UNA STORIA DI BAMBINI
Di Ilune Willowleaf
Piccola precisazione
dell’autrice: la storia che state per leggere si ambienta durante l’infanzia di
Inuyasha; Kagome compie un balzo nel tempo di 560 anni, anziché 500, e…beh, se
volete saperne di più, continuate a leggere!
Prima di lasciarvi
alla lettura, la – sigh – nota legale:
tutti i personaggi di questa ff sono di Rumiko Takahashi-sama, e questa
storia è solo un omaggio di una fan alla Divina e alla sua (a mio parere) più
riuscita serie.
TOKYO, XX Secolo
La bambina dai capelli neri correva lungo le ripide scale
che, scalando la collina, portavano al Tempio Higurashi. Era arrabbiatissima
con la sua migliore amica, anzi, no, ora era la sua ex-migliore amica. Avevano
deciso di mettere in un unico posto i loro tesori, quei piccoli oggetti cui i
bambini attribuiscono un grande valore affettivo, ma il loro nascondiglio era
stato subito scoperto da Hayase, il bulletto della classe, che le aveva prese
in giro di fronte a tutti. Meiko le aveva dato la colpa, perché era stata lei,
Kagome, a suggerire di usare un tronco cavo del campetto giochi come
nascondiglio, e si erano messe a litigare ferocemente. Adesso stava tornando a
casa, il tempio della sua famiglia, decisa a nascondere per conto proprio la
borsina di tela che conteneva i suoi tesori più cari.
La mamma non era ancora tornata, però le aveva lasciato un
paio di panini, per la merenda, sul tavolo della cucina. Kagome li prese e se
li ficcò in tasca, uscendo in giardino, e guardandosi intorno alla ricerca di
un posto adatto da usare come nascondiglio. Il suo sguardo cadde sull’edificio
che custodiva il pozzo sacro. Mai, nei suoi sei anni di vita, vi era entrata:
la mamma e il nonno glie lo avevano proibito, in quanto era un posto buio e con
ripidi scalini, e il pozzo era senza coperchio, e lei avrebbe potuto cadervi.
“Visto che non ci posso andare, nessuno sospetterà mai che
io ci possa aver nascosto qualcosa!” pensò, aprendo decisa la porta scorrevole
della piccola costruzione in legno. Il posto era buio, umido, e con un certo
odore di terra umida e muffa che stagnava all’interno. Stringendo
coraggiosamente le manine a pugno intorno alla gonna gialla a fiori, Kagome
scese le scale di legno, guardandosi poi meglio intorno. Non c’era nessun posto
adatto a nascondere la sua borsina, a meno che non l’avesse sotterrata, ma
questa era l’ultima cosa che voleva fare!
Alzandosi sulle punte dei piedi, cercò di guardare dentro al
pozzo, ma era troppo bassa; intestardita, saltò, trovandosi appoggiata sul
bordo con la pancia, e i piedi a penzoloni. Era buio, lì dentro, ancor più buio
che nel tempietto, un nero profondo e vellutato. In fondo in fondo, però, le
parve di vedere una lieve luminescenza color pastello, rosea e verdina, e,
tentando di vedere meglio, si sbilanciò e cadde dentro…
VILLAGGIO DELL’EPOCA SENGOKU
Potevano anche sussurrarle, quelle parole, ma lui le sentiva
lo stesso. Le sentiva, perché quelle parole dicevano il vero.
-Mezzospettro… non giochiamo con lui, è un mezzospettro… è
un piccolo bastardo…-
Il bambino dai capelli d’argento e dal kariginu rosso si
allontanò dal gruppo di bambini che giocavano, tentando di avere un’aria
annoiata, come se se ne andasse perché aveva altro da fare. Ma non era vero.
Non aveva nulla da fare, se non tornare da sua madre, in visita ai suoi
parenti, e stare attaccato alla sua gonna per tutto il giorno. Ma non voleva
tornare dalla madre, perché sapeva che non sarebbe stato benvisto lo stesso
neppure nella casa del capovillaggio, il padre di sua madre. Tolleravano
haha-ue perché era la prediletta dell’inu-youkai che spadroneggiava in quelle
terre, la rispettavano perché pareva essere l’unica capace di calmare la furia
del potente youkai, e perché, da quando aveva partorito lui, il mezzodemone, il
suo chichi-ue non aveva più devastato i villaggi. Ma lui no, lui non lo
sopportavano. Non gli dicevano parole offensive, ma il piccolo Inuyasha capiva
dai loro movimenti, dal loro odore, dal tono delle loro voci cosa provavano per
lui: disprezzo. Li aveva uditi, col suo sensibilissimo udito, definirlo un
“bastardo mezzospettro che sarebbe meglio uccidere subito, prima che diventi
forte e malvagio”, e ne aveva sofferto. Lui era già forte, avrebbe potuto
spaccare le assi della casa con un solo colpo delle sue manine di bimbo di sei
anni e mezzo, ma non l’aveva fatto. A che sarebbe servito? Solo a far guardare
male la sua haha-ue. E questo non l’avrebbe mai sopportato. Lui poteva
soffrire, ma non la sua mamma.
Pensava a questo, il piccolo Inuyasha, camminando senza meta
nei boschi che circondavano il villaggio, con le mani infilate nelle maniche
del kariginu rosso e i piccoli piedi scalzi che percorrevano rapidi i sentieri
della foresta. Quando la mamma avesse finito la visita, lo avrebbe chiamato, e
lui l’avrebbe sentita anche da lontano. Comunque, sarebbe tornato in prossimità
del villaggio prima del tramonto. Era un bambino ubbidiente, e di questo,
almeno, era orgoglioso: non era certo come quei piccoli umani maleducati e
insolenti, che si rotolavano nella polvere e facevano i dispetti alle giovani
ragazze!
Si sedette tra le nodose radici di un grosso albero, in una
radura, a pochi metri da un pozzo. Chissà che diavolo ci faceva un pozzo, lì in
mezzo alla foresta!
D’un tratto, il vento cambiò, e dalla direzione del pozzo
venne un odore di umano. Di una bambina.
Alzandosi in piedi, Inuyasha si chiese cosa potesse spingere
una bambina in un bosco. Non avvertiva altri odori umani, quindi doveva essere
sola. Annusò un po’ in giro, finché non individuò la fonte dell’odore: era nel
pozzo!!
Si arrampicò sulla sponda, guardando giù, e quale non fu la
sua sorpresa nel trovare una bambina che, con le lacrime agli occhi, si
guardava intorno stupita.
Kagome girò lo sguardo intorno a sé. Che strano, nel
tempietto era buio, mentre ora vedeva la luce del giorno scendere
dall’imboccatura del pozzo. Aveva battuto la testa, e un grosso bernoccolo le
si era gonfiato dietro, facendole un sacco di male; inoltre, si era sbucciata
le ginocchia e i gomiti, e aveva sporcato di terra il suo vestitino nuovo.
“Chissà chi la sente, adesso, la mamma!” pensò. Alzò gli occhi, incrociando lo
sguardo con quello di un bambino dagli occhi d’ambra e dai capelli d’argento
che la guardava, stupito, dal bordo del pozzo.
-Ehi, chi sei?- chiese, alzandosi in piedi.
-Questo te lo dovrei chiedere io, assieme al perché sei
finita lì. – rispose lui, ancora appollaiato sulla sponda del pozzo.
-Io sono Kagome. Sono caduta qui dentro…mi aiuti ad uscire?-
-E come?- chiese lui, sorpreso: l’unica cosa che gli umani
gli avessero mai chiesto, era di levarsi dalle scatole.
-Non so, buttami una corda, vai a chiamare qualcuno…io abito
al tempio, qui fuori. –
-Quale tempio? Il più vicino dista una settimana di viaggio.
–
-Cosa?! Che stai dicendo?!- chiese lei, tra lo stupito e
l’arrabbiato. Tutti gli abituali frequentatori del tempio Higurashi la
conoscevano, anche solo di vista.
-Se non ci credi, esci e guarda. – rispose Inuyasha, freddo.
