Autrice:
Alexiel Mihawk | alexiel_hamona
Titolo:
Walk like an Egyptian
Capitolo:
Bang, Bang, I shoot you down
Fandom:
One Piece
Personaggi:
(in ordine di
apparizione) Nami, Zoro Roronoa, Eustass Kid, Jewelry Bonney,
Cavendish, Killer, Nico Robin, Franky, Trafalgar Law, X-Drake,
Bartolomeo, Rebecca, Monkey D. Rufy
Pairing:
Zoro/Nami, Franky/Robin, Eustass/Trafalgar, Bonney/X-Drake,
Cavendish/Bartolomeo/Rebecca, (hint) Rufy/Nami
Rating:
sfw
Genere:
slice of life, sentimentale, generale
Avvertimenti:
soulmate!AU, tattoo!AU, roadtrip!AU, modern!AU, linguaggio volgare
Parole:
6627 (senza testo canzoni)
Note:
partecipa al Cow-T di maridichallenge.
Le
coppie di questa storia saranno: Zoro/Nami, Franky/Robin, Bonney/Drake,
Kidd/Law, Cavendish/Bartolomeo/Rebecca. Non ci sarà porno
because of reasons, ma ci saranno anche parecchi hint RuNami.
Il
titolo è Walk like an Egyptian perché
sì, perché amo quella canzona e perché
"stike a pose on a Cadillac". Le canzoni citate sono: One way or
another / Call me di Blondie, Bang Bang di Nancy Sinatra. Peach Springs
esiste
davvero, è un buco di culo una cittadina
in Arizona, lungo la route 66;
lo stesso vale per Supai e le Havasu falls.
Come
da avvertimento, questa è una modern!AU che ha come punto
centrale il trope del
soulmate, che però ho voluto trattare in modo un pochino
diverso, quindi gente
a cui fregacazzi della propria anima gemella, gente che scopre che la
sua anima
gemella è del sesso opposto a quello che immaginava, gente
la cui anima gemella
ha in realtà un'altra anima gemella. Cose insomma. Il
funzionamento del
tatuaggio è un miscuglio: a 6/7 anni compare sul corpo un
tatuaggio con la
prima frase che verrà rivolta alla persona in questione
dalla sua anima
gemella, per evitare "fraintendimenti" soprattutto magari a persone
che hanno come prima frse "Ciao", il tatuaggio si scalda fino a
scottare quando a rivolgerci quella determinata frase è la
persona del destino.
Questo particolare tatuaggio in questa società viene
definito Basher, una
parola Yddish che significa "Destino". Viene utilizzato (in Yddish)
per indicare l'anima gemella che viene chiamata Basherte (donna) o
Basherter
(uomo).
Per
quanto riguarda Bonney, Kidd e Killer, li ho rappresentati come un trio
molto
unito, ma no, non ci sono implicazioni “romantiche”
tra di loro, sono
semplicemente una bella Brotp, quindi amateli come li amo io. Also, ho
cercato
di dare a ogni personaggio un modo di parlare particolare che lo
distinguesse.
Nel
mio headcanon i soprannomi di Bonney sono: Marshmellow, Jewls/Jewels;
quelli di
Kidd: Kiddo e insulti più o meno variabili; Cavendish
è spesso chiamato Barbie.
Also,
Kidd è gay, ma un sacchissimo gay; Bonney se ne sbatte di
chi se la sbatte;
Cavendish è dichiaratamente bi; Law come vedremo
è parecchio confuso.
Ho
sicuramente dimenticato note, tipo sulle citazioni che fanno i
personaggi, ma
#whocares. Le segnerò quando rileggo.
Doveva
essere una One Shot, ma non ce la faccio, quindi avrà tipo 3
(o 4) capitoli a
seconda di quanto mi vengono lunghi.
Potete trovare una playlist da mettere di sottofondo qui.
Walk
like an Egyptian
1. Bang, Bang
I shoot you down
La
cromatura rossa della Cadillac Eldorado brilla sotto il caldo sole
estivo;
riflessi di luce si rifrangono sul parabrezza, spingendo il ragazzo
alla guida
a indossare gli occhiali da sole.
«Ciò,
senti ciccio, mica è che mi cambi stazione? Qua passano solo
musica schifa» si
lamenta con voce annoiata una giovane dai capelli rosa stravaccata sul
divanetto
posteriore, proprio al centro della vettura, con la schiena appoggiata
contro
quella di un ragazzo dai capelli rossi sparati per aria e le gambe
distese su
quelle di un biondino dall’aria efebica.
«’Na
merdata proprio. Dai Roronoa, metti un cazzo di cd» le
dà man forte Kid,
ciccando fuori dall’auto.
«Oi,
gente, il linguaggio» li riprende Nami seduta sui sedili
anteriori, di fianco a
Zoro «Cosa vi metto su?»
«Io
voto i Motley» propone Cavendish, allungando le gambe fino ad
appoggiarle sul
bordo della portiera, lasciando sporgere leggermente gli stivali fuori
dal
finestrino «Non ringrazierò mai tua madre per
averci lasciato questo gioiellino
di macchina».
«Potresti
iniziare con il comportarti civilmente anche tu, ci hai
pensato?» domanda Nami
lanciandogli un’occhiata di disapprovazione «In
ogni caso non è che ce l’ha
lasciata, ti ricordo che è il regalo per mia sorella, noi la
stiamo solo
consegnando. E deve arrivare integra e pulita».
«Oh,
ma io volevo Blondie» mormora Bonney ignorando completamente
il discorso
dell’amica e allungando una mano per raggiungere il sacchetto
di marshmellow, semi
sciolti dal sole, appoggiato per terra.
«Il
guidatore appoggia Blondie» esclama Zoro sollevando un
braccio con un pollice
rivolto verso l’alto in segno di approvazione.
«Fottutti
bastardi, io volevo i Judas Priest» borbotta Kidd
accendendosi un’altra
sigaretta.
«Non
dire cazzate, che sai tutte le sue canzoni a memoria» lo
prende in giro
Cavendish facendosi passare l’accendino «Senza
contare che lo sappiamo tutti
che hai una passione segreta per Lady Gaga».
«Stai
zitto tu che mi canti Walk like an
Egyptian con lo stesso tono delle Bangles».
«Si
chiama intonazione, sfigato pezzente».
