C’erano
tante cose
che Luke Hemmings non sopportava di Michael Clifford, tante quanto
quelle che
amava. Non sopportava il modo in cui lo ignorava e si rifiutava di
rispondere
alle sue domande quando era arrabbiato con lui per qualche motivo
stupido. Non
sopportava la sua mania del caffè, la sua abitudine di
lasciare tutte
quelle tazzine
sporche sparse per casa,
sul tavolo, sui pensili della cucina, sulla scrivania. Non sopportava
le pile
di vestiti che rovesciava sul letto o sul pavimento , la sua totale
mancanza di
ordine e organizzazione, le macchie di tinta che lasciava sullo
specchio del
bagno o sul cuscino ogni volta che decideva di cambiare colore di
capelli, il
che accadeva con la frequenza di una volta al mese.
E poi lo amava, Luke amava Michael. Amava i colori folli e sgargianti
dei suoi
capelli, i suoi piercings a lato del sopracciglio. Amava le sue labbra
carnose
che lo baciavano, amava la sua risata, la sua voce, le sfumature e
anche le
lievi stonature della sua bellissima voce quando cantava. Amava le sue
mani
grandi e affusolate che a volte sfioravano a volte aggredivano la
chitarra, le
ballate acustiche o i riff sparati a tutto volume in cui Michael
metteva il
cuore. Amava le loro serate passate davanti al televisore, a mangiare
pizza,
bere qualche birra e parlare di tutto e niente, per poi finire a
baciarsi e
fare l’amore su quel vecchio divano consumato.
Luke amava Michael e amava tutte quelle piccole cose che lo rendevano lui, persino quelle che non sopportava.
Ma forse non aveva mai davvero compreso quanto lo amasse fino al
momento in cui
Michael se n’era andato, via da quell’appartamento
che condividevano ormai da
più di un anno, il momento in cui per la prima volta Luke
era rientrato in casa
e aveva sentito
letteralmente il suo
cuore spezzarsi davanti al salotto vuoto e silenzioso,
all’angolo spoglio dove era
sempre stato abituato a vedere la chitarra acustica di Michael.
“Non è per sempre, lo sai. Tornerò
Natale, per Pasqua e tutte le vacanze
possibili e comunque ci
vedremo ogni
volta che potremo. Possiamo
farcela,
Luke.”
Gli aveva detto così, con le labbra tirate in un sorriso in
contrasto con gli
occhi lucidi, quando gli aveva annunciato di aver ricevuto la proposta
per un
college; un college che distava ore di treno da lì e per cui
avrebbe dovuto
trasferirsi. Un college prestigioso, molto più di quello che
Michael
frequentava nella piccola città dove erano nati e cresciuti
e di cui si era
sempre detto insoddisfatto, che gli avrebbe assicurato
possibilità che lì non si
sarebbe neanche sognato.
Michael aveva chiesto il suo parere prima di decidere se partire o no.
E Luke,
nonostante tutto dentro di lui gridasse il contrario, non glielo
avrebbe mai
impedito. Non gli avrebbe mai negato una simile possibilità
solo per tenerlo
vicino a sé, per egoismo, perché sapeva quanto
fossero importanti per Michael i
suoi studi e il desiderio di fare qualcosa nella sua vita. Qualcosa che
forse
non avrebbe mai ottenuto, se fosse rimasto a vivere lì.
Credeva di essere pronto; le relazioni a distanza erano una cosa
normale per
migliaia di persone in ogni angolo del mondo, ormai. Lui e Michael si
sarebbero
sentiti ogni giorno per telefono e in webcam, si sarebbero visti
durante le
vacanze e ogni volta che sarebbe stato possibile. Sarebbero stati in
grado di
gestirla. Non avrebbe fatto poi così male.
Invece aveva fatto molto più male di quanto Luke potesse
immaginare. Non di
quel dolore che ti spacca la gola e ti strazia il petto, ma
più un dolore quasi
placido che avvelena lentamente ogni tuo lembo di pelle, la luce nei
tuoi
occhi, la risata sulle tue labbra, fino a lasciarti dentro un vuoto che
neanche
le cose che hai sempre amato sembrano riuscire a colmare.