Ora era più familiare, gli esseri umani gli parlavano sempre stizziti.
Imbronciata, Kagome cercò di arrampicarsi, ma scivolò giù,
franando assieme a della terra. Grossi lacrimoni le affiorarono agli occhi, ma
non un lamento le uscì dalle labbra: non voleva essere considerata una
frignona. Provò a risalire altre tre volte, sotto lo sguardo sempre meno
divertito e sempre più preoccupato di quello strano bambino. Alla fine,
Inuyasha saltò dentro al pozzo.
-Oh, no! Perché sei saltato giù? Adesso non riusciremo più a
tornare su!-
-Zitta. Attaccati a me, e non aver paura. – le disse. Kagome
ubbidì, e Inuyasha, con un solo salto, arrivò sulla sponda del pozzo, e con un
altro fu a terra. Kagome era senza parole; Inuyasha, invece, era
super-orgoglioso di se stesso. Talvolta, suo padre lo portava a spasso nelle
foreste e nei campi, tenendolo in braccio e compiendo salti prodigiosi, e lui
si era allenato tanto per poterlo imitare, saltare portando una persona! Il
fatto poi di essere uscito da un pozzo profondo diversi metri, e con una
bambina più o meno delle sue dimensioni attaccata al vestito, lo riempiva di
soddisfazione.
-M…ma è incredibile! Come hai fatto? È stato troppo forte!-
esclamò Kagome, stupita e ammirata.
-Non è stato niente di eccezionale…- mentì Inuyasha,
arrossendo per l’imbarazzo; mai nessuno gli aveva fatto un complimento del
genere! -…ora, però, torna a casa. Se ti trovano con me, passerai dei guai. –
Kagome si guardò intorno, realizzando che quella foresta
buia era tutto fuorché il Tempio Higurashi.
-Ma… ma… dov’è casa mia?- le lacrime tornarono ad affiorare
nei grandi occhi castano scuro.
-Ti sei persa?-
-Non… non lo so… io… cercavo un posto dove nascondere la mia
borsina, e sono andata nel tempietto del pozzo… il nonno e la mamma me lo
avevano proibito, ma io ci sono entrata lo stesso… e sono caduta nel pozzo…
uehehehehe!- si mise a piangere, accasciandosi sulle ginocchia, e coprendosi
gli occhi con i pugnetti chiusi.
-Non ci capisco niente… comunque, hai degli abiti davvero
strani…-
-Strani? Ma sono l’ultima moda, a Tokyo!-
-Tokyo? È da lì che vieni?-
-S… si. –
-Non l’ho mai sentita nominare. –
-Com’è possibile? Tutti conoscono Tokyo!-
-Ci sono molte cose che ancora non so. Ma la mamma sa tutto.
Forse, lei sa dirti dov’è. –
-Davvero? Potrei parlare con lei, per favore? Voglio tornare
a casa… -
Inuyasha ci pensò un attimo. Se avesse fatto incontrare
quella strana bambina con la mamma di fronte alla gente del villaggio,
sicuramente non sarebbe stato un bene, per nessuno dei tre.
-Stasera, quando partiremo dal villaggio per tornare a casa.
– disse Inuyasha, tornando a sedersi tra le radici dell’albero. Kagome si sedette
accanto a lui, guardandosi intorno.
-Non potrei andare al villaggio, intanto? Mi fa paura,
questo bosco… -
-A me fa più paura la gente del villaggio. –
-Perché? Sei forte, no? Sei davvero fortissimo, non dovresti
avere paura di nessuno!-
Inuyasha arrossì di nuovo, al complimento. Era la prima
volta che un bambino umano era gentile con lui! Ma forse, questa lo era perché
lui l’aveva tirata fuori dal pozzo.
-Loro non sanno che sono forte. Se lo sapessero, avrebbero
paura, e mi disprezzerebbero ancora di più. E disprezzerebbero haha-ue. Non
m’importa più di tanto di cosa pensano di me, ma non voglio che parlino male
anche di haha-ue!-
-Scusa, lo noto solo adesso, ma… -
-Ma cosa?-
-Le orecchie… sono vere? Sono troppo kawaii!!-
-Cos… certo che sono vere! Cosa credevi?-
-Non so, non ho mai visto esseri umani con le orecchie così…
e coi capelli d’argento. Sono davvero belli!-
Inuyasha arrossì ancora. Quella bambina gli aveva fatto già
tre complimenti, più di quanti ne avesse ricevuti dagli estranei in tutti i suoi
sei anni e mezzo di vita!
-Io non sono un essere umano. –
-No? Ma allora, cosa sei?-
-Un… hanyou. – disse, a fatica; detestava quella parola.
-Un che?-
-Un hanyou. Il figlio di uno youkai e di un’umana. – abbassò
lo sguardo. Sapeva che ora, inevitabilmente, la bambina si sarebbe spaventata,
o disgustata, o lo avrebbe canzonato. Ma non aveva saputo non risponderle.
-Davvero? Non avevo mai conosciuto un hanyou in vita mia!
Beh, per la verità, non ho mai sentito parlare nemmeno di youkai!- disse invece
Kagome, allegra. Inuyasha alzò lo sguardo, stupito: non solo non si era
spaventata, o disgustata, ma addirittura gli stava sorridendo! “Ma chi è questa
qui, che non ha mai sentito parlare degli youkai?”
-Ringrazia il cielo, di non averne mai incontrato uno. Il
mio fratellastro Sesshomaru è uno youkai… e mi detesta. Lui detesta tutti gli
esseri umani; e detesta me, che sono per metà umano. –
-Mi sembra ingiusto detestare una persona per qualcosa che
non ha scelto o voluto. In fondo, mica l’hai deciso tu, di nascere hanyou!-
Inuyasha la guardò, nuovamente stupito. Kagome, intanto,
aveva tirato fuori dalle tasche i panini.
-Io ho fame, è ora di merenda. Vuoi un panino anche tu?-
-Io… io… si, grazie. – rispose stupito il bambino. Era
sempre più strano! Una bambina umana che non strillava scappando via,
vedendolo, che gli faceva i complimenti, che era gentile con lui e che ora,
addirittura, gli offriva metà della sua merenda! Mangiò assieme a lei il panino
alla marmellata, e poi andarono a lavarsi le mani ad un torrente che scorreva
lì vicino. Acchiapparono insieme i girini e le ranocchie, si stesero sull’erba
fiorita a guardare le forme delle nuvole e a immaginarvi gli animali, e
costruirono una casetta di foglie e rametti. Il pomeriggio passò rapido, e
Inuyasha se ne sorprese: di solito, quando si rifugiava nei boschi, mentre la
madre era in visita alla famiglia, lui si annoiava a morte, e le ore passavano
in un lento, monotono stillicidio.
-Oh, è già sera! Bisogna che torni dalla mamma! Vieni?-
-Arrivo! Non lasciarmi in questo bosco!- le prime ombre del
tardo pomeriggio calavano, e il bosco s’incupì in fretta. Il solo rumore era lo
stormire lieve delle fronde, e il gracchiare dei corvi. In un paio di decine di
minuti furono in prossimità del villaggio, e si sedettero su ciglio della
strada.
-Ecco, di solito la mamma si ferma qui, con il carro, e mi
chiama; io salgo, e torniamo a casa. –
-Perché non fai visita ai parenti assieme a lei?-
Un sorriso sghembo, quasi una smorfia, si disegnò sulle
labbra del bambino –Mi detestano, quelli là. Sono la prova vivente di quanto
mio padre ami mia madre… e loro non amano propriamente chichi-ue. –
Il tempo passava, lento. Per fare qualcosa, si misero a
disegnare nella polvere, con dei rametti.
