Scritta per la
terribile Big Damn Table *ovazioni di sottofondo* sulla quale
rischierò, ne sono certa, di essere internata. (Dai, tanto
lo sapete cos'è, vero?). Partorita in un pomeriggio
particolarmente noioso e... ehm... non fate domande per quanto riguarda
la filosofeggiante teoria delle neve. Avevo bevuto troppo
caffè.
Non avevo intenzione
di postarle nessuna delle shot per la BDT (secondo i miei piani,
infatti, avrebbero dovuto starserne chiete nel Livejournal (how! Sono
riuscita a farmene uno perfino io!), ma, poverini, questa sembrava
dirmi: "No, ti prego, non lasciarmi con tutte le tue storie di serie B,
ti prego... postami in un sito serio, ti scongiuro...".
Ad ogni modo (QUI
trovate la community di Fanfic100_Ita e, be'... direi basta).
Lascia
che nevichi
by
Trick
Quando
giunge l'inverno, ogni cosa viene ricoperta dalla neve. Fino a quando
non sorge il primo, tiepido sole, nasconde tutto dagli sguardi
curiosi degli uomini. Ricopre il sottile filo d'erba, la pruriginosa
ortica, i semi abbandonati dal vento e l'arida terra bruna. Qualunque
cosa essa celi, ad ogni modo, viene chiamata semplicemente
“neve“,
perché, indipendentemente dal colore della loro pelle e
dallo loro
provenienza, gli uomini non sanno vedere oltre il suo luccicante
candore.
Se
solo, di tanto in tanto, si concedessero pensieri un poco
più
profondi, allora, forse, si renderebbero conto di ammirare nulla
più
di un prato di sterpaglie immacolato.
°°°°°
Era
passato parecchio tempo dall'ultima volta in cui Tonks aveva
passeggiato per le strade di Hogsmeade durante le festività
natalizie. Ricordava ancora come, durante il suo settimo anno di
scuola, gli abitanti del piccolo villaggio avessero deciso di
incantare un centinaio di piccole candele e di come queste,
galleggiando a mezz'aria senza mai spegnersi, avessero continuato a
bruciare indisturbate fino al giorno dell'Epifania.
Stentava
a credere che, da allora, fossero già trascorsi cinque anni.
Gli
anni successivi al diploma erano stati, per lei, un'inesauribile
sequela di impegni e sgobbate e, concentrando tutte le sue forze nel
tentativo di diventare, finalmente, un'Auror qualificata, non era mai
riuscita a trovare il tempo sufficiente per prendersi un pomeriggio
libero.
Ora
che era distaccata dal Ministero della Magia e aveva il compito di
sorvegliare Hogwarts, pensava fra sé e sé,
avrebbe perfino avuto
l'occasione di bearsi dello scintillio di Hogsmeade, ma, com'era
logico, i tempi erano quello che erano.
Naturalmente,
nessuno aveva trovato necessario disturbarsi per rendere più
natalizia e meno cupa l'atmosfera e, non fosse stato per la neve che
aveva ricoperto il villaggio e continuava a scendere a grossi
fiocchi, nessuno avrebbe giurato fosse il giorno della Vigilia.
Pareva che la guerra, alla fine, fosse riuscita a strappare loro
perfino il desiderio di festeggiare il Natale.
Massaggiandosi
stancamente le palpebre stanche, Remus si ritrovò a pensare
all'ultima volta in cui aveva potuto osservare il paesaggio innevato
di Londra dalle finestre opache del Paiolo Magico. L'anno prima, per
la prima volta dopo tanti Natali trascorsi in compagnia di un whisky
solitario, si era convinto che, forse, qualcosa sarebbe potuto
migliorare. Per la prima volta, dopo tanti giorni di sconforto, si
era illuso di potersi deliziare, di nuovo, di quell'atmosfera
familiare e felice, delle sue luci e della sua magia. Troppo presto,
tuttavia, dovette rendersi conto di quanto effimere fossero quelle
speranze.
