Daijiro mise due bevande sul vassoio per la coppia che sedeva
in prossimità della siepe.
Posandole al tavolo, notò con interesse lo strano effetto di
luce che producevano i raggi del sole attraverso il liquido colorato nel
bicchiere sulla tovaglia e sulla sua mano appoggiata.
Fu uno dei due clienti a risvegliarlo da quello stato di
smarrimento, sventolandogli sotto il naso una banconota.
“E tieniti pure il resto, ragazzo!” fece questo,
probabilmente per levarselo di torno, ora che aveva constatato che era uno che
tendeva ad incantarsi facilmente per nonnulla.
In realtà non era così.
Quel pomeriggio estivo avrebbe volentieri rinunciato al
lavoro, ma se non avesse lavorato con assiduità e impegno non sarebbe riuscito a
stare dentro con i pagamenti delle bollette di casa, anche se la spesa per il
mantenimento veniva divisa a metà con i genitori, che gli inviavano mensilmente
una certa somma di denaro.
Non volendo addossare troppe responsabilità ai suoi, Daijiro
aveva comunque deciso di guadagnarsi dei soldi che avrebbe tenuto da parte per
settembre, dato che aveva deciso di frequentare l’università.
Perciò non poteva permettersi di perdere quel lavoro che era
riuscito a trovare con tanta fatica.
Uscendo nuovamente sulla terrazza per prendere nuove
ordinazioni dei numerosi clienti, incrociò lo sguardo del suo collega di lavoro,
un ragazzo di due anni più grande. Daijiro si sentì avvampare attraversando quei
suoi occhi apparentemente inespressivi e spenti; l’altro si limitò ad un sorriso
accennato e tornò immediatamente nel locale. A Daijiro parevano trascorsi
parecchi minuti, ma in realtà si era trattato solo di qualche istante e tutto
era già scomparso.
Il suo cuore batteva forte, accelerando continuamente i
battiti.
Nella sua mente confusa ora non c’era più spazio per gli
altri pensieri.
“Ti va di farlo con me?”.
Non potevo credere che una persona come il senpai Yanagimachi
sarebbe riuscito a dirmi una cosa del genere, credendoci pure.
“E’ solo per provare! Non l’ho mai fatto con un uomo
…immagino che nemmeno tu l’abbia mai fatto!”.
Eppure quelle parole vennero proprio da lui.
Era finito il turno serale, ieri, più o meno alle due di
notte.
Credo di aver avuto un attimo di smarrimento.
Il senpai invece pareva determinato e convinto, manteneva
sempre quel suo sguardo autoritario e superbo.
Perché a me?
I tuoi amici sono troppo seri per una cosa del genere, vero,
anche se si tratta solo di soddisfare la tua curiosità.
Sapevi già la risposta, la conoscevi già soltanto
guardandomi.
Sapevi che io non sarei mai riuscito a dirti di no.
Nemmeno a quello.
Non avrei mai immaginato che un giorno mi sarei trovato a
fare sesso con il mio migliore amico, constatando eppure la nostra intimità.
Ti ho sempre ammirato, ho sempre preso esempio da te, per
tutto.
Maledetto senpai, sei l’unico che mi abbia dimostrato vera
amicizia sempre.
Perché sei cambiato così?
Non mi consideri quasi più.
Il tuo tempo trascorso con me è sprecato, preferisci la
serietà dei tuoi nuovi amici.
Io cosa sono diventato per te?
Cosa sarò per te?
Cavolo ti sento, sento che sei così vicino che quasi mi
vergogno a tenere gli occhi aperti per guardarti.
Sento il tuo corpo, il tuo calore, ma è come se ci fosse un
muro tra noi.
Un muro che non può crollare.
Non sei tu quello che mi sta facendo venire, è solo la tua
curiosità, il tuo io così bramoso.
Ora sei soddisfatto, senpai?
Hai avuto quello che volevi.
Domani come mi vedrai, sarò lo stesso di sempre per te?
Mi hai usato!!
“Wada!!” esclamò il signor Takaya, il proprietario del
locale.
Daijiro si voltò improvvisamente verso di lui.
“O ti metti al lavoro seriamente o ti licenzio!” lo avvertì
“Vedi di scendere dalle nuvole!”.
Il ragazzo acconsentì e tornò sul terrazzo.
Per colpa di Yanagimachi, Daijiro stava per essere
licenziato, sapendo benissimo che in quel periodo era assolutamente impossibile
trovare un posto libero.
Ma in fondo, ripensò, era colpa sua che si intestardiva con
quei pensieri; poteva fare come l’amico, che non sembrava nemmeno quello della
sera prima.
Io ti voglio bene, quello che mi hai chiesto è stato
sconvolgente e lo sarebbe stato anche per te se non fossi cambiato così.
…
“Ti vedo giù, Wada! Che c’è?” chiese Yanagimachi, sistemando
i piatti nella lavastoviglie.
Il ragazzo arrossì, ma riuscì a contenersi.
“Niente, non sono giù!” fece.
Per qualche istante nessuno dei due disse niente.
