Era
una giornata normale a Trost. Il sole splendeva, la gente faceva
ognuno i fatti propri. Erano passati cinque anni dalla caduta del
Wall Maria. La gente iniziava di nuovo a rilassarsi e a sentirsi al
sicuro. I commercianti berciavano per le strade agitando le
mercanzie, i corpi della guarnigione gozzovigliavano alle loro
postazioni di guardia.
Certo,
erano decisamente meno i fannulloni, rispetto quelli che c'erano
stati prima della caduta del muro Maria. Ma anche pochi, alla vista
di alcuni militi e cittadini, provati dalla perdita di persone care,
erano comunque troppi, e li guardavano con sguardi pungenti.
In
quella bella giornata assolata una donna camminava a passo rapido e
deciso fendendo la folla.
Era
piuttosto bassa anche per la media delle donne, arrivando appena alle
spalle del più della gente. Aveva i capelli corvini, così
scuri e lucidi da avere riflessi bluastri, raccolti in una treccia
che era stata poi a sua volta raccolta in uno stretto nodo fermato
sulla sommità della nuca.
Aveva
lineamenti dolci e morbidi, il fisico minuto e slanciato, ben tornito
e femmineo, sebbene le sue forme non fossero particolarmente
abbondati era ben fatta.
Si
sarebbe detta quello che era l'ideale comune di una donna nobile.
Piccola, di lineamenti morbidi, delicata e raffinata.
La
divisa era estremamente curata.
Gli
stivali neri così lucidi da potercisi specchiare dentro. Le
fibbie dell'attrezzatura e l'attrezzatura stessa, erano curate e
sempre pronte all'uso, camicia e pantaloni erano di un bianco lindo e
ben serrate. Il giubbotto di cuoio portava il ricamo della testa
d'unicorno sul taschino frontale e sulla schiena.
Quello
che intimidiva i passanti non era tanto quello, che comunque era
piuttosto inusuale vedere degli uomini della gendarmeria fuori dal
Wall Sina, quanto l'espressione della donna.
Piatta.
Vuota ma determinata.
I
lineamenti erano fermi, gli occhi come persi nel vuoto di fronte a
sé. Fissi in un punto, ma come se non stessero vedendo nulla
di ciò che guardavano, ma stessero vedendo un obbiettivo tutto
loro.
Erano
anche di un colore strano. Blu scuro, profondo. Quasi più un
nero con una tonalità di blu. Un... blu notte, come la volta
celeste. O magari come un color oceano profondo, se la gente avesse
potuto ancora ricordare cosa fosse l'oceano.
Questa
però non degnò nessuno di uno sguardo, procedendo per
la propria strada.
Il
passo era fermo e regolare, e sebbene fosse una donna così
piccola, aveva una certa presenza. La fermezza di viso e passo
sembrava donarle un'aria pericolosa e sicura, e spesso era la gente
stessa che la circondava che istintivamente si ritraeva a lasciarla
passare.
Raggiunse
un edificio di mattoni come molti nella zona, questo però
recava fuori la bandiera verde con sopra lo stemma delle 'ali della
libertà'. Era una sede temporanea del corpo di ricognizione.
Entrò
dentro l'edificio e raggiunse il corridoio dove due soldati
piantonavano una porta.
“Signora,
possiamo esserle d'aiuto?” domandò il soldato di destra
mentre entrambe scattavano sull'attenti facendo il saluto militare
riconoscendo dalle mostrine sulle spalline della donna un loro
superiore.
“Devo
conferire con il comandante Erwin” il tono rimase calmo e fermo
mentre studiava il soldato.
Un
ragazzo castano con i capelli corti e il viso liscio, gli occhi
scuri.
Una
nuova leva. O comunque un acquisto recente, visto il nervosismo che
mostrava, valutò lei.
“Avete
un appuntamento?” domandò in tono incerto lui.
“No”
rispose con piattezza la donna.
“Vi
stava forse attendendo?” tentò di nuovo.
“Non
credo”
Il
soldato, imbarazzato, distolse lo sguardo “Temo di doverla far
desistere, Signora. Il comandante ci ha tassativamente ordinato di
non fare entrare nessuno”
“Aspetterò”
fu la pratica risposta della strana nuova arrivata.
