Pai
– Lo Spazio
Nell'opinione
comune, lo spazio è freddo. Ma come può qualcosa
essere più fredda
del pianeta da dove vengono? Su Arret la temperatura sfiora la soglia
della non-vita e spesso la supera.
Lo
spazio, tutto sommato, è caldo.
Si
guarda intorno. Sono saliti a bordo dell'astronave due ore prima di
Ghish, a sua insaputa. Si chiede perché il Governo abbia
affidato a
lui la missione se era così convinto che non sarebbe stato
in grado
di portarla a termine. Gli hanno risposto che non è
esattamente
così, semplicemente hanno voluto andare sul sicuro e avere
un piano
B, una squadra di riserva all'occorrenza, senza dover però
utilizzare un'altra astronave. Anche perché non sarebbe
stato
possibile. Quella su cui stanno viaggiando è l'unica
funzionante.
Sono
chiusi in una parte secondaria della nave, quella riservata agli
sgusci di salvataggio, perché è l'unica non
collegata ai comandi a
cui ha accesso Ghish. Qui non li troverà a meno che non
abbia
bisogno di abbandonare la nave in caso di emergenza.
Tart
è rannicchiato in un angolo, tra i loro borsoni, e dorme
tranquillamente. Il Governo deve essere parecchio sprovveduto se ha
deciso di mandare in missione un bambino.
Pai
si stende a propria volta. Sono decollati già da diverse ore
ormai.
Chissà quanto sono lontani da Arret. Chissà
quanto sono vicini alla
Terra. Quest'immenso limbo buio si allunga all'infinito, sempre
uguale e sempre diverso.
Può
vederlo attraverso gli strati di vetro infrangibile proprio sopra di
lui. Rivestono tutto il soffitto aprendolo allo spettacolo di
galassie. Ognuna è l'immagine di un'esplosione immobile,
bloccata
nel pieno della sua forza, e allo stesso tempo in lento e costante
avanzamento.
Ci
sono così tante stelle. Così tanti sistemi.
Così tanti pianeti.
Perché
i loro antenati in fuga hanno scelto proprio Arret?
Perché
loro vogliono tornare proprio sulla Terra?
Perché
alcuni sono così attaccati ad un pianeta che non hanno mai
conosciuto, il cui vero ricordo si è tramandato di
generazione in
generazione distorcendosi fino a perdersi?
Victoria
non lo è affatto.
Ma
lei, inutile negarlo, è strana. Lo è sempre
stata, fin dal primo
giorno che l'hanno conosciuta.
Ricorda
bene quel momento. Lei aveva l'aria di essere stata in altri
orfanotrofi – su Arret ce ne sono tanti – ed era
come in cerca di
qualcosa. Non, però, come tutti gli altri che si presentano.
Lei
sapeva già cosa voleva. Non cercava un bambino che
conciliasse i
suoi gusti o che la notasse; doveva trovare qualcuno che aveva
già
scelto.
Ed
è andata dritta verso di loro, come un magnete attratto da
una
calamita. E non c'è stato verso di farla andare via. La
freddezza
con cui ha imparato ad allontanare tutti gli altri non aveva avuto
alcun effetto. Victoria si era imposta. E in qualche modo lo aveva
fatto con naturalezza.
E
come può una donna che ha evidentemente lottato tanto per
avere ciò
che voleva, acconsentire senza esitazioni che tutti e tre i ragazzi
appena adottati partissero per una tale missione?
Ma
perché si sorprende tanto? Non dovrebbe essere ormai
evidente che
quella donna è pazza?
Quante volte l'ha spiata durante
la notte? Quante volte l'ha vista farsi distante? Quante
volte l'ha sentita parlare con qualcuno che solo lei vede?
Si prende la testa tra le mani.
Ci sono troppe cose che non riesce a capire.
Torna
a guardare lo spazio. È identico a pochi secondi fa, e allo
stesso
tempo è completamente diverso. È snervante essere
un semplice
spettatore, senza sapere bene di cosa.
Essere
consapevole di non comprendere ciò che succede intorno a
sé.
Per
qualche motivo, ripensa al modo in cui Victoria li ha abbracciati
stamattina all'alba, prima che se ne andassero – e come
probabilmente ha fatto anche con Ghish qualche ora dopo. Come se lei
stessa avesse affidato loro quella missione.
Come
se stesse trasmettendo loro una specie di malattia.
Pai
si porta una mano alla fronte.
Deve
essere parecchio fuso per pensare queste cose.
Un
capogiro. Come se i pensieri si fossero concretizzati da soli, si
sente male.
È
solo un secondo, un attimo, un istante.
Si
sente risucchiare e avverte la propria posizione cambiare. Ora
è in
piedi.
Sbatte
le palpebre. Si trova come immerso in una densa nebbia verdeacqua.
«Ma
cosa...?» esclama.
«Finalmente
rispondi al mio richiamo ragazzo.» una voce riecheggia
apparentemente da ogni direzione «O forse mi sono rafforzato
abbastanza da vincere la tua volontà.»
Pai
si guarda inutilmente intorno.