Bonney
si alza e si mette a sedere appoggiandosi
in parte al bordo dello schiena e in parte al cofano, lasciando che sia
Kid che
Cavendish le afferrino saldamente una gamba per evitare che corra il
rischio di
ribaltarsi e finire fuori dall’auto; lancia un urletto
entusiasta, mentre
l’aria le scompiglia i capelli, quindi inizia a cantare la
prima canzone
dell’album a squarciagola.
Al
loro fianco il paesaggio monotono
dell’Arizona li accompagna: sparuti ciuffi di erba secca e
terra tanto arida
che ogni minimo movimento solleva ventate di polvere. È il
loro primo road trip
e, se riescono a non farsi arrestare, l’obiettivo sarebbe
quello di arrivare
fino in California.
Le
note di Call Me vanno spegnendosi
quando la rossa si gira verso si lei.
«Ché
la prossima possiamo saltarla?»
domanda Nami storcendo impercettibilmente il naso «Mi fa
salire l’ansia».
Zoro
sorride debolmente e le lancia
un’occhiata in tralice da sotto gli occhiali; toglie la mano
destra dal volante
e stringe per pochi secondi la coscia bianca della ragazza.
È un’azione tanto
rapida quanto intima, e Nami coglie subito al volo il messaggio dietro
a quel
tenue gesto d’affetto: un tentativo di rassicurarla e dirle
che va bene così.
«Oh,
andiamo! Ancora con la storia
dell’inquietudine da anima gemella? Che poi di che ti
lamenti? La tua l’hai già
trovata!» si lamenta Bonney, che quella canzone la adora.
«È
innegabile» interviene Cavendish «Che
siano tutte canzoni che sono state scritte da gente che era in
disperata
ricerca della propria metà».
«Una
manica di sciroccati senza cervello
che si sono dati alla scrittura di canzoni che sembrano frutto di anni
di
stalking» aggiunge Roronoa.
«Oi,
non fare il frocio adesso, lasciaci
cantare quel cazzo che vogliamo».
«Stai
zitto Kid che l’unico che lo piglia
in culo qui sei tu».
«Piantatela,
imbecilli» Nami si mette gli
occhiali da sole e si sfila la maglia, approfittando della calura del
tardo
pomeriggio per abbronzarsi senza rischiare ustioni; se sono bloccati in
macchina tanto vale far fruttare il tempo «Ascoltate quel che
volete».
Le
prime note di One way or another
iniziano ad uscire dallo stereo e tutti i
passeggeri dell’auto, compresa una rossa apparentemente
recalcitrante, iniziano
a cantare in coro.
One way or
another I'm gonna
find ya
I'm gonna getcha getcha getcha
getcha
One way or another I'm gonna
win ya
I'm gonna getcha getcha getcha
getcha
One way or another I'm gonna
see ya
I'm gonna meetcha meetcha
meetcha meetcha
Bonney
agita il capo, e una cascata di
capelli rosa si sposta da destra a sinistra a ritmo di musica. Vorrebbe
capire
che problema ha esattamente l’amica con quel tipo di canzoni
che, sì, sono un
po’ ossessive, ma, insomma, chi non sogna di incontrare la
sua anima gemella?
Nel loro mondo, un mondo in cui nasci sapendo che esiste qualcuno da
qualche
parte che è in grado di completarti al cento per cento,
è solo normale
desiderare di incontrarlo. Anche lei, che non è mai stata
una romantica, ha
sempre sentito l’esigenza di cercarla questa fantomatica
anima gemella; ha
sempre sentito una forza trascinarla verso l’esterno e per
esterno intende il
mondo intero, perché Bonney ne è sicura che lui
sia ad aspettarla là fuori da
qualche parte. Ed è consapevole che se rimarrà
chiusa tra le quattro mura della
sua casa non riuscirà mai a trovare nessuno, non
riuscirà mai a sentirsi viva.
E poi lei lo sa, la persona che sta cercando deve essere intraprendente
almeno
quanto lei, deve essere uno spirito libero, deve sentire dentro la
stessa energia
che ora la spinge a spostarsi per tutto il paese, senza meta e senza
posa.
La
cabriolet sfreccia veloce lungo la
strada, mentre il sole tramonta lentamente all’orizzonte.
«Dovremo
fermarci a dormire da qualche
parte» borbotta Cavendish.
«Sei
scemo? Sono solo 66 miglia e ok,
siamo partiti tardi e mezza giornata l’abbiamo gettata nel
cesso, ma con una
tirata arriviamo tranquilli a Kingman. Cosa ci metteremo?
Un’ora?»
«Un’ora
da Peach Springs, che è l’unica
tappa sensata se vogliamo fermarci, ma dubito ne valga la pena. Che poi
avremmo
potuto essere già arrivati, ma no. Fermiamoci tutti a vedere
il Grand Canyon»
si lamenta Nami che di geografia è l’unica a
capirci qualcosa.
«Dai,
ciccia, che è stato uno sballo!»
«Una
cazzo di figata» aggiunge Kid.
«Prima
di tutto il linguaggio, e comunque
lo avete trovato figo solo perché eravate entrambi ancora
sbronzi dall’ultima
sera a Flagstaff. Già che passando dalla Route 66 ci si
mette cinque e passa
ore invece che due, figuriamoci se poi allunghiamo anche fermandoci a
caso!»
«Guarda
che ci abbiamo impiegato tutto
questo tempo perché hai voluto a tutti i costi fare le
strade senza pedaggio…»
le fa notare Zoro, ricevendo per tutta risposta un dito medio e un
grugnito.
«E
poi mi avevi promesso che ci saremmo
fermati e avremmo fatto la camminata fino a Supai, voglio vedere le
cascate
Havasu. Dai Nami, che cosa cambia tra un giorno in più e un
giorno in meno?»
Bonney torna a sedersi composta e la guarda con gli occhi
più dolci di cui è
capace.
«Oh,
Supai. Ma –»
«”Ma”
il cazzo. Io ho già avvisato gente
che ci saremmo fermati lì, Cristo Santo!»
«Kid!
Cazzo! Il linguaggio!» urla Nami,
sull’orlo di una crisi isterica «Ok, ok, ci
fermiamo lì. Tanto dovrebbero avere
un albergo no?»
«Killer
ha parlato di un motel o di una
cosa simile, non è così Kiddo?»
«Il
vostro amico si chiama Killer?»
domanda Cavendish allibito.
«Soprannome»
specifica il rosso sollevando
le spalle con indifferenza.
