Dunque, due paroline su questa storia.
E' un'originale scritta a quattro mani da Addison e Sophia_S, su cui
lavoriamo ormai da molto tempo. E' ambientata a Seoul, in Korea del
Sud; i personaggi hanno comunque dei nomi semplicissimi da leggere.
Come potete immaginare, ci sono alcune cose che cambiano dallo stile di
vita occidentale a quello orientale, ma non vi preoccupate, tutto
sarà spiegato a dovere.
Abbiamo messo qua e là qualche fanart, rappresentanti delle
scene della storia, con i volti degli attori che immaginiamo
somiglianti a quelli dei protagonisti. Per il momento conoscerete i
personaggi femminili, mentre nel secondo capitolo avranno spazio i
personaggi maschili.
Vi auguriamo quindi una buona lettura!
Giulia e Sara
Chapter 1
The Beginning
Soffiò
leggermente nella tazza e bevve a piccoli sorsi la
camomilla che si era preparata alle 4 di mattina.
Erano
arrivate a Seoul da tre giorni, e Adrienne, a differenza della
sua coinquilina, non riusciva ad adattarsi al fuso orario.
Si
guardò intorno, l’appartamento era ancora pieno
di scatoloni, e pensò che non sarebbero mai riuscite a
mettere tutto a posto.
Prese
una rivista che sporgeva dalla borsa dell’amica e
iniziò a sfogliarla.
Era
così intenta a leggere un articolo su degli artisti, che
non si accorse che la ragazza era entrata in cucina.
“Adrienne”,
bisbigliò Clemence, con la
voce ancora impasta dal sonno.
“Clem!
Mi hai fatto prendere uno spavento!”
replicò la bionda, portandosi una mano all’altezza
del cuore.
“Non
pensavo di essere così orribile senza
trucco.” rispose l’altra, sbadigliando.
“Spiritosa.
Ti preparo la camomilla.” La ragazza si
alzò e mise sul fornello il pentolino con l’acqua.
“Grazie,
ne ho bisogno; anche se prima che mi addormenti ci
vorrà un po’.” Sbadigliò
nuovamente e si sedette.
“Cosa
leggevi?” Prese la rivista e si
stropicciò un occhio.
“Mhm,
questo non è quel gruppo che tu ascolti
sempre?” Si voltò verso l’amica, la
quale annuì.
“Non
so come cantino, ma sono uno peggio
dell’altro; soprattutto questo al centro, ma
perché non si taglia i capelli?”
“Scherzi?!”
Adrienne le tolse velocemente la rivista dalle mani. “Secondo
me, stai
ancora dormendo. Non mi puoi smontare così Evan. Lui
è… è semplicemente
lui. Se lo incontrassi per strada non so cosa gli farei!”
disse con
voce sognante, stringendo forte la rivista.
“De
gustibus.” Clemence scrollò
leggermente le spalle e si diresse verso il salotto.
L’altra
le si avvicinò e posò la testa
sulla sua spalla, mentre lei si mise le mani sui fianchi.
“Adrienne,
sai che non riusciremo mai a mettere in ordine la
casa, vero?”
La
bionda sospirò, lanciando un’occhiata
sconsolata al salotto.
*
Flashback *
Clemence
era emozionata, lo si poteva capire dal fatto che non aveva mai smesso
di parlare neanche per un secondo da quando erano atterrate; il che
significava che stava discorrendo da quasi un’ora, visto che
le loro
valigie ancora non erano arrivate.
Sorrise
e la guardò, mentre stava leggendo ad alta voce un
volantino preso chissà dove.
Socchiuse
leggermente gli occhi e pensò a quanto la loro
vita sarebbe cambiata.
Entrambe
erano riuscite a partire per l’anno sabbatico e
avrebbero passato due anni dall’altra parte del mondo.
“Sono
uscite le nostre valigie!”
La
voce di Clemence la richiamò nel mondo reale.
Le
loro madri si erano conosciute al liceo e dal quel momento erano
rimaste sempre in contatto.
Lei,
era più grande l’amica di due anni, ma a
volte sembrava che fosse quella più piccola.