Una mattina Luke si era svegliato, si era rigirato nel letto e Michael
non era
lì, non era
lì a rivolgergli il suo
sorriso ancora assonnato. Al suo posto solo parole su un freddo schermo
del
cellulare, un messaggio in cui gli augurava il buongiorno e gli diceva
di aver
dormito malissimo quella notte senza di lui. Parole che nonostante
tutto gli
avevano strappato un sorriso.
Con il passare dei giorni, Luke aveva dovuto iniziare ad abituarsi
all’assenza
di Michael. Un’assenza che gli pesava terribilmente, che gli
sembrava irreale.
Gli sembrava irreale trascinarsi in cucina la mattina e non sentire
più il
pungente odore di caffè che riempiva l’aria.
Nessuna tazzina lasciata sul
tavolo o vicino al televisore. I vestiti perfettamente in ordine negli
armadi.
Niente oggetti rovesciati a terra, niente telecomando che finiva
chissà come
sopra il frigorifero, niente segnalibri svolazzanti per casa.
Dalla scrivania di Michael erano spariti i suoi libri, i romanzi e i
fumetti
giapponesi. (“Si chiamano manga, Luke,
non è difficile da ricordare!”) Nel bagno non
c’era più la pila di prodotti per
capelli accatastata in un angolo, tutte quelle boccette di tinte,
decolorante e
altra roba di cui Luke non aveva mai capito nulla.
Erano le cose, piccole cose che ogni giorno gli sbattevano in faccia
l’assenza
di Michael e contribuivano a scavare quel vuoto nel suo petto, quel
dolore
paralizzante.
Si scrivevano e si telefonavano quasi ogni giorno, sì, ma
non era la stessa
cosa. Perché non c’erano più mani da
stringere, labbra da baciare, occhi in cui
perdersi. Perché la sera Luke si ritrovava sul divano, a
guardare con scarso
interesse il primo film trovato in tv e sorseggiare una birra, da solo,
a
inseguire i fantasmi di ricordi brucianti. E in quei momenti sospirava
e
pensava che avrebbe fatto di tutto, letteralmente di tutto per poter
avere
Michael al suo fianco, disteso sul divano o intento a divorare una
pizza, e
sentire la mano del ragazzo che toccava la sua o scorreva tra i suoi
capelli.
-Mi manchi.- gli diceva sempre Luke al telefono, e quei “Mi
manchi anche tu. Ti
amo.” che per un po’ gli facevano di nuovo battere
il cuore e scorrere il
sangue nelle vene, e forse era stupido stare così male per
qualcuno e lasciare
che la tristezza lo divorasse in quel modo ma, da quando si erano
conosciuti e
innamorati, Luke aveva sempre dato tutto di sé a Michael, si
erano legati tanto
profondamente che ormai non riusciva più a concepire
l’idea di una vita senza
di lui.
Gli mancava come non aveva mai immaginato potesse mancargli una
persona. Lui e
tutte quelle piccole cose di cui era così follemente
innamorato.
Forse sarebbe stato più facile se avesse avuto abbastanza
soldi per poter
prendere un treno e andare da lui (Purtroppo i turni al negozio di cd
dove
lavorava precariamente gli erano stati dimezzati e Luke riusciva appena
a
sostenere le solite spese mensili) o se Michael non avesse deciso di
far visita
ad alcuni zii a Sydney per Natale prima di tornare da lui. Certo,
questo voleva
dire che l’avrebbe rivisto i primi di gennaio invece che a
dicembre, una
piccola differenza di una settimana, ma a lui pesava lo stesso.
Per questo quella sera, il giorno della vigilia di Natale, Luke aveva
cercato
di distrarsi il più possibile uscendo con Calum e Ashton.
Stare insieme a loro
era l’unico modo che aveva per stare bene e impedirsi di
pensare troppo a
Michael, l’unica cosa che gli aveva impedito di impazzire in
quegli ultimi
mesi. Anche quella sera non faceva eccezione; i tre ragazzi erano
andari in
giro per bar e locali, a bere qualcosa e cercare di rimorchiare
ragazze, (O
meglio, Ashton e Calum avevano cercato di rimorchiare ragazze) e adesso
camminavano ridendo e chiacchierando tra loro lungo la strada che
portava alla
palazzina degli appartamenti dove viveva Luke.