«Un
po’ come il tuo “faccia di
merda”?» domanda il biondo con un
sorrisino sul volto.
«Fottiti,
Cavendish».
«Non
incoraggiarmi che poi finisce riesco
a trovarmi qualcuno da portarmi a letto anche a Peach
Springs».
«Fammi
il favore, sei così sfigato che la
massima cosa che puoi trovare in quel buco di culo è una
contadina del cazzo. E
magari scoprire che è la tua anima gemella. E manco sa
scrivere. Figa, cosa
riderei».
«Ha
parlato. Sai cosa farebbe ridere me?
Arrivare in quel buco di culo e scoprire che c’è
la tua di anima gemella e che
non ti si fila manco per uno striscio di minchia».
«Linguaggio!»
One way or
another I'm gonna
lose ya
I'm gonna give you the slip, a
slip of the lip or another
I'm gonna lose ya, I'm gonna
trick ya
One way or another I'm gonna
lose ya
I'm gonna trick ya trick ya
trick ya trick ya
One way or another I'm gonna
lose ya
I'm gonna give you the slip
Peach
Springs è una cittadina fin troppo piccola
per essere ricordata dal mondo. Ha poco più di mille
abitanti, che per gli
standard della zona equivale quasi a una metropoli, soprattutto
considerando la
quantità di città fantasma che si trovano
nell’area.
Kid
si alza in piedi, tenendosi con le
mani al bordo dei sedili anteriori e inizia a dare indicazioni a Zoro,
guidandolo verso quello che gli è stato riferito essere il
punto di ritrovo.
Killer è stato molto preciso e i ragazzi riescono
miracolosamente a non
perdersi e si evitano così imbarazzanti giri a vuoto (giri
che si sono fatti
fin troppo spesso ogni volta che Roronoa era alla guida e la sua rossa
compagna
non prestava attenzione, e con lui bastava distrarsi tipo mezzo
secondo).
«Pezzente»
borbotta Nami osservando il
locale davanti al quale si sono fermati «Questo non
è un Motel, è un pub. Ma
possibile che ci porti sempre dove c’è
l’alcool? Cos’hai? Un radar, cazzo?»
«Ma
che minchia ne so io, sono solo la
fottuta guida, ok? È stato Killer ha darmi le indicazioni,
porca vacca!»
«Linguaggio!»
esclama Nami, ma questa
volta non è l’unica.
Un
ragazzo dai lunghi capelli lunghi, che
gli ricadono a coprirgli il viso in pesanti ciocche spettinate, guarda
Kidd con
aria di disapprovazione e malcelato affetto.
«Killer!»
Bonney salta fuori dalla
macchina e corre ad abbracciarlo stampandogli un bacio sulla guancia.
«Oi,
stronzo, questo non è un fottuto
Motel».
«Anche
io sono felice di vederti» risponde
il biondo accarezzando con gentilezza la testa di Bonney, ma senza mai
staccare
lo sguardo da Kid «Comunque no, non c’era fino a
qualche anno fa, è un pub, ma
affittano stanze ai turisti, i proprietari sono simpatici e se siete
fortunati
faranno la stessa cosa che hanno fatto con la mia moto e vi
lasceranno
parcheggiare la vostra in garage».
«Come
ti pare» borbotta la ragazza
trascinandolo verso la vettura dove ancora sono seduti tutti gli altri
«Ecco
mettiti qui appoggiato, Cavendish fatti più avanti, Kidd
qua, Zoro smettila di
fare quella faccia seccata. Nami ci sei?»
«Prontissima».
«Che
cazzo stai –»
Kidd
non riesce a finire la domanda che
Bonney tira fuori dalla borsa un selfie stick rosa shocking con tanto
di
cellulare già attaccato e lo allunga al massimo.
«Sorridete
e SELFIE!»
«Ne
abbiamo già fatte almeno venticinque»
mormora Zoro sconsolato, passandosi con rassegnazione una mano sulla
faccia.
«E
in tutte la tua espressione di sofferenza
è oro puro» ghigna Nami, scendendo
dall’auto «Vado a sentire dentro, quando
avete fatto con quello che state facendo raggiungetemi pure».
Li
lascia agitando una mano e gettandosi
dietro un solo sguardo divertito, cogliendo con la coda
dell’occhio, Bonney
intenta a farsi una selfie di coppia con un Roronoa disperato.
Decisamente,
pensa: la migliore vacanza di
sempre.
O
almeno, lo sarebbe se Nami non vivesse
con la continua ansia di incontrare la sua anima gemella. Era iniziato
tutto
quando sua madre, anni prima, quando lei ne aveva forse sei o sette, le
aveva
finalmente spiegato il concetto di predestinazione e vero amore:
«Nami» le
aveva detto «Uno di questi giorni ti sveglierai e scoprirai
che da qualche
parte sul tuo corpo è comparso il tuo Bashert.
Lo sai cosa significa, vero? È un tatuaggio che rappresenta
la prima frase che
la tua anima gemella ti rivolgerà e, quando la incontrerai e
ti rivolgerà
quelle esatte parole, lo sentirai riscaldarsi e scottare.
Sarà così che saprai
di avere incontrato il tuo vero amore».
La
bambina l’aveva guarda con occhi colmi
di paura e di disgusto: «Ma io voglio scegliere chi amare,
Bellmer» aveva detto
con rabbia «Perché deve essere già
deciso? Vuol dire che non ho scelta?».
Bellmer
aveva sorriso e le aveva
accarezzato il capo con una mano.
«C’è
sempre una scelta».
Due
giorni dopo aveva trovato Nami nel
bagno con un coltello da cucina, intenta a passarlo ripetutamente
là dove
quella notte era apparsa una scritta. Nemmeno aveva voluto leggerla.
Ancora
adesso ci sono notti in cui si
sveglia di colpo, sentendo la stessa fitta che aveva provato quel
giorno, nel
momento in cui il tatuaggio era affiorato sulla pelle; sogna parole
sconnesse e
colpi di calore e si sveglia ansimando, mentre la mano scorre sul lato
opposto
del letto, alla ricerca dell’uomo che da quasi tre anni a
questa
parte dorme con lei.
E ogni volta Zoro apre un occhio, allunga un braccio e
l’attira a sé; non dice
mai niente, non fa domande, non sarebbe da lui; si limita a posarle un
bacio
leggero sulla cicatrice che domina la spalla destra, quindi la stringe
a sé e
riprende a dormire. A Nami basta questo.
