base capitoli HOLG
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[Ben]
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Dopo
due coppette di gelato alla nocciola, che ho provvidenzialmente
recuperato dal freezer nel momento stesso in cui ho sentito la sua
voce tremare, Ray mi sembra abbastanza tranquilla da continuare il
suo racconto.
-Passai
un mese in periferia, facendo da babysitter per qualche famiglia
benestante o la lavapiatti a chiamata.- mi spiega, dopo avermi
descritto per filo e per segno l'aspetto trasandato, eppure
affascinante, dei sobborghi di New York in cui ha vissuto da
ragazzina. -Stavo in una stanzetta che mi aveva affittato una vecchia
arpia ricca sfondata che possedeva tipo mezzo isolato... era una vera
catapecchia, non c'era il riscaldamento e nemmeno l'acqua calda,
però
costava poco e io ero arrivata lì con soli cinquecento
dollari in
tasca.-
Scuoto
la testa, incredulo. Per me, che non ho mai patito né il
caldo né
il freddo e che sono cresciuto in un ambiente tutto sommato
benestante, quel che mi sta raccontando è quasi alieno.
-Dev'essere
stata dura.- commento, mentre gli occhi imploranti di King hanno la
meglio sul mio buonsenso e mi spingono a concedergli la tazzina di
plastica, ancora sporca di gelato, da ripulire; quello, tutto felice,
la afferra fra i denti e corre via, con la coda bionda che sventola
come una bandiera.
-Non
quanto può sembrare.- mi contraddice Ray, posando vaschetta
e
cucchiaio sul tavolino di fronte a noi e stirando le lunghe gambe sul
divano, prima di lasciarsi sprofondare fra i cuscini e appoggiare la
testa sulle mie gambe. -La cosa peggiore era essere sempre da sola.-
ammette, guardandomi da sotto in su prima di distogliere lo sguardo,
pensierosa. -Avevo così tanta rabbia dentro... ero
arrabbiata con
mio padre, con mia madre, con il mondo intero. Ero sempre stata una
brava bambina, una brava ragazza, non mi ero mai ubriacata
né ero
mai andata a letto con nessuno, non uscivo nemmeno alla sera e non
andavo quasi mai in discoteca... avevo persino dei buoni voti a
scuola.-
Le
accarezzo una spalla, intrecciando le dita dell'altra mano ad una
ciocca dei suoi capelli sempre disordinati. C'è
così tanta
frustrazione, nelle sue parole, che quasi posso sfiorarla, avvertire
quel magone di rabbia e di rancore annodarsi appena sotto il velo
della pelle di Ray: queste sono ferite che bruciano ancora, che non
si sono mai davvero rimarginate...
-Mi
faceva così arrabbiare quella situazione... e stavo male, e
mi
sentivo sola, e tutto questo si accumulava sempre di più.-
sospira,
voltandosi su un fianco ed abbracciandomi in vita, stringendomi con
una forza che deve assomigliare molto a quella con cui, tanti anni
fa, stringeva il suo cuscino, là, nella sua stanzetta in
periferia.
-Quando vinsi la selezione per diventare l'apprendista di Jetta
Flores quasi spaccai un braccio al mio avversario, in finale.-
ammette, e dall'alto scorgo i suoi zigomi imporporarsi per
l'imbarazzo.
-Fu
allora che conoscesti Will?- le chiedo, mio malgrado estremamente
curioso di sapere, finalmente, come si sono conosciuti i due biondi
della mia vita.
-Esatto.-
.
-Un
ragazzino, Jetta!?- sbotto, incredula, quando la mia datrice di
lavoro mi spiega quale sarà il primo povero squinternato che
avrà
la sfortuna di allenarsi con me.
-Non
è un ragazzino, ha diversi anni in più di te.- mi
corregge Jetta,
divertita, mostrandomi le foto del ragazzo che, dopo un istante,
riconosco come il protagonista di uno dei miei film preferiti,
“Le
Cronache di Narnia”.
…ma
stiamo scherzando!?
-Ma
sembra un ragazzino! Sembra un bambolotto, o il fidanzato di Barbie!-
protesto, inseguendo Jetta quando lei, sorda alla mia isteria, si
avvia lungo il corridoio che porta alla palestra dove ci alleniamo
tutti i giorni. -Cosa dovrebbe imparare, il balletto?- domando,
sarcastica, ricordando la faccia innocente e un po' stolida di Peter
Pevensie – ma ha davvero più
anni di me? Sembra un bambino!
-No.
Vuole perfezionare la scherma per un film in cui dovrà
recitare.-
Jetta
è una santa: ancora non ha capito che, in questi casi,
rispondermi
equivale a darmi il tacito consenso per continuare a blaterare.
-Quindi
lo avremo fra i piedi per chissà quanto tempo. Fantastico.-
mugugno,
afferrando la spada che uso sempre dalla rastrelliera e provando due
affondi senza impegno, per riscaldarmi i muscoli. Quasi subito,
però,
sono costretta a balzare indietro, schivando per un pelo il fendente
rapido e preciso di Jetta.