Non
c’era una foto del suo album personale in cui la ragazza
non ci fosse.
Ogni
momento importante lo condivideva con lei; le confidava ogni suo
timore, era la sorella che non aveva.
Erano
come un paio di scarpe, senza l’una, l’altra
era inutile.
“Bionda,
ti sei imbambolata? Aiutami a prendere la mia
valigia.”
“Agli
ordini.” Si avvicinò al nastro
trasportatore, afferrò il bagaglio e lo sollevò.
Mancavano
ancora quattro valigie. Clemence aveva la tendenza a portarsi
l’intera camera quando viaggiava.
“Adrienne!”
esclamò, guardandola. “Finalmente siamo arrivate!
Ma ti rendi conto?
Cioè, è da una vita che lo sogniamo e ora... ora
è diventato realtà!”
La
ragazza in quel momento non era solo emozionata, era elettrizzata,
le brillavano gli occhi.
Adrienne
le sorrise e prese anche la seconda valigia.
Si
abbracciarono e Clemence iniziò a salterellare ridendo
come una matta. Ora era al culmine del suo entusiasmo.
Le
ultime valigie uscirono insieme, le sistemarono sui carrelli e si
diressero verso l’uscita.
“Però,
sai cosa ci manca?”
domandò la più giovane, spingendo con fatica il
suo carrello.
“Cosa?”
“Due
bei ragazzi. A quest’ora non saremmo qui a
spingere questi cosi!” Si fermò un istante e poi
riprese a camminare.
“Se
non avessi portato tre valigie, dopo che abbiamo già spedito
cinque
pacchi qui, non faresti tutta questa fatica. Comunque pensa che questo
fa tutto parte dell’avventura.” disse Adrienne.
“Magari,
nella tua concezione di avventura, perché
nella mia, io faccio avanti e indietro con i mezzi pubblici.”
Rabbrividì
leggermente al pensiero di non avere a
disposizione la macchina.
La
bionda le diede un piccolo buffetto di incoraggiamento e varcarono
insieme l’uscita.
Una
nuova vita sarebbe iniziata per entrambe.
*Flashback*
~
“Lia,
sbrigati o farai tardi!” esclamò
Joy, avviandosi alla porta d’ingresso.
La
ragazza si affrettò a uscire dalla stanza e le si
avvicinò. Indossava
l’uniforme scolastica e si stava ancora legando i lunghi
capelli
castani.
Non
appena salirono in macchina, accese la radio e iniziò a
canticchiare.
“Sei
contenta che la scuola sia ricominciata?” Le
chiese la sorella, voltandosi leggermente verso di lei.
“Per
niente, l’unica cosa positiva è che
rivedrò i miei amici.”
“E’
importante avere degli amici su cui fare
affidamento. Buona giornata Lia, ci sentiamo dopo.”
La
studentessa le stampò un bacio sulla guancia e scese
dalla macchina.
Si
fermò di fronte al semaforo rosso e picchiettò
le dita sul volante.
In
quel frangente passarono molte persone, tra studenti, impiegati e
signore anziane; una persona più alta rispetto alla media,
attirò
l’attenzione di Joy.
Era
un ragazzo. La sua camminata, il portamento, erano perfetti per un
modello.
La
giovane si sporse in avanti per vederlo meglio, ma purtroppo aveva
già attraversato.
Parcheggiò
la vettura nel garage dello studio fotografico,
dove doveva incontrare degli agenti, e scese velocemente.
“Wow,
lei si che è una bomba!” Commentò un
ragazzo che stava aspettando
l’ascensore con lei. Dietro di lui, una ragazza lo
colpì sulla spalla;
doveva essere la fidanzata.
Joy
scosse leggermente la testa, abbassando lo sguardo; ormai ci era
abituata.
Quando
passava, sentiva i giovani che parlavano di lei e
dall’altra parte, le rispettive ragazze che la maledicevano.
Il
campanellino suonò quando lei entrò nello studio.
Heejin, la
segretaria, la salutò con un sorriso, che lei
ricambiò, ma sapeva
quanto in realtà fosse falso.