Calum scolò l’ultimo sorso di birra rimasto della
bottiglia che aveva in mano
prima di gettarla via con noncuranza. Ashton, leggermente brillo, gli
tirò una
gomitata e iniziò a biascicare qualcosa
sull’importanza di mantenere pulito
l’ambiente circostante.
Luke si morse un
labbro per non ridere; anche lui aveva bevuto ma meno degli altri due,
era
ancora lucido, e forse questo era il motivo per cui adesso aveva solo
voglia di
tornare a casa e raggomitolarsi tra il caldo delle coperte. (Di solito
quando
beveva troppo Luke si trasformava in un vero e proprio animale da
festa, ma
quella sera, nonostante si fosse divertito ad andare in giro con Calum
e
Ashton, non era proprio il caso.)
Arrivati davanti alla sua palazzina, Luke si voltò verso i
due ragazzi e li
osservò con un’espressione scettica.
-Siete sicuri che non crollerete per strada?
-Ma certo, siamo stati molto peggio di così.- rise Ashton.
–Tu invece sei
proprio sicuro di voler tornare a
casa? Non
è neanche così tardi, dai.
-Beh, ora sono qui.
-Allora ci vediamo domani se riesco a trovare un po’ di
tempo.- disse Calum.
–‘Notte, Luke.
-Notte, ragazzi.- li salutò Luke, e li guardò
mentre si voltavano e si
avviavano lungo la strada, entrambi un po’ barcollanti. Ecco,
adesso che i suoi
due migliori amici se n’erano andati era arrivato il momento
di ritrovarsi ad
affrontare il vuoto di ogni giorno.
Trafficò nella tasca del giubbino, tirò fuori le
chiavi e aprì il portone della
palazzina; attraversò il piccolo atrio e salì
quasi di corsa le scale, fino a
raggiungere la porta del suo appartamento al secondo piano. Una volta
entrato
in casa e accesa la luce, Luke si affrettò a scalciare via
le scarpe, a
togliere il giubbino e sedersi sul divano davanti alla piccola tv della
cucina
salotto; voleva andare a dormire ma prima avrebbe controllato un
po’ il
cellulare, come faceva sempre. Lo sfilò dalla tasca dei
jeans e iniziò a scorrere
i messaggi; niente da parte di Michael, ma andava bene così.
Avevano
messaggiato quel giorno, Michael gli aveva raccontato di come stesse
scoppiando
dopo il solito pranzo della vigilia preparato da sua zia, e il giorno
dopo si
sarebbero telefonati. Poi ancora una settimana e Michael sarebbe
tornato, per
passare qualche giorno con lui prima di ripartire per
l’inizio delle lezioni.
L’idea di rivederlo dopo quei mesi di lontananza lo fece
sorridere, il petto
stretto in un misto di felicità ed entusiasmo. Ormai mancava
così poco al
momento in cui avrebbe potuto finalmente abbracciarlo, baciarlo,
sentirlo di
nuovo vicino a sé.
Luke alzò lo sguardo e lanciò
un’occhiata al piccolo albero di Natale che aveva
preparato e sistemato nell’angolo dove una volta
c’era la chitarra acustica di
Michael; un alberello di media altezza, decorato con palline dai colori
fluorescenti e una stellina rossa sulla punta. Aveva voluto fare una
cosa
semplice, perché lui non era mai stato tipo da decorazioni e
ornamenti; non gli
erano mai interessati più di tanto gli alberi di Natale, i
festoni, le luci, i
fronzoli.
Michael era tutto il suo opposto. Lo scorso Natale, aveva letteralmente
trascinato Luke in tutti i negozi possibili alla ricerca di un albero
adatto e
aveva speso quasi un capitale per le palline decorative. Dopo aver
finito di
addobbare l’albero, si erano ritrovati con scatole inutili
pieni di palline
colorate che Michael aveva deciso di spargere e appendere ovunque per
casa
“giusto per dare un po’ di atmosfera
natalizia”. Per la prima volta in vita sua
Luke si era ritrovato ad apprezzare veramente quelli che aveva sempre
considerato fronzoli, si era divertito a decorare
quell’albero e ad aiutare
Michael ad appendere le palline al soffitto della loro camera, il tutto
mentre
ridevano come matti e nello stereo risuonavano cd dei Blink 182 e dei
Good
Charlotte. Era sempre stato così con Michael, era capace di
farlo ridere e
farlo sentire felice come nessun altro poteva, di fargli vedere le cose
sotto
una luce diversa, di coinvolgerlo nella vita con quella sua risata
adorabile e
la luce che gli brillava negli occhi, con l’entusiasmo che
gli animava la voce
e l’energia che metteva in ogni cosa.