No,
ad entrambi basta questo, sapere che
si sono scelti, che non ha importanza se non sono l’uno
l’anima gemella
dell’altro, perché la loro è stata una
scelta.
Sospira,
avvicinandosi al bancone, spera
solo che quel viaggio non li porti a incontrare personaggi che non
vorrebbe mai
incrociassero la sua strada.
Intenta
a lavare i bicchieri, in piedi con
le spalle rivolte all’ingresso, una donna dai lunghi capelli
neri canticchia
una vecchia canzone di Nancy Sinatra.
«Bang,
bang, he
shoot me down. Bang, bang, I hit the ground».
«Buon
pomeriggio, mi dicono che avete
delle stanze libere» esordisce Nami sorridendo.
«Certo,
ma dipende quanti siete; siamo
inaspettatamente pieni di clienti in questi giorni» risponde
con voce gentile
la mora, girandosi verso la ragazza e regalandole un sorriso luminoso.
«Ci
servirebbero quattro camere, ma possiamo accontentarci
di due se fosse necessario, tanto non credo che ci fermeremo
più di un paio di
notti».
«Due
notti eh?» la donna esce da dietro il
bancone e si avvicina sinuosa a un mobile dal quale estrae un grosso
volume
dall’aria ingiallita «Non guardarlo con
quell’aria scettica, è solo il log dei
clienti, come vi segno? A che nome, intendo».
«Nami,
Nami Kokoyashi».
«Mi
serviranno i vostri documenti, ma si
può fare più tardi, siete fortunati, sono le
ultime quattro camere rimaste. Per ora benvenuta a Peach
Spings, Nami. Io sono Robin e se
posso aiutarti in qualche cosa non farti scrupoli a chiedere».
La
ragazza le stringe la mano con un
sorriso, ringraziandola.
«In
effetti una cosa ci sarebbe, c’è un
posto dove possiamo parcheggiare la macchina? So che siamo nel mezzo
del nulla,
ma è una vettura d’epoca e non vorrei mai che si
rovinasse o, peggio, venisse
rubata».
«Non
sei una che si fida, eh? FRANKY! Non
preoccuparti, non corre rischi. FRANKY! Anche se dubito che coguari e
serpenti
a sonagli siano interessati a rubarti la macchina» si gira di
scatto verso la
porta che dà sul retro «Oh, insomma Franky, si
può sapere dove sei finito?»
«Scialla
sorella, non c’ho mica i razzi nel
cu– Oh, una cliente!» un uomo sulla trentina, dalla
corporatura eccessivamente
muscolosa e i capelli celesti, fa il suo ingresso dalla porta di
servizio «Come
posso aiutare?»
«Nami,
questo è Franky, mio marito. Ti
mostrerà dove mettere la macchina».
«Ganzo!
Di che macchina stiamo parlando?
Perché se si tratta di una macchina schifa la tieni fuori,
io ti avviso»
esclama incamminandosi verso la porta, tallonato da Nami che non sa se
essere
affascinata o turbata da quell’esemplare di individuo.
«È
una Cadillac convertibile del 59,
sedili in pelle, tutti i pezzi originali».
«Stai
scherzando? ODDIO! Che sturbo!» urla
quindi nel vederla.
Si
precipita addosso all’auto ignorando
gli sguardi perplessi e vagamente inquietati dei ragazzi a bordo e
inizia ad
accarezzarne la carrozzeria.
«Ma
è un vero gioiellino! Posso
parcheggiarla?»
«Manco
se mi paghi» ribatte Nami «Oi, voi,
fuori dalle palle. Prendete le valigie ed entriamo. Zoro ci pensi tu
qui?»
«Come
se avessi scelta».
«Zitto
e ingrana la prima».
Il
Poigne Griffe è l’unico locale di Peach
Springs ed è il punto di ritrovo degli abitanti, non solo
della cittadina, ma
anche dei dintorni. Gente annoiata, giovani imprigionati tra quattro
mura in un
paese troppo piccolo e troppo isolato del mondo e adulti oramai
rassegnati a
vedere la loro vita concludersi in quel posto dimenticato da Dio e
dagli
uomini.
Quella
sera, però, forse per via delle
vacanze estive, forse perché è un
lunedì (e nessuno ha voglia di uscire di
lunedì), il locale è inaspettatamente vuoto; i
tavoli occupati sono solamente due,
una coppietta seduta in quello più vicino alla porta, e
quello in centro alla
stanza occupato in tutta la sua larghezza dalle sei persone
più casiniste dello
stato. Il fatto che Franky si sia unito a loro con una pinta di birra
non li
aiuta di certo ad abbassare il tono della voce.
«E
questa rincoglionita del cazzo sapete
cos’ha fatto?» stava raccontando Kid agli uomini
del gruppo «Ha preso la bamba
e l’ha infilata nella borsa della signora che le stava a
fianco!»
Quattro
teste si girano contemporaneamente
verso Bonney che solleva le spalle con nonchalance.
«Ah,
beh, che dovevo fare, pasticcini?
Farmi arrestare? No, grazie tante, ma di tornare dentro non
c’ho proprio
sbatti» fa scoppiare rumorosamente la bolla della gomma da
masticare e sorride
«E comunque quella tizia se lo meritava, stava con un palo in
culo che manco
Hina».
«Chi?»
domanda Franky.
«Na
squinzia con cui sono uscita un paio
di volte, prima di scoprire che lavorava all’FBI».
«Jewl
frega cazzi, sto raccontando un’altra
cosa, sta’ zitta cazzo».
«Linguaggio!»
esclamano Nami e Killer in
coro, per poi lanciarsi un’occhiata di approvazione. Nessuno
sa bene chi sia
quel ragazzo biondo che si è unito al gruppo, o meglio Kid
ne ha parlato fino
alla nausea, definendolo il suo migliore amico (e loro erano abbastanza
sicuri
che prima di incontrarli fosse anche il suo unico amico oltre a
Bonney); non
parla molto, e ha sempre ciuffi di capelli tirati davanti agli occhi,
tanto che
in un intero pomeriggio nessuno di loro è riuscito davvero a
capire di che
colore siano o quali siano i veri lineamenti del suo viso.
«Zitti,
bastardi, fatemi parlare. Fatto
sta che sta tizia era una di quelle arricchite di merda, pelliccia di
qualche
animale in via d’estinzione, taccazzi da baldracca, capelli
tinti e cotonati.
