Prologo:
Risvegliandosi … Lei
Fin
da piccola ho sempre sognato
e ricordato cosa sognavo. Ogni volta mi svegliavo entusiasta e correvo
da mia
nonna, raccontandole per filo e per segno quello che avevo sognato. Lei
mi
sorrideva contenta, seduta sul suo futon, e quando finivo mi
accarezzava la
testa e mi diceva che ero fortunata, dato che la dea Amaterasu
comunicava
spesso con me.
Anche
quando crebbi continuai
a sognare, e il più delle volte continuavo a raccontare i
miei sogni alla
nonna, la quale ascoltava sempre con aria attenta, annuendo ed
interpretandoli
assieme a me, per gioco.
Quando
conobbi mio marito i
miei sogni divennero ancora più luminosi, colorati, e
all’inizio non glieli
rivelavo, troppo imbarazzata, per poi pian piano raccontare i
più divertenti o
strani; all’inizio scuoteva la testa, abbastanza perplesso,
per poi iniziare a
divertirsi, fino a quando non mi chiese di
“prestargliene” qualcuno, dato che
lui non sognava così tanto.
Ricordo
… che la notte prima
dell’incidente non avevo sognato. Era la prima volta, e la
cosa mi turbò
parecchio.
C’era
stato soltanto il buio
della mia mente, nessun suono e nessuna sensazione addosso, il nulla;
mi
svegliai con i brividi, e mi misi seduta sul letto, stringendo a me le
gambe.
Sentii immediatamente Kojiro scivolare verso di me, chiedendomi
cos’era
successo. Glielo dissi, e lui mi strinse a sé, ed entrambi
restammo svegli per
il resto della notte.
La
giornata, tuttavia,
trascorse così piacevole che dimenticai il mio sogno, fino
ad arrivare a
pensare che era stato solo un caso.
Poi
accadde tutto.
Ricordo
chiaramente che mio
marito mi schermò con il corpo, ricevendo
l’aggressore, per poi piegarsi in
avanti con un verso strozzato, che mi bloccò il respiro;
quando lo sconosciuto
lo lasciò andare, lo vidi cadere pesantemente sulla strada,
privo di forze.
Quando riconobbi il sangue sulla strada urlai e cercai di raggiungerlo.
Mi
afferrarono e trattennero
per i capelli, sbattendomi prima sulla rete a fianco della strada, poi
a terra;
mi strapparono i pantaloni, con una tale forza da graffiarmi le gambe.
Mai,
come in quel momento, sentii il centro del mio corpo andare a fuoco ed
esplodere come una bomba dal male; un dolore di quel genere non
l’avevo mai
provato, Kojiro non mi faceva mai sentire dolore.
Mi
voltai, per guardarlo, e
vidi negl’occhi la sofferenza di chi mi stava per lasciare
senza poter fare
nulla, tentando perfino di allungare una mano per toccarmi.
Avrei
voluto fare lo stesso,
per afferrarlo e “impedirgli” di andarsene, ma
oramai il mio corpo era in balia
di quell’orrore, perciò lo guardai dritto
negl’occhi, cercando di metterlo a
fuoco fra le lacrime, e pregai con tutte le mie forze.
“Amaterasu,
ti prego, non separarci, non
portarmi via Kojiro.
Se lui deve morire,
allora voglio morire
assieme a lui. E se io devo vivere, allora fa che lui viva.
Ti prego, ti prego
dea del sole, ti prego …”
Continuai
con quella preghiera
anche dopo l’aggressione, quando rimanemmo soli, per un tempo
che mi sembrò
infinito; con il corpo che faticava a rispondermi, lentamente, allungai
una
mano verso di lui, arrivando a sfiorarlo, afferrandogli le dita. Erano
così
fredde.
Credo
che, a quel punto, udii
delle urla in lontananza, qualcuno che si avvicinava, che parlava, che
ci
chiedeva se stavamo bene; ma a quel punto ero svenuta, non riuscendo
più a
sopportare tutto quel dolore.
E
sognai di nuovo. O meglio,
sembrava un sogno, ma in realtà riconobbi anche un mio
ricordo.
