primi anni del nostro matrimonio, con Walburga, avevo
intrapreso un lungo viaggio in Medio Oriente sulle tracce dei grandi
Maghi del passato… ciò nonostante, non avevo dato
il giusto peso alle leggende legate a quell’antica
località del Cornwell.
Non
è colpa tua… lo stesso Alshain, dopo esserci
stato, ha detto che sono solo sciocche storielle prive di
fondamento… quanto a tuo padre… perché
perdere le staffe così? Che cosa ne sa?
«… Evidentemente
non si può andare contro la propria natura, vero
Orion?»
«Cosa cazzo vuoi ancora da me,
Abraxas? Perché non te ne sei andato con tutti gli
altri?»
I sussurrati blateramenti di Malfoy, in quel punto appartato del
salone, mi avevano riportato al presente, mi voltai, disgustato: mi
aveva preso per il culo fin dall’inizio ed io, idiota, gli
avevo creduto.
«Non so a che gioco stai
giocando, ma sono al limite dell’umana
sopportazione!»
«E cosa vorresti fare?
Attaccarmi? Qui? Davanti a parenti e ministeriali? Rilassati, Black:
è quasi finita! Lo so, pensi che mi sia preso gioco di te ma
ho solo calcolato male i tempi, ci vorrà ancora un
po’, forse un’ora, poi, come promesso, il nostro
comune amico tornerà tra noi.»
«Non era così che
me l’avevi presentata!»
«Capisco, ti sei offeso, ti
avevo promesso la parte dell’eroe… mi spiace ma
niente gloria per te, oggi, scelta dell’ultimo momento: la
presenza di un uomo da anni chiamato “Cuore di Coniglio
Black” sarebbe stata controproducente
e… sospetta… una volta deciso di coinvolgere
Greyback!»
«Grey… Che cosa?
Stai parlando di… Fenrir… Greyback? Oh Salazar
santissimo… »
«Esattamente lui…
deduco dal tuo pallore e dalla tua agitazione che ne conosci la
fama… ma mi pareva che il Patronus l’avesse detto,
no? Ti dev’essere sfuggito… »
«Salazar… ti
prego… »
«Siamo già al “ti prego”,
Black? Mmmm, Milord lo troverebbe… interessante! Non
temere, Fenrir serve solo a ravvivare la serata: se partecipassi a
certe riunioni, Orion, sapresti quanto è divertente guardare
gli Aurors darsela a gambe, dinanzi al Signore Oscuro! Immaginali sulle
scogliere di Morvah, le conosci, no? Di giorno mettono i brividi, al
buio poi… ripararsi dagli assalti del Lord, tra le pietre
viscide, evitare di cadere infilzati sugli speroni di roccia
sottostanti, illuminati dal quarto di luna… molti
pagherebbero per esserci, per guardare o combattere… di
certo, ammesso ne esca vivo lui stesso, Crouch dovrà cercare
rimpiazzi per oltre la metà dei suoi uomini,
domani!»
Avevo sempre pensato che le scelte di Malfoy fossero dettate solo da
convenienza e profitto, non avevo mai notato il bagliore esaltato nei
suoi occhi morti, mentre parlava di omicidio. Tremai.
«Basta! Sono stanco di te,
delle tue ciance, non capivo perché volessi Crouch in casa
mia, cosa diavolo intendessi ottenere, ma dovevo sapere che era solo
un’altra delle tue pagliacciate!»
«Pagliacciata? Oh no,
no… Crouch DOVEVA
vedere con i suoi occhi i tuoi ospiti, qui, stasera, ed era necessario
che restassero gli Aurors anche dopo la sua partenza, era
fondamentale!»
«Mi hai ammorbato con le tue
fandonie solo per avere un alibi? Lo sapevo! Volevi pararti il culo!
Gli uomini di Milord combattono mentre tu sei qui, un vigliacco
imboscato tra i miei ospiti!»