Beh, arriva la pula coi cani e Jewl ha fatto a tempo anche a spostarsi
dall’altra
parte del grande
magazzino; sti cazzo di
cani l’annusano, ma non c’ha niente addosso e
quindi non si fermano, tirano
verso la signora e si mettono ad abbaiare come matti».
«E
la squinzia era così oltraggiata che si
è messa urlare “Tenga il suo cane! È
aggressivo!”» aggiunge Bonney urlando a
squarciagola
nel mezzo del locale.
«Ma
dilla una stronzata ai poliziotti,
ogni tanto» scoppia a ridere Zoro, tirando verso di
sé la pinta di birra e
bevendone un lungo sorso.
«Taci,
idiota, che l’ultima volta che ci
hanno fermato chiedendoti i documenti tu hai risposto “Mi
faccia vedere il suo
e io le mostro il mio”, beccandoti una multa per oltraggio al
pubblico
ufficiale!» gli fa notare Nami.
«Sì,
ma poi mi ha dato il suo numero di
telefono» celia Zoro tutto tronfio.
«Un
vero peccato che tu non sia frocio» lo
prende in giro Kidd.
«Sei
geloso? Lo vuoi tu? È ancora nel
cruscotto della macchina se lo vuoi».
«Fottiti
Roronoa».
«Testina
di minchia» li interrompe
Cavendish passandosi una mano tra i lunghi capelli biondi «La
finisci la storia
o no?»
«Zitto
Barbie, dov’ero rimasto? Ah, sì i
cani» riprende «Fatto sta che sta deficiente si
mette a urlare » Kid si mette
in piedi sulla sedia e inizia a mimare «”Lasciatemi
stare, lasciatemi stare!”
finché non tira una borsata sul muso a uno dei cani, allora
l’altro morde la
cazzo di borsa e inizia a tirare finché
questa
non si sfracassa e BAM! Bamba ovunque, come se nevicasse».
Il
tavolo scoppia a ridere.
«Ma
non è finita qua, perché dalla borsa
della signora esce tutto: cellulare, portafogli, chiavi, biglietti
aerei, un
vibratore rosa shocking di 30 centimetri».
Zoro
e Franky si strozzano con la birra
iniziando a ridere convulsamente, mentre il resto della comitiva si
piega in due
sul tavolo immaginando la scena.
«E
a quel punto» mormora Bonney tra i
singulti «La squinzia si è messa a urlare
“Voi non sapete chi sono io”, e uno
dei due poliziotti fa: “Cicciolina?”».
Dal
bancone Robin li guarda ridacchiando,
seduto di fronte a lei un ragazzo con i capelli scuro e lo sguardo
scocciato
sorseggia con aria annoiata il suo drink.
«Turisti…
Li detesto tutti» borbotta.
«Oh,
andiamo, ragazzino» lo riprende la
donna con aria bonaria «Sei solo felice che portino un
po’ di soldi in questo
buco di posto. E ti ho visto ridere nell’ascoltare la loro
storia».
«Stai
insinuando che stessi origliando,
Robin?»
«Io
lo stavo facendo» risponde con
nonchalance «E dall’espressione che avevi
probabilmente ti sarebbe piaciuto
essere lì. Se vuoi te li presento».
«No,
grazie. Ho di meglio da fare, tipo
pensare a cosa dire all’assemblea comunale di
domani».
«Capisco,
e pensi di trovare la risposta
sul fondo di quel bicchiere di Martini semivuoto?»
«Mi
aiuta a pensar-»
Non
finisce di parlare che Franky, notandolo
seduto al bancone (e notando l’occhiata perentoria di sua
moglie), lancia un
urlo che attraversa il locale.
«Oi!
Law, vieni a bere con noi» gli è di
fianco in pochi secondi e, appoggiatagli una gigantesca mano sulla
spalla se lo
trascina dietro «Vieni, vieni. Gente, vi presento Trafalgar
Law, il membro più
giovane del nostro consiglio comunale».
«’Sera».
«I
ragazzi domani volevano andare a fare
una gita a Supai, che ne dici, hai consigli da dare?»
Law
solleva svogliatamente le spalle, non
rompergli i coglioni?
«Mettete
la crema solare e state attenti
ai serpenti a sonagli? No, seriamente, cosa cazzo ci andate a fare?
Sono tipo
settanta miglia in macchina e otto a piedi».
«O
su un mulo, ciccio» interviene Bonney
«E io ho necessità di cavalcare un mulo nella mia
vita».
«Cercati
altro da cavalcare, Pinkie Pie»
la prende in giro Cavendish scoppiando a ridere.
«In
ogni caso vi va di culo, ogni primo
martedì del mese c’è lo sceriffo che
organizza la visita con partenza in
pullman, si parte da davanti al comune e fa il giro completo fino a
Supai».
«Ché,
alle cascate ci porta? Perché io le
voglio vedere, tipo troppo» continua la ragazza.
«Credo
di sì».
«Ma
over the top! Gente, propongo altra
birra per festeggiare!»
«Jewl
tu non bevi la cazzo di birra, bevi
solo fottuto sherry» commenta Kid sollevando un sopracciglio.
«Vomitevole
per altro» aggiunge Zoro.
«Te
lo offro io uno sherry» sorride invece
Law, vagamente divertito «Robin!»
«Oh,
grazie allora, ma in realtà bevo qualsiasi cosa»
sorride Bonney,
ignorando lo scambio di sguardi a metà tra il divertito e il
disgustato di
Cavendish, Kidd e Zoro, fin troppo consapevoli di cosa stia cercando di
fare
Trafalgar.
Eustass,
particolarmente protettivo nei
confronti dell’amica si sporge verso di lei, prendendole una
ciocca di capelli
in una mano, e sussurrandole qualcosa all’orecchio; Law lo
guarda con aria
irritata e, girandosi verso di lui, gli rivolge le prime parole della
serata.
«Non
ti preoccupare, Rosso Malpelo dei
poveri, non te la rubo».
Kid
fa una smorfia, ritraendosi come se si
fosse scottato, quindi si allontana dal tavolo tallonato da Killer.
Nello
sguardo di Bonney passa un lampo veloce di stupore, ma non dice nulla e
continua a sorridere.
«Potresti
venire anche tu domani con noi,
che ne dici?»
«Dipende,
tesoro, quanto tempo hai da
dedicarmi?»