Il locale aveva chiuso ormai da mezz’ora e i dipendenti ora
erano intenti a sistemare per l’indomani. Fuori era già notte fonda.
Ad un tratto Yanagimachi si alzò in piedi e, constatando che
non ci fosse nessun altro collega nei paraggi, sorrise a Daijiro.
“Scommetto che ti è piaciuto ieri!” esordì “Dopo, quando
andiamo a cambiarci, lo rifacciamo?!”.
“E se io non ne avessi più voglia?” esclamò Wada, facendo
cadere il bicchiere che stava asciugando nel lavandino.
Come puoi essere così cattivo, non voglio più fare sesso con
te come se lo stessi facendo con un animale.
“Invece scommetto che non mi dirai di no! Siamo amici, no?!”
sorrise Yanagimachi.
Daijiro desiderò per un istante di non aver mai conosciuto il
suo senpai.
Il suo cuore pulsava, come impazzito.
Senpai, perché mi fai questo?
Io non voglio dirti di no, ma non posso dirti di si.
Vorrei svegliarmi e scoprire che quello che vuole soddisfare
le sue fantasie su di me non sei tu.
Non voglio odiarti, ma non posso più credere che volerti bene
sia giusto.
“Va bene…” sussurrò, riprendendo in mano il bicchiere dal
lavandino.
Yanagimachi gli batté una mano sulla spalla e sorrise come un
bambino che dopo un lungo capriccio ottiene qualcosa.
Daijiro si odiava per quello che aveva risposto.
La sua mente lo stava obbligando a dire di no, mentre in
contrapposizione stava il suo cuore.
Se gli avesse detto di no probabilmente Yanagimachi l’avrebbe
obbligato con la forza, ma nel peggiore dei casi non l’avrebbe più voluto
vedere.
Era cambiato talmente tanto dall’ultima volta, che Daijiro
pensava di aver a che fare con un ragazzo diverso e questa supposizione poteva
essere corretta. Non voleva assolutamente che una cosa del genere accadesse,
anche se il senpai di adesso era cambiato.
La debole luce dello stanzino adibito a spogliatoio per gli
addetti al locale, illuminava a fatica, evidentemente perché si era quasi
esaurita la lampadina.
“Meglio!” pensò Daijiro, constatandolo “Non voglio vederti in
faccia mentre vieni!”.
Makoto.
Non ricordo l’ultima volta che ti ho chiamato per nome.
Probabilmente eravamo piccoli.
Stavo bene con te, finché non hai cambiato scuola e abbiamo
smesso di vederci.
“Lasciati andare!” sussurrò Yanagimachi all’orecchio di
Daijiro.
Questo scese a baciarlo sul collo, slacciandogli la camicia.
Wada, ad ogni singolo tocco delle labbra del senpai sulla sua
pelle, fremeva, sempre, sempre di più.
Non riusciva a reagire a quello che stava succedendo, era
confuso e contrariato.
Sentiva il suo corpo profanato in un dolce dolore da qualcuno
che aveva sempre considerato il suo esempio vivente.
Sono forse stato sciocco a volerti sempre come amico?
Mi viene da piangere!
Perché non riesco a dirti di no?!
Senpai, dimmi, perché sei così importante per me a tal punto
che mi faccio sfruttare?
Rispondimi!
Non senti più la mia voce…
…
Quella sera il locale dove lavorava Daijiro era chiuso. In un
certo senso quell’unico giorno di chiusura era per lui una tregua da quel
meraviglioso inferno che lo stava perseguitando.
Il suo senpai Yanagimachi ormai ci aveva preso la mano; l’accondiscenza
di Daijiro gli permetteva di averla sempre vinta e così erano ormai quasi due
settimane che, dopo il lavoro, si rintanavano nello stanzino a fare sesso.
Ormai Daijiro non sperava più in un cambiamento del suo
senpai e l’unico modo per sentirlo ancora vicino era quello; probabilmente
Yanagimachi mentre lo facevano pensava alle più ardite fantasie erotiche.
Daijiro, chiudendo gli occhi, immaginava che Makoto lo stesse
facendo perché si era accorto che nei suoi confronti provava ora amore.
E così pensando, Daijiro, sviluppò piano piano questi
pensieri, finendo per capire il perché di tutto.
Makoto sei sempre stato il mio migliore amico e pensavo che
anche per te fosse così, finché non hai desiderato questo sfogo sessuale con me.
Io non ho saputo dirti di no perché ti voglio bene, te ne
volevo anche quando mi abbandonavi senza dirmi niente nello stanzino, esausto,
dopo avermi sbattuto.
Se conoscessi questi miei pensieri probabilmente ora come ora
ti prenderesti gioco di me, ma sappi che per me non è cambiato niente, o meglio,
non è cambiato niente in peggio.
Come invece è successo a te.
Daijiro raggiunse sovrappensiero Omotesando.
Quella sera non aveva per niente sonno.
Voleva solo vedere il suo senpai per chiarire tutto con lui,
ma sapeva benissimo anche lui che le possibilità di incontrarlo nelle trafficate
vie di Tokyo alla sera erano quasi nulle.