«Chi
sei?» chiede ad alta voce, infondendo sicurezza nelle proprie
parole.
Un
suono strano. Come una distorsione. «Chi sono io?»
replica la voce,
ha un che di divertito, quasi di incredulo, ma non di sorpreso.
Pai
si guarda ancora intorno. Non c'è niente, è come
circondato da
impalpabile e uniforme nebbia verdeacqua. Poi, steso a pochi metri da
sé, vede Tart. Dorme ancora, ma ora è agitato.
«Io»
riprende la voce «sono la creatura più potente che
quest'universo
abbia mai incontrato.»
Il
fatto che abbia detto “creatura” e non
“uomo” è inquietante.
Pai si costringe a non mostrarsi spaventato. Perché questa
creatura
si è messa in contatto con lui?
«Il
mio nome è Profondo Blu e voi Ikisatashi starete ai miei
ordini.»
«I
tuoi ordini? Chi ti dà quest'autorità?»
ribatte senza esitazione
«Le uniche direttive che abbiamo sono quelle del
Governo.»
«Il
Governo! Io sono il Governo, lo sarò
presto, appena la vostra
delicata missione sarà compiuta.»
Pai
incrocia le braccia al petto. Ha finalmente individuato il punta da
cui viene la voce. È davanti a lui, all'altezza del suo
viso, ma
diversi metri più distante. Lì la nebbia
è molto più concentrata
e densa, quasi liquida, e più chiara,
come se celasse una
fonte luminosa.
Una
forza vitale.
La
più grande e potente che abbia mai visto, ma nient'altro che
una
forza vitale senza un corpo a cui unirsi, in cui poter sopravvivere
al di fuori di questo limbo.
«Ho
l'impressione che tu sia ancora parecchio debole per avere simili
pretese.»
Un
sibilo basso, ma assordante.
«Sono
abbastanza potente.» afferma la voce.
Pai
sente la propria volontà sbriciolarsi, ne può
quasi sentire il
suono, il rumore di tanti frammenti che cadono a terra. In un certo
senso li imita, perché una forza esterna gli piega le
ginocchia
costringendolo ad inginocchiarsi.
«Victoria
mi aveva detto che tu eri il più ragionevole, mentre Ghish
il più
arrogante.» ghigna la voce.
Victoria?
«Devo
forse ricredermi?»
Lei
lo ha mandato? È lui la voce con cui parlava?
È
lui il fardello che ha consegnato loro prima della partenza? Come
può
essere così?
«Questa
missione è destinata a fallire se agirete senza un
capo.»
La
mente di Pai vola altrove.
Victoria.
Lei
consce questo Profondo Blu? Possono quindi fidarsi di lui come lei?
Perché
sì, Pai si fida ciecamente della propria madre adottiva.
Perché lei
lo ha scelto a colpo sicuro, non può deluderla.
È
per questo che è stato scelto tra tanti altri? Per una
missione che
potrebbe cambiare drasticamente le sorti di un'intera specie, di ben
due pianeti?
Victoria
ha sempre saputo molto più di chiunque altro, di questo
è sicuro.
Se
è così, è inutile opporre resistenza.
È il suo compito.
«Seguirete
i miei ordini.»
«Sì.»
«Bene.»
sibila Profondo Blu.
La
nebbia si dissolve. Pai si sente di nuovo risucchiato, questa volta
riesce a riconoscere e analizzare la sensazione. È come
volersi
teletrasportare all'interno di se stessi.
Si
ritrova di nuovo steso a terra, il viso rivolto verso l'immenso cielo
stellato.
Si
solleva a sedere.
Cerca
Tart con lo sguardo. È ancora rannicchiato tra i borsoni, ma
ora la
sua espressione è tutt'altro che serena. Per fortuna dorme
ancora.
Pai
si alza.
Si
avvicina ai comandi secondari che si trovano nella stanza. Apre le
porte che la separano dal resto dell'astronave e le oltrepassa senza
esitazione. Percorre i corridoi bui con sicurezza. In parte li ha
progettati lui stessi e li ha studiati da cima a fondo. Non gli serve
vedere per conoscere la strada.
Aggira
le poche telecamere che ci sono, si tiene nell'ombra finché
non
arriva a pochi passi dalla sala comandi.
È
separata dal corridoio da una robustissima posta vetrata.
Si
sposta di lato e si appiattisce contro la parete. Avanza di qualche
passo, poi si ferma.
Non
può rischiare di andare oltre.
Ghish
è di spalle, seduto nella postazione di pilota. Decine di
schermi
olografici di varie dimensioni sono alzati davanti a lui e gettano
sul suo volto flash di luce verdognola.
Le
sue dita si muovono rapide sulla superficie liscia su cui compaiono i
tasti per il pilotaggio. Pai le studia per un po'. Sono veloci, ma
non esperte.
Perché
diavolo loro devono rimanere in riserva?
Come
può Ghish anche solo sperare di portare a termine la
missione da
solo? Davvero si illude che non incontreranno nessun tipo di
resistenza?
Victoria
doveva, invece, esserne sicura se ha mandato loro Profondo Blu.