Davanti
al bancone Eustass aspetta la sua
birra, ha respinto, fino a quel momento, l’impulso impellente
di toccarsi la
schiena, là nel punto in cui il tatuaggio ha iniziato a
scottare non appena Law
gli ha rivolto quelle stesse parole che per anni si è
domandato da quale bocca
sarebbero uscite.
«Stai
bene?» domanda sommessamente Killer,
che, conoscendo il rosso da anni, è perfettamente
consapevole della frase che
rappresenta il suo Bashert.
«Perfettamente»
risponde lapidario.
«Almeno
è un uomo».
«Andiamo
Killer, quello è uno di quelli
che pensano di essere più eterosessuali di Brad
Pitt».
«Cosa
c’entra Brad Pitt adesso?»
«È
una fottuta metafora, porca la –» si
interrompe a metà «Lo so, il fottuto
linguaggio».
«Io
lo trovo carino…»
Gli
occhi di Kidd mandano lampi; si porta
il boccale al viso e di traverso lancia uno sguardo al moro seduto al
tavolo,
che continua a sorridere a Bonney.
«Le
gambe. Le gambe non sono male. Ma
finché non gli vedo il culo non puoi aspettarti un cazzo di
parere realistico».
«La
gente normale guarda la faccia, Kid»
si lamenta l’amico facendosi versare due dita di amaro.
«Ed
è per questo che siamo amici? Perché
non ho mai fatto troppo caso alla tua di faccia?»
Killer
solleva un sopracciglio e storce il
naso.
«Quando
ti piglia male sai essere un vero
figlio di puttana» mormora tornando al tavolo.
Eustass
impreca sommessamente, sa che
Killer ha ragione e che fare insinuazioni sul suo viso è da
perfetto bastardo,
soprattutto quando l’amico ha passato anni a convivere con i
complessi che le
cicatrici che si porta in faccia gli hanno provocato.
Rimane
qualche minuto bloccato al bancone,
i suoi occhi passano veloci su tutte le persone della stanza, come a
studiarle
una per una, quindi si inchiodano su Law.
È
vestito fin troppo bene per i suoi gusti
e se non fosse per i tatuaggi, che spuntano da sotto la camicia bianca,
l’avrebbe
classificato come una di quelle persone estremamente noiose che
trascorrono
tutta la loro vita in un ufficio del cazzo. Ma no, Kidd i tatuaggi li
ha
notati
subito, perché chi è il fesso che si fa scrivere
sulle nocche delle dita? E
quello sarebbe un membro del consiglio comunale? Devono proprio essere
nella
merda a Peach Springs per accontentarsi di persone così.
«È
un chirurgo» gli sussurra Robin arrivandogli
alle spalle e piazzandogli davanti un’altra birra.
«Cazzo
me ne frega a me?»
«Oh,
niente» sorride la donna enigmatica
«Ma lo stavi osservando come se volessi ucciderlo, ma in
fondo è una brava
persona».
«Anche
io lo sono. In fondo. Ma di scavare
non c’ho cazzi» borbotta il rosso afferrando la sua
birra e tornando al tavolo.
Si
lascia cadere pesantemente sulla sedia
e allunga le gambe fin sotto la seduta di Bonney, quindi appoggia con
un tonfo
il bicchiere sul tavolo.
«Cosa
mi sono perso, stronzi?»
«Palate
di eyesex» borbotta Roronoa tra i
denti «Tutti univoche».
«Continua
a dire stronzate» aggiunge
Cavendish senza farsi sentire «Ha già rotto il
cazzo»
Kidd
si volta lentamente verso Trafalgar,
che inizia veramente a dargli ai nervi.
«È
il caso che faccia in modo che si levi
dai coglioni» mastica piano all’indirizzo dei due
amici.
«Niente
risse» sibila Nami, tirandogli un
calcio da sotto il tavolo e ricevendo in cambio una scrollata di capo e
uno
sguardo incredibilmente serio.
«Senti,
gambe lunghe» comincia Kid
rivolgendosi al moro «Quando hai finito di provarci con la
nostra amica, che ne
dici di venire a fare un giro con me?»
La
sua voce trabocca di sarcasmo, ma a
Killer (e in realtà nemmeno a Bonney che Eustass lo conosce
fin troppo bene)
non sfuggono la sottile ironia e l’implicito doppio senso
celati dietro quella
frase.
Trafalgar
pare congelarsi sul posto; la
sua testa si volta verso Kid quasi a rallentatore e
l’occhiata che gli lancia è
un misto di disgusto e disapprovazione.
«Che
marea di stronzate» sibila tra i
denti tirandosi in piedi.
«Oi,
Law, che fai, vai?» domanda Franky
senza cogliere appieno la situazione.
«Ho
di meglio da fare» esordisce il ragazzo
ignorando qualsiasi richiamo; si avvicina al bancone e dopo avere
lasciato
dieci dollari a Robin esce dalla porta, sbattendosela rumorosamente
alle
spalle.
Respira
profondamente l’aria secca del
deserto, quindi si appoggia al muro stringendo i pugni. La mano destra
scivola
inesorabilmente verso la clavicola per fermarsi nel punto esatto in cui
sente
ancora il calore ustionargli la pelle.
«Che
marea di stronzate» sibila ancora tra
i denti, mentre non riesce ad evitare di pensare alle parole di Kidd.
Parole
che sono anni che vede tatuate sulla sua pelle, ma che ha sempre
immaginato gli
sarebbero state rivolte da una bella donna e non da un uomo,
soprattutto non da
un arrogante turista del cazzo.
«Figlio
di puttana» mormora
allontanandosi, mentre rimane vivida, nella memoria,
l’immagine degli occhi di
Kidd e lo sguardo di sfida che gli ha lanciato con l’ultima
frase, come a
dirgli: Vediamo se hai coraggio, sfigato.
Law
scopre che forse non ne ha.
Si
allontana continuando a imprecare
sommessamente, mentre dalla finestra del locale Eustass lo osserva
allontanarsi
con lo sguardo.
«Me
ne vado a letto» sbotta il ragazzo
scocciato, quindi si alza e scompare lungo le scale che conducono al
piano
superiore.
Franky
fa spallucce e, dopo averli
salutati, torna da Robin; non fa in tempo ad allontanarsi che Bonney si
gira di
scatto verso Killer, gli occhi sgranati e una domanda che attende di
uscire.
«Era
lui? Era lui vero?» domanda con
trepidazione.
«Lui
chi?» chiede Cavendish limandosi le
unghie.