Ma, come se qualche forza soprannaturale avesse udito le sue
preghiere, Daijiro vide di fronte ad un negozio Yanagimachi con degli amici.
Nonostante la vergogna per non conoscere nessuno dei suoi
coetanei, il ragazzo gli si avvicinò spedito, come se improvvisamente tutta la
rumorosa folla fosse scomparsa e fossero rimasti solo loro due.
Non appena Daijiro fu anch’egli di fronte al negozio dove
stavano i ragazzi, fece qualche gesto con la mano per farsi notare.
“Guarda chi si vede! Ciao Wada!!” esclamò Yanagimachi,
avvicinandosi.
“Ciao…” rispose lui, notando gli amici di Makoto bofonchiare
tra loro.
Evidentemente si stavano chiedendo chi fosse; i loro sguardi
inquisitori gravavano comunque su Daijiro, che per un istante si chiese se loro
non stessero pensando che razza di sfigato conoscesse il loro compagno
Yanagimachi.
“Senti…” riprese ad un tratto Daijiro “Dovrei dirti una cosa,
puoi venire un secondo con me?”.
Non riuscì a credere alle sue parole: era riuscito a fare un
grande passo soltanto sconfiggendo quella grande vergogna che l’aveva assalito.
“Adesso non posso mi dispiace!” esclamò lui ad alta voce,
attirando l’attenzione dei suoi amici su di sé.
“Ma che cavolo dici?” pensò Daijiro.
“Adesso sto aspettando Momoka, la mia ragazza, te ne ho
parlato, vero? Facciamo un giro e poi andiamo in qualche love hotel, oggi è il
suo compleanno!” esordì.
A quell’affermazione i suoi amici scoppiarono a ridere.
“Che cazzate stai sparando?!” pensò nuovamente, con la mente
arrovellata.
La testa di Daijiro stava per scoppiare.
“Credo che dovrai aspettare… non preoccuparti, lo faremo
ancora tante volte, ma non stasera!” continuò Yanagimachi.
Il mondo sembrò crollarmi improvvisamente addosso.
Le voci della gente che rideva, parlava, urlava per strada,
le macchine che passavano.
Niente.
Non sentivo più niente.
Vedevo solo il tuo sorriso ingenuo e stupido.
E gli sguardi allibiti dei tuoi amici del cazzo.
“Cos’hai detto, Yanagimachi?” fece uno di quelli “Abbiamo
capito bene?!”.
Gli altri accennarono ad un sorriso forzato.
“Si l’ho detto! Io e il kohai Wada lo facciamo tutte le sere!
A dispetto di quello che si sente è davvero molto divertente… e poi lui mi
ciuccia il cazzo in maniera sublime!”.
“Sei un pervertito!” risero i suoi amici, allontanandosi.
“Vi dico che è così!” esclamò lui.
Ad un tratto si rivolse a Daijiro, notando il suo sguardo
fisso a terra, quasi assente.
“Che c’è, Wada?!” fece lui, avvicinandosi.
Il ragazzo si scostò improvvisamente.
“E hai anche le palle di dirmi cos’ho?!” urlò Daijiro.
Molta della gente che passava di fianco si girò verso di lui,
dato che le sue urla avevano sovrastato gran parte di quelle nei paraggi; lui
non se ne curò comunque, dato che ormai nulla valeva più per lui.
“Sei un’animale Yanagimachi! Ti odio da morire! Va
all’inferno, stronzo!” gridò ancora, alzandogli il dito medio in faccia.
Avrei voluto avere una telecamera per filmare la tua faccia
da ebete mentre tutta la gente ci guardava.
Pensavo di dirti tutto, senpai, di dirti che facendo sesso
con te avevo scoperto di amarti, ma invece hai vinto ancora tu.
Ti amo, bastardo, ti amo ma adesso vorrei picchiarti finché
quel tuo sorrisetto stronzo non vada a farsi fottere.
Per colpa tua la gente che sto urtando con violenza per
strada adesso mi insulta.
E’ colpa tua di tutto.
Sto male, voglio piangere, gridare.
Mentre tu adesso ridi di me con i tuoi amici.
Gli starai di certo raccontando la faccia che ho mentre ho
l’orgasmo, ma ormai non me ne frega più niente.
Mi fa male il cuore, non perché ho corso come un forsennato,
ma perché ci sei tu dentro e continui ad approfittare di me, pugnalando i miei
sentimenti senza ritegno.
Ti odio, senpai.
Ma vorrei svegliarmi nel mio letto e scoprire che è stato
tutto un incubo.
Quante volte in questi giorni ho sperato che la mia vita
fosse un sogno?
Senpai, vorrei svegliarmi e scoprire che non sei cambiato.
Non voglio odiarti.
Ti amo tantissimo, stronzo, è tutta colpa tua!
E non hai nemmeno le palle per addossartene la
responsabilità.
Ti amo, senpai.
…
Il mattino seguente Daijiro uscì di casa piuttosto presto, a
differenza di quello che faceva di solito.
