2. A ciel sereno - rabbia
I
close my eyes and watch as my life passes by
The
only thing I see is you
For
all the times you walked the line for me and standing by my side
I
say thank you
Here
lies my life
It
never felt that real to me
Quando arrivarono, il tempio era in
subbuglio.
“Ha smesso di agitarsi?”, si
chiedevano i viaggiatori che sostavano nello spiazzo principale.
“Cosa gli è successo?” “Sta
male?”
“Cosa è successo a chi?”,
chiese brusco Auron a un giovane mercante strattonandolo per la
spalla.
Braska si sporse per vedere meglio, ma
il capannello di monaci e curiosi era troppo fitto.
“Uno straniero”, rispose il
mercante, sollevato dal vedere un evocatore e il suo guardiano sulla
scena. “È arrivato qui poco fa, strepitando come
un ossesso.
Chiedeva di Zanarkand. 'Dov'è Zanarkand', diceva, 'non
nascondetemela', e poi ha detto qualcosa su un canto, ma l'unico
canto qui è l'inno che la Fede di Djose oggi sta intonando,
sia lode a Yevon per averci dato occasione di ascoltarlo.”
“Non
siamo riusciti a capire cosa volesse”, si intromise una
signora. “A
un certo punto deve aver capito di non essere a Zanarkand, povero
pazzo, e si è messo a battere per terra con le gambe e con
le
braccia. Dopo un po' ha smesso anche con quello, ora è
semplicemente... lì.”
Braska non perse un istante e si fece
largo fra la piccola folla, col fiato sospeso finché non
vide
coi suoi occhi Jecht inginocchiato al centro dello spiazzo, esausto e
con gli occhi spiritati, ma perlomeno illeso. A un passo da lui, due
monaci guerrieri gli sbarrarono la strada incrociando le spade.
Braska li fissò incredulo: se anche non l'avessero
riconosciuto come il suo evocatore, che soldato
avrebbe tenuto
lontano un evocatore da un'anima in pena? Fece per raggiungerlo, ma i
due non si spostarono, facendogli anzi cenno con la testa di
andarsene.
“Jecht!”, lo chiamò, “Vieni
qui!”, ma non ottenne reazione.
“Nel nome di Yevon e per la sacra
autorità conferitami, fatemi passare”,
intimò allora
ai due monaci, pregando che quella situazione grottesca si risolvesse
al più presto. Non poter vedere le facce dei due, nascoste
sotto le pesanti celate dell'uniforme, rendeva ancora più
irreale il tutto, che somigliava sempre più a un incubo
dalle
tinte accese, dal vociare indistinto e sommesso dei passanti al canto
sereno della Fede che risuonava nell'insenatura, dalla luce netta del
primo pomeriggio alle saette che guizzavano dalle rocce del tempio.
Avevano ritrovato Jecht senza doversi attardare, era lì
davanti, vivo, qual era il problema?
“Lord evocatore, non possiamo
permetterle il passaggio”, rispose incerto il più
intrepido
fra i due. “Quest'uomo è agli arresti.”
“Per cosa,
di grazia?”
Braska non riusciva a distogliere gli
occhi dal suo guardiano – da un uomo che stava imparando a
conoscere e apprezzare nella sua forza elementare. Qualcosa lo aveva
ridotto a un guscio vuoto – 'qualcosa' da Zanarkand,
intuì,
e rabbrividì al pensiero – e non poterlo
assistere,
sostenere, al limite concedergli un sonno artificiale che lo
distogliesse dalla sua sofferenza, era ingiusto in un modo
più
limpido e puro di quanto l'evocatore volesse arrivare a comprendere.
“Per bestemmie, signore”, continuò
il monaco. “Gli è stato interdetto ogni contatto
con i
giusti discepoli di Yevon, affinché non li corrompa con la
sua
impurità. Stiamo attendendo Lord Maife perché
pronunci
la sua punizione, signore.”
“Mi appello al Primo Dovere verso i
caduti e i sofferenti”, rispose svelto Braska con una durezza
nella
voce che Auron non ricordava di aver mai sentito. Si portò
vicino al suo evocatore, per ogni evenienza.
“Fatemi passare. Negare assistenza ai
bisognosi è una bestemmia in
sé, abbassate
quelle spade. Ora.”
“Sono ordini, signore, e i peccatori
sono fuori dalla grazia di Yevon...”
Braska fece un passo indietro, chiuse
gli occhi, rigirò l'asta fra le mani e la alzò,
un
muscolo per volta, nel primo movimento dell'evocazione. Attese.
I monaci abbassarono le spade e si
fecero da parte.
Braska gettò a terra l'asta e si
inginocchiò vicino a Jecht, scuotendolo dolcemente e
richiamando energia curativa nella speranza che potesse aiutarlo
anche per qualunque ferita dell'animo l'avesse colpito. Jecht
però
non rispose: stava cantando, poco più che sottovoce,
quell'inno che era il principale e più antico testo sacro di
Yevon – con altre parole. Inseguendo il canto del basso
profondo
della Fede, che ricordava ai credenti l'eternità sua e del
dio
che serviva, Jecht narrava, stonato e roco, di sogni bambini in riva
al mare e dell'unica stella che li avrebbe avverati. Braska lo
strinse a sé, cercando di scuoterlo dal suo incanto.
Auron richiamò la sua attenzione
e indicò l'ingresso del tempio: il portone di pietra si era
aperto al passaggio di un sacerdote alto e dai lineamenti squadrati,
con un lungo tabarro a denotare l'alto grado nella gerarchia
ecclesiastica e un copricapo piatto blu e giallo che arrivava a
fasciargli il mento. Era scortato da quattro monaci guerrieri.
“Lord Maife, suppongo”, lo salutò
Braska con chiaro disprezzo, senza abbandonare il suo guardiano.