Lanciò
una labile occhiata ai Babbani che, camminando trafelati per le
strade di Londra, si affrettavano a fare gli ultimi acquisti prima
della mattina di Natale. Sorrise mestamente pensando a quanto, nella
loro inconsapevole diversità, fossero fortunati. Nessuna
guerra,
difatti, pareva incombere nei loro volti sorridenti e spensierati.
Nessuna preoccupazione se non, forse, quella di non acquistare in
tempo gli ultimi regali o, chissà, di non trovare una
rosticceria
aperta per comprare il tacchino del pranzo.
Afferrò
la bottiglia di quel pessimo scotch scozzese che aveva acquistato a
Diagon Alley e si riempì generosamente il bicchiere.
Se
ne rimase seduto accanto alla finestra per ore, ingoiando alcol
scadente e osservando i passanti salire sugli ultimi autubus della
giornata. Di tanto in tanto, alzava il bicchiere dinanzi a
sé e,
flebile, mormorava: «Buon Natale, Londra».
°°°°°
Inarcando
diffidente un sopracciglio e afferrando la propria bacchetta, Remus
si avvicinò con estrema cautela alla porta.
Lanciò un'occhiata
all'orologio abbandonato sul treppiedi accanto all'entrata,
domandandosi chi mai, fra coloro che conoscevano il suo temporaneo
alloggio, potesse aver deciso di fargli visita a quell'ora tarda.
Circospetto,
appoggiò l'orecchio alla superficie di legno e
intimò con
decisione: «Parola d'ordine».
La
voce da cui ottenne risposta era, fra tutte quelle che avrebbe potuto
riconoscere, probabilmente la meno aspettata.
«...parola
d'ordine?» chiese stupita Tonks. «Molly non mi ha
detto che serviva
una parola d'ordine».
«Non
dovresti essere qui» le disse.
«E
invece, ci sono» rispose vagamente lei, mordicchiandosi
nervosa il
labbro inferiore. «Mi fai entrare?».
«No».
«Perché?».
«Perché
non voglio vederti» mormorò addolorato Remus,
passandosi una mano
sul volto provato. «Ti supplico, non farmi questo».
«Ho
freddo, Remus» bofonchiò timidamente Tonks,
appoggiando una mano
sulla porta e chiudendo istintivamente gli occhi. «Nevicava
ancora
tanto fuori e... mi sono di nuovo scordata a casa l'ombrello».
La
porta si aprì con uno scatto metallico e un rumore stridente
di
cardini arrugginiti. Sebbene gli occhi duri di Remus sembrassero
ammonirla silenziosamente, il mago si scostò di lato e la
fece
entrare.
«Non
dovresti essere qui» ripeté.
«L'hai
già detto».
«E
tu non mi hai ascoltato».
Tonks
non rispose. Remus continuò a fissarla come in attesa di
risposta
qualche istante ancora, prima di voltarle le spalle e sigillare
l'entrata con un gesto raffinato della bacchetta. Quando
incrociò
nuovamente il suo sguardo, pareva invecchiato di dieci anni.
«Cosa
ci fai qui, Ninfadora?»
«Tonks»
lo corresse apatica lei, osservandolo senza la traccia di un sorriso.
Dopo
mesi di ansia e preoccupazioni, finalmente, poteva vederlo con i suoi
occhi. Finalmente, era certa che fosse vivo e vegeto,
indipendentemente dalle infinite rassicurazioni degli altri membri
dell'Ordine della Fenice. Se solo lui glielo avesse concesso avrebbe,
perfino, potuto sentire la consistenza della sua camicia e della sua
pelle sotto la mano.