Aveva passato tutta la notte con lo sguardo perso chissà
dove, con il televisore acceso su un canale che gli illuminava gli occhi
annebbiati dalle lacrime nel salotto buio. La sua mente era tormentata da mille
pensieri, che non gli permisero nemmeno per un secondo di chiudere occhio, anche
perché era l’ultima cosa di cui aveva bisogno quella notte.
Chiudendo gli occhi avrebbe di sicuro visto lo sguardo
beffardo e crudele del suo senpai, anche se soltanto incantandosi in un punto
fisso della stanza riusciva ad immaginarne il viso.
Così, esattamente come la sera prima, vagò senza meta per le
strade semivuote del centro, prendendo a casaccio diversi treni per non vedere
continuamente le stesse strade.
Verso le dieci, incontrò a Shinjuku alcuni suoi amici e lo
invitarono con loro in sala giochi.
Di malavoglia, Daijiro accettò.
L’unico lato positivo della situazione era che così aveva
modo di dare un po’ d’aria alla sua mente.
“Sapete cos’è successo ieri notte?!” esclamò Ono, un compagno
più piccolo di Daijiro, scollandosi un istante dal videogioco sul quale era
impegnato.
“Qualcosa di assolutamente inutile, come tutto quello che
dici del resto!” rispose un altro, battendo cinque per la battuta con gli amici.
Daijiro la udì appena, dato che stava con la testa
sprofondata tra le braccia conserte sul tavolo.
“Non sei spiritoso! E’ una cosa seria! Sapete il supermercato
dove lavora mia madre, ecco, ieri aveva il turno di notte e verso le tre e mezza
quattro una macchina ha investito uno… mia mamma ha detto di aver sentito una
macchina frenare di brutto e poi riaccelerare e correre via… lei è uscita subito
insieme ad altra gente che aveva sentito quel casino e hanno trovato un ragazzo
steso a terra privo di sensi… cazzo, poveretto, mi ha riferito che era pieno di
sangue tutt’intorno!” raccontò lui.
Gli altri lo ascoltarono in silenzio; poi Ono prese il
giornale che mettevano tutti i giorni gli addetti alla sala giochi sui tavoli e
lo sfogliò velocemente.
“Ecco qua la notizia…c’è anche una foto!” fece indicando la
pagina agli amici, che si erano avvicinati, incuriositi.
“Ieri notte verso le quattro del mattino” lesse ad alta voce
“un ragazzo si è trovato vittima di un terribile incidente. Un’auto, non ancora
identificata, l’ha investito nei pressi della stazione O., dileguandosi
successivamente. Il ventiduenne in questione, all’arrivo dell’ambulanza
presentava diverse ferite gravi su tutto il corpo… eccetera eccetera… ora è
ricoverato all’ospedale Y. …”.
“E come si chiama il tipo?” chiese uno, non riuscendo a
vedere la foto stampata sul giornale.
“Makoto Yanagimachi ventidue anni…” lesse nuovamente Ono.
Non so cosa pensarono i miei amici vedendomi balzare in piedi
così all’improvviso, dopo aver vegetato praticamente tutta mattina.
Il mio corpo era percosso da un tremito folle, il mio cuore
impazzava peggio di ieri, quando mi trovai tradito dal senpai.
Non volevo credere a quello che aveva sentito, desideravo si
trattasse di un errore del mio udito indifferente, dato che avevo ascoltato solo
perché non sapevo cosa fare.
Volevo solo accertarmi della realtà, quella realtà che non
volevo fosse quella che avevo appena udita.
Senpai, dimmi che stai bene, dimmi che non ti è successo
niente di grave.
Daijiro, dopo aver atteso nella sala accanto alle
accettazioni, si alzò in piedi, vedendo arrivare verso di sé quello che sembrava
essere il dottore che l’infermiera gli aveva chiamato.
“Salve, sono il dottor Asagi. E’ lei che mi cercava… Wada?”
chiese l’uomo, abbassandosi gli occhiali sul naso.
Daijiro acconsentì e gli strinse la mano.
“Sono… ehm… un amico del ragazzo che ha avuto quell’incidente
ieri sera, Yanagimachi… volevo sapere come stava…” fece lui.
L’uomo lo guardò per qualche istante e poi gli fece strada
verso l’ascensore.
“Capisco che si preoccupi… me ne sono occupato proprio io di
lui… sembrava un caso disperato, per poco ho pensato che non ci fosse più niente
da fare, ma poi…”.
S’interruppe.
Daijiro lo guardò implorante.
“Poi le sue condizioni si sono stabilizzate… oggi gli
effettueremo una TAC per degli accertamenti, poiché all’arrivo riscontrava un
trauma cranico… ma…”.
S’interruppe di nuovo.
“Ma cosa?!”.
Questa volta Daijiro non resistette, le parole uscirono da
sole; quel suo continuo tentennamento lo stava facendo preoccupare a morte.
Il dottore lo fece uscire per primo dall’ascensore e lo
accompagnò in silenzio fino alla sala dove stava Yanagimachi.
