La notte era calata da tempo e tutto era sprofondato
nell’oscurità: le strade erano silenziose, fatta
eccezione per le scarpe dei rari passanti che scricchiolavano sul
selciato e il rumore delle poche automobili che di tanto in tanto
passavano, scomparendo rapide come erano arrivate. Le finestre degli
edifici erano perlopiù buie, ma ogni tanto un rettangolo
luminoso spiccava sulle facciate, a segnalare che qualcuno era ancora
sveglio, che la giornata di alcune persone ancora non si era conclusa.
All’interno di un palazzo antico,
corridoi e stanze erano buie e silenti da un pezzo. Solo in una
sembrava ci fosse ancora vita. Una stanza al primo piano era semibuia:
la poca luce dei lampioni che filtrava dalle finestre si univa a quella
soffusa della lampada da tavolo, l’unica luce che
l’uomo seduto alla scrivania si fosse concesso di accendere.
Una voce si levò dalle ombre
più lontane della stanza.
«C’è qualche
problema con il progetto?».
L’uomo seduto alla scrivania, mollemente
abbandonato nella poltrona, giocherellò con la penna che
stringeva tra le dita. «Potrebbero esserci tra non
molto» annunciò dopo un breve silenzio
meditabondo. «Il mio socio sta facendo delle
difficoltà nell’adempiere a una condizione del
patto che abbiamo stretto dieci anni fa».
L’altro uomo emerse
dall’oscurità e fissò con sguardo
imperturbabile il proprio superiore. «Vuole che me ne
occupi?» chiese, e nonostante la sua voce fosse priva di
qualsiasi inflessione, era chiaro che i suoi intenti non fossero
pacifici.
Il capo alzò gli occhi sul sottoposto,
anche se solo per un breve istante. «Sembri stranamente
propenso a occuparti della faccenda. Direi quasi che per te abbia un
risvolto personale…»
«Cerco solo di rendermi
utile». Con questa breve frase pronunciata in tono di sfida,
in totale contrasto con l’ossequioso cenno del capo con cui
l’aveva accompagnata, il dipendente fece per tornare
nell’ombra.
«Un momento». L’uomo
alla scrivania si raddrizzò di scatto e sollevò
la mano in un gesto rapido e imperioso, bloccando i movimenti
dell’altro. «Anche se non in modo drastico, presto
potrebbe rivelarsi opportuno rammentare al mio socio chi ha il
potere».
L’altro non batté ciglio.
«Vuole darmi delle istruzioni?»
Il suo superiore scosse la testa. «No.
Voglio raccontarti la storia di questo accordo e di cosa ne
è scaturito in un intero decennio».
Per qualche istante il silenzio regnò
sovrano. «Perché?» si decise a chiedere
il sottoposto.
Il primo uomo si lasciò andare contro
lo schienale della morbida poltrona che occupava.
«Perché non potrei affidare questo incarico a
nessuno che non conosca alla perfezione la situazione e le persone che
dovrebbe affrontare. E perché questo gioco sta diventando
pericoloso, per me: ci sono altri nemici che potrebbero approfittarne
per screditarmi». Fece un gesto vago verso una delle due
poltroncine dall’altro lato della scrivania.
«Siedi, siedi. È una storia lunga, tanto vale
stare comodi» disse, sistemandosi la raffinata cravatta di
seta in un gesto meccanico.
Il secondo uomo attraversò la stanza
con poche falcate grazie alle lunghe gambe e sedé in una
poltrona. «La ascolto, signore».
Il primo uomo prese un respiro profondo e chiuse
gli occhi, rievocando i ricordi.
«Tredici anni fa, quando già
ricoprivo un ruolo di prestigio ed ero occupato a rafforzare la mia
posizione, ricevetti una chiamata da un vecchio amico di cui non avevo
notizie da tempo. Ha sempre avuto l’indole del vagabondo,
dunque non mi stupì sapere che si trovava fuori
dall’Italia. Ciò che mi lasciò senza
parole fu la sua singolare richiesta: mi chiedeva con
un’urgenza del tutto incredibile di assicurargli un ben
preciso posto di lavoro. Ovviamente lo accontentai: a me non costava
nulla, e sapevo che fornirgli la mia assistenza l’avrebbe
messo in condizione di dovermi spiegare, prima o poi, il
perché di tale richiesta.
«Non dovetti aspettare a lungo: circa un
anno e mezzo più tardi il vecchio amico bussò
alla mia porta, alla disperata ricerca di aiuto. Mi raccontò
la sua storia: del lavoro che mi aveva pregato di fargli ottenere, i
legami che aveva stretto, le azioni attentamente calcolate
così come le parole e le allusioni, ogni gesto, anche
apparentemente insignificante, dipanati nell’arco di un
intero anno. Quello che si dipinse di fronte ai miei occhi fu uno
sforzo titanico finalizzato a un atto folle: tutto il suo impegno,
tutte le sue macchinazioni erano culminate nel rapimento di una
bambina. “Una
bambina speciale, tanto speciale che non se ne vedrà mai
l’eguale” furono le sue parole
testuali. Non lo comprendevo: stava rischiando tutto – e mi
stava coinvolgendo in una faccenda tanto delicata – per cosa?