-Abbassa
la cresta, signorinella.- mi avverte, e non posso far altro che
ammirare la postura perfetta, tesa ed elegante del suo corpo
slanciato, che sembra prolungarsi naturalmente lungo il profilo della
spada che stringe in pugno. -Secondo me ti piacerà.-
aggiunge, ma io
scuoto la testa e mi metto in posizione, sperando di arrivare, un
giorno, a possedere almeno una briciola della grazia letale che Jetta
emana quando combatte.
-Secondo
me, invece, sarà guerra!-
.
-E fu guerra?- le chiedo e lei, col viso illuminato dal primo, vero
sorriso che scorgo da quando è tornata a casa, annuisce.
-Oh, sì.-
.
-Più
in alto! William, punta verso le gambe e non tenere le ginocchia
rigide!-
Gli
ordini secchi di Jetta, per me, appartengono alla bizzarra routine a
cui mi sono ormai abituata da quando, tre settimane fa, ho cominciato
a lavorare con questa brusca ma geniale spadaccina; ma per William
Moseley, il bambolotto semovente che mi sta davanti e che stringe i
denti per non darmi la soddisfazione di sentirlo imprecare, i latrati
aggressivi di Jetta sono una novità a cui non è
di certo facile
prendere le misure.
Di
persona sembra ancora più giovane di quanto non appaia sugli
schermi: ha le guance piene, un taglio di capelli a scodella davvero
osceno e le labbra a forma di cuore, proprio come i bambolotti con
cui giocavamo sempre io e Sh__
-Ma
dove hai imparato a tirare di spada, Ken? Seguendo un corso su
Youtube?- sbotto, flettendo le ginocchia e balzando in avanti per
prenderlo di sorpresa con un attacco frontale che non si aspettava:
il pensiero di mia sorella svanisce nel momento stesso in cui il
bacio del metallo stride acuto nelle mie orecchie, assordando il mio
udito e i miei ricordi.
Moseley,
furente, balza indietro e si rimette in posizione.
-E
tu dove hai imparato le buone maniere, in una caverna del
Paleolitico?-
.
-Avrei dato un polmone per assistere a quegli allenamenti.- ammetto,
senza riuscire a trattenere le risate: dev'essere stato uno
spettacolo memorabile vedere Will e Ray accapigliarsi come due
bambini permalosi – due bambini permalosi e armati,
soprattutto.
-Jetta si divertiva quanto te.- ridacchia, Ray, ma negli occhi ha una
dolcezza che non scorgo più da molto tempo: quello sguardo
colmo
d'affetto e di complicità appartiene a William... ma
già da diversi
mesi lui e Ray, malgrado il rapporto che li unisce, sono stati
costretti ad allontanarsi.
So che le manca, so che l'assenza di Will nella sua vita è
qualcosa
che nessuno può e potrà colmare: si sentono, ogni
tanto, ma da
quando lei ed Angel hanno interrotto ogni rapporto tutti e due
cercano di proteggersi a vicenda, nascondendosi la malinconia che
provano nel vivere separati.
-Jetta aveva capito che io e Will eravamo due bombe ad orologeria...
e trovarsi davanti una come me fu la cosa migliore che potesse
capitargli: ci detestavamo, ma quell'astio lo spinse a migliorare
molto in fretta.- mi spiega, ed io annuisco: fin da quando conosco
lei e William ho capito che il loro rapporto si basa proprio su
quella rivalità antica, che sprona entrambi a dare il meglio
di sé
pur di poter guardare l'altro dall'alto in basso.
Hanno uno strano modo di volersi bene.
Un brivido attraversa improvvisamente Ray, che serra le dita sul mio
fianco e chiude gli occhi, mordendosi nervosamente le labbra mentre
le sue guance, già pallide, si fanno ancora più
bianche.
-Ehi.- mormoro, sfiorandole uno zigomo con la punta dell'indice.
-Non è niente.- mi rassicura, aprendo faticosamente gli
occhi –
lucidi – per rivolgermi uno sguardo di
scuse. -Solo... è
difficile parlarne dopo tanto tempo.- aggiunge, e capisco subito
quanto ciò che dev'essere appena riaffiorato fra i suoi
ricordi le
faccia male.
Mi curvo su di lei per baciarla a fior di labbra, dedicandole il
sorriso più caldo e rassicurante che sono in grado di
produrre.
-Sono qui.-
.
-Occhio,
ragazzina!-
La
voce aspra del soggetto contro cui sono appena andata a sbattere mi
irrita all'istante, ma so di aver torto e quindi ingoio la
rispostaccia caustica che mi è istantaneamente salita in
punta di
lingua – dopotutto, gli sono andata addosso io.
-Scusa!
Non volevo, io__- comincio, accorgendomi che lo sconosciuto che ho
appena travolto, uscendo di corsa dallo spogliatoio, sta trattenendo
il mio braccio contro il suo petto.