Sulla porta Daijiro lesse il suo nome e il numero della
stanza.
“Signor Wada… anche se gli accertamenti sono necessari in
questi casi di incidente, le condizioni del signor Yanagimachi non dovrebbero
peggiorare, ma sono spiacente d’informarla che l’auto l’ha colpito violentemente
sulla spina dorsale…” disse, sistemandosi gli occhiali.
Lo sguardo del ragazzo era fisso alla porta chiusa.
“Il paziente ha perso completamente l’uso degli arti
inferiori… non potrà mai più camminare…” concluse velocemente il dottore;
evidentemente anche a lui doleva dare delle brutte notizie sui pazienti a chi,
sapeva, sarebbe stato poi male.
“Se vuole entrare a trovarlo… è ancora in uno stato
d’incoscienza, ma dovrebbe riprendersi…”.
Il dottore si congedò dopo poco.
Daijiro aprì lentamente la porta e vide in mezzo alla stanza
il letto sul quale stava il suo senpai.
Prendendo uno sgabello da un angolo, il ragazzo si sedette
accanto al letto.
Yanagimachi in quel momento era talmente impotente a
qualsiasi cosa che se anche il mondo fosse finito in quell’istante lui
probabilmente non si sarebbe accorto di nulla; Daijiro prese tra le mani una
delle sue, stese ai fianchi, sopra il lenzuolo che lo copriva fino al petto.
La mano era appena tiepida e non trasmetteva nessuna
vitalità.
Le braccia, perforate dagli aghi delle numerose flebo, erano
impallidite.
Anche il viso era pallido, nonostante fosse stato in gran
parte coperto dal respiratore artificiale, attaccato al macchinario che ronzava
con regolarità, come un grande cuore pulsante.
Daijiro lo osservò per diversi minuti in silenzio.
“Makoto…” sussurrò, accarezzandogli la mano.
Sentì gli occhi riempirsi con insistenza di lacrime, che
finirono per scendere sulle sue guance.
Piangendo appoggiò la testa al letto, stringendo tra la sua,
la mano del suo senpai.
Makoto.
Quando ti sveglierai e ti renderai conto di quello che ti è
successo come reagirai?
Desidererai morire?
Tu che mi hai trattato così male, sfruttando il mio corpo e
prendendoti gioco di me.
Dovrei essere felice di vederti in queste condizioni pietose.
Potrei picchiarti per quello che mi hai fatto passare, per il
dolore che mi hai causato, sei impotente.
Ma non potrei mai farlo, lo sai.
Mi viene solo da piangere…
Senpai, amore mio, se quel dannato giorno ti avessi detto di
no, se avessi avuto la forza che con te non ho mai avuto, se non avessi fatto
sesso con te a quest’ora staresti bene, forse saresti con la tua ragazza in giro
per il centro.
Ma se ti avessi detto di no non avrei scoperto perché sei
così importante per me.
Dimmi, senpai, preferivi vivere senza conoscere il corpo di
un uomo unito al tuo o preferisci adesso?
E’ tutta colpa mia se non potrai più fare nulla, se sarai
costretto a vita su una sedia a rotelle.
Scusa, amore…scusami tanto!!
…
Verso le cinque del pomeriggio, a Daijiro riferirono i
risultati della TAC di Yanagimachi: come aveva previsto il dottor Asagi le sue
condizioni si erano notevolmente stabilizzate.
Il suo senpai sarebbe rimasto ancora in ospedale sotto
controllo per qualche giorno.
Poi sarebbe potuto tornare tranquillamente a casa.
Il ragazzo, che era stato tutto il giorno in ospedale vicino
a Yanagimachi, ora attendeva fuori dalla sua stanza che uscisse l’infermiere.
Piangevo come un disperato sul tuo letto, stringendo la tua
mano, quando hai aperto gli occhi.
Ho avvertito subito il dottore del tuo risveglio, anche se
desideravo parlare con te.
Non volevo perdere nemmeno un secondo, non potevo aspettare
gli esami e gli accertamenti.
“Permesso!” chiese Daijiro entrando nella stanza del suo
senpai.
Era seduto sul letto, con la testa girata alla finestra
aperta.
“Oh…” fece lui, vedendolo entrare.
Daijiro si sedette nuovamente sullo stesso sgabello vicino al
letto.
Non sapeva cosa dirgli, erano così tante le cose che
affollavano la sua mente che per qualche istante non disse niente.
“Sai…” disse ad un tratto Yanagimachi, voltandosi verso
l’amico “E’ strano…è strano essere sempre stato in grado di muovere le gambe…ora
anche se lo ordino con tutte le forze del mio corpo…niente…”.
Una lacrima corse su una guancia di Daijiro.
Stava di nuovo piangendo.
“Senpai…” mormorò.
Non dire così!
Non fare quel tono indifferente!!
Cazzo! Non potrai mai più camminare, senpai!
Disperati, piangi, urla, picchiami!
Dimmi che è colpa mia!
Rinfacciami il fatto che è colpa mia!
Yanagimachi sospirò.
Senpai ti ho rovinato la vita!