Una
nuova ragazza, con un paio di
occhiali grandi e i capelli legati in uno chignon, le passò
accanto e
sbadatamente fece cadere un libro.
Joy
lo raccolse: “Tieni.” Le porse
l’oggetto e le sorrise.
L’altra
bisbigliò un ‘grazie’
e se ne andò velocemente.
Si
sedette sui divani neri del corridoio, aspettando che Heejin le
facesse cenno di entrare nell’ufficio del capo.
Prese
una rivista lì a fianco e iniziò a sfogliarla,
sapeva che sarebbero
passati circa 30 minuti prima che potesse parlare con Mr Kim.
Il
campanellino continuava a suonare, rilevando la presenza di molte
persone; era un via-vai continuo in quello studio, ma lei non prestava
particolare attenzione a tutto ciò.
Il
cellulare squillò e la ragazza rispose, senza neppure
controllare chi fosse.
“Pronto?”
chiese, continuando a sfogliare il
giornaletto con una mano.
“Joy!
Sono io, Eve.” rispose
l’interlocutore.
“Ciao
sorellina, cosa posso fare per te?”
“Sono
dalle parti del tuo studio. Volevo chiederti dov’eri,
così ci
incontriamo e magari mi offri una bella tazza fumante di
caffè.”
“Certamente,
poi voglio sapere dove sei stata tutta la
notte.”
“Okay!
A dopo.”
“Eve,
però io ci metterò un pochino, ti
richiamo io.”
“Va
bene, vorrà dire che mi darò allo
shopping, bacio.”
“Bacio.”
Pose nuovamente il cellulare nella tasca e
riprese a leggere la rivista.
~
Quel
giorno, faceva più freddo del solito a Seoul.
Nascose
le mani nelle tasche del cappotto viola, nonostante fossero
già coperte dai guanti di lana.
Alzò
il viso verso il cielo, fissando il manto bianco sopra di lei. Tra
qualche minuto, probabilmente, sarebbe scesa di nuovo la neve.
Riprese
a camminare, osservando senza entusiasmo i negozi del centro.
Sospirò.
La voglia di fare shopping era completamente
scomparsa, e naturalmente, chi ne era la causa?
Lui.
Jay,
il suo ex ragazzo.
Si
erano lasciati da qualche settimana. Be’, in
verità, era stata soprattutto lei a voler chiudere.
In
quel momento voleva solo pensare a laurearsi e a costruirsi una
carriera nel mondo del design, il suo sogno sin da quando era una
ragazzina; e una relazione seria era l’ultima cosa di cui
voleva
occuparsi. Perciò, aveva preferito finirla lì.
A
quanto pareva, però, Jay non aveva ancora digerito la
rottura, e non perdeva occasione per discutere con lei.
Tirò
un altro sospiro ed entrò in un bar, forse
una buona cioccolata calda l’avrebbe tirata su di morale.
Si
avvicinò a un tavolino libero accanto alle vetrate - le
piaceva
guardare il via vai di persone che affollavano le strade della
città,
in particolare notò una bambina, che sorridente stringeva la
mano a un
uomo, forse troppo giovane per esserne il padre - quando, a qualche
tavolo di distanza, notò una testa rossa familiare.
“Joy!”
esclamò.
La
ragazza alzò il viso, sentendo pronunciare il suo nome, e
sorrise quando la riconobbe.
“Ciao,
Tif!”
La
salutò con un bacio sulla guancia e Tiffany le si sedette
di fronte.
“Come
stai?” le chiese.
“Bene,
e tu? Stavo aspettando mia sorella.”
“Bene,
più o meno. Ero venuta a fare un
po’ di shopping, ma...” esitò, indecisa
se parlare o meno.
“Ma...”
insistette l’altra.
“Ho
incontrato Jay”, mormorò.
“E puoi immaginare cosa sia successo.”
Joy
la guardò con aria dispiaciuta, stringendo le labbra
sottili.
“Avete
di nuovo litigato?” chiese.
“Già,
sono stanca di queste discussioni.”
Tiffany
sbuffò e appoggiò il mento ad una mano.
