S.
Vediamo… chi è che si sorbisce i miei parti mentali, che mi rassicura e
raccoglie i miei cocci quando qualcosa non va, che mi aspetta anche se è
rassegnata al fatto che non arriverò mai, che un sacco di altre cose? Rochan,
ovviamente. Per Natale, alla mia psicologa – via –clic. ((Ah. Come ho
notato giunta a metà, è spudoratamente ispirato da King – per questo il titolo,
e credo da Manni - che essendo ormai famosa bisogna citare col cognome XD!
)) ((E notate i miei sforzi per togliere tutti i collo colla
coll’.)
Ore 17.30
dell’ultimo venerdì lavorativo prima delle vacanze di Natale. Per accogliere
degnamente il prossimo paziente avrei bisogno di qualche minuto di pausa. Ne
avrei due a disposizione, ma li occupo arieggiando la stanza: S. prova un acuto
fastidio per l’odore dell’incenso, delle candele e per quello delle persone che
sono state nella stanza prima di lui. Quando è infastidito, potrebbe essere
pericoloso. Il fatto che percepisca l’odore dei miei altri pazienti mi lascia
spesso allibito. Capisco la signora che viene prima di lui – che tra l’altro non
usa profumi, ma quelli che sono venuti la mattina? Un giorno me ne descrisse uno
solo – a suo dire, dall’odore che sentiva. La descrizione era così azzeccata che
temetti che lui fosse stato qui di nascosto. Ma, dati i suoi impegni – e le
telecamere di sicurezza, eliminai quest’ipotesi.
Dopo aver chiuso le
finestre, affilato la matita e controllato l’ordine della stanza (anche il
disordine lo irrita), avviso l’infermiera che può farlo entrare. S. è un uomo
alto, dal fisico asciutto e muscoloso. Cura meticolosamente il suo aspetto e
indossa solo abiti di alta sartoria, di tessuti costosi. Non fuma, non beve, non
ha vizi. Normalmente, è una persona fin troppo tranquilla, quasi passiva, fin
troppo riservata. Patologicamente isolata. Nessun interesse ad amicizie, a
relazioni, ai rapporti con i parenti (ha un fratello, ma non fa parte della sua
vita, o non lo considera tale). Addirittura il suo impiego (esattore fiscale)
sembra scelto apposta per tenere lontane le persone. Avrei vergato sul mio
taccuino “disturbo schizoide” al primo appuntamento, se non fosse per il motivo
che lo ha condotto qui. Ormai cinque mesi fa, coinvolto in una rapina,
rispose ad uno dei malviventi che lo minacciava con un coltello disarmandolo e
colpendolo con lo stesso due volte nell’addome, senza ucciderlo. Poi rimase con
l’arma in mano ancora nell’uomo fino all’intervento dei paramedici.
Successivamente, si lasciò condurre dalla polizia e in ospedale, dove gli
consigliarono una visita da uno specialista.
Il mio problema,
nelle prime settimane, era decidermi tra “mancanza d’impulsi” e “mancanza del
controllo degli impulsi”. Poi la faccenda si fece più seria. Vorrei allegare al
suo fascicolo alcuni disegni che feci durante le sue sedute, come esempi di
controtransfert. (A: è quel che sembra, un gatto morto che perde sangue. Non
sono sicuro, ma penso si tratti del gatto di casa di quando ero piccolo. B:
un cane che tiene per la collottola un bambino, che chiaramente indica il mio
desiderio di abbandonare la seduta, che insegue il gatto. C: penso, temo sia
un coltello. E quella pallina nera a fianco penso, temo sia la testa del
gatto. D: il gatto ed il cane che si rotolano, o litigano, o fanno
qualcos’altro.)
Saluta con un cenno
e si siede sul divano. So che ha controllato la stanza, anche se io non ho visto
la sua testa o i suoi occhi muoversi. -Bell’acquarello, dottore.-, dice. È
appeso al muro alle sue spalle. -Grazie, me l’ha regalato mia
nipote.- -S’intona coi cuscini e il copri divano.- Poi tace e mi fissa. Ha
una voce atona, freddamente cortese, e la tiene sempre molto bassa. Ha uno
sguardo vigile e opaco allo stesso tempo. Sbatte le palpebre. –Dottore.-,
dice. –Devo raccontarle un sogno. Lo faccio da molto tempo, ma è solo da qualche
giorno che riesco a ricordarlo. Nei particolari.- Scarabocchio sul taccuino.