Vidi
me, bambina, che
piangevo, una delle rare volte in cui piangevo a dirotto. Davanti a me
il
tavolo basso del salotto; quando ero al ryokan mangiavo sempre in
quella
stanza, il più delle volte in compagnia. Questa volta ero
sola.
Ero
dall’altro lato del tavolo
che mi guardavo, ed era strano vedermi così piccola, le mie
manine sugl’occhi,
la mia voce, i piccoli singhiozzi che muovevano il mio corpo.
Perché
piangevo così?
-Raggio
di sole, che succede?-
Alzai
lo sguardo, e vidi mia
nonna entrare nella stanza; era decisamente più giovane e in
forze, anche più
dritta con la schiena mentre si sedeva accanto a me, e mi accarezzava
con la
sua immancabile tenerezza.
-Su
su, non fare così, dimmi
che ti è successo.-
-La
… la ciotola …-
A
quel punto mia nonna guardò
sul tavolo, e io feci lo stesso.
Riconobbi
i pezzi di ceramica
rossa, con i disegni di fiori bianchi: era la ciotola che da bambina
usavo
sempre per il riso. Era la mia preferita, mi era stata regalata alla
festa
delle bambine, e mia madre era solita riporla in alto,
perché voleva che la
usassi solo nelle occasioni speciali visto la sua bellezza. Io,
però, riuscivo
sempre a scalare i ripiani della credenza fino a raggiungerla.
Chissà
come l’avevo rotta, non
ricordo proprio, forse mi era scivolata dalle mani; ma vedere i suoi
cocci sul
tavolo m’intristì tanto quanto era triste la
bambina, che adesso cercava di
calmarsi, tirando su con il naso mentre la nonna le porgeva un
fazzoletto.
-Io,
io non volevo nonna,
davvero.-
-Lo
so raggio di sole, lo so.
Dai, soffiati il naso.-
-La
mamma mi sgriderà.-
-Eh
si, hai rotto una cosa
molto bella.-
-Non
potrò più mangiare il
riso con la mia ciotola.-
E
la bimba abbassò il capo e
strinse i pugni, ero davvero mortificata per quello che avevo fatto; ma
mia
nonna gli accarezzò i capelli, allora li portavo ancora
lunghi. Poi la vidi alzarsi
e raccogliere, uno ad uno, i pezzi della ciotola, con un sorriso
tranquillo.
-Non
preoccuparti, potrai di
nuovo mangiare il tuo riso con questa ciotola. Ma mi devi promettere
che ne
avrai cura, tanta cura. Posso fidarmi di te?-
Vidi
la bambina guardare
perplessa tanto quanto me quella figura, ma quel visino rotondo
annuì lento, e
la figura di mia nonna scomparve in una luce bianca che non avevo
notato prima.
Tutto
attorno a me si fece
luminoso, e per un istante credevo che mi sarei svegliata. Ma sognavo
davvero?
Stavo dormendo? Non ricordavo di essermi addormentata.
-Oh
nonna, è bellissima!!-
Mi
voltai, sorpresa da quella
voce squillante, non ricordavo di avere avuto un tono così
alto; dietro alle
mie spalle vedevo me, bimba, con un kimono pieno di nuvole e fiori su
uno
sfondo arancio, le mie manine che tenevano in mano una ciotola rossa
… con i
fiori bianchi, la mia ciotola certamente … ma sembrava
diversa.
Mi
avvicinai, cercando di
capire cosa ci fosse di diverso, e m’inginocchiai per vederla
meglio: era
riparata, si vedevano chiaramente i pezzi uniti fra loro, ma non era
stata
usata della colla … sembrava … oro.
-Mi
raccomando ora, Maki,
ricordati la tua promessa: questa ciotola ora è molto
preziosa, e non perché è
stata riparata usando un materiale prezioso, ma perché
è di nuovo tutta intera,
ed è diventata diversa.-
Entrambe
alzammo lo sguardo
verso mia nonna, in piedi lì accanto.
-Non
capisco nonna.-
-Lo
so, è un discorso un po’
difficile per te, raggio di sole.-
S’inginocchiò
per potermi
guardare negl’occhi.