Non
sono una persona che ama il contatto fisico, a meno che non sia parte
di una zuffa. Alzo lo sguardo, pronta a mandare a quel paese questo
tizio che non ha nemmeno la buona creanza di accettare le mie scuse e
di lasciarmi andare, ma le parole mi muoiono sulle labbra quando mi
trovo davanti un giovane uomo che sembra uscito direttamente
dall'immaginario collettivo delle adolescenti arrapate di tutto il
mondo.
Ha
i capelli dello stesso nero intenso e lucido che ho visto solamente
nella chioma di Jetta: sono lunghi, sembrano fatti di seta, e sono
tenuti insieme da un elastico annodato sulla nuca. Ha dei lineamenti
affilati e tanto belli da sembrare finti, la barba di un giorno e due
occhi azzurri che potrebbero benissimo essere catalogati come arma di
distruzione di massa.
È
più alto di me di almeno una spanna, ha le spalle abbastanza
larghe
ma in generale il suo fisico è asciutto, più
slanciato di quello
ancora in crescita di Moseley – no, questo è un
uomo fatto e
finito che sembra essere uscito direttamente da una
pubblicità di
intimo maschile.
-E
tu da quale film sei spuntato!?- esalo, esterrefatta: dev'essere di
sicuro un divo del cinema, non può esistere un comune
mortale così
innaturalmente bello.
Sexyman
mi rivolge un'occhiata confusa.
-Scusa?-
-Dai,
io ti ho già visto, sembri quasi...- distolgo lo sguardo da
questo
soggetto altamente disturbante, aggrottando le sopracciglia mentre
cerco di ricordare. -Assomigli un sacco ad un personaggio di un
libro! Sei affascinante ugua__- mi mordo la lingua, sentendo le
guance andare a fuoco quando mi rendo conto dell'epica figura di
merda che ho appena fatto.
Il
divo di Hollywood inarca un sopracciglio e mi soppesa, divertito,
arricciando le labbra in un sorrisetto sardonico.
-Beh,
ragazzina, grazie per il complimento, ma mi spiace deluderti. Io sono
fatto di carne ed ossa.- mi canzona, stringendo volontariamente il
mio braccio contro il suo petto: sotto le dita sento delinearsi le
forme di muscoli affusolati, ben proporzionati, e devo fare violenza
su me stessa per sottrarre bruscamente la mia mano dalla sua presa
ferrea.
-Ah.-
.
-Si chiamava Anthony.- mi spiega e, nei suoi lineamenti, affiora una
tenerezza del tutto nuova, che curva le sue labbra in un piccolo
sorriso malinconico e le riempie gli occhi di dolcezza.
Non mi ha mai parlato di lui, e comprendo quanto sia prezioso questo
momento, questa sua decisione di condividere con me un pezzo della
sua vita che, per qualche motivo, ha tenuto serbato dentro di
sé
tanto a lungo.
-Era il nipote di Jetta ed era venuto a trovare la zia durante le
vacanze estive.-
.
Gli
occhi fissi degli spettatori non mi hanno mai dato fastidio, e ho
smesso di preoccupami di chi mi guarda mentre faccio qualcosa in cui
so di essere brava.
Distendo
il braccio sinistro e volteggio su me stessa con una grazia che
solitamente non possiedo, parando l'affondo laterale che Jetta sta
spiegando a William. Solo quando ha finito di parlare con lui mi
azzardo a contrattaccare, lievemente, ed il sorrisetto divertito
della mia insegnante è l'assenso che stavo aspettando.
Mi
slancio contro William senza preavviso, con tutta la forza che ho
–
ho imparato a convogliare in questa lama e nelle mie braccia tutta la
rabbia che provo, tutta la frustrazione, tutto il dolore: tutto
sembra placarsi, in questi momenti, quando il clangore e la furia mi
riempiono e mi svuotano allo stesso tempo, donandomi qualche ora di
pace dal martirio interiore a cui mi sento sottoposta.
Affondare,
parare, scartare e attaccare di nuovo: la scherma medievale non
è
una danza, come il fioretto, ma un vero e proprio massacro a cui sono
sempre felice di sottopormi: non mi spaventano i lividi orrendi che
scovo sul mio corpo al mattino, non mi preoccupa lo scontro fisico
né
il dolore – è tutto così leggero,
effimero, in confronto alla
dolcezza del bacio dell'adrenalina.
Alla
fine dell'allenamento è William, furibondo e stremato, ad
abbandonare la palestra per primo. Non m'importa un accidente del suo
amor proprio ferito: è qui per imparare, e di certo non si
impara
niente con le maniere buone. Io lo so bene.
-Ragazzina,
da dove la tiri fuori quella furia?-
Faccio
un salto incredibile quando la voce di Anthony risuona proprio alle
mie spalle e, se avessi ancora in mano la spada, probabilmente il mio
primo istinto sarebbe quello di voltarmi e menare un fendente,
rovinando per sempre quel bel faccino da divo rompiballe che si
ritrova.
-Mi
stavi spiando?- sbotto, voltandomi e lanciandogli un'occhiataccia di
fuoco che non lo scuote neanche un po'.