Se solo io ti avessi detto di no!
“Mi dispiace senpai, ma mi farebbe schifo fare sesso con te!”
Se solo fossi riuscito a raccontati questa balla adesso tu
non saresti così!
“Su, non piangere…” lo consolò il ragazzo “Non ho pianto
nemmeno io quando me l’hanno detto… non fare la femminuccia!”.
Daijiro, singhiozzando, cercava con entrambe le mani di
fermare le lacrime dai suoi occhi.
Non voglio che fai finta che sia tutto normale!
E’ colpa mia!
Dovrei essere io in quel letto, con le gambe impossibilitate.
Non tu!
Lo sgabello cadde con un tonfo, quando Daijiro si alzò
improvvisamente.
Le lacrime non cessavano, nonostante avesse lottato per
trattenerle.
Aggrappandosi al suo senpai, lo strinse tra le braccia.
“Non volevo, Makoto! Scusa! E’ colpa mia! Tutta colpa mia!!”
singhiozzò Daijiro.
Yanagimachi lo strinse a sua volta.
“E di cosa, Daijiro?!” chiese lui, accarezzandogli i capelli,
per cercare di calmarlo.
“Se io non fossi venuto con te, senpai, se io ieri sera non
ti avessi raggiunto, se non mi fossi arrabbiato con te…” continuò “Se tu… non mi
avessi mai conosciuto…”.
Il ragazzo, sentendo quell’affermazione, lo allontanò da sé,
per vederlo in viso.
“Cosa stai dicendo?!” lo rimproverò “Sono io che dovrei dire
queste cose! Se non ti avessi reso ridicolo di fronte ai miei amici… se io non
ti avessi chiesto di scopare… se tu…”.
Yanagimachi si strofinò gli occhi dalle lacrime.
“Io ho tradito la nostra amicizia… ho abusato di te… non sono
degno di essere compatito da te…” singhiozzò.
Daijiro ascoltò, mentre altre silenziose lacrime gli
scivolavano sulle guance arrossate dal pianto.
Non ricordava di aver mai visto il suo senpai piangere, si
era sempre guardato dal versare lacrime di fronte a qualcuno e probabilmente
anche da solo; ma in quel momento le lacrime che scendevano dai suoi occhi
fecero inequivocabilmente credere a Daijiro che ora Yanagimachi era pentito sul
serio.
Si riavvicinò a lui, stringendolo nuovamente tra le braccia,
questa volta con affetto, per trasmettergli tutti i suoi sentimenti che non era
ancora riuscito a confessare.
Il ragazzo ricambiò nuovamente, questa volta sfogandosi in un
pianto disperato, affondando la testa al petto di Daijiro.
Makoto.
Senpai.
Io non ero nemmeno arrabbiato con te.
Sul serio.
Era quello che volevo farmi credere per sfuggire al dolore
della realtà che ci aveva circondato.
Ma questa tua confessione…
“Su… ora basta!” lo consolò Daijiro “Senpai, tu non puoi
piangere così…”.
Yanagimachi si strofinò gli occhi col dorso della mano.
“Cavolo! Hai ragione!” rise, singhiozzando talvolta.
Per qualche istante rimasero in silenzio, rimanendo comunque
abbracciati e stretti l’un l’altro.
“Scusa…” fece nuovamente il ragazzo, dopo poco “Io non sapevo
davvero cosa avrei ottenuto continuando a fare così… dove ti avrei fatto finire,
Daijiro… questa” fece indicandosi le gambe “è la punizione giusta per quello che
ti ho fatto passare…”.
“Però…” s’intromise l’altro “Da come parli… insomma…”.
Devi aver sofferto anche tu.
Uno che non si pente delle sue azioni passate non parla così.
Anche tu sei rimasto turbato.
“Sono seriamente pentito… ho creduto che così facendo sarei
riuscito ad ottenere qualcosa, ma mi rendo conto che non è assolutamente
appagante violare così una persona e soprattutto non si ottiene assolutamente
nulla di bello… non mi merito nemmeno la tua pietà, Daijiro!” sospirò.
In un primo momento non seppi assolutamente trovare le parole
per commentare una cosa del genere.
So solo che il tuo pentimento a riacceso una speranza nel mio
cuore.
Forse è vero, se non avessimo fatto quello che invece non
siamo riusciti a trattenere, a quest’ora sarebbe tutto normale.
Ma se ciò non fosse successo io non avrei scoperto che per te
sarei disposto anche a morire.
Ti amo, senpai.
Saprai capire quello che provo?
Vorrei dirtelo in qualche modo, ma le parole sono difficili
da trovare e probabilmente questo non è il momento adatto.
L’infermiere interruppe i loro pensieri.
L’orario per le visite era finito.
Uscendo dalla stanza, Daijiro non poté fare a meno di notare
i caldi raggi del sole al tramonto che illuminavano il volto del suo senpai.
Avrei voluto che il tempo si fermasse a quell’istante.
Eri così bello.
Il tuo sorriso l’ho riconosciuto.
Ora è sincero.
E incredibilmente bello e radioso, come mai l’avevo visto.