Qualche disgustosa perversione? Eppure i suoi occhi, per quanto
frenetici e disperati, erano quelli di sempre:
l’impulsività, la propensione alla rabbia e la
ferocia con cui erano sempre culminati gli episodi in cui aveva perso
il controllo rivelavano il carattere per certi versi crudele ed egoista
che conoscevo bene, ma non c’era traccia del mostro perverso
di cui per un attimo avevo sospettato l’esistenza.
«Tuttavia non volli correre rischi. Se
davvero voleva il mio aiuto, dovevo accertarmi di quale fosse la
situazione prima di espormi: e non potevo farmene un’idea se
non vedendo la bambina stessa. Il mio caro amico esitò
molto, ma fui irremovibile: era l’occasione non solo per
tutelarmi, ma anche per soddisfare la curiosità nata tanti
mesi prima. Sotto la spinta del bisogno, il mio amico cedette. Mi
permise di osservarla, di nascosto, da lontano: e anche se in
quell’occasione non potei scorgere molto più di un
paio d’occhi d’ambra, capii cosa intendesse.
C’era qualcosa in lei che bruciava con
un’intensità tale che mi fu impossibile non
notarlo, così come non potei ignorare il fatto che assieme a
lei bruciava anche il mio amico, quell’incauto che si era
fatto trascinare al punto da sottrare una bambina alla propria
famiglia. L’occasione mi permetteva di osservarlo meglio di
quanto potessi fare con la bambina, e vidi una quantità di
sentimenti bizzarramente assortiti: nei suoi occhi c’era un
ardore implacabile che mal si accompagnava alla premura e alla
sollecitudine con cui seguiva ogni mossa di quella ragazzina
«Ma ormai era fatta. Gli fornii la mia
assistenza una seconda volta, aiutandoli a sparire, e li lasciai a loro
stessi, nonostante una curiosità tutta nuova mi rodesse come
un tarlo fastidioso. Che quella bambina fosse speciale ormai era
evidente anche a me; ma nonostante questo, continuavo a non comprendere
cosa il mio amico vedesse in lei di tanto unico da giustificare le
azioni che aveva compiuto pur di tenerla con sé. Ci ho
pensato molto, in tutti questi anni, e mi sono chiesto spesso se quella
bambina non fosse unica per lui,
se tutto quello che aveva di speciale e che anch’io ho
percepito non fosse tanto straordinario agli occhi del mio amico
perché era l’unico ad avere gli occhi adatti a
vedere tutto ciò che quella ragazzina celava in
sé. Purtroppo non ho mai avuto modo di ottenere una risposta
chiara e inconfutabile a queste domande.
«Per alcuni anni non ebbi notizie di
quello che oggi è il mio socio: sapevo che viveva qui, ma
pur risiedendo nella stessa città non ci incrociammo mai.
Intanto la mia ascesa proseguiva senza ostacoli, tu lo sai, eri
già ai miei ordini: gli incarichi prestigiosi si succedevano
in un vortice che mi spingeva sempre più in alto, e presto
fu chiaro che nessuno mi avrebbe fermato. Ero – e sarei stato
– il detentore di una quantità esorbitante di
potere: era lo scopo che mi ero prefissato fin dalla
gioventù, e al posto mio chiunque altro si sarebbe sentito
soddisfatto e si sarebbe adagiato sugli allori del vincitore. Io,
però, sapevo di non potermi accontentare: il potere
è effimero, la sua conquista dura, e le
possibilità di perdere ogni cosa, sempre dietro
l’angolo, pronto a colpire lo stolto che non sappia
conservare ciò che ha faticosamente guadagnato. Ero
consapevole di dover investire il potere e le risorse che ormai avevo a
mia completa disposizione affinché alimentassero loro stesse
e incrementassero ciò che già avevo –
prestigio, autorevolezza, potere, denaro. Le quattro cose che ti
consentono di tenere in pugno un Paese».
L’uomo tacque, perso nei ricordi. Il suo
sottoposto si arrischiò a spezzare il silenzio.
«Fu allora che le venne
l’idea?».
Il primo uomo si riscosse.
«No, affatto. Ammetto, anzi, di aver
brancolato nel buio in quell’ora gloriosa, di essermi sentito
perduto proprio nel momento di maggiore splendore. Abituato
com’ero a prevedere ogni cosa, e sapendo che il potere che
detenevo avrebbe presto fatto gola a molti, potevo facilmente prevedere
l’arrivo di un antagonista, un giorno non troppo lontano. Ma
era una minaccia indefinita, ancora non concretizzata, e non sapere
contro chi o cosa avrei dovuto combattere mi impediva di prendere delle
contromisure efficaci, in grado di farmi sentire al sicuro.