-Ecco, questa è la mia famiglia. La mia mamma, il nonno, io,
e papà. Papà, però, non c’è quasi mai, a casa. È sempre in viaggio. Ora è in
Germania, e tornerà tra un mese. –
-Dov’è la Germania?-
-Non lo so bene neanche io. È lontanissima, molto più della
Cina, in Europa. –
-Oltre la Cina? Deve essere davvero lontano, allora. Questa,
invece, è la mia famiglia: io, haha-ue, e chichi-ue. Anche lui è spesso via,
deve difendere il nostro territorio dagli altri youkai che vorrebbero venire
qui e distruggere tutti i villaggi e uccidere tutti gli umani. A me,
personalmente, non mi importa molto di quelli dei villaggi, però, se morissero,
haha-ue sarebbe triste, e io non voglio che sia triste. –
-Vuoi molto bene alla tua mamma, vero?-
-Certo. Chi non vuole bene alla sua mamma? A parte
Sesshomaru; lui non vuole bene a nessuno, solo a se stesso. –
-Chi è questo Sesshomaru?-
-Mio fratello grande. È figlio di chichi-ue e di una youkai
che non conosco. È uno youkai completo, ed è cattivo. Odia haha-ue, ma non può
farle male, perché chichi-ue ama più me e lei di Sesshomaru, e se Sesshomaru ci
fa male, chichi-ue dopo fa molto male a lui!- Inuyasha disse queste parole
gonfio di orgoglio: era vero, non vedeva il padre quasi mai, però si avvertiva
sempre la sua presenza in casa, sottoforma di protezione di lui e di sua madre
dagli altri youkai cattivi.
Un carro superò una curva della strada, rendendosi visibile
ai due bambini. Era il tipico carro nobiliare, trainato da un grande bue,
seguito da alcune dame e da degli uomini. Una bellissima donna scostò la stuoia
intrecciata che ne copriva l’apertura, affacciandosi nella loro direzione.
-Inuyasha! Vieni, dobbiamo tornare a casa! Domani torna
chichi-ue, lo sai, no?-
-Haha-ue! Può venire anche Kagome con noi?-
-No, Inuyasha, lo sai che tuo padre non vuole che porti i
bambini dei villaggi a casa. Sesshomaru potrebbe far loro del male. – sospirò
la donna, mentre il carro si fermava davanti a Inuyasha e Kagome.
-Ma, haha-ue, Kagome ha bisogno di aiuto! Non sa dov’è casa
sua, dice di essere caduta nel pozzo del suo tempio, e di essersi svegliata nel
pozzo nella foresta! Guarda che vestiti strani che ha, dev’essere vero! Viene
da un posto che non ho mai sentito, ma forse tu lo conosci, vero?- le chiese,
tutto d’un fiato, prendendole con le manine un lembo della ricca manica del
kimono. –Haha-ue, è stata buona con me. Abbiamo giocato tutto il pomeriggio,
sai? Non avevo mai giocato con nessun bambino, mi sono tanto divertito!– disse
poi, più piano. La donna guardò il figlio, che era sempre stato solo, per la
sua natura ibrida. Poi guardò Kagome. Certo, il vestito era sporco di terra e
un po’ bagnato, ma indubbiamente non aveva mai visto abiti del genere. Forse,
quello che raccontava era vero. Non dubitava delle parole di Inuyasha, perché
lo aveva educato bene, ed era un bambino obbediente e sincero, e pareva tenere
molto a quella bambina.
-Beh, non possiamo certo lasciarla qui, in mezzo ai campi,
adesso che sta calando la sera, con tutti gli youkai che infestano questi
boschi! Avanti, bambina, sali. – disse, sorridendo. Kagome ringraziò con
deferenza. Aveva intuito subito che la mamma di Inuyasha doveva essere una
persona importante: un carro così bello, e degli abiti così ricchi, li aveva
visti solo nelle preziose bambole antiche che la mamma tirava fuori per la Hina
Maturi, il 3 marzo (*), ed erano bambole vestite assai preziosamente! D’un
tratto, smisero di sentire le buche della strada, mentre in compenso si sentiva
un sibilo come di forte vento; sbirciando attraverso le fessure della stuoia,
Kagome si accorse che il carro stava volando! Ma sia Inuyasha che sua madre
erano tranquilli, per cui pensò che, per loro, doveva essere del tutto normale.
Il nonno, qualche tempo prima, le aveva mostrato un antico disegno; non ne
ricordava la storia, che il nonno le aveva raccontato, ma ricordava l’immagine
vivida, che raffigurava una dama in un carro volante, trainato da un bue con
tre occhi, e circondato da strane persone che assomigliavano ad esseri umani,
ma non lo erano. Si sentiva, ora, un po’ come nel disegno.
-Allora…Kagome?- chiese la donna. Kagome annuì.
-Allora, Kagome, Inuyasha mi ha riferito qualcosa di te, ma
alquanto confusamente. Potresti raccontarmi come sei finita nel pozzo
mangia-ossa, in mezzo alla foresta?-
Kagome raccontò tutto, dalla lite con la sua migliore amica,
alla sua ricerca di un posto dove nascondere i suoi tesori, alla caduta nel
pozzo e all’aiuto che aveva ricevuto da Inuyasha. Purtroppo, la mamma di
Inuysha, anche se sapeva tante cose, non seppe spiegare come mai la bambina
fosse passata dal pozzo del tempio a quello in mezzo alla foresta.
-Di solito, vi vengono gettati i cadaveri degli youkai
uccisi, e dopo pochi giorni, sono spariti. Forse, porta ad un’altra dimensione,
e tu vieni proprio dall’altra dimensione. –
-Ma quando ci sono ricaduta dentro, scivolando giù mentre
cercavo di risalire, non sono tornata a casa… -
-Non so cosa dirti, bambina. L’unica cosa certa, è che non
puoi restare in prossimità di quei villaggi. Da quel che mi hai detto, vieni da
un posto completamente diverso da questi posti, e non credo che avresti vita
facile. –
-Haha-ue, può restare con noi? Ti prego, ti prego, dì di
si!- chiese Inuyasha alla madre, tirandole leggermente la manica.
-Non spetta a me deciderlo, Inuyasha, ma a lei. Non possiamo
trattenerla contro la sua volontà, anche se so che ti piacerebbe ospitarla. –
rispose lei, carezzando la testa dai capelli argentati del figlio.
-Vuoi restare con noi, Kagome?- chiese allora il bambino a
Kagome, guardandola con occhi speranzosi. Lei non chiedeva di meglio! La
signora era tanto gentile, e Inuyasha era così simpatico! E poi, comunque, non
avrebbe saputo dove andare, né come sopravvivere o tornare a casa, e di certo
l’idea di dormire da sola, in mezzo ai boschi o con estranei, non l’allettava
certo di più della prospettiva di restare col suo nuovo amico e la sua
bellissima mamma! Accettò, ringraziano di tutto cuore, e Inuyasha si mise a
fare i salti per la gioia, finché la madre non gli disse di smetterla, o
avrebbe rischiato di cadere fuori del carro! Tenuto conto che volavano a molte decine
di metri da terra, e che lui non aveva ancora l’agilità e la resistenza di un
adulto, l’hanyou preferì sedersi accanto a Kagome, che tosto gli insegnò il
gioco del “sasso-carta-forbice”.
Dopo circa mezz’ora, il carro smise di volare, e sotto le
ruote tornarono a sentire il rumore del suolo. Percorse ancora qualche metro,
poi si fermò, e due dame vennero ad aiutare la mamma di Inuyasha a scendere. I
due bambini scesero da soli, senza aspettare l’aiuto di nessuno, e subito
Inuyasha trascinò via Kagome, per farle vedere la sua casa e la sua camera. La
madre dell’hanyou sorrise, felice della felicità del figlio, e si affrettò a
dare ordini perché la cena fosse servita per tre.
La casa di Inuyasha era davvero grande, con tre piani di
stanze, salotti, biblioteche, studioli e magazzini ricolmi delle cose più
strane. I pavimenti di legno emettevano un suono morbido e ovattato sotto i
piedi nudi dei bambini, Kagome aveva lasciato i suoi sandali all’ingresso, e
Inuyasha era sempre scalzo; l’odore della cera aleggiava, mescolato a quello
più delicato del the, dell’incenso e dei fiori che adornavano in bellissime
composizioni diversi angoli della casa, o che deliziavano la vista dalle
finestre, giù nel magnifico giardino. Di tanto in tanto arrivava il gorgoglio sommesso
e musicale di una fontana muschiosa, o il richiamo degli usignoli del giardino,
che cantavano dolcemente al calar della sera, mentre gli ultimi raggi di sole
passavano, ovattati dalle pareti interne di carta di riso, illuminando
dolcemente il legno del pavimento, e indorando tutto ciò che sfioravano.