O
forse non è così? Sono forse solo quelli che sono
stati mandati a
sostegno di quell'essere e non il contrario?
Pai
decide che non importa. Devono portare a termine la missione, il
resto conta poco.
Striscia
ancora avanti di qualche passo.
Continua
a fissare le dita di Ghish visto che non può vedergli il
volto. Le
vede rallentare fino a fermarsi e chiudersi a pugno.
Qualche
istante di immobilità mentre sfrecciano nello spazio nero e
vuoto
tra le galassie.
Ghish
apre un nuovo schermo olografico, dopo i primi comandi di avvio,
però, la finestra rimanere verde e vuota. I tentativi di
farla
funzionare vanno a vuoto.
Pai
aguzza la vista. Riconosce il programma di comunicazione.
Ghish
ha appena provato a chiamare il centro operativo del pianeta.
Inutile,
sono chiaramente troppo lontani per delle tecnologie in
realtà così
deboli. Pai si chiede perché mai ci abbia provato.
È stato stupido.
E probabilmente ha anche sprecato parte di energia.
Ghish
non chiude lo schermo, continua invano a farlo funzionare.
Alla
fine lo chiude con un pugno che fa vibrare l'intera tastiera.
«Dannazione Victoria!» urla, inconsapevole di
essere sentito. Anzi,
sicuro ora più che mai di essere solo.
A
Pai basta questo.
Si
ritira nell'ombra indietreggiando di qualche passo. Ghish ha provato
a chiamare Victoria. Per avere spiegazioni. Profondo Blu deve essersi
mostrato anche a lui. Li ha contattati separatamente, quindi deve
sapere che loro sono un piano di riserva.
Deve
avere davvero qualcosa a che fare con il Governo.
O
almeno deve averla Victoria.
Proprio
mentre Pai sta per voltarsi e andare via, Ghish si volta. Come se
avesse sentito un rumore, anche se l'unico suono è stato il
suo
respiro.
Pai
trattiene il fiato e rimane perfettamente immobile.
Nascosto
dal buio dell'assenza di energia, Pai restituisce al fratello
adottivo uno sguardo diretto e perforante. Lui lo fissa a propria
volta, senza però saperlo.
Il
tempo si dilata fino all'inverosimile. Fin quasi a fermarsi del
tutto.
Per
quanto il suo cuore acceleri e i battiti si facciano più
pesanti,
però, Pai non teme di essere scoperto. Sia perché
lo ritiene poco
probabile, sia perché, infondo, non gli dispiacerebbe.
L'idea
di fare da riserva lo disturba, rivelarsi vorrebbe dire agire tutti
insieme fin dall'inizio.
Valuta
la possibilità di avanzare e rivelarsi seduta stante.
Il
Governo potrebbe persino non saperlo.
No.
Bisogna
attenersi ai piani.
Per
il bene della missione.
Se
il loro aiuto non sarà necessario, tanto meglio.
Non
si muove.
Aspetta
pazientemente finché la curiosità si spegne nello
sguardo di Ghish
e lui si volta.
Pai
aspetta.
Ghish
riapre la schermata di comunicazione, tenta invano di farla
funzionare. Poi la chiude di nuovo. Definitivamente, spera Pai,
perché non possono permettersi di consumare troppa energia
inutilmente.
Quando
ha aspettato un tempo che gli sembra sufficiente, si volta e torna
sui propri passi.
Spera
che Tart non si sia svegliato, perché quasi sicuramente
sarebbe
andato in giro per l'astronave. Lui non sarebbe abbastanza pronto da
non farsi scoprire da Ghish.
Pai
si chiede come reagirà il fratello adottivo quando
scoprirà di
loro. Perché lo scoprirà. Che succeda adesso, o
tra qualche giorno
se avrà bisogno del loro aiuto, o tra qualche mese quando
sarà il
Governo a dichiararlo, fa poca differenza. Anzi, probabilmente
più
tempo passa e peggio sarà.
Sente
di escludere l'ipotesi che non lo venga mai a sapere. Il Governo
glielo sventolerà sotto il naso. E lui andrà in
bestia. Come se
facesse differenza. Ghish ce l'ha sempre con tutti.
Come
se ognuno in particolare gli avesse fatto chissà quale
torto.
Il
perché, saranno fatti suoi.
Pai
torna nella stanza da cui è venuto e si chiude di nuovo
dentro.
Tart
è sveglio, ma non se n'è andato in giro. Non gli
chiede dove è
stato.
«Ho
fatto un sogno.» dice solo, come per metterlo alla prova, e
sperando
che fallisca «C'eri anche tu.»
Pai
assottiglia le labbra «Lo so.» risponde
«Non era un sogno.»
Tart
non ne sembra affatto felice.
Nessuno
dei due aggiunge altro.
Pai
si siede a terra e si stende di nuovo, esattamente com'era prima,
come se non si fosse mai mosso, come se avesse passato tutto il tempo
a guardare le stelle.
E
a pensare alle stranezze della madre adottiva.
Che
la missione fallisca o riesca, Victoria dovrà a tutti e tre
delle
spiegazioni.
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