Michael dava vita alle cose, dava vita a lui.
Era così che Luke si era accorto di essere
innamorato, perché non si
sentiva mai così vivo e felice come nei momenti in cui
Michael era al suo
fianco.
Per questo forse quella lontananza gli faceva così male.
Perché nel momento in
cui Michael se n’era andato la vita si era come spenta, non
era più stata la
stessa. E Luke aveva semplicemente un disperato bisogno di lui, ne
aveva sempre
avuto bisogno.
Sospirò, la tristezza con la quale ormai aveva imparato a
convivere che tornava
ad offuscargli la mente. Avrebbe avuto solo pochi giorni da passare con
lui,
poi sarebbero stati separati di nuovo. Non sapeva come reggere tutto
questo.
Non sapeva come sarebbe riuscito ad andare avanti
così…
Il suono improvviso del campanello lo fece letteralmente sussultare;
Luke alzò
lo sguardo e lanciò un’occhiata perplessa alla
porta, chiedendosi chi diavolo
potesse essere a quell’ora. Forse Calum o Ashton che si erano
dimenticati di
dirgli qualcosa, ma in tal caso avrebbero potuto benissimo telefonargli
o mandargli
un messaggio.
Non riusciva comunque a immaginarsi di chi altro potesse trattarsi, pensò Luke
mentre si alzava e si dirigeva
verso la porta.
-Ash, se è per Calum che è di nuovo collassato
vedi di chiamare un’ambulanza
invece di trascinarlo qui a casa mia!- esclamò in tono
ironico, aprendo la
porta. –E comunque…
Si bloccò. Rimase lì con la bocca spalancata e le
mani che iniziavano a
tremare. Perché davanti a lui non c’erano
né Ashton né Calum ma Michael.
Il suo Michael Clifford, in
carne e ossa, che gli accennò un sorriso e disse: -Ehi, non
sei contento di
vedermi?
A Luke servì qualche secondo per elaborare il tutto.
Sì, quello ero davvero
Michael, con il suo grosso borsone da viaggio in una mano e la custodia
della
chitarra sulle spalle. Indossava la sua giacca nera preferita e,
rispetto
all’ultima volta che si erano visti, aveva un po’
di barba in più sul mento e i
suoi capelli verdi erano diventati di un viola intenso, dalle sfumature
quasi
fucsia.
-Io pensavo tu fossi a Sydney…- riuscì a
balbettare Luke, poi non si trattenne
più e scattò in avanti, abbracciandolo e
affondando la testa sulla sua spalla.
Sentì Michael ricambiare l’abbraccio, quelle
braccia che lo stringevano forte e
che gli erano mancate così tanto, il suo profumo familiare,
e in quel momento
Luke si sentì la persona più felice e completa
del mondo.
Si separarono solo dopo un bel po’
e
Luke sapeva che le sue guance erano diventate rosse, sentiva il cuore
battere
all’impazzata per lo shock e l’emozione mentre
poggiava un leggero bacio sulle
labbra di Michael. Poi tirò un respiro profondo e disse:
-Spiegami che cosa ci
fai qui. Avevi detto di essere andato a Sydney dai tuoi zii. Ti
aspettavo per
il due gennaio.
-Beh, all’inizio il piano era quello. Ma poi ho avuto la
geniale idea di farti
una sorpresa e arrivare qui un po’ prima, senza avvertirti.
La tua faccia poco
fa era impareggiabile, te lo giuro.
Quello era il Michael che conosceva, pensò Luke soffocando
una risatina. Non
riusciva a credere che il suo ragazzo fosse finalmente lì,
davanti a lui, dopo
tutti quei mesi passati a stare male per la loro lontananza. Non
importava se
Michael sarebbe ripartito anche dopo pochi giorni, adesso tutto quello
che
contava era averlo lì con lui.