Una
ciocca di capelli le cadde davanti al viso e l’amica
gliela spostò dietro l’orecchio, con un gesto
gentile.
“Vedrai,
prima o poi gli passerà.” le
sorrise, rassicurante.
L’altra
alzò un sopracciglio biondo, guardandola
scettica, attraverso gli occhi verdi.
“Non
lo conosci abbastanza, è così
orgoglioso e testardo. Non la smetterà finché non
mi avrà ferito in qualche modo.”
E
forse, lo stava già facendo. Non riusciva a togliersi
quello sguardo sprezzante dalla mente.
Joy
le prese una mano tra le sue, continuando a sorriderle dolcemente.
“Lo
sai che io ci sono, vero?”
Tiffany
le sorrise.
“Lo
so.”
~
Chiuse
la porta di casa e chiamò l’ascensore,
picchiettando il piede a terra
in segno di nervosismo. Detestava dover aspettare e abitare al 14esimo
piano non aiutava affatto.
Arrivata
nel garage, si affrettò a salire sulla vettura e
sfrecciò via sulla sua Suzuki Ancel Lapin.
Si
fermò davanti al semaforo e si guardò allo
specchietto retrovisore,
sistemandosi i capelli; quando inserì la prima, la macchina
fece un
rumore sordo e partì a singhiozzi.
Era
quello il motivo per il quale Hazel si rifiutava di salire sulla
sua automobile.
Sospirò
e rallentò un poco, subito sentì gli
automobilisti suonare il clacson.
Sbuffò e riuscì finalmente a mettere la terza, ma
lo strano rumore
continuava a persistere.
Non
voleva ammettere che suo fratello e Hazel avevano ragione: era ora
di cambiarla.
“Ha
ancora il cambio manuale!” Aveva sempre commentato
l’amica, guardando
la macchina con una smorfia. Le aveva detto che preferiva prendere i
mezzi pubblici, piuttosto che diventare sorda.
La
verità era che teneva molto a quell’auto: la
guidava da quando aveva preso la patente, quattro anni prima.
Purtroppo,
però, non era nelle migliori condizioni, e il costo delle
varie
riparazioni in quegli anni, ammontava a una cifra superiore al prezzo
della vettura stessa.
Inserì
la freccia e all’incrociò
svoltò a destra, ma il rumore si fece più forte e
la macchina si bloccò all’istante.
Tentò
di riaccendere il motore, ma ogni volta si spegneva.
Scese
velocemente dalla vettura e iniziò a spingerla per
rimuoverla
dall’incrocio, nel frattempo si era formata una coda dietro
di lei.
Spostarla
si era dimostrato un compito più difficile del
previsto, ma fortunatamente un ragazzo le si avvicinò e
l’aiutò.
Quando
sgomberarono la strada, Hana si girò a ringraziarlo,
incrociando due occhi blu.
“Grazie
mille, senza il tuo aiuto non ce l’avrei
fatta.” Gli porse la mano, in segno di gratitudine.
“Figurati”,
rispose il giovane in perfetto coreano. “Non me ne intendo
molto, ma
penso proprio che il tuo motore sia completamente fuso, a giudicare dal
fumo che esce.”
La
ragazza sospirò, guardando il cofano della
vettura, e istintivamente portò una mano sul tetto e
l’accarezzò, come
se fosse un cucciolo.
Frugò
nella borsa in cerca del cellulare,
compose il numero del carro attrezzi- che ormai conosceva a memoria- e
gli diede le coordinate.
“Grazie
ancora, tra una decina di
minuti dovrebbero arrivare.” Sorrise al ragazzo e si
infilò le mani
nelle tasche del giubbotto, tirava un’aria gelida.
“Prego.
Se vuoi aspetto con te. A proposito, io sono
Logan.” Si presentò lui, e allungò la
mano.
“Piacere
di conoscerti, mi chiamo Hana. Non c’è bisogno che
tu rimanga, ormai
sono abituata a questi tipi di incidenti, ultimamente capitano troppo
spesso.”
“Credo
che sarebbe meglio se la cambiassi.”
Osservò il
giovane, guardando la vettura che non aveva proprio l’aria di
essere
sicura.