Nei tuoi occhi finalmente ho saputo leggere qualcosa.
…
Tutti i giorni, Daijiro si recava con regolarità
all’ospedale, a trovare il suo senpai Yanagimachi; la loro amicizia era tornata
a fiorire di nuovo, ma tra i due qualcosa era inevitabilmente cambiata.
Non c’era più molta intimità trai pensieri dei due.
Una settimana dopo Yanagimachi venne rilasciato.
“Bene…” fece lui, facendo scorrere entrambe le mani sulle
ruote della sua sedia a rotelle “Dovrò abituarmici…”.
“Credo proprio!” sorrise Daijiro, accompagnandolo fuori dalla
stanza nella quale era stato fino a quel giorno.
“Sai…” continuò lui.
Il tono della sua voce era cambiato.
“Un po’ di giorni fa, prima che arrivassi tu, è passata
Momoka a trovarmi…mi ha lasciato…”.
Sorridendo all’amico, finse di trovare la cosa indifferente,
ma da quel gesto trasparì inevitabilmente tutto il suo dolore.
In realtà si rendeva conto anche lui, nonostante l’apparente
disinteresse, che quello che gli era successo avrebbe influito notevolmente
sulle persone che lo circondavano; ora non era più lo stesso di prima e la gente
avrebbe inevitabilmente agito diversamente con lui.
“I miei amici… non si sono nemmeno fatti vivi…”.
Daijiro, scendendo a terra in ginocchio, abbracciò il
ragazzo.
Questo rimase sorpreso per quel gesto inaspettato.
“Senpai…” pianse, stringendolo a sé “Non sei solo… ci sono io
con te!”.
“Lo so, Daijiro, lo so!” cercò di tranquillizzarlo,
accarezzandogli i capelli.
“Vieni… vieni a vivere con me!” esclamò ad un tratto,
lasciando Yanagimachi letteralmente di sasso; non si aspettava una reazione del
genere da parte del ragazzo.
“Ma… ma cosa stai dicendo?” chiese allibito, bloccandosi in
mezzo al corridoio.
“Ti ho chiesto di venire ad abitare con me, senpai!”.
Dal tono serio della sua voce traspariva tutta la sua
convinzione.
Yanagimachi non poteva credere che stesse parlando sul serio.
“Insomma, smettila di sparare cazzate!” sorrise lui “Mi vedi
no? Sarei come un bambino piccolo, anzi peggio! Poi dovresti lavorare per due…
non volevi anche frequentare l’università? Non puoi addossarti la responsabilità
di uno come me!”.
“Saresti solo lo stesso no?” ribatté Daijiro.
In effetti era vero: i genitori di Yanagimachi erano morti
già da parecchi anni e lui viveva solo; per un po’ di tempo avrebbe dovuto avere
comunque l’aiuto di qualcuno.
“Ti prego senpai!” proseguì Daijiro “Vorrei prendermi cura di
te… ti giuro, ti sembrerà di vivere una vita normale… farò in modo che non ti
manchi mai niente! Ti prego, non lasciarmi solo…”.
Poteva trattarsi proprio di pietà come aveva creduto
Yanagimachi, ma ormai non poteva più avere dubbi: il ragazzo diceva davvero, dal
suo sguardo, dalla sua voce era espressa tutta la sua serietà.
“Beh… cavolo, se insisti così tanto…” fece lui, un po’
imbarazzato “Mi chiedo solo il perché di tutta questa determinazione…”.
Daijiro si sentì avvampare all’affermazione.
E dall’espressione che aveva assunto Yanagimachi
probabilmente se ne era anche accorto; ora però Daijiro sentiva che non poteva
più tenersi tutto dentro, voleva che il suo senpai sapesse tutta la verità,
anche a costo di rimetterci qualcosa.
“Io…” mormorò, riavvicinandosi a lui “Quella sera che hai
avuto l’incidente volevo dirti… ecco…”.
L’imbarazzo era molto e le parole ben disposte nella mente
del ragazzo non riuscivano a trovare ordine come dialogo; quel caos che si era
creato nella sua testa non faceva che aumentare quello stato di disagio.
“Scusami, senpai…” fece ad un tratto, facendosi coraggio “Io
non riesco… non so come dire… ti amo, Makoto…”.
Arrossendo peggio di prima girò la testa da un’altra parte,
per non vedere la reazione del compagno.
Dove fosse riuscito a trovare tutto quel coraggio era ignoto
anche a lui, ma in fondo ormai il danno era fatto; rispetto alla richiesta che
gli aveva fatto Yanagimachi, che era apparentemente per soddisfare una
curiosità, quella confessione a bruciapelo di Daijiro era una cosa seria. La
verità sarebbe venuta a galla prima o poi, pensò non osando guardare in viso
l’amico, è molto meglio che sia andata così, se no chissà per quanto tempo mi
sarei illuso e avrei vissuto nel mio mondo immaginario.
In cuor suo sperava con tutto il cuore che comunque
Yanagimachi non cambiasse il suo giudizio nei suoi confronti.