-Non pensavi che a quest’ora forse avrei potuto essere
addormentato?- gli sorrise,
e Michael scosse la testa.
-Ho incontrato qui vicino Ash e Calum, mi hanno detto che ti avevano
appena
riscaricato a casa e io lo so che tu non vai mai direttamente a letto,
perdi
prima mille anni di tempo sul cellulare o davanti alla tv. A dire il
vero
pensavo di arrivare nel pomeriggio, ma l’amico che mi ha
portato in auto fino a
qui ha avuto un imprevisto e siamo potuti partire solo stasera. Ma
almeno sono
qui ed è questo l’importante, no?
-Sì, è questo l’importante. Dai, entra.
Mi sei mancato tantissimo, lo sai?
Più di quanto tu possa immaginare.
-Luke Hemmings versione quindicenne sdolcinata.- disse allegramente
Michael,
entrando nell’appartamento e chiudendosi la porta alle
spalle. –Scherzavo.
Anche tu mi sei mancato, da morire.
Gli sorrise, di quei sorrisi a metà tra la dolcezza e la
malizia. Poi lasciò
cadere a terra il borsone da viaggio, si avvicinò a lui, gli
prese il viso tra
le mani e lo baciò di nuovo.
Rimasero lì a baciarsi per qualche minuto, e per la prima
volta dopo mesi Luke
riscoprì che cosa significava stare davvero bene; il sapore
della bocca di
Michael, il suo respiro, quegli occhi che splendevano di
felicità e gli
dicevano senza parole che sì, anche lui era stato male
durante quella
lontananza, anche lui stava morendo dalla voglia di tornare per poterlo
abbracciare e baciare come stava facendo in quel momento.
Si separarono leggermente e Luke gli poggiò una mano sulla
guancia,
accarezzandola, come a volersi assicurare che lui fosse davvero
lì.
-Ti amo.- mormorò sulle sue labbra. Michael sorrise, gli
afferrò delicatamente
la mano e rispose: -Ti
amo anche io.
Dovette lasciarlo andare per permettergli di iniziare sistemare le sue
cose, o
meglio di fare ciò che nel mondo di Michael Clifford
significava sistemare; la custodia
della chitarra
finì in un angolo, il borsone e la giacca furono rovesciati
sul divano.
-Abbiamo un appendiabiti, lo sai?- gli disse divertito Luke. Michael,
che si
era seduto sul bracciolo del divano, gli lanciò
un’occhiata stranita.
-Davvero? Non lo sapevo.- rispose ironico. –Piuttosto dimmi
cosa ne pensi dei
miei nuovi capelli. Li ho rifatti ieri, apposta per te.
-Sono bellissimi.- rise Luke, lanciando un’occhiata alla
chioma viola di
Michael. Si sedette accanto a lui sul divano e lo abbracciò
di nuovo; per un po’
rimasero così, semplicemente abbracciati, pochi minuti che
sembrarono infiniti
nel silenzio perfetto della stanza. Fu Luke il primo a parlare: -Che
cosa pensi
di fare domani? Io vado dai miei per il pranzo di Natale, ma poi
abbiamo il
resto della giornata tutto per noi.
-Anche io dai miei genitori, ma devo ancora avvertirli che sono qui.
Loro credono
che io sia andato dai miei zii a Sydney. Capisci, non volevo che si
lasciassero
sfuggire qualcosa con te perché stasera volevo
sconvolgerti…
-E ci sei riuscito!- esclamò Luke, arruffando i capelli di
Michael. –Adesso però
ho sonno e anche tu devi essere stanco dopo ore di viaggio. Pensi di
venire a
dormire con me così, in jeans e maglietta?
-Oh, no, affatto. Pensavo che avresti potuto occuparti tu dei miei
vestiti
adesso. Sai, non credo di essere poi così stanco.