La camera di Inuyasha sarebbe potuta essere quella di un
principino della sua epoca: mobili laccati, tatami finemente intrecciati,
stuoie colorate, un grazioso paravento decorato con draghi e fenici, verdi,
rossi e dorati. Il futon era già stato preparato dalla servitù, ed era grande,
spesso e soffice come una piuma. Inuyasha corse ad una grossa cassapanca
decorata, tirandone fuori una palla colorata, e invitandola a giocare con lui.
Giocarono nella stanza illuminata dai raggi del sole calante, finché una
giovane cameriera non venne ad informare il signorino Inuyasha e la signorina
Kagome che la cena sarebbe stata servita di lì a poco, e che quindi dovevano
raggiungere la signora per la cena.
La sala da pranzo era bellissima, adorna di pannelli
raffiguranti paesaggi, e, pur essendo piuttosto lussuosa, era sobria ed
elegante, per nulla ridondante di sfarzo. La cena era tutta squisita, e
Inuyasha si servì due volte di tutto, mangiando in fretta e di gusto, ma sempre
in modo educato, tenendo le bacchette con cura. Si vedevano gli sforzi della
madre affinché crescesse educato!
La camera per Kagome era stata preparata accanto a quella
del “signorino Inuyasha” e, pur essendo più piccola e meno lussuosa, era arredata
con ottimo gusto, con mobili impreziositi da laccature rosse e nere, e un
paravento a fiori e farfalle. La porta-finestra scorrevole dava sul terrazzo,
come quella di Inuyasha, e i due bambini si sedettero, sotto la sottile falce
di luna crescente, con i piedi penzoloni, sul legno scuro e lucido del
terrazzo.
-Domani tornerà mio padre. Sono davvero contento, sai?-
-Anche io sono sempre contenta, quando mio papà torna a
casa. Però, lui non si ferma mai a lungo; una settimana, qualche volta dieci
giorni, poi riparte. E non lo vedo per mesi. –
-Mio padre, invece, torna a casa spesso, una volta al mese,
almeno, però resta poco. Ci manca molto, quando non c’è. Quando c’è lui, a
casa, è tutto più bello. Sesshomaru gira alla larga, e se la mamma va a trovare
i parenti, nessuno osa dirmi cose brutte. Spesso, papà mi porta con sé in giro
per i boschi, e corre veloce! È bellissimo, quando mi prende in braccio e corre
velocissimo nei boschi, sugli alberi, e sulle rocce delle montagne!-
-Invece, mio papà, quando torna a casa dai suoi viaggi, mi
porta tanti regali. Ma per me, il regalo più bello sarebbe che restasse sempre
a casa. Vuoi vedere alcuni dei regali che mi ha portato?-
-Oh, si, mi piacerebbe davvero!-
Kagome aprì la borsina, che portava a tracolla, e ne estrasse
alcuni oggetti, che posò sul pavimento, tra lei e Inuyasha.
-Ecco, questo braccialetto di perline di vetro viene
dall’Italia, da Venezia. È una città costruita su tante isolette, alla foce di
un grande fiume. Questo pettine, invece, viene dalla Spagna, e questa statuetta
di giraffa dall’Africa. Il cammello dall’Egitto, e l’asinello dal Cile. –
-Accidenti! Come sono belli! Che strano animale!- commentò
Inuyasha, rigirando tra le mani la giraffa di legno, e passando poi ad
esaminare il cammello. –Che buffo, ha due bernoccoli sulla schiena!-
-Si chiamano gobbe, ci tiene il cibo e l’acqua per quando va
nel deserto. Papà mi ha raccontato che dove vivono i cammelli c’è solo sabbia,
tanta tanta sabbia, e niente acqua. Ci sono le oasi, che sono piccole pozze d’acqua
in mezzo al deserto, e lì i cammelli mangiano e bevono, e poi mettono da parte
il loro cibo e la loro acqua qui dentro. – disse, indicando le gobbe.
-Devono essere animali davvero strani!-
Continuarono a parlare degli strani oggetti che Kagome aveva
con sé, senza accorgersi dell’ombra, sottovento, che li osservava dal tetto
della casa. Questi sorrise, guardando l’hanyou e la bambina umana, un sorriso
caldo e umano, malgrado le zanne che spuntavano dalle labbra, e i lunghi
capelli argentei che ricadevano sulle spalle larghe e muscolose e sulla lunga
coda bianca avvolta attorno alle spalle, come un mantello. “Domani avrai una
lunga storia da raccontarmi, figlio mio. Per il momento, voglio sentire solo
tua madre.” Si eclissò nelle ombre, ricomparendo nell’alone di luce della
lampada nella camera della mamma di Inuyasha, che lo accolse con un sorriso, un
abbraccio, e un profondo bacio.
Il mattino dopo, era appena sorta l’alba che Inuyasha già
girava come una trottola impazzita per la sua camera, mezzo svestito, mentre la
giovane youkai che gli faceva da cameriera lo implorava di stare un po’ fermo,
e di finire di vestirsi, prima di andare a salutare il signore. Il piccolo
hanyou stette calmo appena il tempo di finire di vestirsi e di allacciarsi
l’abito, poi schizzò fuori della sua camera, precipitandosi nello studio dove,
ormai sapeva per esperienza, trovava suo padre al mattino.
-Chichi-ue! Chichi-ue, sei tornato!- gridò, precipitandosi
ad abbracciarlo. Lo youkai sollevò il figlio, stringendolo poi a sé. Da quando
sua madre gli aveva fatto scoprire la bellezza dell’amore, e dei buoni
sentimenti, quasi dieci anni prima, non si era voluto privare di un solo attimo
di gioia che potesse concedersi. E stare con suo figlio Inuyasha era una di
quelle gioie.
-Ne dubitavi, forse?- gli chiese, facendolo sedere sulle sue
ginocchia.
-Chichi-ue, sai che ho un’amica, ora? Si chiama Kagome, ed è
un’umana. È comparsa nel pozzo mangia-ossa, e dice di essere caduta in un pozzo
vicino alla sua casa, ma io l’ho trovata lì, è la prima bambina che è stata
gentile con me, pensa abbiamo giocato un sacco, e ha un odore davvero buono,
sai, e pensa che ha un sacco di pupazzi di animali strani, e…-
-Calma, calma. Raccontami tutto con più calma, figliolo. –
lo interruppe il padre, perché Inuyasha parlava a raffica, eccitatissimo,
superfelice, assolutamente eccitatissimo. Inuyasha ricominciò il suo discorso
daccapo, con calma, riempiendosi intanto la vista e il cuore dell’immagine di
suo padre. Era un grande youkai, coi capelli d’argento e gli occhi d’ambra,
come lui, soprastati da folte sopracciglia argentee, lunghe e regolari.
Indossava anche lui un kariginu, color blu notte, un colore che faceva un
piacevole contrasto con la lunga coda argentea e leggermente riccioluta che gli
avvolgeva le spalle, come una specie di stola. Entrambi avevano lunghi artigli
alle dita, ma Inuyasha non ricordava di averglieli mai visti usare. I
lineamenti perfetti erano resi ancora più piacevoli dal sorriso che ne
illuminava il volto, incorniciato dai lunghissimi capelli argentei, tagliati in
una frangia regolare e perfettamente pettinata. Per il piccolo Inuyasha, era
l’immagine della forza e della protezione, dell’ordine e della sicurezza.
Più tardi, fecero colazione tutti insieme, Kagome, Inuyasha,
sua madre e suo padre. Se la madre di Inuyasha era parsa a Kagome bellissima,
quasi restò a bocca aperta vedendone il padre! Si ricordò però dell’educazione,
e dopo aver profondamente ringraziato per l’ospitalità, rispose a tutte le
domande che lo youkai le poneva su come era finita nel pozzo. Anche lui arrivò
alle stesse conclusioni della moglie: quel pozzo doveva essere una specie di
portale, ma come fare per riaprirlo, e farla tornare a casa sua, restava un
mistero.