“Ma...”
l'uomo di sinistra che era di un palmo più alto dell'altro e
dalle rughe d'espressione anche di una decina d'anni più
vecchio, fermò il commilitone.
“Potrebbero
volerci ore, signora”
“Non
resterà dentro per sempre. Io non ho fretta”
I
due uomini la guardarono straniti prendere una posizione militare di
riposo vicino al muro, in un cantuccio discreto ma da dove poteva
tenere d'occhio i movimenti del corridoio e delle stanze adiacenti e
rimanere immobile.
Lo
sguardo di lei si fece come vitreo, fermo. L'immobilità era
tale che a loro parve che nemmeno sbattesse più le palpebre.
La
sua presenza innervosì i due militi, però non avevano
né l'autorità per scacciarla né quella di
disturbare il loro comandante.
Era
ormai quasi sera quando finalmente, dai rumori che provennero dalla
stanza dello studio di Erwin gli rivelarono che doveva aver concluso
e che si fosse alzato dalle sedie con i suoi commilitoni, osarono
bussare leggermente.
“Signora,
come devo presentarvi?”
“Dite
solo che è una vecchia amica che viene a riscuotere un debito”
Erwin
congedò i suoi uomini con cui stava accuratamente pianificando
la sortita organizzata a giorni.
“Si-signore?”
era Tyson. Il ragazzo, sebbene fosse già da un anno dentro la
legione era ancora molto in soggezione nei confronti dei suoi
superiori. Il che era strano, considerando che dentro il corpo di
ricognizione si tendeva a essere piuttosto informali, salvo per le
occasioni che richiedessero uno stretto uso d'etichetta.
“Si,
dimmi”
“U-una
donna domanda di conferire con voi, signore”
“Chi?”
“Non
ha voluto presentarsi signore. Dice solo di dirvi che è una
'vecchia amica venuta a riscuotere un debito' Signore. È un
membro del corpo di Gendarmeria”
Erwin
aggrottò un momento la fronte, facendo mente locale mentre
congedava i suoi uomini e la guardia rimaneva in attesa di risposta.
“Dille
d'entrare” si limitò a dire.
Tutto
s'aspettava meno che trovarsi di fronte quegli occhi blu.
“Astrid?”
era sorpreso. Congedò con un frettoloso segno della mano la
sua guardia che ritornò a piantonare la porta, chiudendola
dietro di sé.
La
bocca di lei si storse appena. Come un vago accenno di sorriso.
“Capitano
Astrid, Comandante Erwin. Non sei l'unico ad aver scalato i ranghi
sai?” rispose lei con tono pacato, accettando il bicchiere di
liquore che lui aveva versato, e attendendo che prendesse in mano il
suo per poter brindare.
I
due si sedettero, studiandosi un momento vicendevolmente.
Astrid
gettò occhiate come vaghe nella stanza. Osservando i raffinati
mobili di noce, la scrivania più scura di mogano, la penna e
il calamaio adagiati vicino a numerosi fogli sulla scrivania che
Erwin aveva ammucchiato alla bell'e meglio nella fretta di farla
entrare.
“è
un piacere vederti in buona salute...” tentò Erwin non
sapendo con precisione come approcciare la donna, decise di stare sul
vago. Tastare il terreno.
“Tsk.
Evitiamoci le panzane, Erwin. Pardon, Comandante Erwin. Saltiamo
tutte le cazzate di ciao come stai? È dieci anni che non ci si
vede! E tutte quelle baggianate lì. Sono qui per un motivo.
Sai qual'è?”
Erwin
si ritrovò a sogghignare piano, ridacchiando di gola,
sommesso.
“Vedo
che questi anni non ti hanno addolcito per niente”
“Secondo
te passare dieci anni a navigare nella merda della gendarmeria
dovrebbe avermi addolcito?” domandò lei sollevando il
sopracciglio destro con fare sarcastico.
Erwin
si fece più serio.
“Suppongo
di no. Anche se, immagino, che le cose si saranno fatte più
complicate del previsto. Non è vero?”
Lei
rigirò il liquore nel bicchiere, con il viso scuro.
“Quando
mai le faccende vanno come previsto? Direi che se capita una volta su
cinquanta ci si può ritenere molto fortunati. Ma io e lei,
comandante, non siamo persone da affidarci alla fortuna non è
vero?”