«E
soprattutto cosa? Ma i soggetti voi
mai, eh?» aggiunge Nami sbadigliando e allungando le gambe
sulla sedia di Zoro.
«L’anima
gemella di Kid, era lui vero?
Quel Trafalgaw» continua Bonney ignorandoli completamente (e
facendo anche loro
cadere la mandibola).
«Secondo
il suo Bashert, sì» conferma
Killer con una smorfia.
«Cosa?»
allibisce Nami, sopprimendo un
brivido.
«Aveva
tutta l’aria di uno a cui piacciono
le donne» esordisce Zoro «Ti è saltato
addosso come un pesce».
«Per
la serie: Ciao, sono il tuo Bashert
ed esisto per rovinarti la vita cambiando le tue preferenze
sessuali».
«Nami,
tu e il tuo disfattismo di merda
sul concetto di anima gemella avete rotto, te lo dico» le
dice Bonney,
improvvisamente seria e la rossa si ammutolisce.
«Oh,
beh» si intromette Cavendish «O ci
viene a patti e si dà alla bisessualità come
tutti –»
«Come
te, vorrai dire» lo corregge Roronoa
sollevando un sopracciglio.
Il
biondo lo ignora.
«E
si dà alla bisessualità come tutti, o
si butta da un canyon. Tanto qui è pieno. E comunque a Kid
è andata bene, no?
Almeno è un uomo ed è carino».
«Com’è
che non ti sfiora nemmeno la
possibilità che magari Kid avesse come anima gemella una
donna?» domanda Zoro
ancora una volta.
Bonney,
Killer e Cavendish lo guardando
con lo stesso sguardo che si rivolgerebbe a un bambino che chiede alla
mamma perché
ha cinque dita e non sei.
«È
un misogino bastardo» asserisce il
biondo.
«A
sei anni una bambina ha cercato di
baciarlo e lui è scappato invocando Platinette. Dico:
PLATINETTE. A sei anni»
aggiunge Bonney.
«E
ti ricordi quella volta che a dieci
gli hanno chiesto chi gli piacesse nella classe e lui ha alzato il dito
medio e
ha detto “Mi piace il professore di matematica? E se non vi
sta bene andatevene
tutti affanculo”?» domanda Killer.
«Chi
se lo scorda. Da quel momento ho
iniziato a prendere a pugni chiunque osasse contestare il suo
orientamento
sessuale».
«Gay
e fiero» commenta Zoro.
«Quasi
peggio di un estremista mutante»
borbotta Cavendish «Almeno quelli non ti pestano per una
battuta».
«Solo
perché non esistono imbecille».
Quando
decidono di andare a dormire è
oramai mezzanotte passata; imprecando per l’orario barbino a
cui si devono
alzare la mattina successiva per partecipare al tour verso Supai, si
trascinano
a letto.
Salite
le scale, però, Bonney si ferma nel
corridoio e, dopo avere aspettato che tutti siano entrati nelle loro
stanze
(perché alla fine c’era più posto di
quanto pensassero), si intrufola in camera
di Killer. Il ragazzo è fermo, seduto sul davanzale della
finestra aperta, con
aria assente osserva il cielo, le luci spente per riuscire a vedere
meglio le
stelle.
«Ehi»
mormora Jewelry richiudendosi la
porta alle spalle «Tutto bene? È da prima che sei
strano».
Killer
si gira verso di lei e sorride
mestamente; anche se, nel buio della notte, non riesce a vedere la sua
espressione, Bonney ne percepisce il vago tormento interiore.
Gli
si avvicina e gli accarezza i capelli,
scostandoli con dolcezza dal viso; gli passa con affetto una mano sulla
guancia
e con le dita sfiora le cicatrici che gli coprono il volto.
«Ha
detto qualcosa di troppo, non è così?»
«Sai
com’è fatto» cerca di difenderlo
«Non
pensa mai prima di parlare, soprattutto quando c’è
qualcosa che lo turba».
Bonney
gli posa un bacio leggero sulla
fronte.
«Non
è una scusa. Ora vado a dirgliene
quattro».
Il
ragazzo la afferra per la vita e
appoggia il capo sul suo petto, stringendola leggermente a
sé; rimangono così
qualche minuto, finché la porta della stanza non si riapre e
sulla soglia si
taglia, in controluce, la figura di Eustass.
Kid
entra nella stanza senza dire una
parola, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle; si avvicina
sotto lo
sguardo attento degli amici per fermarsi a un passo da loro.
«Sono
uno stronzo» borbotta senza
guardarli.
«L’abbiamo
sempre saputo» commenta Bonney,
tirandogli un calcetto leggero su uno stinco.
«Mi
dispiace» continua il giovane «Dico
davvero».
Jewelry
fa scoppiare una bolla di gomma da
masticare, quindi lo afferra per un braccio e se lo spalma addosso,
ritrovandosi con Kid da un lato e Killer dall’altro; il
biondo allunga la
sinistra e la sua mano va a spettinare i capelli già
arruffati dell’amico, in
un gesto di affetto a cui Eustass, nel corso degli anni, ha imparato ad
abituarsi.
«Sei
proprio una testa di minchia» mormora
Killer, fregandosene, per una volta, del linguaggio.
«Un
sbarbatello senza speranza» conviene
Bonney.
«Una
piaga sociale» prosegue il biondo.
«Una
pigna in culo».
«Un
–»
«Ho
capito! Ho capito, avete ragione, sono
un cazzone patentato, ok? Il concetto è chiaro, ora
piantatela».
Bonney
sbuffa, staccandosi dall’abbraccio:
«Sì, ma Kiddo, così uccidi il
divertimento. Mbé, già che siamo tutti qui lo
facciamo un pigiama party?»
Nella
stanza a fianco, nel frattempo, Nami
si rotola sotto le lenzuola leggere del grande letto matrimoniale;
inutile dire
che il sonno non vuole saperne di arrivare e, oramai ha capito, che
difficilmente riuscirà ad addormentarsi.
«Piantala
di agitarti» borbotta Zoro.
Disteso
prono sul letto con indosso
solamente le mutande, il ragazzo cerca vanamente di addormentarsi; Nami
osserva
la sua schiena nuda e il suo sguardo si fissa sul tatuaggio che compare
poco
sopra l’elastico dei boxer. Cos’è
hai
paura di una ragazza? Dice la scritta. Reprime
l’istinto di toccarla e si
porta le mani al seno, stringendole a pugno.