Il padre di Inuyasha si trattenne per due giorni, poi, con
gran dispiacere del figlio, dovette ripartire, per andare a rimettere al loro
posto un paio di insolenti youkai che sconfinavano nel suo territorio, e per
andare a ritirare dal Maestro Totosai due spade che gli aveva commissionato un
paio di mesi prima, staccandosi entrambe le zanne per fornire la materia prima.
Tessaiga e Tenseiga, la sua eredità ai figli. Non gli piaceva pensare alla sua
morte ma, presto o tardi (tardi, sperava) sarebbe arrivata, e voleva stabilire
fin da subito come sarebbe stata spartita la sua potenza. Aveva visto come
Inuyasha, malgrado non avesse avuto un trattamento gentile con la maggior parte
degli esseri umani, si fosse subito affezionato, ricambiato, alla piccola
umana, Kagome; la Tessaiga sarebbe andata a lui, la spada che aveva fatto
preparare per proteggere la donna umana che lui amava, la madre di suo figlio,
la ragazza che gli aveva insegnato l’amore. La Tessaiga, nata per proteggere
gli esseri umani, era adatta a lui, che aveva le potenzialità di uno youkai, e
il cuore di un umano. Per quanto riguardava Sesshomaru… quella era la nota
dolete. Un tempo, prima di conoscere la sua amata, era stato orgoglioso di quel
figlio così simile a lui, così freddo e spietato, ma ora…ora si vergognava,
quasi, del precedente sentimento, e si rammaricava che nel figlio maggiore non
albergasse, apparentemente, alcun sentimento a parte l’ira, l’odio, la superbia
e la rabbia. In Tenseiga, capace di riportare alla vita anche i morti, vi aveva
infuso tutti i suoi sentimenti migliori, e sperava che, se l’avesse tenuta con
sé, Sesshomaru si sarebbe ammorbidito un po’. Sospirò, concentrandosi poi
sull’odore dello youkai-tigre e sullo youkai-orso che avevano sconfinato,
insediandosi in una foresta ai limiti del suo vasto territorio, e massacrando
la cacciagione della zona; sperava di arrivare prima che decidessero di passare
agli umani.
Erano ormai passati venticinque giorni da quando Inuyasha e
Kagome si erano conosciuti, e avevano giocato insieme, si erano divertiti un
sacco, anche nei giorni di pioggia, quando giocavano a prendersi e a scivolare
nei lucidi corridoi della casa, o la mamma di Inuyasha leggeva loro bellissimi
libri di leggende e racconti, o giocavano con le marionette di stoffa. Ogni
giorno era più bello del precedente, e Inuyasha non si sentiva più solo. Kagome
lo trovava speciale non malgrado fosse un hanyou, ma proprio perché lo era! Non
finiva mai di stupirsi quando, giocando a nascondino, lui riusciva a trovarla
col solo fiuto, o quando arrivava sui rami di un albero con un solo balzo. La
sera si sedevano sul terrazzo a guardare la luna e le stelle, e Kagome gli
parlava della sua vita prima di cadere nel pozzo, e poi si addormentavano,
spesso nello stesso futon, come fratelli, nell’innocente sonno dei bambini. E
la mattina si svegliavano, mangiavano, e poi correvano a giocare a nascondino,
o a saltarello, o a saltare la corda; oppure cercavano i girini nella fontana e
i grilli e le cavallette nel prato, e una volta trovarono uno scarabeo
rinoceronte grossissimo, che in realtà era un piccolo youkai-scarabeo
rinoceronte, alquanto seccato di essere preso per la schiena da due bambini.
Un pomeriggio, stavano facendo una passeggiata nel bosco, di
ritorno da un campo di fragole selvatiche, dopo essersene fatti una scorpacciata.
La sera prima aveva piovuto, e tutto era umido e stillante, il muschio, le
felci, le foglie degli alberi. Il sentiero arrivava in prossimità di una
scarpata molto ripida, costellata di massi aguzzi, e la madre di Inuyasha aveva
raccomandato loro di fare particolare attenzione, di non allontanarsi dal
sentiero, e sopratutto di non avvicinarsi MAI alla ripida scarpata. D’un
tratto, un odore fece arricciare il naso a Inuyasha, come se avesse odorato
della carne marcia. Allarmato dal familiare e temuto odore, si voltò,
frapponendosi tra Kagome e la scarpata. Ma tra lui e il ciglio del burroncello
c’era proprio l’ultima persona al mondo che avrebbe avuto piacere di vedere: il
suo fratellastro maggiore, Sesshomaru!
-Bene bene, piccolo bastardo. Vedo che anche tu condividi i
gusti di nostro padre, accompagnandoti ad un’umana. – disse, con l’ombra di un
sorriso sprezzante sul volto gelido.
-Non puoi toccarmi, Sesshomaru, lo sai. Se alzi un solo dito
su di me, nostro padre lo verrà a sapere… e sai che non è tenero, con le
punizioni. – ringhiò il bambino, all’indirizzo del fratellastro.
-Già, tu sei il preferito, il protetto, eccetera eccetera,
malgrado tu sia solo un bastardo mezzosangue, e che prima di conoscere quella
donna fossi IO il preferito di nostro padre. Comunque, quella femmina umana non
è la preferita di nessuno, per cui non mi accadrà nulla se… - in un istante era
sparito, e l’istante dopo stringeva Kagome per il collo.
-Lasciala, maledetto!- Gridò Inuyasha, scagliandosi contro
il fratellastro, cercando di graffiarlo con i piccoli artigli e di morderlo con
le zanne da latte che aveva, pateticamente inutili contro la pelle adulta e
resistente che lo youkai aveva.
-…se la buttassi di sotto, non trovi, fratello?- Sesshomaru
si era spostato sul ciglio del burrone, tenendo sospesa la bambina nel vuoto.
Kagome cercava di allentare la presa dello youkai dalla sua gola, perché si
sentiva strozzare, ma occhieggiava preoccupata il baratro e le rocce aguzze
sotto di lei.
D’improvviso, fu Sesshomaru a trovarsi preso per la gola,
nel vero senso della parola, da una mano dagli artigli ben più lunghi e potenti
dei suoi, e dalla stretta incredibilmente più potente. La stretta di suo padre.
-Mettila giù, Sesshomaru, o potrei dimenticarmi che sei mio
figlio… - il tono era glaciale. Per la prima volta, Inuyasha vide suo padre
arrabbiato, ed era davvero temibile, con i lunghi occhi ambrati gelidi e venati
di rosso, la voce tagliente e i potenti muscoli pronti a scattare. Ma era uno
spettacolo estremamente piacevole, per lui, vedere l’odiato fratellastro appeso
per il collo come spesso lui teneva gli umani. Sotto la “gentile” richiesta del
padre, Sesshomaru lasciò la presa dalla gola di Kagome, dopo averla riportata
con la terra sotto ai piedi, e solo allora la stretta ferrea dello youkai
maggiore si allentò, senza però sciogliersi del tutto.
-Ricorda, Sesshomaru: fai del male a Inuyasha, o a Kagome, e
mi dimenticherò che sei mio figlio, e ti tratterò alla stregua degli youkai che
invadono il mio territorio; ci siamo capiti?- gli disse, gelido, prima di
lasciare la presa sul collo candido del figlio. Questi annuì, gli occhi pieni
di terrore. Bene, adesso c’era un altro sentimento che il giovane inu-youkai
conosceva, oltre la rabbia, l’odio, il disprezzo e la stizza: la paura. Certo,
non desiderava che il suo cadavere marcisse nel pozzo mangia-ossa, per cui ebbe
il buongusto di eclissarsi tra le fronde degli alberi, massaggiandosi la gola
indolenzita dagli artigli paterni.
-Tutto bene, bambini?- chiese poi a Inuyasha e a Kagome, con
la voce di nuovo calda e dolce. Inuyasha si precipitò ad abbracciare il padre:
mai era stato tanto felice di vederlo!