“Non
sei il primo a dirmelo.” rispose sconsolata.
Forse era davvero arrivato il momento.
Il
cellulare squillò e la ragazza si affrettò a
rispondere.
“Hana,
ma dove sei?” chiese subito
l’interlocutore.
“Sono…”
“Oh
mio Dio! Non dirmi che sei in mezzo alla strada
perché ti si è fermata la macchina?!”
“Esattamente.”
“Beh,
forse ora ti convincerai a cambiarla.”
“Grazie
per il suggerimento”, commentò Hana ironicamente.
“Sono a un paio di
isolati dal centro commerciale, aspetto che portino via
l’auto e prendo
un taxi. Tra una ventina di minuti dovrei arrivare.”
“Bene,
a dopo allora. Anzi no! Ci vediamo davanti alla
concessionaria d’auto.”
“Hazel!”
esclamò indignata.
“Non è ancora la sua ora.”
“No,
infatti. Doveva essere un paio di mesi fa.”
“Aspettiamo
almeno cosa dice il meccanico.”
Cercò di persuaderla, ma sapeva che era un tentativo vano.
“Hana,
non vorrai sprecare altro denaro, vero? Ti conviene
comprarne una nuova.”
“Okay,
okay. A dopo, allora.” Chiuse lo sportellino del cellulare e
fece una
linguaccia all’aggeggio, che in realtà era rivolto
all’amica.
Logan
ridacchiò e volse lo sguardo altrove, in quel momento
arrivò il carro attrezzi e in dieci minuti caricarono
l’auto.
La
giovane sospirò e si rivolse al ragazzo che
l’aveva aiutata. “Grazie mille per tutto.”
Lui
le sorrise e si allontanò, voltandole le spalle.
~
Era
seduta nella caffetteria della concessionaria aspettando Hana, che
tardava ad arrivare. Controllò nuovamente l’ora
sul cellulare e mangiò
un pasticcino alla cremao.
La
cosa migliore da fare nelle giornate
d’inverno, era starsene seduti in un bar con una bella tazza
fumante di
caffè e dei dolcetti.
“Eccomi.
Scusa il ritardo, ma i taxi erano
tutti occupati, così ho dovuto prendere
l’autobus.” Si scusò Hana
appena arrivò, dando una leggera pacca sulla spalla
all’amica.
“Non
ti preoccupare. Finisco il caffè e andiamo a comprare la tua
nuova
auto!” disse entusiasta Hazel e si affrettò a
finire la bevanda.
L’altra
alzò un sopracciglio e la guardò leggermente di
sbieco; ancora non
riusciva a credere che fosse già arrivato il momento di dire
addio alla
sua Suzuki.
“Coraggio
Hana, le faremo un bel funerale, così
tutte le macchinette in paradiso invidieranno la tua Suzy.”
Scherzò
amabilmente l’amica, beccandosi un pugnetto sul braccio.
La
prese sottobraccio e scesero nel salone dove le varie automobili
erano esposte.
“Allora,
quale ti piace?”
“Mhm,
non saprei.”
“Guarda,
questa è adorabile!” Hazel le lasciò il
braccio e si sedette sul posto
guida di una Mini Cooper decapottabile. Poggiò entrambe le
mani sul
volante, e fece finta di guidarla.
“Prendiamo
questa, prendiamo questa!”
esclamò contenta, guardandola con occhi speranzosi.
“Saresti
disposta a venire in macchina con me se compriamo la
Mini?” chiese Hana, sorpresa.
“Certo,
era della macchina che avevo paura, non della tua
guida.”
La
ragazza si alzò di scatto e si mise seduta su una nuova
macchina,
facendo l’operazione di prima. Questa volta era una Kia
Picanto rossa
fiammante.
Hana
non fece in tempo a raggiungerla, che la ragazza già si
era accomodata in un’altra auto, questa volta era una Jeep.
“Scusa,
ma tu sei la sorella di Evan, giusto?” le
chiesero due ragazze timidamente.
Lei
si girò e annuì, ma fortunatamente
l’amica la raggiunse e la portò via.