«Mi fai sembrare
così volgare e meschino, Black! Guardati intorno: sono
l’unico a essermi “imboscato
tra i tuoi ospiti”? Lord Lestrange fa ancora il
galante con la vecchia Irma, tua nipote Bellatrix… non
l’ho mai vista tanto carina e gentile come questa
sera… E hai notato quanti baldi giovani, figli dei nostri
illustri amici, hanno accompagnato i genitori a questa festa? Hai
parlato con Lodge, sai che Crouch sospetta di molti rispettabili
esponenti della nostra società, su molti di quei giovani si
è posato il suo sguardo temibile solo perché
compagni di scuola di Mirzam Sherton! Ti rendi conto? È
stato per il buon nome di un’intera generazione di giovani
Slytherins che Crouch DOVEVA
essere qui, alla festa di tuo figlio, mentre Milord stava dando prova
della sua potenza!»
«Immagino che tu ti compiaccia
della tua voce, mentre dici queste stronzate, vero Malfoy? Non sono
altro! Perché Crouch non è tanto stupido da
pensare che Milord abbia sempre con sé tutti i suoi
Mangiamorte… che utilizzi sempre e solo gli stessi, che
siate solo uno sparuto manipolo… »
«Sparuto manipolo? Oh,
no… non oggi, non per Alshain Sherton, non per un luogo
carico di storia come Morvah, non per Bartemiuos Crouch, non per gli
uomini della Confraternita! Cogli la magnificente carica simbolica che
Milord mette in tutto questo, Black? La Magia del Nord usata contro i
suoi stessi uomini, la grotta di Habarcat resa prigione di un impostore
che si erge a custode e unico detentore della tradizione! Non trovi che
sia… poetico? No, dai, non fare quella faccia, Orion!
Respira! Devi avere più a cuore… la tua salute!
Pensa… Crouch ha visto molti dei suoi “sospettati”
a questa festa, sarà confuso o forse, facendo due conti,
penserà di essere in vantaggio, di avere di fronte solo
pochi uomini… E sbaglierà. Avrà
davanti un’armata più numerosa di quanto abbiano
dedotto i suoi Aurors, non può immaginare le tante, nuove,
inaspettate acquisizioni, frutto del proselitismo praticato anche
all’estero! Milord oggi annienterà le convinzioni
dei Ministeriali, insieme alle loro inutili vite... »
Rabbrividii, non per le sorti degli Aurors, non poteva importarmene di
meno, ma perché era evidente, ormai, quanto fosse vano
sperare di riportare a casa Alshain.
«Tutto lo schieramento di
Milord, contro Confraternita e Ministero… Complimenti,
Malfoy, mi hai proprio ingannato, stavolta… come farebbe a
mettersi in salvo Sherton? Milord sarebbe sputtanato pubblicamente se
Alshain riuscisse a scappare nonostante tante forze in
campo!»
«Chi può dirlo? Un
ottimo metodo per vincere la guerra, Black, è indurre il
nemico a credere di essere in vantaggio…
Pertanto… potresti aver ragione o essere il solito
ingenuo… Ti lascio ai tuoi pensieri, ma invito te e Walburga
a cena, mercoledì, per festeggiare il nostro comune
amico… sai… di recente ho… acquisito…
delle casse di Malvasia… annata superba, davvero
superba… »
Si diresse lezioso al divano sul quale i miei cognati parlavano con mio
padre, uscii in giardino, passandomi un dito nel colletto, rabbrividivo
e sentivo la pelle bruciare, tutto mi sembrava confuso e sfuocato.
Nella mente riecheggiò la risata divertita di Alshain ad
Amesbury, l’inverno precedente, mentre mi mostrava, eccitato,
delle casse di vino babbano ed io mi ostinavo a ripetere che non avrei
mai bevuto brodaglia creata dalla feccia; Alshain aveva preso una
bottiglia, aveva versato il liquido rosso rubino, me l’aveva
offerto, brindando ai nostri figli. Avevo assaggiato solo per non
offenderlo, dubbioso, alla fine però quell’aroma
mi aveva travolto. E Sherton era scoppiato a ridere.