“Lord Braska, desumo dal codazzo
d'infedeli con cui vi accompagnate.”
“Con cui sto viaggiando verso la
città sacra. Corre voce che sia la meta implicita al
conseguimento dei voti.”
“Può darsi”, sviò
Maife con una risata. “Ma, se così fosse, chi
amministrerebbe i templi?”
“La questione si presterebbe ad un
interessante dibattito – in altra sede. Rilasciate il mio
guardiano
e fatemi strada fino alle Prove, Sin non aspetta.”
“Quindi confermate che questo barbaro
è vostro guardiano? Da Macalania parlavano di un solo
guerriero ad accompagnarvi, e uno dotato di buone maniere, per quanto
in disgrazia.”
“Sì, lo è. Sir Jecht è
mio guardiano e amico fidato.”
“Questo non gli impedisce però
di levare parole contro la sacralità di Yevon.”
“Vi dispiacerebbe chiarire l'accusa?”
“Siete sordo,
come dicono, alla voce
dei precetti”,
lo schernì Maife, avanzando finché fu a ridosso
dei
due. “L'accusa è alla portata delle vostre stesse
orecchie:
vi sembrano parole degne dell'inno che accompagnano?”
“È una grave menomazione.
Tuttavia...”, annuì Braska, mentre a tentoni
cercava l'asta
e ci si appoggiava per rialzarsi, lasciando Jecht alle cure di Auron.
Guardò finalmente Maife da pari a pari e trovò in
lui
un odio che lo lasciò sgomento. “Tuttavia penso
che riuscirò
a conviverci, almeno finché non renderà i miei
occhi
ciechi al dolore degli uomini. Questo barbaro
è
confuso, sacerdote, forse è un sopravvissuto a un attacco di
Sin la cui mente non ha retto alla sua tossina, forse altro ancora,
più meraviglioso e sacro, che le storie di Spira non
contengono. È mio dovere, come evocatore e come amico, farmi
carico dei suoi dubbi e della sua sofferenza, guidarlo sulla retta
via. Per questo ci accompagniamo.”
“Non solo per questo”,
ammonì una voce infantile dentro la sua testa, talmente
sottile che si perse fra altri pensieri.
“Imprigionandolo non otterrete nulla
se non un'anima realmente peccatrice, con malignità nata
dallo
scontento.”
“Con un simile permissivismo,
evocatore, non mi stupisce che siate arrivato a sposare un'eretica.
La vostra disgrazia già ricade su noi tutti, e voi
pretendete
ora di infliggerci anche le scelleratezze dei vostri guardiani? La
parola scritta è unica e immutabile. A meno che non vogliate
discutere perfino le parole di Lady Yunalesca in persona, che ce la
donò come tramite con Yevon... Quest'uomo ha peccato sotto
la
mia giurisdizione e per questo dev'essere punito. Lascio a voi i
vostri sofismi.”
Non era un odio personale: non si erano
mai nemmeno conosciuti prima, nonostante fossero quasi coetanei e il
forte accento di Bevelle dell'uomo lasciasse pochi dubbi in merito
alla sua origine, o alla mezza promozione che l'aveva posto a capo di
una scogliera sperduta, in balia di Sin. Ma il suo mondo era appunto
quello – promozioni, leggi e chiarezza – e non
voleva concepire
l'universo che vi gravitava intorno.
“È follia!”, esclamò
Braska, che fra quelle stelle aveva viaggiato a lungo ed era tornato
a terra un po' più saggio, un po' più vivo e con
una
luce diversa negli occhi. “È questo che insegna
Yevon?”
“No”, concesse l'altro. “Insegna
che dovrei rinchiudervi entrambi per la responsabilità che
condividete, negandovi l'accesso alla Fede del mio e di qualunque
altro tempio. Per personale compassione lascerò invece
l'ultima decisione al Tempio Centrale di Bevelle, la cui
rapidità
dipenderà dalla disponibilità di Magister Mika ad
occuparsi di sciocchezze simili. Mentre attenderemo la risposta,
sarete graditi ospiti della strada, a nord o a sud, o in qualunque
zona del tempio al di fuori delle Prove. Sia lode a Yevon.”
Braska vide con la coda dell'occhio
Auron alzarsi per prendere la parola, tremante di rabbia.
“Fermo, Auron”, disse, forzando una
calma che non sentiva. “Nella forma, ha ragione lui. Non
peggioriamo la situazione.”
“Mio Lord.”
***
Di quel giorno, Jecht ricordò
sempre il sole abbagliante, il freddo e la sagoma scura che lo
chiamava con una dolcezza e una pazienza che non meritava. Non era
tornato a casa, come aveva dapprima sperato; forse non ci sarebbe
tornato mai più. Ma, mentre i suoi compagni lo sorreggevano
portandolo verso le loro stanze, seppe di aver trovato un'ancora in
quello strano mondo.
I debiti non gli piacevano. Avrebbe
trovato modo di ricambiare, prima o poi.
******
E li mortacci tua se hai ricambiato prima o poi, Jecht
ç_ç Vabbe', divagazioni dell'ultimo paragrafo a
parte. E Braska-show a parte, che è un po' il motivo per cui
ho scritto l'intera baracca, una delle prime scene su cui
s'è poi depositato il resto...
...grazie sony1987! Da habitué delle oneshot e dei remoti
angoli di fandom, l'idea di essere seguita è piuttosto nuova
e assai galvanizzante XD Se i computer universitari non mi troncano per
un motivo o per l'altro, spero di concludere il tutto in settimana,
sono ancora tre capitoli.
Alla prossima con la più grossa zappa sui piedi che
personaggio di FFX si sia mai tirato addosso in vita (o non-vita) sua.
9_9
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