“No,
certo che no”
Rimasero
di nuovo in contemplazione l'uno dell'altro.
Erwin
studiava con i suoi occhi di ghiaccio la donna che sedeva aggraziata
sulla sedia di fronte alla sua scrivania. La gamba sinistra poggiata
con leggerezza sulla destra.
Era
uomo, riusciva vedere le forme attraverso le divise, e quella che
aveva di fronte non era più la ragazzina spigolosa e dallo
sguardo truce che ricordava.
No.
Quella era una donna. Quegli occhi blu con quelle ciglia scure che si
piegavano in quella aggraziata curva scura su di essi, la pelle
candida di una perfezione quasi soprannaturale... le labbra
naturalmente rosse e piene, voluttuose e sensuali...
Erano
una trappola micidiale per qualsiasi uomo.
Perché
qualsiasi uomo abbastanza saggio da guardare oltre alla morbida curva
dei fianchi di lei, avrebbe intravisto il manico del pugnale che
spuntava leggermente da sotto al giubbotto corto, e quelli che
riuscivano a scollare gli occhi dal magnetismo della perfezione dei
lineamenti della donna, avrebbero visto la fredda calma dei suoi
occhi.
Si
era guardata intorno con un modo di fare svagato quasi pigro, come
chi dà giusto un occhiata per vedere il posto ma... chi aveva
l'esperienza per vedere e capire, avrebbe visto che era lo sguardo
fermo e calmo del predatore che sonda il terreno di caccia.
Probabilmente
madre natura non aveva mai dato alla luce nessun figlio più
pericoloso di lei. La bellezza soave di un angelo, in possesso di
determinazione granitica e una freddezza pareggiata solo dalla sua
rapidità di pensiero.
Il
nome di Astrid Lichtklinge era piuttosto noto a quasi tutti i
superiori in grado. Le sue imprese non erano pubblicizzate come
avrebbero potuto essere quelle di Levi, ma si mormorava che la sua
abilità non fosse seconda a nessuno.
Erwin
non stentava a crederlo, la conosceva in una certa misura. Inoltre
era troppo calcolatore per cadere al dolce battere delle ciglia della
donna.
“Sarò
chiara comandante. Credo che sappiamo entrambi che non sono capace ad
andarci troppo per il sottile in queste cose.
Io
e lei avevamo un patto. Mi sono fidata del suo giudizio. Ho fatto la
mia parte.
Ora
sta a lei, trovare il modo. Non m'importa il come. Sapete cosa
voglio. Trovate il modo”
“Mi
ci vorrà tempo. Dopodomani esco con la squadra”
“Ho
aspettato sin ora. Un mese in più o in meno non farà
differenza. Ma veda di non prendermi in giro”
“Non
l'ho mai fatto”
“Allora
continuiamo così”
La
donna tirò giù il contenuto del bicchiere con una
boccata sola per poi posarlo sulla scrivania con un sospiro mentre il
liquore le scaldava la gola sino allo stomaco.
Si
alzò, mentre con passo fermo raggiunse la porta, aprendola, si
girò di nuovo verso Erwin, e anche le guardie sentirono cosa
disse.
“Erwin,
mi raccomando, non morire là fuori proprio ora. La morte non
varrà come scusa per sottrarti al tuo dovere. Anche perché
altrimenti non saprei come vendicarmi, dopo...” lo disse con un
tono soave, quasi dolce, se non fosse stato per il sorriso freddo e
minaccioso che aveva sulle labbra.
Angolo
d'autore.
Bene,
eccomi anche su questo fandom a massacrare le pupille dei lettori con
le mie cavolate.
Avverto,
sono abbastanza nuova di questo ambiente, e non credo seguirò
proprio alla lettera tutti gli avvenimenti del manga originale.
Spero
che la storia vi piacerà comunque e sarete pietosi nei miei
confronti... anche se comunque le critiche sono sempre ben accette!
Che
altro c'è da dire... ah si! Aggiornerò regolarmente,
tutte le domeniche. Sperando che fantasia e ispirazioni (traditrici!)
non mi abbandonino sul più bello. Comunque per ora
rassicuratevi, ho già una piccola scorta di capitoli da
pubblicare!
Al
prossimo capitolo!
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