«Che
cos’è? Questo vino è
delizioso… dove l’hai scovato? »
«Sono felice che ti piaccia, musone di uno
Slytherin… si chiama Malvasia, è
italiano… »
«Sei la solita canaglia, Sherton! Te l’ho mai
detto?»
Sei la solita canaglia Sherton… riuscirò a
dirtelo ancora?
*
Avevo perso la cognizione del tempo, lasciato la mente correre dietro
ai ricordi, ne ero stato travolto, una cascata incontrollabile. Avevo
passato quella giornata in trepidante attesa di un miracolo, ora,
l’ultima, allucinante discussione con Malfoy, più
gongolante che mai, mi aveva gettato nello sgomento più
profondo. Quante possibilità c’erano che, dopo
tutti quei giorni in mano al Signore Oscuro, dopo la distruzione che i
Mangiamorte avevano portato a Londra e ad Amesbury, Alshain fosse
ancora vivo? L’anello di Rigel invitava a sperare, ma dopo
aver ascoltato le farneticazioni di Abraxas, temevo che il Lord avesse
preservato i miei amici solo per riservare loro un’esecuzione
pubblica e spettacolare. Ed io stavo lì, bloccato, seduto
sui gradini del mio giardino, a scrutare la notte in attesa di un
segno, mentre in casa i parenti rimasti parlavano di cazzate e due
Aurors erano pronti a difenderci, casomai fossero arrivati i
Mangiamorte.
In che mani siamo? La casa ne è piena e gli Aurors invece di
arrestarli li proteggono!
Mi alzai, sovrappensiero, e cominciai ad allontanarmi, incamminandomi
verso il bosco, là dove gli incantesimi che impedivano la
Materializzazione non avevano più effetto, lasciandomi
dietro le luci e le voci provenienti dalla casa: non avevo
un’intenzione chiara, avanzavo, mentre la mia mente era
stranita da pensieri opposti. Sentiva solo il vento, che faceva muovere
pigramente gli alberi, e la voce della risacca, metri e metri
più in basso; la notte era tersa, le stelle brillavano
gelide, nel cielo solo uno spicchio di luna. All’improvviso
pensai con intensità a quel luogo, non riuscivo a
immaginarlo, perché non l’avevo mai visto, ma mi
legai all’idea di Alshain e della potenza della Magia Antica,
ma soprattutto alla volontà di rivedere i miei amici. Ruotai
veloce su me stesso e mi sentii avvolto da un buio più
serrato, staccato dal mondo, infilato in un tubo.
Un istante dopo c’era la luce. Tanta. Troppa. Feci appena in
tempo a chinarmi, la luminosità di uno Stupeficium
volò sopra la mia testa, l’incantesimo percosse un
fusto d’albero a qualche metro da me, schiantandone un ramo,
e si disperse nell’oscurità. Mi gettai a terra e
mi nascosi dietro un masso, respirai a pieni polmoni, mi guardai
intorno cercando di capire, di mettere a fuoco, dove fossi. Alla mia
destra, in basso, c’era un’oscurità
profonda, inchiostro denso: era il mare, tesi l’orecchio e
sentii il rumore delle onde che s’infrangevano sugli scogli,
sotto di me. Alla mia sinistra e alle mie spalle, c’era dello
spazio vuoto prima di toccare la nuda pietra, sembrava che mi fossi
materializzato in una piega del pendio, in un punto abbastanza riparato
in mezzo alle rocce; a diversi metri da me, di fronte e un
po’ più in alto, c’era un passaggio in
leggera salita, oltre il quale si udiva una moltitudine di scoppi, mi
affacciai e vidi attecchire e spegnersi piccoli incendi, che
illuminavano a intervalli una scena caotica, oscura: mi ricordai con
spavento la notte sulla torre di Herrengton. Frastuono e urla
indicavano che la battaglia stava ancora infuriando, ma ero troppo
distante per capire chi fossero, quanti fossero, chi avesse la meglio.