Li prese entrambi in braccio, poi, correndo e balzando nella
foresta, li ricondusse a casa, passando il pomeriggio con loro.
Quella sera, l’inu-youkai parlò a lungo con la madre di
Inuyasha, quando già i bambini erano a letto, e tutta la casa era immersa nel
silenzio. Era preoccupato, per via di Sesshomaru, che tormentava Inuyasha, era
preoccupato perché sempre più youkai tentavano di entrare nel suo territorio,
ed era preoccupato in special modo perché aveva sentito che, recentemente, era
comparso uno youkai-drago, potentissimo, figlio di due youkai maggiori, che
pareva mirare a fare suoi tutti i territori possibili. Era necessario eliminarlo,
prima che diventasse troppo potente. Sarebbe potuta essere una battaglia
mortale, e di questo ne era ben consapevole. D’un tratto, uno schianto secco,
nel cuore della foresta, fece sobbalzare lo youkai, allarmandolo. In un lampo,
fu fuori della finestra, e in pochi minuti raggiunse la fonte di quel
frastuono. Era proprio come temeva: il giovane youkai-drago, che aveva appena
fatto crollare le rocce di un’alta cascata, e che ora contemplava divertito lo
spettacolo di distruzione che aveva provocato. Pigramente, si voltò in
direzione dell’inu-youkai. Lo youkai-drago non poteva avere più di vent’anni, e
i corti capelli verdi incorniciavano un volto dai tratti affilati e dagli occhi
totalmente rossi. Gli abiti attillati, di fattura cinese, non nascondevano le
due corte katane che portava legate in vita, mentre la mano giocherellava con
una sfera di cristallo vorticante.
-Questo non sarà solo uno scontro per uno sconfinamento; lo
sai, vero, inu-youkai?- disse, piano. Pareva estremamente sicuro di sé.
-Lo so bene, moccioso di drago. Sappi che non sarò tenero,
con te. – gli occhi dello youkai si fecero rossi, mentre la mano si posò
sull’elsa della Tessaiga. Non era la sua sola arma, ma era la più indicata, in
quel momento: combatteva principalmente per salvare la sua donna e suo figlio,
nella casa nella foresta.
-Come vuoi, cagnolino…- sussurrò lo youkai-drago, prima di
scomparire a gran velocità. Ma quella tecnica non aveva effetto sull’esperto
inu-youkai, che si voltò di scatto, estraendo la spada forgiata con la sua
zanna e ferendo di striscio il giovane youkai. Questi si ritrasse appena in
tempo, stringendo le due katane e portandosi poi all’attacco, attacco che il
suo avversario scansò per pochi centimetri.
Lo scontro proseguiva, velocissimo. Ad un osservatore umano,
nulla sarebbe stato visibile, se non un lampo blu e argento e uno verde e
rosso, che sfrecciavano da una parte all’altra della zona, abbattendo alberi
secolari e disintegrando rocce immense nella loro furia combattiva. L’intera
foresta risuonava dei loro scontri, e nei villaggi vicini, la gente
terrorizzata pregava gli dei che l’inu-youkai vincesse: solo in quel momento,
dopo aver sentito delle stragi commesse dallo youkai-drago, si rendevano conto
di quanto sicura fosse la loro vita, nel territorio dello youkai maggiore, che
non aveva più ucciso umani, da quando gli era stata offerta quella fanciulla
che era diventata la madre di suo figlio!
Purtroppo, parve che gli dei non ascoltassero le preghiere:
i due youkai avevano abbandonato le loro sembianze umane, assumendo il loro
vero aspetto, e la battaglia si stava facendo di istante in istante più
sanguinosa. Il gigantesco cane bianco, grande come una montagna, era coperto
delle ferite infertegli dal dragone verde e rosso, che sputava fiamme dalle
froge incandescenti, e che sferzava il candido corpo dell’avversario con la
coda aculeata e con gli artigli coperti di veleno. Ma nemmeno il giovane
youkai-drago era indenne: era anche lui coperto di ferite, segni dei potenti
morsi dell’avversario, delle sue zanne e dei suoi artigli micidiali.
Avvinghiati, morsero l’uno la gola dell’altro, in una stretta mortale, cadendo
su una montagna e sfracellandola col loro peso. Rimasero immobili, come morti,
per diversi minuti.
Un fremito, poi, attraversò il groviglio di corpo; il drago,
il cane…quale dei due… l’inu-youkai! Lui aveva vinto! Era riuscito a uccidere
il potente avversario, e il nero sangue bollente dell’avversario gli imbrattava
il candido muso, accecandolo, ustionandogli la pelle e le mucose della gola. La
Tessaiga giaceva, lì, a pochi metri da lui; con un’immane sforzo di volontà,
allungò una zampa martoriata sulla katana, chiudendo gli occhi. La sigillò
dentro al suo corpo, e, con le ultime forze che gli rimanevano, sigillò il suo
corpo morente e la carcassa dell’avversario sconfitto, che giaceva sotto di
lui, in una piccola sfera nera, che scomparve nell’aria, per comparire poi tra
le candide dita di una donna, in una casa in mezzo alla foresta. Questa fissò
per un istante la perla nera; poi, comprendendo cosa significasse, si lasciò
andare ad un pianto disperato, non curandosi che qualcuno potesse sentirla.
Il frastuono della battaglia giungeva fino alla casa nella
foresta, dove una donna pregava ardentemente perché il suo amato tornasse vivo,
e dove una bambina umana e un piccolo hanyou si stringevano terrorizzati l’uno
all’altra, osservando sgomenti lo spettacolo delle fiamme nella foresta, dei
due immensi spettri che combattevano la mortale battaglia, abbattendo colline e
radendo al suolo ampie zone di foresta nella loro foga. Quando poi Inuyasha
vide il corpo del padre, schiantato sulla montagna avvinghiato al suo
avversario, immobile, non resistette più.
-Padre! PADREEE!!!- saltò giù dal terrazzo del primo piano,
ove era la sua camera, e si precipitò verso il luogo dello scontro.
-Inuyasha! Fermo, aspetta!- gridò Kagome, precipitandosi poi
giù per le scale per uscire dalla casa e raggiungere l’amico.
La foresta era fitta e tenebrosa, in quella notte ormai
quasi finita, rischiarata solo da un sottile spicchio di luna calante, appena
sorta ad est. Kagome non riuscì a raggiungere Inuyasha che dopo quasi un’ora,
nell’immenso cataclisma provocato dal titanico scontro. Ma i corpi non erano
più lì. Nulla, nemmeno una ciocca di pelo, una scaglia, un brandello di
vestito. Volatilizzati. Al centro del grande spiazzo, Inuyasha, che piangeva
disperato, in ginocchio per terra, nello stesso punto in cui, poco prima, suo
padre si era sigillato in una perla.
-Inu… Inuyasha…- disse piano, toccandogli la spalla. Il piccolo
hanyou pareva non averla sentita, perché continuava a singhiozzare. –Chichi-ue…
dove sei? Perché non ci sei? Eri qui, perché non ci sei più?-
Kagome lo abbracciò lasciando che piangesse, finché non ebbe
esaurito tutte le lacrime, finché… finché un odore di youkai lo fece alzare di
scatto, afferrarla per un polso e trascinarla via dalla radura.
-Inuyasha! Che succede?!-
-Youkai. Che detestano mio padre; e me. Perché vengono qui?
Chichi-ue li ucciderà, lo sanno…-
-Inuyasha… tuo padre non potrà più ucciderli…-
-Sigh… Lo… lo so, eppure… non ci credo! Non può essere
morto! Mio padre è lo youkai più forte del mondo! Non può essere morto!-
-E invece lo è, piccolo bastardo. – gli rispose una voce
sprezzante alle loro spalle. I due bambini si voltarono, spaventati: era un
kappa, una di quelle creature che suo padre aveva costretto ad abbandonare le
zone frequentate dagli esseri umani, e che ora non vedevano l’ora di vendicarsi
sul figlio preferito del loro nemico.