-È un sogno che la lascia inquieto? La turba?- -No. Quando mi sveglio o
quando lo ricordo, al contrario, mi sento tranquillo. Quasi
contento.- Annuisco. Tratteggio un’ombra sul foglio, informe. So che è
l’incavo di una pancia. Sarà un sogno di natura sessuale? -Non ho capito di
cosa tratta.-, continua da solo. –Sono sospeso a mezz’aria. Immobile. Si ricorda
di quel formicolio al braccio di quando mi sveglio che le dicevo? Che provo a
muoverlo e finché non lo guardo mi sembra di avere solo risposte fantasma? Ecco,
nel sogno non c’è. È monco, più precisamente. Non lo vedo, ma lo so. Tagliato di
netto da una spada.- -Una spada?- -Sì. Una spada giapponese.- La sua
precisione e la sua sicurezza mi causano brutte sensazioni e sussulto. –Come mai
lo sa?- -Perché si tratta del mio braccio, dottore. Se qualcuno le mozzasse
un braccio con una spada giapponese, lei non lo saprebbe?- -Giusta
osservazione. Chi è lei dunque, nel sogno?- Alza lo sguardo,
ricordando. -È un guerriero? Un bandito? Un prigioniero?- -Sono un
principe.- Sospiro. Che si stiano rivelando nuove manie? -E accade
qualcosa, mentre lei è sospeso in aria?- -Sento odore di sangue. Non umano, e
neanche di bestia. È un odore nauseabondo, quasi marcio.- Gli si deforma la
faccia minimamente, ma è così strano che intuisco il disgusto che prova. -Si
mischia all’odore di intestini squarciati, di interiora in decomposizione. Mi fa
quasi vomitare, ma in realtà, o meglio, nel sogno, mi esalta. È odore di
vittoria.- -Immagino… che sia la vittoria del suo esercito contro quello
nemico.- -No. Uno solo è morto, ed io non ho combattuto. Sono disarmato.
Indosso solo dei pantaloni. Bianchi. Vedo il riflesso che mi circonda. Tutti i
colori sono molto vividi. Blu elettrico e rosa intenso. È un tramonto. Non vedo
altro che cielo. Sono in mezzo al cielo. Compaiono le prime stelle.- Ha le
palpebre socchiuse, mi sembra quasi ipnotizzato. Nonostante l’immobilità del suo
volto, sembra avere un’aria soddisfatta. -Me ne sto
andando.- -Come?- -Nel sogno. Sto andando via. Non so. Forse sto
morendo.- Ha un attimo d’esitazione, il suo sguardo cade sugli oggetti sul
tavolino davanti a lui. Allunga entrambe le mani contemporaneamente, sposta
le due candele centrali dalla fila, poi quelle in parte, e quelle dopo. Crea due
angoli simmetrici di sei candele. Crea un “passaggio” da lui a me. Appoggia
le mani sulle ginocchia. –Mi scusi.- Faccio un cenno, poi riappoggio la
matita sul taccuino. La mia mano si tiene occupata pasticciando mentre lo
ascolto. Si accarezza con l’indice il centro della fronte. È un
tic. -Stavo dicendo…- -Che forse sta morendo.- -Sì.- Socchiude ancora
gli occhi. –Sì. Qualcosa mi sta portando via. Come… come in un videogioco, ho
finito i punti–vita e devo ricominciare da capo.- -Ed è una cosa…
buona?- -No. Io non voglio una seconda possibilità. Non voglio
cambiare.- Questo era ovvio. -Poi mi sveglio.-, conclude. Apre gli occhi.
–Mi piacerebbe sentire il suo parere.- Mi schiarisco la voce. –Va bene. Sarò
sincero, le spiace? Lei non solo non vuole cambiare, ma è anche spaventato dai
cambiamenti. Penso che le sia accaduto qualcosa, qualcosa che non mi ha
raccontato, o che ha rimosso, quand’era più giovane, che l’ha sconvolto. Un
cambiamento, appunto, che non era preparato ad affrontare, a cui non poteva
resistere. Infatti era inerme, completamente disarmato davanti ad esso.
E…- -Non completamente.- -Come, scusi?- -Non completamente disarmato. È
vero, non ho armi, ma… io stesso sono un’arma. Ho ancora la mia mano. E la
bocca. E qualcos’altro.- Mi cade l’occhio sulla sua mano. L’altro braccio,
quello che gli formicola la mattina, è appoggiato mollemente sul divano. Le sue
unghie sono un po’ troppo lunghe, limate ad un arco troppo acuto. Sono lucide,
bianche e per un momento mi sembrano dure e affilate come artigli. Smetto di
guardarle. Ha sul viso un piccolo sorriso enigmatico che gli solleva appena
gli angoli degli occhi. -Io voglio tornare indietro, dottore. Voglio passare
di nuovo per quel tramonto, posare di nuovo i piedi per terra.- Sospiro.
Tornare coi piedi per terra, tornare al momento precedente i suoi disturbi
mentali. Mi sembra assurdo, ma ho un paziente che si trova la cura da
solo. -Voglio poter sentire di nuovo l’odore del sangue e delle budella. E
questa volta voglio essere io a colpire.- No, come se non lo avessi pensato.
Qui urge un consulto con un esperto di traumi infantili, magari con sedute di
ipnosi. E devo prescrivergli qualcosa. -Signor S. …- Mi sporgo verso di lui,
e lui mi imita. Mi fissa negli occhi, torno a poggiarmi alla poltrona. Ha uno
sguardo che rimescola. Abbasso lo sguardo sul taccuino e mi accorgo di aver
disegnato un suo occhio. Più allungato, obliquo, sottile. Ma è il suo
occhio. Ma la pupilla che ho disegnato non è umana. È da gatto. Il gatto
ha la zampa di cane, la zampa di cane mira alla pancia. -C’è un modo, per
passare di là, dottore.- -Sì?- chiedo scioccamente, e mi trema la
voce. -Sì.- Si alza. Gli occhi. La zampa.
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