-Guarda
bene questa ciotola: è
tua, ma è diversa, giusto? Questo significa che la devi
trattare in modo
diverso, se non vuoi che si rompa di nuovo. Perché se la
rompi di nuovo, questa
volta non si potrà più aggiustare, o
sarà molto difficile. Hai capito?-
Vidi
la bimba annuire
lentamente come prima, e mia nonna sorrise.
Poi
si voltò verso di me, e mi
guardò negl’occhi, sorprendendomi.
-Hai
capito, raggio di sole?
Dovrai stare attenta, o sarà molto difficile. Ma non
preoccuparti, andrà tutto
bene.
E
adesso svegliati, che ti
aspettiamo.-
-Ah,
si nonna.-
E
feci un cenno del capo, per
ringraziarla e salutarla. E mi svegliai.
Il
primo volto che vidi,
nemmeno a farlo apposta, fu proprio quello della nonna; mi sorrise,
accarezzandomi la guancia.
-Ben
svegliata, raggio di
sole.-
La
sua mano era un po’
callosa, il volto era pieno di rughe, più vecchio rispetto a
quello del mio
sogno, ma il sorriso, per fortuna, era sempre lo stesso, e lo
ricambiai, ancora
intontita.
-Nonna
…-
-Come
ti senti?-
-…
ho sognato. Ti ho sognato.-
-Bene,
allora mi racconterai
tutto a tempo debito. Satoru, Natsuko.-
Scostai
lo sguardo, e subito
mi accorsi che non ero in camera mia, ma in una camera
d’ospedale, e la cosa mi
confuse, perché ero lì?
Quando
mia madre si precipitò
su di me, con l’aria di chi aveva pianto a lungo, mi resi
conto che era strano
che fosse lì: io non ero al ryokan in quei giorni, non ero
nemmeno a Naha. Che
succedeva?
-Maki!
Tesoro.-
-Mamma,
papà …-
-Meno
male, meno male, sia
benedetta Amaterasu.-
-Che
succede? Perché sono
qui?-
-Hai
subito un aggressione,
non ricordi? Vi hanno trovato dei passanti. Appena in tempo
…-
Ci
hanno trovati? Non ero
sola? … l’aggressione … Kojiro!
La
mia testa cominciò ad
urlare quel nome, almeno con la stessa forza con cui lo avevo urlato
nel
tentativo di difendermi dagl’assalitori e raggiungerlo; di
colpo le immagini di
quanto era accaduto mi arrivarono come una valanga, e il tutto era su
un
fondale rosso sangue. Il sangue di mio marito, accasciato a terra,
freddo,
gelido.
Mi
sentii assallire dalla
paura e dalla nausea: era vivo? Era vivo?! O era … no, no!
Cominciai
ad agitarmi, volevo
scendere dal letto ma il mio corpo mi fece subito capire che sarebbe
stato
difficile, avevo delle orribili fitte nella pancia e nel bacino, le
gambe
praticamente non si muovevano.
Mia
madre s’inquietò.
-Maki,
Maki che succede?! Che
hai?-
-Kojiro,
dov’è Kojiro?!-
-Tesoro
calmati.-
-Kojiro
dov’è?!-
-È
al reparto di terapia
intensiva, al piano di sotto.-
-Sta
bene, sta bene?!-
-Si,
si sta bene, Maki. Sta
bene, è vivo.-
Era
vivo … era vivo, la dea
aveva ascoltato le mie parole, mi veniva da piangere. Ma sentivo che
non mi
bastava sapere che era vivo, volevo scendere a tutti costi da quel
letto e
vederlo!
-Voglio
vederlo.-
-Adesso
ragiona Maki, non sei
nella condizione di …-
-Mamma
voglio vedere Kojiro,
voglio vedere mio marito.-
-No,
è fuori discussione! Ti
sei appena svegliata e devi stare in riposo assoluto.-
-Nonna,
ti prego, devo
vederlo.-
-Lo
potrai vedere tra qualche
giorno Maki, ora calmati-
-Voglio
vederlo ora!-
-Maki!-
Mia
nonna rimase in silenzio
per tutto il tempo mentre mia madre sembrava avere la meglio su di me,
afferrandomi per le spalle e spingendomi con tutta la sua forza sul
cuscino.