Poi ci fu un boato, la notte rosseggiò del devastante
incendio di una costruzione. Avevo sentito Alshain parlare di un
convento ridotto a rudere, vicino alla scogliera, mi mossi lentamente,
avvolto nell’oscurità, e vidi che il grosso della
battaglia si svolgeva lì: corpi coperti dalle fiamme
correvano, alcuni caddero e sparirono nel vuoto, sugli scogli, altri
furono salvati dagli incantesimi dei compagni. Nella luce rossastra
dell’incendio, molti volti erano coperti da maschere e i
corpi erano avvolti in mantelli neri, dunque, come aveva predetto
Malfoy, gli Aurors sopraggiunti non stavano più lottando
solo contro i Mannari di Greyback, ma anche con i Mangiamorte del Lord.
Con orrore, notai un uomo, più alto degli altri, che
scagliava a ripetizione l’incantesimo a “colpo di
frusta” che mi aveva lanciato contro Rodolphus Lestrange,
facendosi scudo dietro quella che pareva una catasta di cadaveri. Il
rudere di colpo implose su se stesso, sollevando un’onda di
calore, e polvere e tizzoni ardenti che furono portati fino ai miei
piedi, qualcuno si accorse di me, che ormai avevo lasciato il mio
rifugio per portarmi al limitare della spianata dinanzi al convento, un
paio di Schiantesimi mi furono lanciati contro, dovetti proteggermi e
arretrare. Quasi inciampai sul corpo di un uomo, mi chinai a guardarlo,
non era un Ministeriale, né un Mangiamorte, le labbra erano
rosse di sangue e sembravano stette su pezzi di tessuto e carne. Fui
percorso da un brivido: non era notte di luna piena, i seguaci di
Greyback non erano trasformati in lupi, ma i loro morsi e i loro
graffi, si diceva, potevano essere comunque infetti. Mi chinai,
travolto dai conati, e mi allontanai, sconvolto.
Come troverai la grotta, al buio, se non ci sono riusciti Ashain e
Fear, in pieno giorno?
Il vento spazzava la costa, sentii le mie vesti avvolgersi attorno alle
mie gambe, feci uno scatto troppo rapido e sentii dei sassi dietro di
me, cadere nel vuoto, mi voltai di nuovo a destra, pensavo di aver
raggiunto il mio “nascondiglio”,
invece ero a un passo dal baratro.
Che cosa ha detto Abraxas? Scogliere e irte lame di roccia?
Bene…
Guardai giù ma il mio sguardo si perse nel buio: la grotta
non poteva essere in mare, se gli altri erano tutti attorno al
rudere... d’altra parte, si parlava di Habarcat come di un
dono trovato in fondo a un pozzo e, nel corso dei secoli, la costa
poteva essere franata. Mi mossi ma con quel buio, anche se ci fosse
stato qualcosa, non avrei visto nulla. All’improvviso,
invece, mentre mi sporgevo sul vuoto, a qualche metro sotto di meno,
apparve e subito scomparve una lieve luce azzurrina. Aguzzai lo
sguardo. Feci Lumos e puntati la bacchetta nel vuoto, là
dove avevo visto qualcosa pareva ci fosse un sentiero, uno stretto
percorso tra le rocce. La gola mi divenne arida, era folle
l’idea di seguire, non sapevo chi, non sapevo per quanto, non
sapevo dove… per quanto ne sapevo, la pietra del costolone
poteva essere instabile e franare in acqua sotto il mio peso. Sentii
urlare un uomo, a terra, a pochi metri da me, mi voltai, lo vidi
contorcersi sotto gli effetti di una Cruciatus. Il suo aguzzino si
avvicinava a grandi passi. Presto mi avrebbe visto e avrebbe colpito
anche me…
Perché
sei qui, Orion, non vuoi seguire quella strada, quella che, lo sai,
quasi sicuramente è l’unica giusta? Preferisci
restare qui a farti Cruciare? A morire? Per che cosa? Pensaci, se
Alshain era in quel rudere, ormai non c’è
più speranza, per lui… ma se invece fosse qua
sotto…
Guardai di nuovo giù, feci un leggero incantesimo e delle
deboli sfere di luce si staccarono dalla mia bacchetta per illuminare
il profilo del costolone. Sospirai a fondo, mi tolsi la giacca che
poteva essermi d’impiccio, arrotolai le maniche e imposi un
leggero incantesimo di adesione alle mie scarpe, scarpe da cerimonia,
inadatte alle imprese come quella.