Ti prego Makoto, non odiarmi per quello che ti ho detto.
Se non vuoi posso cambiare i miei sentimenti, ci riuscirò per
te.
Rinuncerò ad amarti, mi basta solo che tu continui ad essere
mio amico.
Tra Wada e Yanagimachi regnò per qualche minuto un silenzio
imbarazzante, mentre attraversavano il corridoio dell’ospedale verso l’uscita.
Dopo aver consegnato all’entrata i referti medici di rilascio, i due uscirono,
senza aver detto ancora una parola.
Fuori il sole splendeva sulle fronde delle alte piante e
illuminava con i suoi caldi raggi tutta la zona circostante; improvvisamente
Yanagimachi si bloccò nel vialetto di fronte alla struttura.
Daijiro si volse dalla sua parte.
“Che c’è?” fece.
Per un istante dimenticò che ora il suo senpai sapeva tutto,
ma arrossì dopo poco.
“Daijiro…” disse per la prima volta dopo tanto il ragazzo
“Perché tutto questo…”.
“C… cosa?”.
“Io non mi merito tutto questo… perché tu invece…”.
Per la prima volta in un giorno solo, a Yanagimachi venne da
piangere ancora e, singhiozzando, si coprì il viso con una mano.
Daijiro sorrise e gli si avvicinò a lui; passò un mano sulla
sua guancia arrossata.
“Perché sei il mio senpai!” disse.
Ho sentito nel cuore una felicità immensa.
Sento che ormai siamo vicini come mai lo siamo stati.
Non so se quello che ho fatto dopo averti abbracciato e
consolato sia stato troppo azzardato.
Ma nel cuore sentivo che era giusto.
E anche nel tuo hai pensato così?
Toccando le tue labbra con le mie, con tanta delicatezza come
avessi avuto paura di farti male, ho avvertito che quell’inferno che mi avevi
fatto passare era svanito nel nulla, come mai ci fosse stato.
Forse tu non sarai pienamente pronto a ricambiare, ma tutto
sommato penso proprio che le cose andranno bene tra di noi.
Passerei tutta la vita ad abbracciarti come adesso.
A baciarti.
Ad amarti.
Grazie Makoto!
…
Non mi rendo più conto di quanto tempo sia passato.
Le mie giornate sono sempre state monotone e vuote, ma ora mi
sento quasi viziato.
Adoro svegliarmi al mattino e vedere per prima cosa il tuo
sorriso.
Adoro quando rientri dal lavoro.
Adoro vivere con te.
Quello che mi stai dando tu, Daijiro, io non sarei riuscito a
dartelo nemmeno in mille anni.
Forse un giorno ti racconterò tutto, magari prima di
addormentarci nel nostro letto.
Ho scelto te proprio perché eri tu.
Non perché eravamo tanto amici, perché ci conoscevamo da
tanto.
Daijiro, ho sempre sentito qualcosa di particolare nei tuoi
confronti.
Volevo avvicinarti in quel senso, farti capire in un modo
indiretto quello che sentivo.
Ma ho esagerato, non ho fatto altro che ferirti, renderti
ridicolo.
Volevo apparire forte ai tuoi occhi, ma lo sono stato troppo.
Non desideravo assolutamente causarti tutto quel dolore.
Spero un giorno di riuscire a trovare il coraggio e
soprattutto le parole giuste.
Per adesso mi accontento di amarti timidamente, regalandoti
piccoli gesti affettuosi.
Un giorno saprai anche che quella notte dell’incidente io
vagavo triste e sconsolato da solo, gli amici abbandonati chissà dove e Momoka
uguale.
Avevo paura di quello che avevo detto, di come mi ero
comportato.
Nel mio cuore la speranza di essere perdonato da te era
nulla.
Chiunque non sarebbe riuscito a perdonare un comportamento
del genere.
Volevo essere forte, trovare scuse valide per farmi
perdonare.
Ma non sono forte.
L’unico forte sei tu.
Ancora a volte mi chiedo come tu possa avermi comunque
perdonato.
Ma forse la risposta è molto più evidente di quanto non
sembri.
L’amore sorvola tutto, non è così, Daijiro?
Grazie, se non fosse per te, io non mi sentirei così vivo,
così amato.
Grazie a te il dolore della mia perdita non è più evidente.
Grazie a te posso camminare tutti i giorni, come se non mi
fosse mai accaduto nulla.
Ed è solo grazie al tuo grande cuore che riesco anche a
volare, mio angelo!
FINE
(Non credo di aver superato pienamente le mie aspettative, in
effetti alcune parti non sono riuscite assolutamente come volevo, soprattutto
quelle dei dialoghi a volte scontati! In fondo è una cosa scritta velocemente,
non mi aspettavo nemmeno io qualcosa di meraviglioso, ha le sue pecche evidenti…
in effetti, ho mai scritto qualcosa di meraviglioso…NOOOOOO!! T__T Sigh, che
tristezza, ma la strada è ancora lunga… spero piaccia ai pochi che la
leggeranno, io ci ho messo comunque impegno! ^-^!)