”È
vivo, è vivo, è vivo” continuava
a ripetersi, eppure, sebbene lui non potesse essere che tale, pareva
che qualcosa nel suo sguardo fosse morto. Vi era in lui, e la
consapevolezza di questo mandò una fitta dolorosa al suo
cuore,
qualcosa di diabolicamente diverso che non riusciva ad individuare.
Quando,
l'anno prima, trascorrevano notti insonni chiacchierando davanti allo
sfarzoso camino del salotto di Grimmauld Place, capitava che la luce
dei suoi occhi si facesse, durante gli argomenti più
delicati,
insolitamente cupa. La prima volta in cui avevano parlato della sua
licantropia, lui le aveva sorriso con quel fare cortese che riservava
a tutti, assicurando di esserci ormai abituato, ma, il suo sguardo,
improvvisamente malinconico e rattristato, le aveva raccontato ben
altra storia.
«Come
stai?» tergiversò lei, guardandolo di traverso.
«Bene»
rispose atono lui. «E tu?».
Lei
annuì debolmente.
«Anch'io»
mentì.
Rimasero
a fissarsi intensamente per qualche minuto, senza che a nessuno dei
due venisse in mente di accomodarsi o, più semplicemente, di
allontanarsi dalla porta. Quando Remus trovò la forza di
parlare di
nuovo, l'imbarazzo raggelante che li aveva avvolti parve sciogliersi
un poco.
«Sei
fradicia, Tonks. Forse, è il caso che-».
«Cosa
ti è successo?» domandò lei, diretta.
Lui
la guardò intensamente, corrugando la fronte con espressione
confusa.
«A
cosa ti stai riferendo?».
«Non
sei la stessa persona con cui ho parlato sei mesi fa».
Trasalendo
appena, Remus distolse colpevole lo sguardo. Fece un respiro profondo
prima di parlare nuovamente.
«Cosa
ti aspettavi di trovare?» la interrogò lui, cupo.
«Non sono andato
a fare una scampagnata».
«Lo
so».
«Se
lo sai, per quale motivo me lo chiedi?»
Lei
gli rivolse uno sguardo afflitto.
«In
cosa diavolo ti stanno trasformando, Remus?»
mormorò.
Deglutendo
a stento e cercando di non incontrare i suoi occhi brillanti, Remus
ridacchiò senza allegria.
«Ti
avevo detto che sarei potuto diventare pericoloso, Ninfadora. Ti
avevo detto che non ero un animale addomesticato con il quale potevi
giocare».
Lei
lo fissò con gli occhi sgranati.
«È
di questo che sto parlando»
affermò decisa. «Guardati.
Sembra che tu stia perdendo te stesso».
«Quindi,
qual'è la conclusione?» sbottò
irrequieto lui, allontanandosi da
lei e dirigendosi verso la finestra. Afferrò nuovamente la
bottiglia
di scotch e si riempì il bicchiere. Le mostrò
l'etichetta.
«Ne
vuoi un goccio?» le chiese gelido.
Lei
scosse piano la testa e lui ingoiò tutto in un sorso.
«Di
cosa sei stupita, Ninfadora?» continuò infine,
tormentato. «Cosa
c'è di così difficile nel capire che è
questo, maledizione, che
sono?».
«C'è
che è soltanto la più grande menzogna che ti sia
mai raccontato,
Remus!» strillò furente lei, avvicinandosi di
colpo e afferrando il
suo polso prima che potesse stringersi di nuovo attorno alla
bottiglia. «Tu non sei come loro...»
mormorò, «...ma, diavolo, ti
stia convincendo di esserlo».
Di
nuovo, Remus si massaggiò stancamente la fronte. Lei prese
la sua
mano nella sua e lo costrinse a guardarla.
«Qui
non c'è nessun lupo cattivo, Remus».
Con
una smorfia indispettita, lui scosse il capo.
«Devi
lasciarmi stare» scandì con rabbia.
«Non
puoi obbligarmi» replicò lei, posando le labbra
sulla barba incolta
della sua mascella. Gli sfiorò piano il viso, seguendo le
scie delle
sue cicatrici.