Eppure
non sarebbe riuscita a
trattenermi, e in un modo o nell’altro sarei andata a vedere
Kojiro: dovevo
assicurarmi con i miei stessi occhi che stava bene, o non sarei
più riuscita a
stare in quel letto.
Supplicai
con lo sguardo mia
nonna, mio padre e anche mia madre, la quale però rimaneva
stoica.
-No,
è fuori discussione. Non
stai bene Maki, hai subito lacerazioni, hai capito bene?! Il dottore
dice che
l’Endometriosi è peggiorata. Se stata sul punto di
morire!-
-Ma
anche Kojiro, anche Kojiro
è quasi morto! Io l’ho quasi visto morto!
L’ho sentito morto! Ti prego mamma,
devo vederlo!-
-Kojiro
sta bene, te
l’assicuro io, l’ho visto tesoro.-
-No
papà. Scusatemi, ma io
devo vederlo.-
-E
dopo prometti di tornare a
letto?-
A
voce di mia nonna, nel
vociare ansioso di me e mia madre, fu pacato, ma entrambi la sentimmo
perfettamente, e speranzosa annuì, sporgendomi verso di lei,
quasi con le
lacrime agl’occhi.
-…
va bene. Satoru, prendi una
sedia a rotelle.-
-Nonna!-
-Capisco
che sei preoccupata
Natsuko, ma lo sai anche tu che appena ci allontaneremo Maki
tenterà di andare
da sola, e io non voglio che mia nipote si faccia ulteriormente male.-
Mia
madre all’iniziò
s’irrigidì, chiaramente contraria, e
lanciò un’occhiataccia a mio padre, che
però uscì comunque dalla stanza. Poi prese un
profondo respiro, e mi guardò severamente.
-Non
fare nulla di stupido,
chiaro? Appena lo hai visto torni qui.-
Annuii
con tutte le mie forze,
e forse riuscii a sorridere a Satoru quando lo vidi tornare con la
sedia a
rotelle e un’infermiera. Anche questa, sulle prime, era molto
contrariata, ma
non appena mio padre e mia nonna le spiegarono il mio desiderio si
lasciò
sciogliere, e divenne nostra complice.
-Se
vi vede il dottore ditegli
che vi ho dato io il permesso. Tanto a me mi sgridano sempre e
comunque!-
Le
braccia di mio padre
riuscirono a sollevarmi senza troppo sforzo, e mi sentii molto leggera
e
debole, già solo quel movimento mi provocò un
leggero dolore, ma feci finta di
non sentire niente, non sarei tornata sotto quelle lenzuola senza aver
sentito
la pelle calda di Kojiro.
L’infermiera,
stando attenta
che non ci fossero dottori nelle vicinanze, ci guidò verso
la parte meno trafficata
del corridoio, lì dove v’era l’ascensore
di servizio, e mentre mio padre
guidava la sedia a rotelle mi sentivo prendere da un’ansia
febbrile, il desiderio
di rivedere Kojiro diventava smodato: volevo vederlo come me lo
ricordavo,
volevo cancellarmi dalla mente l’orribile immagine dei suoi
occhi che si spegnevano,
coperti di lacrime.
L’ascensore
mi sembrò che
andasse ad una lentezza incredibile, stringevo le mani e i denti per
trattenermi dall’alzarmi in piedi, ad ogni minimo movimento
con le gambe o il
torso mi sembrava che il centro del mio corpo si strappasse, come un
pezzo di
stoffa.
Quando
si aprirono le porte,
un altro piano sconosciuto si aprì ai miei occhi: guardai la
gente che passava
per i corridoi, ma non riconoscevo nessun viso, così mi
fissai sul numero delle
camere, sporgendomi ogni volta che c’era un uscio aperto, per
studiarne
l’interno. Ma andavamo svelti, e non c’era
abbastanza tempo per soffermarsi su
qualche volto in particolare.
