Arrancando, ci si rende conto, quanto il camminare,
perfettamente dritti ed in piedi sia utile e gratificante. Ci si rende
soprattutto conto che le strade di qualsiasi città, anche le più pulite, sono
tappezzate di uno strato non troppo spesso di gas e smog insopportabili da
respirare. Non tanto perché nocivi, quanto perché nauseabondi. Per non parlare
del fatto che, girare per la città, di notte, senza un cane per strada, e con
due ferite aperte che buttano sangue, non aiutano di certo a non infettare la
salute già precaria. E la cosa divertente. Era che non aveva idea di come fosse
arrivato a quel punto. Perché ricordava a mala pena di essere tornato a casa.
“Casa”.
Diciamo che era tornato nella piccola casetta affittata a primo piano di una
palazzina di Central City. E si era reso conto di
essere tanto stanco e infastidito dalla giornata nuovamente persa, che aveva
del tutto smarrito il senno. Perché non era tanto il “cosa” fare. Era quel
groppo in gola che rimaneva, ogni giorno, quando tornando a casa, vedeva Al,
sorridente e felice, nel suo nuovo corpo tutto nuovo e brillante. Lo aiutava.
Gli ricordava ogni stramaledetto giorno che andando in biblioteca, trovava
interessanti notizie. Che ci erano vicini. Che non doveva preoccuparsi, perché,
sarebbe anche arrivato il suo turno. Perché tutti prima o poi, nella vita,
vengono ripagati del dolore subito.
E più, giorno dopo giorno, lo ripeteva, più la voglia di
sparire, di picchiare selvaggiamente qualcosa o qualcuno, lo assaliva ogni
notte. Nei sogni, si lasciava andare allo spirito animalesco che lo
attanagliava. Sognando di uccidere, di ammazzare, di squartare, chiunque si
facesse vivo. Non avrebbe mai ammesso, che una volta, anche se una soltanto, la
vittima di tanta crudeltà, era stato proprio il fratellino. Sorrideva. E nel
sogno, continuava a sorridere pure mentre veniva ucciso a suon di pugni. Ma
solo pugni. Per bearsi di sentire le ossa della mano ancora di carne, rompersi
insieme alla mandibola degli assassinati. E la mattina, quanto meno, il risveglio
era piacevole. Si sentiva beato dell’avere avuto l’onore di spaccare la faccia
ad un paio di persone.
Era proprio quello stramaledetto ritorno a casa che non gli calava giù. Per
carità, oltre al nervosismo, il cuore era anche ricolmo di gioia nel riavere
accanto il fratellino tornato normale. Il risentire il calore vicino di lui. La
voce non più metallica ma normale. E pure se era decisamente più alto di lui.
Non gli importava. Erano quei due arti da bambola che lo riempivano di rabbia.
Ogni giorno. Ogni volta che studiando, facendo prove ed esperimenti, credeva di
avere trovato una soluzione, e invece faceva un passetto indietro. Era la
rabbia, nel non provare dolore, se per sbaglio toccava una pentola bollente. O
qualcuno gli pestava accidentalmente il piede. Era quel non sentire nulla che
lo stava facendo uscire fuori di testa. E la goccia che fece traboccare il
vaso, fu proprio quando, al ritorno da un'altra giornata passata al quartier
generale, a studiare, entrando in casa si indirizzò alla propria stanza.
Inciampò, involontariamente, in una scarpa lasciata per terra e nel tentativo
di recuperare l’equilibrio, si aggrappò alla libreria davanti a se. Ma questa
gli cadde di sopra e lui, nel vano tentativo di salvarsi la pelle, cadde a
terra. Ma non c’era da preoccuparsi. Proprio per quella che si chiama fortuna,
fini soltanto il braccio di metallo sotto la scaffalatura.
“Sei stato fortunato”. Già le sentiva le parole di Al, o di Winry.
“Vedi, forse non è tanto male avere un braccio come il tuo .. no? Immagina ne
avessi avuto uno di carne.. sai che dolori?” E poi avrebbe concluso con una
risata tranquilla. Per cercare di mostrarsi simpatico con il fratello.
Quell’occasione fece scattare una molla dentro la testa del maggiore degli Elric. Era quel “doversi sentire fortunato”. Fortunato di
cosa? Di fare paura ai bambini, quando
riuscivano ad intravedere il braccio meccanico?