«Non
sono io ad obbligarti, Tonks» mormorò laconico
Remus. «È tutto
quanto».
«Cos'è
”tutto quanto“?»
L'occhiata
che lui le rivolse era colma di silenziosa tristezza.
«La
gente» rispose brevemente. «Il mondo.
Tutte quelle persone che
si stanno apprestando a festeggiare la Vigilia di Natale con i propri
cari, ridacchiando nell'accogliente serenità delle loro case
e-».
«A
me delle gente non frega niente» lo interruppe con asprezza
Tonks.
«Possono fare quello che gli pare, ma non sarà
nessuno di loro a
decidere della mia vita».
«Esatto»
annuì impaziente lui. «Forse non possono ancora
decidere della tua
vita, quindi... non ti permetterò di perdere il
tuo diritto per
inseguirmi».
«Il
mio diritto?» ripeté sconcertata. «Il
mio diritto coincide con il
tuo, Remus!»
Lui
scosse il capo. «Niente di questo mondo gira mai come
vorresti. Non
sei tu a deciderne la rotta. È la massa, la gente... a
scegliere
quando e come arriverà il momento di cambiarla e tu, mi
dispiace, ma
non puoi fare niente per evitarlo».
Tonks
lo fissò intensamente, scuotendo amaramente la testa.
«Come
puoi lasciare che siano loro a decidere chi devi
essere?».
«Io
sono un licantropo, Ninfadora!».
«Ne
sono perfettamente consapevole, grazie mille!»
«Come
puoi...» riprese lui, stremato. «Come puoi pensare
di cambiare un
pensiero comune antico, forse, quanto la magia stessa?»
«Non
ho mai detto di volerlo cambiare. Ho detto solo di volermene
infischiare».
«Non
puoi farlo».
«Perché?».
«Perché...»
tentò di risponderle, affondando il viso nelle mani.
«Perché ne
morirei, dannazione, se finissi per farti del male».
Fissandolo
con le labbra tremanti, Tonks gli sfiorò timidamente la
spalla. Fece
scivolare le dita fra le ciocche sempre più ingrigite dei
suoi
capelli e si sporse lievemente verso di lui.
«Solo
per questa notte, Remus» lo implorò lei,
avvicinandosi piano alle
sue labbra e rabbrividendo nel sentire il suo respiro contro il
proprio viso. «Solo per questa notte, fa' finta che il mondo
non
esista».
Posò
fugacemente le labbra sulle sue e lui, lentamente, alzò la
propria
mano a carezzarle la mandibola.
«Fa'
finta che la neve abbia ricoperto ogni cosa».
°°°°°
Quando
giunge l'inverno, ogni cosa viene ricoperta dalla neve. Fino a quando
non sorge il primo, tiepido sole, nasconde tutto dagli sguardi
curiosi degli uomini. Ricopre il sottile filo d'erba, la pruriginosa
ortica, i semi abbandonati dal vento e l'arida terra bruna. Qualunque
cosa essa celi, ad ogni modo, viene chiamata semplicemente
“neve“,
perché, indipendentemente dal colore della loro pelle e
dallo loro
provenienza, gli uomini non sanno vedere oltre il suo luccicante
candore.
Se
solo, di tanto in tanto, gli uomini si concedessero pensieri un poco
più profondi, allora, forse, si renderebbero conto di
ammirare un
fenomeno molto più intenso di quello che appare agli occhi.
Se
solo, di tanto in tanto, decidessero di dimenticare le leggi secondo
le quali fanno ruotare il mondo, allora, forse, si renderebbero conto
di come entrambi, avvolti nel groviglio delle lenzuola candide e
stretti l'uno con l'altra, sembrassero realmente ricoperti di neve.
Per
una notte, una soltanto, fa' finta che la neve ci possa rendere
invisibili.
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