Non
ricorda esattamente quali siano state
le prime parole che ha rivolto a Zoro quando si sono conosciuti, cinque
anni
prima, ma è cerca che suonassero più come un
“Senti, buzzurro, spostati dalla
strada”. No, lei e Zoro non sono
mai stati anime gemelle e la cosa non è mai interessata a
nessuno dei due.
«Ci
pensi mai?» si sente domandare con
voce sommessa.
«A
cosa?»
«A
lei, la tua Basherte» risponde senza
staccare lo sguardo dalla base della sua schiena.
Zoro
si gira verso di lei per poi rovesciandosi
sulla schiena, solleva i cuscini e si appoggia meglio allo schienale
del letto.
«Sì,
ci penso spesso» ammette «Soprattutto
di recente».
Nami
si mordicchia un labbro, nervosa. Non
ne hanno mai parlato e lei non gli ha mai chiesto niente, ma ci sono
dei giorni
– come quella sera – in cui pagherebbe per sapere
la verità, per sapere cosa è
successo e cosa passa nella testa di Roronoa quando la guarda con
quegli occhi.
Zoro
sospira, rendendosi conto del disagio
della ragazza; le fa cenno di appoggiarsi a lui e come sente la testa
di Nami
appoggiarsi sul suo petto e i suoi capelli rossi solleticargli la
pelle, inizia
a parlare.
«Si
chiamava Kuina» dice piano, mentre la
sua mano va ad accarezzare la linea sinuosa del corpo di Nami,
soffermandosi
sulla vita sottile e sui fianchi morbidi «Siamo cresciuti
nella stessa città,
suo padre aveva una palestra e insegnava arti marziali e altri sport
che
parevano non interessare nessuno se non me, lei e due nostri amici:
Johnny e
Yusaku. Ero un bambino di merda, lo ammetto, ma la scherma mi piaceva e
Dio! Quando
prendevo in mano la spada mi sembrava di essere un’altra
persona, di poter fare
qualsiasi cosa».
Si
interrompe un momento, ripensando a sé
stesso da bambino, al sorriso innocente e arrogante che gli
attraversava il
volto e al suo modo di fare quasi indisponente.
«Il
mio Basher comparve al compimento del
mio sesto compleanno, all’epoca conoscevo Kuina solo di
vista, ma non ci
eravamo mai davvero parlati. Sapevo chi era e mi dava ai nervi. Fatto
sta che una
mattina, era piena estate, ce la ritrovammo davanti e Johnny e Yusaku
iniziarono a prenderla in giro: li fece neri. Ma letteralmente. Poi si
girò
verso di me, che ero rimasto fermo a guardarla, e mi disse:
“Cos’è hai paura di
una ragazza?” Ricordo ancora il bruciore che provai in quel
momento, sembrava
che la schiena dovesse andarmi a fuoco. “No, semplicemente
non mi interessi”.
Credo di essere scoppiato a ridere subito dopo, perché
diamine, certo che mi
interessava. E doveva averlo capito anche lei, perché si era
portata la mano al
costato, che sono sicurissimo stesse scottando ed era scoppiata a
ridere: “Bugiardo”
mi aveva detto».
Nami
sorride immaginandosi la scena e
cercando di visualizzare nella sua testa questa ragazzina tronfia e
sicura di
sé, tanto orgogliosa da pararsi di fronte a una piccola
versione di Zoro e
sfidarlo.
«Non
ti mentirò dicendoti che abbiamo sempre
ignorato il Basher, Nami, perché non è stato
così, ma, quando avevamo sedici
anni, Kuina è stata investita da una macchina ed
è morta. La polizia ci disse
che era stato un pirata della strada, un ubriaco con ogni
probabilità, che
aveva avuto troppa paura per fermarsi ed era scappato» si
interrompe nuovamente
e si sistema meglio contro la testata del letto, mentre Nami si scosta
da lui e
si mette a sedere tra le coperte, fissandolo con intensità.
«Mi
dispiace» mormora piano, stringendogli
una mano con le sue.
«Anche
a me» continua lui, senza notare il
lampo di tristezza che attraversa gli occhi della rossa «Ma
è successo anni fa
e sono venuto a patti con la cosa. Senza contare che ho incontrato
te».
«Cosa?»
domanda spalancando gli occhi, perché
Zoro non è quel genere di persona che ama parlare dei suoi
sentimenti, tanto
più con la diretta interessata; Nami può contare
sulle dita di una mano il
numero di volte in cui le ha detto di amarla e fino a quel momento non
le è
nemmeno mai interessato.
«Ho
incontrato te» ripete piano «Quando
Kuina è morta non è stato facile. Ci sono persone
che dicono che quando la tua
anima gemella muore il mondo diventa in bianco e nero, ovviamente
è una
stronzata, ma in quel momento mi sono sentito come se niente sarebbe
mai stato
come prima: non sarei mai più stato felice, non sarei mai
più stato capito,
accettato, amato, ma soprattutto non sarei mai più stato
intero. Mi sbagliavo.
L’ho capito quando ci siamo conosciuti. Questa cosa
dell’anima gemella, del
Basher, della predestinazione, è una condanna e
un’auto-imposizione. Può
renderti felice, ma se lasci che ti tormenti e condizioni la tua
vita… Beh, ti
condanni da solo all’infelicità».
La
ragazza rimane a fissarlo senza sapere
cosa dire; si sposta più vicina a lui e gli appoggia il capo
sulla spalla,
affondando il viso nell’incavo del suo collo.
«Non
sapevo fossi un filosofo Roronoa».
«Scema»
borbotta lui, passandole una mano
intorno alla vita «So che questa cosa di Kid ti ha turbato,
ma è la norma. È
solo normale che i nostri amici prima o poi incontrino la loro anima
gemella,
vedi di non lasciare che le tue paure influenzino il tuo comportamento
nei loro
confronti. È tutta una questione di scelte, Nami, non
vederla come una
maledizione».
La
sente sbuffare e il suo alito fresco
gli solletica il collo; con un gesto se la tira sulle gambe e la bacia,
facendosi largo nella sua bocca e passandole una mano tra i capelli
lunghi e
mossi. Le accarezza la schiena e appoggia la fronte sulla sua.
«Forza,
vieni qui» borbotta scivolando
sotto il lenzuolo «O domani col cazzo che ci alziamo per
l’escursione».
Nami
si accoccola contro di lui,
sorridendo. Forse, dopo tutto, riuscirà a dormire.
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