No, si disse, questa volta , per una volta dopo tanto tempo, era il dolore che
cercava. Il disperato bisogno di sentire, e di sapere, che da quel braccio
avrebbe sentito nuovamente qualcosa.
Per questo quando cercò di ricordare la successione dei fatti, e si rese conto
che il dolore lancinante lo stonava, sorrise felice. Sorrise come avrebbe fatto
un folle.
Così, a sangue freddo e cuore caldo e tachicardico, prese la
saggia decisione di togliersi tutto. Ma non soltanto il braccio. Davvero tutto.
Partì dalla gamba, strappandola via, insieme alla stoffa dei
pantaloni. Urlando per il dolore, e piangendo di gioia, per un dolore che non
sentiva da tempo.
E non era come quello del collegamento dei nervi.
Era quello di come quando ti pungi per sbaglio con uno spillo. Soltanto molto
più forte.
Il sangue prese a zampillare presto, ad esplodere, del tutto quando riuscì a
strappare via tutto. I fili e gli allacciamenti fatti con cura da zia Pinako e da Winry. Tutto. Il
sangue si espanse per terra, allargandosi come cerchi nell’acqua. Si, pensò,
finalmente dolore. Dolore vero.
Ma non era finita.
Spogliatosi di fretta, con foga della giacca e della camicia, portò la mano
sana, sulla spalla metallica, e chinandosi
in avanti, già seduto in terra, preparato al dolore, prese a tirare.
Ringhiando i denti. Lasciando che pian piano, percepisse la sensazione della
carne che veniva strappata insieme all’arto meccanico. E così, poco dopo, si
ritrovò davvero senza più la gamba e senza il braccio.
Era vivo.
Si sentiva vivo finalmente.
Urlava.
Nemmeno se ne era accorto, eppure ora che la mente rimaneva qualche secondo in
silenzio riusciva a sentirsi. Stava urlando dal dolore. Ed il sangue intanto,
andava ad allargarsi. Come Blob. Un film visto chissà
quando giorni addietro. E poi rise, reggendosi il sangue della spalla con la
mano sana. Rise e ringhiò. Strizzò gli occhi. Cavolo quanto faceva male. Ma
rise nuovamente, buttando un colpo di tosse, e sgranando gli occhi, mentre il
volto diventava cianotico. E si guardò intorno. Sangue. Gli automail
intorno a lui, con tutti i fili sparsi e galleggianti sul sangue. C’era voluto
un anno, molti anni addietro, per installarli, e lui in nemmeno dieci minuti li
aveva rotti. Staccati. Strappati.
Sgranò gli occhi.
“Cosa ho fatto?” Un sussurro. Flebile. Di chi con agonia
torna per un attimo alla lucidità. Aveva appena distrutto anno intero di
sofferenza e duro lavoro. E adesso? Quanto ci sarebbe rivoluto. Avrebbe avuto
la stessa forza di superare un nuovo intervento?
E intanto il volto impallidiva sempre di più, mentre la ragione faceva violenza
sulla follia manifestatasi. Ed aggrappandosi ad un mobile, cercò di tirarsi su.
Arrancava, mentre la tempie pulsavano con forza, a causa del sangue che andava
scemando dentro il suo corpo. Non si stava nemmeno premurando di fermare
l’emorragia. Acchiappò il primo ombrello che vide, decidendo di usarlo come
bastone. Ed arrancò velocemente fuori casa. Salendo in macchina. Guidando.
Sapendo già dove andare. Sicuro che di lui si ci poteva fidare.
“Al.. Al non deve saperne nulla.. nono.. lui.. lui risolverà tutto.. nemmeno..
nemmeno si accorgeranno di quello che è successo.. si sistemerà tutto..
Maledizione.. sto.. sto parlando da solo..”
Sfrecciava nel traffico. Curandosi solo di non fare incidenti, complicato visto
che la vista prendeva a fare cilecca e lui, continuava a parlare solo nella
vettura. La mano sana andò a cozzare contro il clacson, con rabbia.
“Maledizione, parlo, maledettamente da solo!” Sbottò strizzando gli occhi e
lasciando scivolare via lacrime di una lucidità che stava tornando
inesorabilmente troppo in fretta.