-È morto, si è fatto ammazzare da quel giovane youkai-drago,
sono crepati tutto e due, e non sai quanto godiamo nel saperlo. E ora, nessuno
protegge più il piccolo bastardo mezzosangue… chissà come dev’essere tenera, la
carne di due bei bambini come voi… - disse, pregustandosi già un pasto a base di
carne di hanyou e di bambina umana.
Kagome e Inuyasha arretrarono di qualche passo, poi la
bambina ebbe un’illuminazione.
-Maleducato, non sai che ci si presenta? Io sono Kagome. –
disse, facendo un inchino. Il kappa, confuso, perché era un kappa beneducato
malgrado tutto, si inchinò –Io sono il vostro peggiore incubo, bambini…-
sibilò, ma le parole gli morirono in gola: l’acqua che portava sulla testa, la
fonte della sua forza, era appena scorsa via nella terra divelta dallo scontro…
perdeva le forze! Si accasciò a terra, mentre Kagome afferrava Inuyasha per una
manica del kariginu e lo trascinava via.
-Le leggende dicono il vero! I kappa perdono la forza, se
gli scorre via l’acqua!-
-Grazie, Kagome! Io non ci avrei mai pensato! Andiamo a
casa!-
Corsero, nel bosco, terrorizzati: la notizia della morte di
suo padre era corsa in fretta, e frotte di spettri, grandi e piccoli, stava
accorrendo nei boschi prima sgombri e sicuri. Per evitarne alcuni, cambiarono
sentiero più e più volte, ed era ormai sera, e la casa non si vedeva ancora: si
erano persi. Avevano freddo, fame, paura. Due bambini perduti in una foresta
brulicante di spettri. Poi, il paesaggio si fece un poco più familiare,
aprendosi in una radura con al centro un pozzo…
-Il pozzo mangia-ossa! Ora so dove siamo!- esclamò Inuyasha.
Magra consolazione, comunque, perché era assai lontano da casa sua. Qualcosa
turbinò vicinissimo alla sua guancia, e il giovane hanyou si voltò, spaventato:
era uno Shibugasuru, uno spettro corvo che divorava i cadaveri, ma che non
disdegnava qualche bambino sperduto ancora vivo. Questo, poi, pareva
particolarmente intelligente, e cercò di attaccare il bambino agli occhi,
mettendolo in seria difficoltà. Frattanto, un altro Shibugasuru era spuntato
dai rami degli alberi, e stava cercando di beccare Kagome, che si difendeva
alla bell’e meglio con un ramo. I colpi degli artigli del piccolo Inuyasha
andavano, purtroppo, quasi sempre a vuoto, ma alla fine riuscì a staccare
un’ala allo spettro che lo stava tormentando; si voltò, per andare ad aiutare
Kagome, che era stata costretta con le spalle al pozzo dallo spettro corvo, e
che ora stava cercando di difendersi agitando disperatamente il bastone che
aveva preso per aiutarsi a camminare. Shibugasuru la afferrò, sollevandola, ma
Inuyasha fu lesto a colpirlo coi suoi artigli, uccidendolo. Ma Kagome cadde nel
pozzo, e l’ultima parola che l’hanyou sentì fu il suo nome: -Inuyashaaaa!!!-
Si precipitò nel pozzo, per tirarla fuori ed assicurarsi che
fosse ancora viva, ma… Kagome non c’era più! Scomparsa! Il fondo del pozzo era
vuoto e pulito, solo terra battuta, qualche sasso, e i resti dello Shibugasuru
che aveva appena ucciso. –Kagome… KAGOMEEEE!!!- Kagome non c’era da nessuna
parte. Le gambe cedettero al bambino, che si sedette per terra, lì, sul fondo
del piccolo pozzo, piangendo, piangendo, piangendo come mai aveva fatto in vita
sua. Suo padre era morto, la sua amica era scomparsa, le foreste pullulavano di
creature che avrebbero voluto fargli la pelle, si era perso, e… sigh, era solo!
Solo, solo, solo che più solo non si poteva, in quella foresta che temeva, ora.
E in più, stava sorgendo il nuovo giorno; il giorno di novilunio; e lui ora era
un piccolo bimbo umano sul fondo di un pozzo, in mezzo alla foresta.
La giornata passò, lenta, e anche la notte, piena di rumori
che a Inuyasha parevano lo scricchiolio sinistro delle zanne di youkai. Si
addormentò, e sognò che il suo papà tornava, che lo tirava fuori dal pozzo, e
che lo riportava dalla mamma; tutti e tre, loro, felici. Si svegliò, all’alba,
piangendo, tremante, affamato e assetato. L’unica cosa buona, era che era
tornato un hanyou.
-MAMMAAA!!! MAMMAAAA!!! MAMMA, DOVE SEI?!? NONNO, MAMMA,
AIUTOOO!!!-
-Kagome! Kagome, bambina mia, che ci fai, nel pozzo? Stai
bene? Oh, ti avevamo proibito di entrare nel tempietto, guarda come ti sei
conciata il vestito!-
Kagome aveva battuto di nuovo la testa, e non ricordava
nulla di quello strano viaggio nel tempo. Qualche fuggevole immagine, di un
bambino dal vestito rosso e gli occhi d’ambra, e di uno strano uomo alto con
una specie di stola di pelliccia, e di una bellissima donna… e nient’altro. Un
sogno, pensò, dimenticandosene.
La mamma la prese in braccio, la portò in casa e le fece un
bagno, cambiandole il vestito sporco e stracciato. La rimproverò, ma poi, alla
sera, le dette il bacio della buonanotte, e le raccontò una favola. E il
mattino dopo, Kagome fece pace con Meiko, e per quasi dieci anni, non mise più
piede nel tempietto del pozzo, accanto all’albero sacro del tempio.
-Signorino Inuyasha? Signorino Inuyasha, siete voi?-
-Chi…? Vecchio Myoga! Che ci fai, qui?-
Il vecchio pulce Myoga non si faceva vedere da ormai tre
mesi. Era stato mandato da suo padre in ricognizione in alcune zone “calde”,
dove un minuscolo spettro come lui passava inosservato, e poteva vedere e
ascoltare cose interessanti.
-Voi, signorino, piuttosto, che ci fate, laggiù? Avanti,
tornate su, vostra madre ha bisogno di voi, ora. –
-S…si. Eccomi, arrivo. – uscì dal pozzo con un balzo,
rimpiangendo di non avere di nuovo anche Kagome da portare fuori, e seguì il
vecchio servitore di suo padre, che lo ricondusse a casa.
La mamma, piangente, stava congedando la servitù. Erano
youkai minori, che però si erano affezionati alla donna del loro padrone, e non
le avrebbero mai fatto del male, anche ora che il loro signore era morto.
Comunque, non era opportuno, né sicuro, che restassero lì con lei. Così, la
donna decise che era meglio, per tutti, che lei e suo figlio si trasferissero
nella casa paterna di lei. L’ultimo viaggio nel carro nobiliare volante, che li
lasciò davanti alla piccola casa del capovillaggio. Inuyasha, confortato dalle
parole, dal profumo, dalla presenza della mamma, si addormentò, e mentre
dormiva, la donna prese tra le dita la perla nera.
“Come tu volevi, caro. Sigillata nell’occhio di nostro
figlio, il vero custode della tomba, che non la vede mai.” La perla nera,
poggiata sulla palpebra destra del bambino, vi entrò magicamente, nascondendo
la tomba del grande youkai maggiore nel corpo di un hanyou di sei anni e mezzo.
Erano passate due settimane, da quando papà era morto.
Inuyasha stava sempre chiuso nella capanna del padre di sua madre, in un
angolo, oppure si arrampicava sugli alti rami di un albero, nascosto, lontano
da tutto e da tutti. Parlava solo con sua madre, e spesso passavano giorni
interi senza che dicesse una parola. Gli abitanti del villaggio lo ignoravano,
se andava bene; talvolta, invece, lo insultavano, e allora lui correva via, tra
gli alberi della foresta, vicino al pozzo mangia-ossa. Pensando alla sua amica
misteriosamente scomparsa.