«Fu proprio in quel periodo che il mio
vecchio amico uscì di nuovo allo scoperto. Venne a
sottopormi un’idea nata dalla vicinanza con quella ragazzina,
un’idea su cui nessuno si era mai soffermato a pensare:
quanti altri bambini, ragazzi e adulti c’erano, in giro per
il mondo, in grado di governare un Elemento senza saperlo?
«Fui affascinato e conquistato da
quell’idea. C’era un potenziale illimitato in essa:
si parlava di centinaia, migliaia…magari milioni di persone!
Abbastanza da costruire un esercito. Abbastanza da formare una guardia
privata più folta, da spedire contro nemici e detrattori.
Abbastanza da permettermi di conservare il mio potere e magari
guadagnarne ancora di più.
«Non gli fu difficile convincermi della
necessità di arrivare a queste persone e istruirle sul loro
potere di Portatori degli Elementi, né su quanto fosse
indispensabile avere un luogo nascosto e inaccessibile in cui
ospitarle. La segretezza era il fulcro di tutta la faccenda: se le
nostre capacità fossero di dominio pubblico non avremmo
più una vita tranquilla, saremmo osservati, studiati,
perseguitati.
«Mi dichiarai d’accordo. Lo
avrei aiutato a far sparire le tracce dei nuovi Portatori in modo che
nessuno li cercasse, mentre lui si sarebbe occupato di individuare i
potenziali Portatori, prelevarli e addestrarli. Era un accordo
perfetto: i Portatori più talentuosi, una volta terminato
l’addestramento, avrebbero lavorato per me, e tutti gli altri
sarebbero rimasti al suo servizio. Dire che ero soddisfatto della
situazione significherebbe minimizzare quello che provavo».
«Continuo a non capire quale sia il
problema» intervenne l’altro uomo. «I
Portatori arrivano e sono degli ottimi elementi, intelligenti, capaci,
bene addestrati. Cos’è che non la
soddisfa?».
«Il nostro accordo prevedeva un altro
punto» rispose il primo. «Dai discorsi del mio caro
amico, capii che il suo attaccamento a quella ragazzina era, se
possibile, aumentato durante quegli anni in cui non avevamo avuto
contatti. Parlava con entusiasmo delle sue capacità di
Portatrice, dell’intensità e della forza del suo
Elemento; e com’era prevedibile, fui di nuovo incuriosito da
lei. Stavolta fu più facile convincere il mio amico a
lasciarmi osservare la ragazza, e quello che vidi mi lasciò
senza parole: l’unicità che il mio nuovo socio
aveva tanto decantato e su cui avevo nutrito numerosi dubbi cominciava
a palesarsi anche ai miei occhi. Quell’adolescente, che a
prima vista non aveva nulla di speciale, era una Portatrice di grande
potenza. Decisi che la volevo.
«Il mio amico non la prese bene. Non
voleva separarsi da lei, ma fui irremovibile: un giorno quella ragazza
avrebbe preso servizio nella mia scorta, altrimenti non avrei
finanziato il suo progetto.
«Ebbi la meglio. Dopo parecchie ore di
contrattazione, il mio amico acconsentì: io tornai ai miei
affari e lui partì per una località che non mi ha
mai svelato, per prepararsi a questa nuova sfida. Ci volle qualche anno
per vedere i primi frutti del suo lavoro, ma non fui deluso: come hai
notato anche tu, i Portatori che si sono uniti a noi sono di chiaro
talento.
«Eppure qualcosa continuava a rodermi il
fegato. Gli anni passavano, ma di quella ragazza non c’era
traccia: parlai più volte con il mio caro amico, ma non ci
fu verso di sapere quello che volevo. Lui ripeteva – e ripete
tuttora – che il suo addestramento non è completo,
che in lei ci sono ancora riserve di potere a cui attingere, che non
è pronta. E se all’inizio potevo prendere per
buone le sue affermazioni, di sicuro ora non lo faccio più.
Quella ragazza è
pronta: più che pronta, ma lui non vuole rispettare il
nostro accordo».
«Per quale motivo non prende
provvedimenti?» gli chiese il suo sottoposto.
«Perché per ora la ragazza
non mi serve» rispose calmo l’altro. Non
notò come la postura dell’uomo che aveva di fronte
si fosse rilassata impercettibilmente. «Ma
arriverà il giorno in cui mi sarà indispensabile,
e quel giorno sarà difficile ottenerla: temo che il mio
attuale alleato diventerà il mio primo nemico».
«Crede davvero che le volterà
le spalle soltanto per una donna?»
«Lo credo. Negli ultimi anni ha
ricominciato i suoi viaggi apparentemente senza mèta: sta
cercando qualcosa. Con ogni probabilità, qualcosa che lo
renda più potente; e se riuscisse ad avere più
potere di me, allora perderò ogni possibilità di
avere quella ragazza come era stato pattuito».
Il sottoposto fissò sul suo datore di
lavoro due occhi nocciola in cui si scorgeva solo un barlume di
preoccupazione.
«Perché quella ragazza
è così importante?» chiese.
L’altro sorrise senza allegria.
«Perché è al tempo stesso lo strumento
della mia salvezza e la chiave per la mia rovina».
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