Era
difficile essere la sorella maggiore di Evan Park: aveva migliaia e
migliaia di fan, e nonostante non si assomigliassero, le ragazzine
riuscivano sempre a riconoscerla.
“Ho
trovato la macchina
perfetta: ta-dan!” Hazel spalancò le braccia,
indicando la vettura
davanti a loro. Era una Matiz nuova di colore blu.
“Mhm,
questa è carina, ma…”
“Non
potrai mai dimenticare la tua Suzy, lo so, lo
so.”
“Ma
ti prometto che un pensierino su questa ce lo
faccio!” Promise, e le stampò un bacio sulla
guancia.
Il
suo umore era migliorato, quella lunga serie di eventi stava per
volgere al termine e finalmente la giornata sarebbe proseguita
più
tranquillamente.
“Hana,
corri! Questa macchina è più che
p-e-r-f-e-t-t-a!” esclamò Hazel
dall’altra parte della sala.
La
ragazza sgranò gli occhi, non si era neppure accorta se
n’era andata. Forse quella giornata non sarebbe mai finita.
~
“Adesso,
mettete un po’ d’olio e friggete
il pollo.”
Alicia
prese la bottiglietta dell’olio e la
osservò attentamente: esattamente, quanto ne avrebbe dovuto
utilizzare?
Alzò
le spalle, sicuramente era meglio abbondare, piuttosto
che metterne troppo poco.
Si
sedette su uno sgabello alto, e poggiò i gomiti al
bancone in marmo della cucina.
Sorrise;
di solito era una frana nel cucinare, non ci era proprio portata,
tuttavia sentiva che stavolta sarebbe riuscita a tirare fuori qualcosa
di buono.
Voleva
preparare la cena con le sue mani, era dalle 18.30 che era
sintonizzata sul canale di cucina.
Dopo
qualche minuto, la voce della cuoca proveniente dal televisore,
attirò nuovamente la sua attenzione.
“Togliete
il pollo dalla friggitrice, conditelo, e infine
servitelo in tavola assieme al riso.”
Riso.
Quando
udì quella parola, spalancò gli occhi,
incredula: si era dimenticata del riso.
Corse
verso i fornelli, sollevando il coperchio della pentola.
Assaggiò
qualche chicco con un cucchiaio, e la sua faccia assunse
un’espressione
schifata.
“Oh,
come ho potuto essere così
sbadata?” Si lamentò.
Era
completamente scotto, probabilmente neppure i cani randagi lo
avrebbero mangiato, tanto era divenuto appiccicoso.
Be’,
forse il pollo sarebbe bastato per quella sera, si
disse, se solo nel frattempo, non si fosse bruciato.
Lo
tolse velocemente dalla friggitrice, osservandolo con occhi lucidi.
Prese
un coltello e iniziò a tagliarlo a metà, sperando
che all’interno fosse
ancora buono. Quasi le venne da piangere, quando constatò
che dentro
era rimasto crudo.
E
adesso, che cosa avrebbe preparato? Tra poco
Henry sarebbe tornato e inoltre, non aveva più ingredienti
sufficienti
per iniziare da capo a cucinare.
Qualche
minuto più tardi, infatti, sentì scattare
la serratura della porta di casa.
“Alicia,
ci sei?” chiese una voce maschile.
“Sono
in cucina.” rispose lei, con tono incerto.
L’uomo
la raggiunse nella stanza e guardò con aria
preoccupata il caos che vi era.
“Che
cosa è successo qui?”
La
ragazza lo guardò con occhi innocenti, mordendosi il
labbro inferiore.
“Be’,
volevo preparare una cenetta speciale per
stasera, ma...” Lo guardò, senza continuare.
La
fissò anche lui, con un sorriso divertito sulle labbra.
“Ehi,
non guardarmi in quel modo!”
esclamò lei, sbuffando.
Henry
soffocò le risate, tornando serio, ma un lampo di
divertimento restava nei suoi occhi.
“Ordiniamo
qualcosa?” propose.
“Forse
è meglio.” sussurrò la
ragazza, prima di scoppiare a ridere.
To be continued...
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