Girò alla secondo traversa, infilandosi in una stradina buia. Di lì scorse
subito l’entrata di servizio della casa in cui si stava dirigendo. Si preparò
alla frenata. Già l’accensione, era stata tutto un programma con un piede
soltanto. Aveva usato l’ombrello in sostituzione, ficcandoselo nella ferita,
visto che l’unica mano rimasta doveva occuparsi di tenerla sullo sterzo.
Ma la lucidità se ne andò via in fretta, e l’ombrello scivolò via in
orizzontale.
Frenò direttamente senza premere la frizione. E la macchina inchiodò con un
suono rimbombante e lasciando che la fronte andasse a sbattere in avanti.
Ringhiò ancora una volta dal dolore. Mentre il sedile era ormai impregnato di
sangue. E le labbra del volto si facevano viola. Le tempie pulsavano,
reclamando sangue al cervello.
Ma non sveniva.
“Che cosa ho fatto?!” Piangeva tenendo la testa indietro, lasciando che la coda
dei capelli, si sfilacciasse. Singhiozzava.
Era appena rincasato. Altra giornata stressante e stancante.
Un po’ turbato dall’aria che si respirava in questi giorni al quartier
generale. Sarà che una testa bionda con la coda, era rimasto alquanto in
disparte da quasi una settimana. Rinchiuso nella camera del laboratorio, come
uno scienziato pazzo. Mai l’aveva visto così attivo nello studio. Più di quanto
lo faceva quando studiava per il suo fratellino. E forse era anche giusto così.
Anche se non ne parlavano, si percepiva che era stanco un po’ dalla sua
situazione. E di certo non poteva biasimarlo. Questo è sicuro. L’unica cosa che
lo preoccupava erano le poche attenzioni avute. Già era stato divertente scoprire
la strana attrazione tra loro. Ma scoprire che già si era spenta lo rendeva
appena inquieto. Per questo, preso dai mille pensieri, quando sentì
l’improvvisa frenata proveniente dalla porta sul retro, ci mise un po’ per
capire proveniva davvero da lì.
Sbuffò.
Già più volte c’erano stati incidenti a causa di quel vicoletto. Che tutti
scambiavano per una via, mentre invece non era altro che un vicolo ceco. Ed
alcuni erano finiti schiantati contro il muro. Mai nessun morto. Solo tanti
spaventi. Come quello che si sarebbe preso da lì a poco. Quando riconobbe
subito la macchina di Ed.
Sgranò appena gli occhi riconoscendolo dal finestrino e sgranando gli occhi.
Nemmeno fece il giro per arrivare al lato del guidatore. Si era lanciato dal
lato che si presentava, ed aveva aperto lo sportello, catapultandosi dentro la
macchina, portandogli due dita al collo. Gesti meccanici. Riconoscendo le
labbra violacee di un cianotico.
“Fullmetal.. !” Esclamò. Aveva la
tachicardia a mille il ragazzo. Il cuore reclamava sangue. Più sangue, che
purtroppo andava perdendo troppo in fretta perché se ne potesse rigenerare
dell’altro.
“Non volevo.. lo
giuro, non volevo.. “ Singhiozzò il biondo, prendendo ancora la mano sana sulla
ferita aperta del braccio. E scuoteva il capo, strizzando gli occhi. La testa
rivolta leggermente indietro. Disperato.
“Se stato tu?” La voce di Roy Mustang tremò per un attimo
come non gli succedeva da tempo, mentre guardava il sangue esplodere copioso.
Ma Edward non rispose. Serrò i denti ed emise un grugnito. L’uomo
preferì tralasciare a dopo le domande, soltanto lo trascinò fuori dall’auto,
stringendolo a se, ed entrando in casa, mentre altro sangue continua a
sgocciolare ovunque.
“Non dirlo ad Al.. ti prego.. non dirglielo.. “ Mormorò il giovane alchimista
mentre veniva adagiato sul letto del colonnello che rimase interdetto a quella
frase. Come faceva a nascondere una cosa simile. Ma non disse nulla. Solo corse
al bagno, raccattando garze, disinfettante, ago e filo. Tornò con il fiatone.
Non per avere fatto chissà quale corsa, ma per il troppo, davvero troppo sangue
che Ed stava perdendo in quello stato confusionale in cui si trovava. Pulì le
ferite, tamponando con le lenzuola e con degli asciugamani, mentre il bordo
frastagliato della pelle della ferita diventava violaceo. Infettato.
