momentaneous
Era stata una giornata terribile, tremenda. Sembravano
passati giorni, da quando aveva aperto gli occhi quella mattina, da quando,
seduta alla toeletta esattamente come in questo momento, Minerva McGranitt aveva
fissato la propria immagine nello specchio pettinando i lunghi capelli neri e
preparandosi a sopravvivere, ancora una volta, al nuovo “regime didattico”
imposto ad Hogwarts dalla nomina di Severus Piton a Preside.
E invece, in meno di ventiquattro ore, tutto era cambiato.
Severus era morto, ed era stato riconosciuto non come assassino e usurpatore ma
come eroe. Il mondo magico era stato definitivamente liberato da Lord Voldemort.
Ancora una volta, e sembrava davvero quella definitiva, il Bambino Sopravvissuto
aveva avuto la meglio. Minerva sentì gli occhi riempirsi di lacrime e distolse
lo sguardo dallo specchio; non sopportava di vedere la propria immagine, stanca,
distrutta, e in preda al pianto scomposto che il pensiero dei morti in Sala
Grande le procurava.
Sentiva i graffi bruciare, il sangue attorno alle lievi
ferite ormai rappreso, i lividi testimoniare la propria presenza con il loro
battito sordo sotto la pelle. E si sentiva in colpa. Orrendamente in colpa.
Quanti, di quei corpi strappati alla vita, erano stati
giovani menti passate attraverso le sue mani? Tanti, troppi... Remus. Ninfadora.
Fred Weasley! Il giovane Colin Canon.
Minerva non poté trattenere i singhiozzi neppure di fronte al pensiero di Tiger.
Nemmeno di fronte a Bellatrix Black.
Aveva giurato tanto tempo
prima di difendere Hogwarts con tutte le proprie forze, ma nonostante il
risultato finale sentì di avere fallito. Il castello che aveva accolto e
protetto generazioni e generazioni di ragazzi era diventato il teatro di una
carneficina che tanti aveva condotto ad una morte assurda: e con il cuore di una
grande insegnante, persino dei più feroci Mangiamorte Minerva si trovò a
ricordare i visi di bambini spaventati, in fila in Sala Grande per lo
Smistamento.
Un bussare sommesso
disturbò i suoi pensieri e nell'istante in cui la porta si aprì Minerva credette
che Silente fosse tornato.
« Ti ho sentita piangere
».
Non era servita che una
seconda occhiata, per capire che se di un Silente si trattava tuttavia non era -
non poteva essere, non sarebbe mai più stato - Albus. Però Aberforth, con quegli
occhi azzurri improvvisamente tanto rassicuranti, i tratti simili eppure diversi
da quelli del fratello, quel modo sobrio di giustificare la propria presenza,
era l'unica persona che Minerva McGranitt sentì di poter
accettare.
« Stai bene, Minerva? » La
strega scosse il capo e i capelli sciolti sulla spalla sinistra assecondarono il
suo movimento quasi come un drappeggio di morbida seta. Si era sentita così,
prima di allora, soltanto dopo avere seppellito Albus: il freddo nel cuore, il
vuoto, il dolore nella mente, l'impressione di impazzire al solo pensiero di non
vedere mai più quei piccoli gesti che avevano accompagnato da tempo immemore le
sue giornate. Ora però, con tutti quei morti, quante più erano le cose perdute?
Quanti gesti, quanti sguardi non avrebbe più incontrato, quante mani non avrebbe
più stretto? Quante voci...
« Temo di no, Aberforth.
Io... » Portò una mano al viso, scossa da un nuovo singhiozzo. Non poteva
sopportare quei pensieri. E il piccolo Ted...
Aberforth Silente camminò
piano attraverso la stanza, fino a lei, e si inginocchiò accanto alla sua
poltrona. Posò una mano sul suo ginocchio, mentre con l'altra le cercò il mento
per costringerla a guardarlo.