Voi
damerini del sud, pensate di poter affrontare le Terre con queste
scarpette da femmine?
Ricordavo la voce irridente di Fear, la prima volta ce
l’avevo incontrato, le risate di Alshain, tanto sguaiate da
sembrare convulsioni, la mia faccia che aveva preso fuoco
all’istante. Repressi quei ricordi e mi concentrai, cominciai
a scendere, un passo dopo l’altro, la pietra viva che mi
feriva i polpastrelli e sbucciava i gomiti, gli occhi che fissavano la
lieve traccia che con la bacchetta avevo tracciato dinanzi a me, a
delimitare il bordo oltre il quale non dovevo sporgermi…
Avanti Orion… l’ha fatto una bambina come Meissa,
con una magia più acerba della tua…
Non fare il coniglio, Black… guarda me, ahahahahah...
Sentivo la voce di Alshain che m’incitava e facevo ancora un
passo. In breve scesi di parecchi metri, mi sorpresi di me stesso.
Finché dovetti rallentare: a quanto pareva, nonostante la
mia nomea d’impiastro, ero più abile della persona
che era scesa prima di me, perché iniziai a sentire i
bisbigli delle due persone, un uomo e una donna, dinanzi a me, Aguzzai
le orecchie, sentii almeno due volte, tra i sussurri e il rumore del
mare, le parole grotta, apertura, Jarvis.
Warrington? Allora ci sono i Maghi della Confraternita, davanti a
me… forse addirittura… Mirzam…
Trovai ancora più coraggio, volevo raggiungerli, immaginavo
già la missione di salvataggio, da svolgere insieme, quando
il buio, sopra di me, fu squarciato da un urlo straziante, cui segui un
sibilo e un tonfo, poi un altro: con orrore vidi un’ombra
cadere veloce davanti a me, poco dopo un altro tonfo, un altro gemito,
poi più nulla. Anche le voci davanti a me si azzittirono.
Feci ancora un passo e per poco non scivolai di sotto: la pietra era
completamente zuppa di qualcosa di caldo e pastoso, davanti a me, a
interrompere il sentiero c’era il corpo di un uomo, spezzato
come quello di una bambola, la maschera scostata dal volto, negli occhi
aperti e vuoti si specchiavano le stelle.
*continua*
NdA:
Ciao a tutti,
eccomi finalmente
con il nuovo aggiornamento. Non ho molto da dire su questo capitolo, a
parte che l'inizio è connesso con Old
Tales, in particolare i capitoli 4
e 8,
se avete qualche dubbio su storia e nomi dei
personaggi, potete trovare le informazioni lì. Il capitolo
era piuttosto lungo per cui ho deciso di tagliarlo,
così vi siete divertiti con i patemi dei Lestrange e la
prossima volta vedrete il Lord. Per
il prossimo aggiornamento
spero di non metterci tanto come stavolta, ma ormai non
prometto più nulla. Bon,
ringrazio quanti hanno letto, commentato, aggiunto alle liste, ecc ecc.
vi saluto e vi auguro buon we. Baci.
Valeria
Scheda
Immagine
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