Un sorriso malizioso sulle labbra di Michael. Luke non disse niente
mentre gli prendeva
la mano e lo tirava su dal divano, per poi trascinarlo in quella che
anche solo
per qualche giorno sarebbe finalmente tornata ad essere la loro camera. Ripresero a baciarsi,
iniziarono a toccarsi come non
avevano fatto per troppo tempo, baci umidi sul collo, mani tra i
capelli, lungo
la schiena, sui fianchi. Luke afferrò la maglia di Michael e
gliela sfilò, poi
lo spinse sul letto e si sistemò a cavalcioni su di lui;
continuò a baciarlo freneticamente,
prima sulle labbra poi sul collo, dove si soffermò a
succhiare fino a lasciargli
un evidente segno rosso. Fece scivolare le mani fino ai suoi jeans, che
iniziò
a sbottonare; Michael si agitò e gemette sotto di lui, il
respiro che si faceva
più affannoso. Aspettò che Luke avesse finito di
spogliarlo del tutto prima di
tirarsi su e invertire i ruoli; lo fece distendere sul letto, gli
sfilò
rapidamente via la maglia, i pantaloni, i boxer.
Luke trattenne il fiato quando la mano di Michael lo afferrò
e iniziò a
stuzzicarlo; quasi tremò nell’incrociare lo
sguardo del ragazzo, quegli occhi
brillanti di desiderio come i suoi. Si baciarono di nuovo e Luke si
sentì
esplodere di un misto tra felicità, amore totale ed
eccitazione che prevaleva
su di lui, cancellando ogni segno di stanchezza.
Michael ritirò la mano e lo baciò sulle labbra,
prima di iniziare a spingersi dentro
di lui. All’inizio fece male, come sempre, ma presto Luke si
abituò ai suoi
movimenti lenti e controllati; le mani di Michael strinsero piano le
sue,
dolcemente, le loro bocche si incontrarono di nuovo. E fu pura dolcezza
che lo
mandò fuori di testa, insieme al piacere che gli montava
nello stomaco, e
fianchi che si scontravano e il respiro che si spezzava e i deboli
gemiti che
gli sfuggirono incontrollati dalle labbra.
Non voglio lasciarti andare, pensò Luke, mentre Michael
prendeva a muoversi un poco
più veloce. Era bello fare l’amore
così, con quella delicatezza, senza nessuna
fretta e urgenza ma assaporandosi lentamente, godendosi a fondo ogni
tocco,
ogni brivido, ogni contatto, ogni bacio; avrebbe voluto continuare a
cullarsi
per sempre in quella sensazione paradisiaca insieme a Michael, il suo
Michael,
perché la cosa più importante in quel momento era
il fatto che lui fosse lì,
che lo stringesse e lo baciasse, che fosse lui a farlo sciogliere e
ansimare ed
eccitare in quel modo.
Luke chiuse gli occhi e si morse il labbro, mentre la sensazione di
piacere cresceva.
Strinse forte le spalle di Michael e mormorò, con la voce
spezzata: - Credo di
star per venire.
-Ti aiuto io.- sorrise il ragazzo. Lo afferrò nuovamente con
una mano, mosse il
polso con movimenti esperti e continuò a spingersi in lui,
adesso più forte. Luke
spalancò gli occhi e trattenne un urlo, quando la scarica
dell’orgasmo lo
attraversò; istanti di puro piacere che gli scosse il basso
ventre e gli
annullò i pensieri.
Chiuse gli occhi e cercò di riprendere fiato, mentre la
sensazione scivolava
via. Michael continuò a muoversi e ci vollero un paio di
minuti prima che anche
lui venisse; si irrigidì e ansimò, poi si
lasciò ricadere su Luke e gli affondò
la testa sulla spalla. Gli posò qualche piccolo bacio sul
collo prima di
spostarsi da lui e stendersi al suo fianco.
-Sai, ora credo di essere veramente stanco.- mormorò,
chiudendo gli occhi.
-Ci scommetto.- ridacchiò Luke, tirandosi su a sedere. Diede
un’occhiata ai
vestiti gettati sul pavimento, prendendo mentalmente nota di riordinare
tutto
il giorno dopo, poi afferrò la coperta sfatta del letto per
tirarla su di loro;
si strinse a Michael e chiuse gli occhi, sentendo la stanchezza
piombargli
addosso. E fu facile addormentarsi così, tenendosi
abbracciato a Michael, che aveva
le labbra premute sulla sua tempia e gli accarezzava piano i capelli.
Per la prima volta dopo mesi, Luke si addormentò senza aver
bisogno di fissare
lo schermo di un telefono e trattenere le lacrime che gli premevano
contro gli
occhi.