-Non
avevo niente di meglio da fare.- fa spallucce e io devo fare leva
sull'antipatia che mi causa per non ricordarmi di notare quanto sia
bello. -Allora? Da quale oscuro baratro dietro quel bel faccino viene
tutta quella rabbia?-
.
-Anthony era una persona incredibile. Sembrava sapere sempre quale
fosse la cosa giusta da dire, da fare...-
.
-Ti
va una birra, William?-
Mi
sta perseguitando, non c'è altra spiegazione. Anche se ha
appena
rivolto la parola a William, uscito dallo spogliatoio maschile nello
stesso momento in cui io abbandonavo quello femminile, io so
che è qui per continuare a rompere le scatole a me.
Sarò
paranoica, ma so riconoscere un testardo quando lo vedo.
-Con
piacere, sono esausto.- risponde William/Ken, sorridendo a Anthony
con tutta quell'aria amichevole che, con me, non ha mai modo di
dimostrare.
Si
accorge di me soltanto quando Anthony, come
volevasi dimostrare, sposta il suo sguardo oltre
la spalla
del biondastro per guardare me.
-Oh.
Ray.- mi saluta William, aspramente, senza nemmeno degnarmi di uno
sguardo.
-Ken.-
replico, ignorando il suo nervosismo: ha tutte le ragioni per
detestarmi. D'altronde, dopotutto, io preferisco così: non
ho né
tempo né voglia di farmi degli amici, e di sicuro non fra
gli
attorucoli di serie B con troppa boria e sicumera da vendere.
-Ken?-
chiede Anthony, confuso, ma William scuote la testa.
-Non
chiedere, per favore.- mugugna, e io non posso che ridacchiare quando
lo sento tanto contrariato. Di solito sono una persona che non ama i
battibecchi, ma devo dire che azzuffarmi quotidianamente con questo
ragazzone mi sta dando delle soddisfazioni. -Andiamo?- domanda poi,
rivolgendosi ad Anthony. Quest'ultimo, però, torna a
guardarmi.
-Tu
vieni, ragazzina?- mi domanda, ed io non riesco proprio ad evitare
che lo sbigottimento mi si disegni in faccia.
Sta
davvero chiedendomi di andare con loro? Ma siamo impazziti?
-O
sei troppo giovane per bere con i ragazzi più grandi?-
aggiunge,
assottigliando le palpebre e facendomi un occhiolino. La voglia che
ho di prenderlo a schiaffi è incredibile.
-Ha
sedici anni, lasciala perdere!- interviene William, irritato, ma io
afferro la mia borsa e mi avvicino a passo marziale a questi due
coglioni, sentendo la mia eredità genetica di ubriacona
texana
ruggire d'indignazione dentro di me.
-Ma
chi vi credete di essere tutti e due!?-
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-Quella sera presi la prima sbronza della mia vita.- Ray scoppia a
ridere, divertita, mentre io non riesco a far altro che domandarmi
come William riesca a fare danni in qualunque posto
e in
qualunque situazione si trovi.
-A causa di William.- mormoro, scuotendo la testa. -Non poteva essere
altrimenti.-
-Fu divertente. Andammo in un bar karaoke e finimmo a cantare le
canzoni dei cartoni animati, stonando tutto lo stonabile.- continua a
ridacchiare Ray, e non riesco a non unirmi a lei quando immagino lei
e quell'altro imbranato abbracciati ad un microfono a cantare a
squarciagola vecchie sigle televisive.
Darei anche un rene per poter vedere quella scena con i miei occhi.
-Anthony non bevve nulla. Riportò a casa William e poi mi
domandò
dove abitassi io, ma mi vergognavo – stavo ancora in
periferia,
e...- prosegue, arruffandosi i capelli con fare imbarazzato.
-Insomma, alla fine mi portò da Jetta, e lei mi
ospitò quella sera
e per molte altre, in seguito.-
.
Morire
dev'essere infinitamente meno doloroso dell'hangover.
Alzo
debolmente le mani per premerle sulle tempie, tentando di tenere
insieme i pezzi della mia testa prima che si spacchi a metà.
Il
suono di qualcuno che si avvicina allo sconosciuto giaciglio su cui
sono sicuramente collassata è tanto sconvolgente da
strapparmi un
mugolio di protesta.
-Chiunque
tu sia, vattene.- mugugno, afferrando un cuscino stranamente morbido
e premendomelo sulla faccia; la persona che mi si è
accostata, però,
me lo toglie di mano, lottando per qualche istante per riuscire a
sottrarmelo.
-Tieni,
ragazzina.-
Riconosco
questa voce all'istante e, sempre all'istante, mi maledico.
L'odore
conosciuto del caffè e l'improvvisa consapevolezza di essere
in uno
stato pietoso davanti all'uomo più bello del creato mi
spingono a
schiudere cautamente le palpebre, bestemmiando mentalmente contro
chiunque abbia deciso di rendere la luce solare tanto tagliente.
-Il
caffè è la cura per ogni male. Specialmente per
la sbornia.-
decreta Anthony, porgendomi un bicchiere di Starbucks che io accetto
con circospezione, lottando contro lo stomaco in subbuglio che
vorrebbe rinunciare a qualunque contatto con cibo e bevande per un
tempo indefinito.