-Sapete
che numero è la stanza
del signor Hyuga?-
-La
515.-
-Di
qua allora.-
La
sedia a rotelle fece una
curva, e la gente cominciò a ridursi, ma adesso che sapevo
il numero di stanza
i miei occhi si fissarono sui cartellini, guardandoli scorrere troppo
lentamente, avrei voluto dare io una spinta alla sedia, ma mio padre o
mi
avrebbe trattenuto, facendomi slittare e cadere in avanti, o lui stesso
sarebbe
inciampato e rovinato a terra.
Vidi
il numero 515 in grande,
gigantesco, e la porta che mi sembrava più alta e chiara
delle altre.
Oltre
di essa c’era mio
marito, come l’avrei trovato? Sperai, sperai con tutte le mie
forze che non mi
avessero mentito, e che davvero stava bene, nella mia testa
c’era l’immagine di
lui con il volto completamente irriconoscibile, o con il corpo
ricoperto di
bende e macchinari.
Mia
madre bussò alla porta.
-Hyuga-san,
sono Natsuko.-
Mia
madre non aprì lei la
porta, e la cosa mi fece leggermente morire dentro, oramai impazzivo
per tutta quella
attesa. Sull’uscio aperto, riconobbi subito il volto della
signora Hyuga,
sembrava impallidita e questo m’innervosì,
facendomi rizzare la schiena sulla
sedia, provocandomi una fitta.
-Natsuko
… Maki!!-
-Non
siamo riusciti a farla
stare ferma.-
-Hyuga-san,
la prego! Devo
vedere Kojiro!-
Mi
guardò sbalordita, poi un
sorriso sollevato si aprì sul suo volto; forse desiderava
abbracciarmi, ma
s’intuiva troppo chiaramente che non le avrei dato la giusta
importanza, e si
fece subito da parte.
A
quel punto, non riuscendo
più a trattenermi, mossi la sedia da sola, facendola
sfuggire dalle mani di mio
padre, ma sbattei contro uno dei due lati con la ruota e
m’incastrai. Ringhiai
contro il mio mezzo di trasporto; ignorando i richiami dei presenti e i
tentativi
di aiutarmi ad entrare, afferrai i lati dell’uscio per poter
entrare dentro.
Allungai
il collo, mi guardai
intorno, la stanza era così bianca. Poi vidi il letto, i
fratelli seduti lì
accanto … e Kojiro.
Allora
era vero, era davvero
vivo. Mi stava guardando dal suo giaciglio, sbatteva gli occhi;
provò ad alzare
il busto, ma era evidente che, come me, aveva male. Ma era il dolore di
un
fisico di una persona viva. Era vivo!
Sentii
il sollievo afferrare
l’angoscioso peso nel mio cuore e portarselo via, permettendo
alle lacrime di
uscire come un geyser dal petto e farsi strada sul mio viso, il viso di
mio
marito mi sembrava ancora più bello del solito, quasi mi
faceva male guardarlo
e mi coprii il volto con le mani, anche per frenare i singhiozzi che
non mi
facevano respirare.
Era
vivo, vivo! Non riuscivo a
pensare altro nella mia testa.
Lasciai
che mio padre, con
calma, liberasse la mia sedia dall’ingresso e la spingesse
gentilmente verso il
letto, anche perché io ero troppo presa
dell’emozione: sentivo il mio corpo
vibrare, contorcersi, farmi male per i singhiozzi ma esplodere anche di
gioia
mentre mi nascondevo il volto tra le mani.
-Maki
… Maki …-
La
sua voce mi fece tremare
d’emozione, nemmeno la prima volta che mi disse “ti
amo” mi sentivo così, il mio
corpo tremava vistosamente, non riuscivo a frenarlo.
Sentii
una sua mano toccarmi
il polso, prendendolo e scostando così la mano dalla guancia
destra; alzai lo
sguardo, cercando di sorridere, il fiato mozzato per le troppe lacrime.
Vidi i
suoi neri occhi, in lacrime come i miei, e a quel punto non ero certa
se fossi
davvero sveglia o se stessi ancora sognando.