Quando si svegliò il mattino dopo, Luke si
raggomitolò ancora di più nelle
coperte e, con la mente ancora annebbiata dal sonno, si concesse ancora
un po’ di
tempo per dormire. Non che fosse facile, a causa della dannata luce che
filtrava dalla finestra e andava a battergli sulle palpebre chiuse.
Luke sbuffò
e si girò per affondare la faccia sul cuscino; odiava la
luce del sole al primo
mattino, gli dava un fastidio incredibile e gli impediva di
riaddormentarsi
come avrebbe voluto. Per questo lui tirava sempre per bene le tende
prima di
andare a dormire e…
Si rese conto solo in quel momento di non indossare il pigiama, anzi,
di essere
del tutto nudo. Luke spalancò gli occhi; di colpo
ricordò quello che era
successo la sera prima e il motivo per cui aveva dimenticato di tirare
la tende
della finestra. Un enorme sorriso gli spuntò sulle labbra,
mentre si tirava su
di scatto e gettava via la coperta. Fu deluso nel vedere che Michael
non era
lì, sicuramente si era già alzato ed era andato a
fare colazione, ma… aggrottò
le sopracciglia, notando delle chiazze di colore viola sul cuscino di
Michael. Subito
dopo sorrise; gli erano mancati i suoi cuscini macchiati di tinta.
Si alzò e si affrettò a recuperare boxer e jeans
dal pavimento, per poi
vestirsi velocemente. Quando entrò in cucina, fu colpito dal
forte profumo di caffè
che si spandeva nell’aria; Michael era lì, seduto
al tavolo, anche lui a petto
nudo e con i capelli scompigliati intorno al viso assonnato, che
sorseggiava il
caffè da una tazzina. Nel vederlo entrare Michael
poggiò subito la tazzina sul
tavolo, accanto al sandwich col prosciutto che si era preparato, e gli
sorrise.
-Buongiorno. Hai dormito bene?
-Benissimo.- Luke sorrise a sua volta e gli si avvicinò per
poggiargli un bacio
sulle labbra.
-Scusa per il disordine, ti prometto che dopo ti aiuterò a
mettere tutto a
posto. Ormai non devi più esserci abituato, no?
Luke si lanciò un’occhiata intorno; la custodia
della chitarra di Michael era nell’angolo,
il suo borsone e la giacca ancora sul divano. La macchinetta del
caffè sul
fornello spento, scatole di biscotti e altro cibo preso dal frigo sul
ripiano
della cucina. Sembrava tornato tutto come prima, pensò, con
il cuore che accelerava
i battiti. Michael era di nuovo lì, insieme a tutte quelle
sue piccole cose che
gli erano mancate da morire, il suo disordine, i suoi capelli colorati,
il
profumo di caffè.
-Non m’importa. Mi era mancato tutto questo, se devo essere
sincero.
-Davvero?
-Sì.
Gli passò una mano tra i capelli e sorrise di nuovo. Michael
era tornato, così
all’improvviso, aveva cancellato quel vuoto che lo
accompagnava da mesi. E
sapeva che sarebbe durata pochi giorni, forse appena una settimana
prima che
lui ripartisse, ma non gli importava.
-Tu mi sei mancato.- aggiunse,
chinandosi per baciarlo un’ultima volta.
E in quel momento, in quella mattina di Natale del 2014, per la prima
volta
dopo mesi Luke Hemmings riscoprì cosa significava sentirsi
davvero felici.
Note
Sono secoli che voglio scrivere una Muke e ne
ho iniziate tante, questa è l'unica che sono riuscita a
concludere per ora. Il titolo è ispirato a "Little things"
degli One Direction, avevo appena iniziato ad ossessionarmi con quella
canzone quando ho scritto la storia. Riguardo al rating spero che vada
bene l'arancione, alla fine la scena tra Luke e Michael non
è poi così dettagliata e spinta, quindi ho
pensato che andasse bene. Ok, la smetto di dire cose inutili, spero che
la Muke vi sia piaciuta. Ne sto scrivendo un'altra che dovrebbe contare
tre o quattro capitoli, quindi spero la leggerete quando la
pubblicherò. A presto!:3
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