“Ed, rimani sveglio, eh?”
Mormorò Roy lanciando uno sguardo supplichevole al ragazzo, che rimase a
fissare il soffitto con sguardo vacuo. Le labbra semi schiuse, e lui che
continuava a tamponare la ferita della gamba, mentre quella del braccio,
sembrava scemare poco a poco.
“Ti giuro che non volevo.. “Mormorò il biondo
muovendo di poco la mano sana verso la spalla bendata stretta.
“Che diavolo significa, non volevo?” Sbottò improvvisamente Mustang sgranando
gli occhi dalla preoccupazione. “E poi anche.. non... non avessi voluto..
insomma.. “ Scosse la testa ringhiando mentre bendava del tutto il moncherino
della gamba e si dirigeva a versarsi del Whisky. Bevve tutto d’un fiato e tornò
vicino il letto, osservando Edward ancora cianotico.
“Ed…” Chiamò in un sussurro il colonnello fissando il
corpo immobile dell’alchimista più giovane. Il petto immobile. Tutto immobile.
Nemmeno il sangue fuoriusciva più. Ed il moro si ritrovò ad indietreggiare
mentre capiva che quel gesto folle del più piccolo aveva preso la strada più
sbagliata che ci potesse essere. Indietreggiò sino a trovarsi dietro le spalle
il muro e la paura ed il terrore presero il sopravvento. Come quando in quei
film dell’orrore ci si spaventava del cadavere perché si sa che da un
momento all’altro, avvicinandosi, il
corpo del morto si sarebbe rialzato improvvisamente destando le urla di tutti.
E invece lui indietreggiava. Consapevole che in questo caso. Nessun cadavere si
sarebbe rialzato. Nessuno spavento imminente. Un cadavere sul proprio letto.
FIRST END.
SPROLOQUIO:Credo proprio avrò di parlare per molto.
In pratica parlerò più qui che nella storia appena sopra letta da voi, credo..
cioè.. presumo.
Volevo ringraziare le numerose Mail che mi sono
arrivate che chiedevano del piccolino che ho dato alla luce di nome Oreste.
Questo esserino di 3.22 Kg (della serie questi me li
gioco all’otto) è nato sano e forte. Tutto è andata placidamente bene e più
passano i giorni più mi rendo conto di amarlo. Povero il mio compagno che si
sente messo in disparte. Ma vabè.. ù.ù per ora ho occhietti soltanto per il mio bamboccio, che
ho già deciso di crescerlo viziato!
Addirittura m’è arrivata una mail con su chiesto :”Lo chiami Edward?” O__O
D’accordo la passione per i fumetti e per il resto XD ma
vi giuro che non ci avrei mai pensato a chiamarlo o Edoardo o Roy o Alfonso XD… il mio Orestino mi basta e mi
avanza come nome ù.ù Già ho dovuto fare a botte con
la madre del mio compagno che esigeva di chiamarlo come suo marito, dunque il
nonno del padre di mio figlio.
Comunque! A parte questo, mi scuso se non ho potuto
commentare le fan fic che in questo periodo sono
uscite e dunque relativi capitoli. A parte leggerle come storie della buona
notte ad Oreste non è che poi rimanesse tanto tempo per commentare eh? Comunque
mi premurerò di commentare da oggi in poi, anche perché mi stavo facendo una
certa nomina eh? Ù__ù sono quasi quasi di tutto rispetto ahaha! ^^
Ma passiamo allo strazio di qui sopra.
STORIA: Dunque
questo primo capitolo che farà parte di una raccolta di al massimo.. mm..
cinque o sei capitolo, è un modo per “studiare” meglio Ed e il rapporto con la
sua “menomazione”
Se così possiamo chiamarla.. poi non vorrei vedermi arrivare addosso pentole
°__°
A dire il vero avrei
voluto scrivere qualcosa sulla nascita, in onore del mio piccolo.
Ma visto che immaginarmi un Edward con le doglie è alquanto straziante, e di trisha so BEN poco. Ho preferito buttarmi su qualcosa che
avevo scritto già da un pezzo.
Dal primo capitolo non si evince troppo di cosa tratta la storia, ma vi
assicuro che questa è la prima che scrivo con un senso ù.ù
Ghghg.
Bè.
Vi auguro a tutti
buone feste e buone vacanze.
Un bacio da Marina
^____^