Una sera, tornando verso il villaggio con una lepre appena
uccisa – aveva notato che, se portava della selvaggina, in casa si astenevano
dall’offenderlo, per qualche giorno – sentì l’odore di paglia bruciata, e vide
alte fiamme divorare una casa. Subito si mise a correre, raggiungendo le case
in pochi minuti, e con sommo orrore vide che la casa che bruciava era quella
del capovillaggio, e che dall’interno proveniva la voce di sua madre! Si lanciò
tra le fiamme, incurante del calore, nessuno tentò minimamente di trattenerlo…
anzi, nessuno pareva intenzionato a salvare la sua mamma!
Stretta contro la parete da un muro di fiamme, la donna si
spaventò ancora di più nel vedere lì anche il figlio, ma Inuyasha passò con un
balzo attraverso le fiamme, protetto dal vestito di hinezumi, e con un solo
colpo delle mani strette a pugno fracassò la sottile parete contro cui era
stretta la madre, trascinandola poi all’esterno. Anche lui era sorpreso della
sua forza, così come tutti gli abitanti del villaggio, che lo guardavano
terrorizzati: era dunque quello, il suo vero potere? Capace di spaccare il muro
di una casa, con quelle esili manine, di trascinare fuori di peso una donna
adulta coperta di sette kimono! Gli abitanti del villaggio, accorsi con secchi
e contenitori pieni d’acqua, arretrarono, spaventati.
Una trave incandescente si staccò dal tetto, cadendo sulla
testa di Inuyasha, che d’improvviso vide tutto buio…
Inuyasha guardava, senza capire dove fosse, il tetto di paglia
della capanna. Perché non era nella sua cameretta? Perché era disteso su una
stuoia, con un kimono di sua madre come coperta, anziché il suo morbido futon
di seta pesante ricamata? La sua testa era un vuoto totale, per quanto
riguardava l’ultimo mese e mezzo. Si alzò di scatto, poi si tranquillizzò,
vedendo sua madre che dormiva, accanto a lui. Ma era pallida, patita. Perché
non c’era nessuno, in quella squallida capanna? Dov’erano i servitori? E
chichi-ue, che sarebbe dovuto essere a casa? Queste domande gli frullavano
senza requie nella testa. Poco dopo, sua madre si svegliò, e sorrise
pallidamente nel vedere che Inuyasha si era ripreso.
-Haha-ue, dove siamo? Dov’è chichi-ue?-
-Chichi-ue non tornerà, piccolo mio…-
-Non tornerà? Ma me lo aveva promesso!-
-Non tornerà più… perché è morto…- la donna stava facendo
grandi sforzi per non scoppiare a piangere.
Scene, flash-back passarono nella mente di Inuyasha. Il
combattimento, il capo di battaglia, la foresta… Non riusciva, però, a
ricordare nulla, nemmeno una parola, una sensazione, un’immagine di Kagome. Lo
shock di perderla era stato troppo grande. Si mise a piangere, disperatamente,
nascondendo il volto in grembo alla madre. Dopo diversi minuti, i suoi
singhiozzi si acquietarono; si asciugò i grandi occhi d’ambra con la manica del
vestito e, alzatosi in piedi, disse alla madre: -D’ora in poi, sarò io a
proteggerti. Diventerò forte, e ti proteggerò, come faceva chichi-ue. Te lo
prometto. –
Sua madre lo abbracciò, stringendolo a sé. Ora, erano tutto
ciò che l’altro aveva.
La casa del capovillaggio non era stata completamente
bruciata, ma siccome era accaduto perché uno spettro l’aveva attaccata, con la
chiara intenzione di uccidere la mamma di Inuyasha, la donna ne era stata
scacciata, ed ora i due vivevano in una vecchia capanna abbandonata, un po’
fuori del villaggio. Inuyasha cacciava nella foresta, e la madre barattava la
carne con il riso, l’aiuto per risistemare la capanna, e gli oggetti che
servivano alla sopravvivenza. Ma un giorno, tornando dalla giornaliera battuta
di caccia, Inuyasha sentì un forte odore di sangue provenire dalla sua casa.
Terrorizzato all’idea che potesse essere successo qualcosa a sua madre, corse
giù per il sentiero, precipitandosi alla stuoia che faceva da porta, spostandola,
e guardando dentro.
Sarebbe stato meglio se non l’avesse fatto.
Sua madre giaceva lì, come una bambola rotta, immersa in un
lago del suo stesso sangue. Youkai. Youkai che l’avevano uccisa per vendetta. E
ne avevano lasciato il corpo martoriato alla vista del figlio. Pallido,
Inuyasha arretrò, lasciando che la stuoia ricadesse a coprire il macabro
spettacolo. Cadde a terra, perché le gambe gli avevano ceduto. Dopo qualche
minuto, si costrinse a rialzarsi, e a pensare al dafarsi. Non poteva chiedere
aiuto a quelli del villaggio: avrebbero pensato che l’aveva massacrata lui, e
che potesse fare altrettanto con loro… e naturalmente, avrebbero cercato di
ucciderlo. Già non lo vedevano di buon occhio, ed ora… “No,” decise; “farò
tutto da solo.”
Tornò nel bosco, raccogliendo legna, erba secca, tronchi e
rami, trascinando poi il tutto giù, verso la sua casa. Dopo aver coperto il
corpo della madre con una stuoia, sistemò intorno legna, rami e paglia,
cosparse il tutto col poco olio della lampada, e appiccò il fuoco.
Assieme al fumo, nell’aria tersa e cristallina, svaniva
l’infanzia di un piccolo hanyou dai capelli d’argento e dagli occhi d’ambra.
Piangeva, ma quando la casa fu ridotta in cenere, si asciugò le lacrime. “Le
ultime lacrime della mia vita.” giurò a se stesso, raccogliendo in un vaso di
terracotta le ceneri della capanna mescolate a quelle di sua madre. Sapeva
dov’era la tomba di suo padre, e avrebbe posto lì anche quella di sua madre.
Gli sembrava giusto così.
Un bambino hanyou camminava per la foresta, con un vaso di
terracotta in mano, e gli occhi asciutti. Un bambino che non avrebbe pianto più
per altri sessanta, lunghi anni. Passò vicino ad un villaggio, ascoltando senza
volerlo alcune grida di donne…
-Kikyo! Kikyo, vieni! È nata la tua sorellina! È nata
Kaede!-
Un bambino hanyou camminava, gli occhi asciutti, e il cuore
pieno di dolore.
FINE
nota
(*)Il 3 marzo, in Giappone, è una festa dedicata alle
bambine e alle ragazze; si espone in casa un set di bambole, composto di sposi
(principe e principessa della famiglia imperiale), tre serve, cinque musicisti,
due guerrieri, mobili per la sposa, carro trainato dal bue e altro, in genere
con abiti medioevali. I set più costosi sono molto di lusso, con tanti
particolari. In tutte le case con una figlia femmina c’è almeno un set
piccolino, con gli sposi. I più grandi, per essere esposti, necessitano di una
gradinata di quasi un metro e mezzo! Grazie mille a Keiko della “RubriKeiko” di
Kappa Magazine!
Vi è piaciuta questa ff? Si, lo so, è un po’ triste, però
ho pensato che Inuyasha, da bambino, doveva essere davvero trooooppo kawaii, e
poi non poteva essere fin da bimbo così come lo ritroviamo all’inizio della
serie, no? Scusate se non ho messo i nomi dei suoi genitori, ma io sono una
frana con i nomi, e siccome sono riuscita a descrivere tutto senza usarli… Beh,
vi ho risparmiato il sorbirvi due nomi “uribili e urendi”(trad.: orribili
orrendi). Non sapevo com’era morta la madre di Inuyasha, ma ho pensato che
dovevano essere parecchi, gli spettri desiderosi di fare la pelle a lei e al
figlio, così… ho tralasciato la mia prima idea (ben più truculenta), spero non
sia troppo impressionante. Bene, se qualcuno ha voglia di leggere qualcos’altro
delle mie ff, lo mano a “A snowy story”.
Arigato per aver letto questa ff ^__^
G-chan