-Abbassa
la voce.- ringhio, costringendomi a bere un sorso e tirandomi
pesantemente a sedere, guardandomi intorno senza, però,
muovere la
testa – mi cadrebbe a pezzi se solo provassi a girarmi. -Dove
sono?- chiedo, senza riconoscere il bel divano su cui ho dormito e
l'appartamento ampio e luminoso – troppo – in cui
mi trovo.
-A
casa di mia zia.- mi risponde Anthony, sedendosi accanto a me e
dedicandomi uno sguardo divertito. -Eri conciata proprio male, eh?-
mi canzona ma, lungimirante, io non me la prendo: devo prima scoprire
se ho fatto qualcosa di immorale, stupido o illegale.
-Non
mi ero mai ubriacata, prima.- ammetto, passandomi una mano fra i
capelli e sentendoli tutti annodati e spettinati. Favoloso,
chissà
che aspetto di merda che devo avere.
-C'è
una prima volta per tutto.- sentenzia, ilare, questo bellimbusto,
prima di allungare una mano per scostarmi la frangia dalla fronte
appiccicaticcia. -Come ti senti?- mi chiede, gentilmente, ma io non
riesco a fare a meno di allontanarmi dal suo tocco, sprofondando di
nuovo nel divano.
Odio
essere toccata.
-Se
mi fosse passato sopra un camion starei meglio, credo.-
mormoro, e mi godo qualche minuto di silenzio
ristoratore
mentre il caffè entra in circolo e restituisce un po' di
chiarezza
al mondo.
-Devo
farti i miei complimenti, però.- esordisce, ad un certo
punto,
Anthony. Lo fisso, senza muovermi da dove mi trovo, e probabilmente
riesce a leggermi in faccia tutta la perplessità che sto
provando.
-Di solito, quando una persona beve troppo, si lascia sfuggire i
propri segreti... tu, invece, sei stata zitta come un pesce.-
Non
è ancora stato distillato un liquore in grado di scavarmi
dentro
abbastanza a fondo da strapparmi una confessione.
Non
capisco perché Anthony si stia impegnando così
tanto per scoprire
chi sono e da dove vengo e, sinceramente, mi dà fastidio:
non voglio
parlare dei miei genitori, non voglio essere guardata con
pietà e
compassione, non voglio essere affidata a nessun servizio sociale o,
peggio ancora, essere riportata indietro.
Jetta
è l'unica persona che sa che cosa mi è successo
e, in virtù
dell'amicizia con il mio vecchio insegnante di scherma, mi ha
assicurato che non ne parlerà con nessuno a meno che non sia
io a
decidere diversamente – sento un fiotto di gratitudine
soppiantare,
per qualche attimo, la nausea, quando mi rendo conto che Jetta non ha
detto niente nemmeno a suo nipote.
-Sono
brava a controllarmi.- mormoro, prima di mandare giù quel
che rimane
del caffè tutto d'un fiato, cercando di ignorare quello che,
un
attimo più tardi, mi risponde.
-Ma
io sono più bravo ad aspettare.-
.
-Ti sarebbe piaciuto, sai? Credo che sareste andati d'accordo.-
.
La
pazienza non è mai stata il mio forte, devo ammetterlo.
È
proprio per questo che, quando esco dallo spogliatoio e trovo Anthony
di nuovo
qui ad
aspettarmi, sento l'irritazione raggiungere il punto di non ritorno.
-Oh,
insomma, si può sapere che cosa vuoi da me?
Perché continui a
seguirmi ovunque, non hai qualcosa di meglio da fare!?- sbotto,
fronteggiandolo apertamente, ma quello non si smuove nemmeno di un
millimetro. Che
odio.
-Sei
interessante.- replica, e il desiderio di prenderlo a pugni si
ripresenta, all'istante, più forte che mai.
-Ma
vaffanculo!- sibilo, trattenendomi per puro miracolo dallo strillare.
Poi sospiro, dicendomi che non posso esagerare e che, in fondo, lui
con me è sempre stato gentile. Stressante, magari, ma
gentile.
-Senti, davvero, non voglio avere problemi con Jetta o con te, voglio
solo fare il mio lavoro ed essere lasciata in pace.- gli spiego,
guardando da un'altra parte mentre parlo per non permettergli di
capire quanto questa situazione ferisca anche me: vorrei davvero
essere una ragazza normale e poterlo conoscere più a fondo,
vorrei
essere in grado di intessere un rapporto di amicizia con lui come con
chiunque altro, vorrei avere la capacità di fingere che gli
sguardi
penetranti che mi rivolge siano dettati da una bruciante attrazione
amorosa.
Ma
io non sono una ragazza normale. Io sono una ragazza spezzata che non
vuole più affezionarsi a nessuno, che non vuole
più sognare, che
non vuole più essere né una ragazza né
una donna.