-Credevo
… pensavo di averti
perso … Maki …-
-Anch’io
credevo di aver perso
te. Sei vivo, sei vivo!-
Mi
allungai verso di lui,
cercando di abbracciarlo, ma a malapena riuscii ad appoggiare la testa
sul suo
fianco destro, e il dolore del mio corpo paralizzò ancora
una volta le mie
gambe; lui, a sua volta, cercò di tirarmi verso di
sé, ma al primo tentativo
fallì dato che, come me, non aveva forza nel corpo. Mi
strinse con tutta la
forza che aveva nelle mani, e io feci altrettanto, inspirando
l’odore del suo
corpo, riuscendo a riconoscerlo oltre la puzza dei macchinari e della
stanza.
Qualcuno
ci venne in soccorso,
probabilmente mio padre, e fui sollevata verso mio marito, facendomi
appoggiare
sul bordo del letto; immediatamente affondai la testa sul petto e la
sua
spalla, così come il suo capo si appoggiò sulla
mia, percepii chiaramente le
sue lacrime sulla mia pelle. Aveva la voce spezzata, e la cosa mi
addolorò
-Mi
dispiace, mi dispiace da
morire amore. Perdonami, perdonami.-
-Kojiro,
Kojiro tu sei qui,
sei qui. Sei con me, sei vivo. Guardami, guardami amore.-
Gli
feci alzare la testa, per
guadarlo di nuovo negl’occhi, e gli vidi le guance bagnate;
gli sorrisi, ne
accarezzai il volto, gli asciugai gli occhi con i pollici, poggiai la
mia
fronte sulla sua e gli parlai a bassa voce, la più bassa che
potevo fare e che
lui potesse udire.
-Siamo
ancora qui, siamo vivi.
Ce la faremo, ne sono sicura. Un passo alla volta ce la faremo, giusto?-
Era
una frase che eravamo
soliti dirci per farci forza, quando le cose non andavano:
“un passo alla
volta”, com’era sempre stato nella nostra relazione.
-Io
starò accanto a te. Ti
prego, resta con me. Resta con me.-
Lo
sentii stringermi di nuovo,
e mi accoccolai a lui il più possibile, sapendo che rpima o
poi sarei dovuta
tornare in camera. Mi godetti come mai prima il vibrare della sua pelle
mentre
parlava, il calore e tono basso della sua voce.
-Ma
certo, certo che lo farò.
Non ho nessuna intenzione di lasciarti. Sarò sempre con te.-
Kojiro
non era mai stato
capace di mentirmi, le sue bugie le scoprivo subito. E per questo ero
sempre
sicura che quello che diceva corrispondeva alla verità, nel
bene e nel male. Lo
baciai piano, poi lui richiese un secondo e terzo bacio, e infine mi
strinse di
nuovo.
Restammo
abbracciati ancora a
lungo, godendoci quel pochissimo tempo, prima che
l’infermiera mi obbligasse a
tornare in camera per riposarmi.
**
Signore
e signori, eccoci qui!
Dopo tanto tempo ritorno su questa serie, dato che avevo rotto un
po’ di
cuoricini per “il gesto estremo” che avevo compiuto
per creare la mia coppia
non-canon. Ammetto che non è stato facile trovare un modo
per proseguire questo
racconto: l’inizio, infatti, è stato molto facile,
ma pian piano la trama, per
quanto lineare, ha rivelato ombre e luci molto intensi, in cui mi sono
dovuta
fermare dallo scrivere.
Il
racconto non sarà dal punto
di vista dei due protagonisti: solo i primi due capitoli, infatti,
avranno i
loro pensieri a farci compagnia. I successivi … beh, lo
scoprirete voi
leggendo! ;)
Ci
tengo a ringraziare delle
persone in particolare: Berlinene e Melanto, che mi hanno ispirato per
la serie
di “Furisode”; Ai_1978, che mi ha dato
l’ispirazione per scrivere questa storia,
e Sakura Ozora, perché mi ha dato ulteriore entusiasmo per
scriverla.
Grazie
mille!
Ci
vediamo al prossimo
aggiornamento!
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