« Non è colpa tua. Non è
colpa tua, Minerva », scandì una seconda volta, lentamente, senza staccare dai
suoi gli occhi straordinariamente azzurri dei Silente. Non aveva mai avuto
confidenza con lei, anzi, poteva ammettere con serenità che il loro primo vero
contatto era stato dopo la morte di suo fratello, quando lei si era presentata
alla Testa di Porco per bere qualcosa di più di quello che il suo ruolo pubblico
le avrebbe consentito di fare, negli altri locali di Hogsmeade. Era distrutta,
proprio come in questo momento, eppure aveva riconosciuto subito la somiglianza
fra lui e Albus... Ed era scoppiata in lacrime. E lui invece di darle la
bottiglia di Whisky Incendiario che aveva chiesto si era limitato a chiudere la
porta del pub a chiave perché nessuno entrasse e si era seduto accanto a lei,
lasciando che sfogasse qualunque cosa stava provando con qualcuno che certo non
l'avrebbe giudicata.
Se n'era andata due ore
dopo e non era tornata per mesi. Poi il passaggio segreto nascosto dietro il
quadro di Ariana era stato rimesso in uso e almeno una volta alla settimana,
nell'ultimo mese, Minerva non aveva sdegnato di bere un Whisky Incendiario in
compagnia di quell'uomo che, nonostante le inevitabili differenze, tanto le
ricordava Albus. Era in un certo senso come vivere in un mondo parallelo per
qualche ora, un'occasione di tornare a respirare... Perché con la morte di Albus
lei aveva perso anche Severus, l'uomo che l'aveva ucciso e che pure, a volte, si
era rivelato per lei un buon confidente, e si sentiva così
sola...
« Io sono viva. I miei
ragazzi no. E dici che non ho colpa? »
Aberforth Silente si erse
in tutta la propria altezza e Minerva dovette alzare lo sguardo su di lui per
capire cosa stesse succedendo. Era sporco di polvere, e ferito, ed esausto. Come
lei. Ma i suoi occhi erano lucenti, vivaci. Le teneva le mani fra le
proprie.
« Io mi ero
rassegnato. Avevo accettato che il Signore Oscuro avesse vinto, e l'avevo fatto
supinamente, senza indignarmi né fare nulla. Credevo che le cose non potessero
essere cambiate e che tanto valesse adattarsi al nuovo ordine come i giunchi al
soffio del vento ». Prese fiato senza smettere di guardarla « Sono stati
proprio i tuoi ragazzi a farmi cambiare idea, e per questo sono venuto qui
a combattere insieme a voi... » Tirò piano verso di sé, in modo che la strega si
alzasse in piedi. Lei lo assecondò. « Lo so, è terribile pensare che chi è tanto
giovane possa trovare una morte tanto assurda. Credimi, lo so... » Il suo
sguardo si abbassò, umido; il discorso certo avrebbe dovuto proseguire, ma in
quella pausa forzata, imposta dalla commozione, Minerva sollevò la mano fino ad
accarezzargli la barba. Sì, lui capiva cosa significasse odiarsi per essere
ancora vivi.
« Oh, Aberforth... » Il
mago sorrise, di un sorriso colmo di malinconia. Con il dorso della mano, sfiorò
la massa di capelli neri che coprivano la spalla sinistra di Minerva. Il senso
di colpa del sopravvissuto era qualcosa che conoscevano entrambi, che
conoscevano fin troppo bene, e che non incontravano quella sera per la prima
volta.
Oltre la finestra la notte
si faceva più scura, senza la luna, mentre le stelle si accendevano una dopo
l'altra sulle prime ore del mondo libero da Lord Voldemort. Poco abituato a quel
genere di cose, per aver vissuto tanto tempo a contatto solo con la discutibile
clientela del suo pub, Aberforth Silente fece una domanda che da quando era
bambino credeva non avrebbe mai più posto.
« Che cosa farebbe Albus,
adesso? »
Minerva inspirò,
guardandolo con la testa lievemente inclinata, e gli sorrise.
« Non credo che abbia
importanza... Ci sei tu, qui, ora, non lui ». Il mago annuì, con soddisfazione
ma prima di tutto con gratitudine per quella risposta tanto delicata, e attirò
Minerva più vicina a sé. Sentiva nel naso il loro odore, un misto di fatica,
lacrime, sangue e polvere. La strinse al petto con dolcezza.
« Andrà tutto bene »,
sussurrò fra i suoi capelli, e lei credette alle sue
parole.
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