-Come
preferisci.- mi rassicura, annuendo con un cenno elegante –
lui è
sempre
elegante, in
tutto ciò che fa – della testa. -Comunque volevo
chiederti
solamente una cosa.-
-Cosa?-
chiedo, stancamente, dicendomi che, se lo ascolto ora, poi magari mi
lascerà in pace.
-Usciresti
con me?-
La
morsa che mi stritola è talmente repentina da non darmi
nemmeno il
tempo di prendere fiato per urlare.
Posso
avvertire il già poco colore della mia faccia scivolarmi via
lungo
il collo quando, dai recessi in cui li avevo relegati, i ricordi ed
il dolore allungano una zampata che mi squarcia il petto da parte a
parte.
“Vuoi
uscire con un ragazzo? E magari farti anche scopare per bene!”
La
voce di mia madre mi riempie la testa e spezza, per l'ennesima volta,
quel poco che rimane del mio cuore.
“Ma
sì, vai pure! Tanto sei solo una puttanella che non
aspettava
altro!”
Non
è vero, mamma. Non è vero. Non ho mai fatto
niente di male, mamma,
perché mi fai questo? Perché mi tratti
così? Io ti voglio bene...
“Non
osare rispondermi in questo modo, piccola troia!”
-Ray?-
è la prima volta che sento Anthony pronunciare il mio nome,
ma sono
troppo sconvolta per riuscire a registrare la cosa: per me, in questo
momento, ci sono soltanto le urla di mia madre, il dolore lacerante
che ho provato nel cercare di difendere me stessa e la mia innocenza,
lo schiocco degli schiaffi.
“Fuori
da casa mia!”
Chissà
poi se sei riuscita a tenerla insieme, quella tua fottuta casa, senza
la tua schiava personale a pararti il culo e a farti da sguattera...
-Che
cosa sta__- registro le parole di William solo quando pronuncia il
mio nome, sbalordito ed allarmato come non l'ho mai sentito: -Ray!-
Si
precipita accanto a me, afferrandomi e trascinandomi per terra prima
che sia io stessa a crollare: la sua faccia di stupido bambolotto
riempie la mia visuale, e tutti i miei sensi impazziti si concentrano
istintivamente su di lui.
Ha
un'espressione risoluta e tranquillizzante, in volto, che non gli
avevo mai visto prima: mi aggrappo alla fermezza in quegli occhi
celesti per non affondare, per strapparmi dagli artigli che, dai miei
ricordi ancora troppo freschi, sono emersi e stanno cercando di
ghermirmi e tirarmi di nuovo giù.
Soltanto
nel momento in cui le sue mani si stringono sulle mie spalle riesco
finalmente a tirare fiato, recuperando quel minimo di autocontrollo
che mi serve per non scoppiare in un pianto isterico davanti a tutti.
Mi
tengo stretta ai polsi del biondo con tutta la forza che ho,
sbattendo freneticamente le palpebre per ricacciare indietro
l'angoscia che mi ha assalita; William non si lamenta, non dice
niente... si limita a tenere gli occhi piantati nei miei – e
in
quell'azzurro scorgo una consapevolezza che mi spaventa più
di tutto
il resto.
Lui ha capito tutto.
Il
mio primo istinto è quello di fare ciò che so
fare meglio:
scappare.
-Sto
bene... sto bene. Davvero. È stato solo un... un calo di
zuccheri.-
mormoro, cercando di liberarmi dalla stretta d'acciaio di Moseley. Ha
visto troppo, ha capito troppo e non posso restare qui, devo
allontanarmi da questi occhi che mi hanno scrutata dentro e che hanno
visto la ragazzetta patetica che sto cercando di soffocare da troppi,
troppi mesi.
-Cosa
è successo?-
Jetta.
La mia speranza.
-Jetta,
non è nulla, non__- comincio, cercando di alzarmi.
-Sembrava
un attacco di panico.- risponde istantaneamente William, senza dare
il minimo segno di volermi lasciare andare.
-Zitto
tu!- sbotto, cercando di spingerlo via, ma lui mi blocca con una
facilità impressionante e, per la prima volta –
complice il mio
cervello che, per riprendersi, cerca qualunque cosa su cui ragionare
per non sprofondare di nuovo nella disperazione –, capisco
quanta
forza abbia nelle mani e nelle braccia e quanto debba essersi
trattenuto durante gli allenamenti. Ma perché?
Perché combatte
contro di me? Perché sono una ragazza? È davvero
così stupido?
Jetta
osserva la situazione per un istante, spostando il suo sguardo da me
a William e poi su Anthony, che si è fatto da parte e che
sta
attento a non guardarmi nemmeno per sbaglio – sento qualcosa
stridere, dentro di me, quando capisco che avei davvero voluto dirgli
di
sì.
-Anthony,
andiamo a casa.- ordina, infine, con quel tono brusco a cui mi sono
tanto affezionata. -Will, rimani con lei e poi portala da me.-
.
Ray si raggomitola e si stringe a me, piantandomi le unghie nella
schiena, senza più parlare per un bel po'.
Mi sento malissimo, e vorrei poter fare di più che
stringerla a me e
accarezzarle i capelli.
Non riesco a concepire l'orrore di sentirsi rifiutati dalla propria
madre. È qualcosa che non dovrebbe nemmeno esistere.
-Will mi portò in un caffè, pagò il
doppio una cioccolata calda
perché non era stagione e mi costrinse a raccontargli
tutto.-
sospira, infine, con il volto nascosto nella mia pancia.
-Tipico di William.- è tutto ciò che riesco a
dire, con la voce
rauca di chi si ritrova la gola riarsa da qualcosa che non è
pietà
e non è nemmeno dispiacere ma, piuttosto, un dolore vero e
proprio:
mi sento uno schifo al pensiero di ciò che ha passato Ray,
mi sento
impotente perché non posso fare nulla per toglierle dalle
spalle
questo dolore e, soprattutto, perché darei tutto
ciò che possiedo
pur di tornare indietro per poter essere lì, con lei.
-Funzionò, però.- ammette Ray, sempre senza
muoversi nemmeno di un
millimetro, rimanendo stranamente ferma sotto le mie carezze. -Gli
raccontai tutto quanto. Lo avevo trattato talmente male, glielo
dovevo...- sussurra, ma so anche io che questa non è tutta
la
verità: Ray, in quel momento, aveva avuto bisogno di contare
su una
persona – e Will era stato
lì per lei.
Finalmente riesco a capire tante cose che, fino a questo momento, mi
sono perennemente apparse poco chiare: Will è sempre stato
protettivo nei confronti di Ray – persino troppo, certe volte
–
ed ha sempre cercato di proteggerla anche quando lei se la sarebbe
potuta cavare benissimo da sola...
Will ha visto Ray nel momento peggiore della sua vita e, come la
persona splendida che è, ha fatto ciò che gli
diceva il cuore: l'ha
amata. Non come uomo, non in senso romantico, niente del
genere:
Will ha amato Ray come si ama una sorella e io so
che è una
cosa che tuttora non potrà cambiare, mai, nemmeno dovessero
passare
cent'anni separati l'uno dall'altra.
Non posso che sentirmi sollevato, adesso: Will era con lei e, per
Ray, è e sarà sempre uno dei posti più
sicuri al mondo.
Ray tira su col naso ed un sorriso incerto le si schiude sulle
labbra.
-Diventammo amici. Lui fu il primo vero amico della mia vita.-
.
-Anthony
è un bravo ragazzo.- mi fa Will, seduto all'altro capo del
tavolo
del pub in cui abbiamo preso l'abitudine di fermarci a bere qualcosa
dopo gli allenamenti quotidiani.
Scuoto
la testa, facendo ondeggiare gli orecchini pesanti, rotondi e di
metallo, che indosso. Will mi prende in giro a profusione per questo
mio modo di vestire “da rocker
anni Ottanta”, come dice lui, ma a me
piace. Stupido Ken
senza senso estetico.
-Non
posso uscire con lui, come devo dirtelo!?- gli afferro una mano e la
premo sulla mia gola, dove io stessa posso avvertire il martellare
furibondo del mio cuore. -Senti? Mi salgono i battiti al sol
pensiero!- sbraito, accorgendomi soltanto quando Will scoppia a
ridere e mi arruffa i capelli che non mi dà fastidio essere
toccata
da lui – ed è la prima volta che il disagio non si
fa vivo da
quando me ne sono andata di casa.
-Questo,
raggio di Sole, non è panico. Si chiama libido.-
.
.
.
[Ray]
.
Ben scoppia a ridere assieme a me quando gli spiego quanto imbecille
e stupido fosse il William che ho conosciuto in quel periodo: era
proprio un coglione, devo ammetterlo, ma io a quel coglione volevo
bene e mi ci ero affezionata come non avevo più creduto
possibile.
-Will non cambierà mai.- commenta Ben, divertito, ed io
annuisco
vigorosamente.
-Credo anch'io.-
No, Will non cambierà mai davvero: rimarrà sempre
quel bambolotto
gigante con un cuore da bambino e tanta di quella bontà,
dentro, da
riempirci il mondo intero.
-Alla fine accettasti quell'invito?- mi domanda Ben quando
l'ilarità
scema e la sua curiosità torna a farsi viva.
Avrei dovuto parlargli di tutto questo molto, molto tempo fa.
Non so nemmeno io perché non gli ho mai detto nulla di tutto
questo:
forse avevo paura – non della sua reazione, perché
sono sicura
dell'amore e della comprensione di Ben come non lo sono mai stata di
niente o nessun altro, ma... forse avevo paura di riportare a galla
tutto il dolore che ho provato e che mi ha profondamente,
indelebilmente cambiata.
-Più o meno.-
.
Io
sono una gran vigliacca, Will lo dice sempre.
Io
mi arrabbio e protesto ma lui, con quella sua faccia che sarebbe da
prendere a pugni dal mattino alla sera atteggiata in un sorrisetto
irritante, decreta saggiamente che, se fossi davvero coraggiosa,
sarei già andata da Anthony a scusarmi per non avergli
più parlato
per dieci giorni dopo quello stupido, stupido pomeriggio.
Forse
è proprio perché voglio dimostrare a me stessa di
non essere una
codarda che, adesso, sto correndo a perdifiato giù per le
scale
della palestra e poi giù in strada, sperando di non aver
perso
Anthony nella folla che sembra essere onnipresente in questo
quartiere di New York.
-Anthony!-
chiamo, sollevata, quando lo vedo fermo sul marciapiede,
probabilmente in attesa di un taxi e, nel momento in cui si volta e
mi sorride, il mio cuore sussulta e il mio stomaco fa una capriola:
è
sempre più bello, accidenti a lui.
-Stai
meglio, ragazzina?- mi chiede, osservandomi con un misto di
curiosità
ed ilarità mentre io incespico e spintono poco carinamente
le
persone per raggiungerlo.
-Sì,
io...- esito. Come glielo spiego? Accidenti a Will!
Mi
mordo l'interno della guancia, sapendo – e maledicendomi per
questo
– di essere arrossita.
-Volevo
scusarmi per la reazione dell'altro giorno, io...- balbetto, ma non
mi sento ancora pronta a fidarmi completamente di una seconda
persona, non in così poco tempo: voglio dargli il beneficio
del
dubbio, però, e voglio concedere a me stessa la
possibilità di
rischiare di essere di nuovo felice.
Quindi
opto per dirgli una parte della verità, quella meno
compromettente,
quella che mi permette di aprirmi un pochino senza, però,
sentirmi
denudata completamente di tutte le mie difese.
-La
verità è che non sono mai uscita con un ragazzo,
ecco. Ho qualche
problema con tutta quella roba di come vestirsi, di dove andare,
dell'imbarazzo e__-
Anthony
alza una mano, ridacchiando, mettendo la parola fine al mio
sproloquio.
-Facciamo
così: se ti offrissi un caffè fra, vediamo, venti
minuti, al bar
della palestra?-
Una
luce nel buio.
-Direi
che si possa fare.- sorrido, entusiasta, voltandomi di scatto per
lanciare un'occhiata alla palestra, enorme e bellissima, alle mie
spalle. -Faccio una doccia e arrivo, puoi aspettarmi lì...?-
gli
chiedo, incerta, tornando a voltarmi verso di lui. Non mi sono
nemmeno lavata dopo l'allenamento, sono subito corsa fuori, sperando
di vederlo.
Anthony
scuote la testa, sempre con quel bel sorriso un po' canzonatorio
sulle labbra.
-Assolutamente
no. E se poi tu mi scappassi di nuovo?-
.
-Era determinato, il ragazzo.- osserva Ben, inarcando le sopracciglia
– come se lui non lo fosse, no?
– e guardandomi con quegli
occhi scuri e caldi in cui so sempre di poter trovare la mia
metà
migliore.
-Oh, sì. Era un vero testardo.- annuisco, con più
serenità di
quanta me ne sarei aspettata: per anni ho provato un vero e proprio
terrore al pensiero di parlare di Anthony, di soffrire di nuovo per
la sua perdita, di sentire ancora la sua mancanza... invece
è così
semplice, ora, raccontare a Ben la mia storia, la storia di Anthony.
Non so se sia perché è passato abbastanza tempo o
perché, molto
più probabilmente, parlare con lui è sempre stato
facile e
meraviglioso come prendere un profondo respiro in alta montagna.
-Anthony fu il mio primo ragazzo, la mia prima volta e il mio primo
amore.-
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My space
Ciaone a tutti, so' Paola
Marella!
Ignoratemi. Vi prego. Ho il
ciclo da nove giorni, non ci sto più con la testa.
Buongiorno a tutti voi!
Puntuale come un orologio,
incredibilmente, eccomi qua ad aggiornare!
Innanzitutto vorrei
ringraziarvi per l'entusiasmo: mi ha fatto davvero un piacere immenso
vedere che non vi siete dimenticate di Ben e Ray e che vi ha
entusiasmato questo mio nuovo progetto!
Poi, qualche considerazione:
Anthony, il primo amore di Ray, era oggettivamente un ragazzo
bellissimo. Può capitare, nella vita, di incontrarne di
così, no? Okay,
Ray ha tutte le fortune di questo mondo, prima quello e poi Ben. Che
invidia. Però ci tengo a sottolineare che non
è la sua bellezza ad aver colpito lei, ad averla
conquistata, ma l'atteggiamento che ha sempre tenuto nei suoi
confronti: Anthony è stato una spalla per sostenersi, un
punto di partenza, una speranza, per Ray. Questo, più della
bellezza di Anthony (che a Ray non importa proprio un accidente),
è ciò che l'ha conquistata.
La canzone del titolo di
questo capitolo è Kiss the
Rain di Billy Myers.
E niente, direi che questo
capitolo si spiega da solo! Per qualsiasi cosa (complimenti, insulti,
pomodori, critiche costruttive, erroracci che mi saranno di sicuro
sfuggiti nonostante le mille riletture) vi invito a lasciarmi un
commentino!
Alla settimana prossima!
B.
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