A summer dream in winter
Sorpresa, sorpresa!
Vi avevo detto che passavo un periodo
di poca ispirazione, quindi, per cercare di recuperarne un po’,
ho pensato di cambiare un po’ argomento, così magari le
idee tornano anche per Thunder Road! Incrociate le dita!
Questa One Shot è tratta da
uno dei miei tanti sogni tokiosi. Ovviamente non era così
dettagliato e non erano presenti tutte le scene della storia, ma il
corpo era praticamente questo. Sappiate quindi, che questa roba
è il parto della mia mente malata e completamente dominata dal
fascino di Tom Kaulitz, ogni colpa è solo sua.
Come vedrete non c’è una
vera e propria descrizione della protagonista, così potrete
pensarla come meglio credete. Spero comunque che vi stia almeno un
po’ simpatica!
La fanfiction è scritta con il
massimo rispetto per i Tokio Hotel, il loro lavoro e la loro vita
privata. Quanto scritto è una storia di pura fantasia, i fatti
narrati non vogliono dare rappresentazione della realtà. Non ha
alcun scopo di lucro.
I Tokio Hotel non mi appartengono (ma
se qualcuno me li volesse regalare per Natale...), così come la
canzone che ho usato.
Vi lascio alla lettura, vi prego lasciatemi un commentino!
- A Summer Dream In Winter -
Maybe your other boyfriends
Couldn't pass the test
Well if you're rough and ready for love
Honey I'm tougher than the rest
(Tougher than the rest – Bruce Springsteen)
Mi tolsi la frangia dalla fronte con la mano. Faceva caldo in
quell’ascensore e c’era anche uno strano odore, come in
tutti quei trabiccoli, così angusti, ma tanto utili, specie per
i pigri come me. Avevo posato la busta della spesa tra le mie gambe
nude e stavo salendo al terzo piano, dove c’era
l’appartamento della mia amica Rielke.
Sbuffai. Avevo accettato solo per farle un favore, ma ovviamente non
ero molto contenta. Lei era partita per un paio di giorni, ma la
mattina dopo, sul presto, in casa sua doveva venire l’idraulico
per riparare la caldaia. Mi aveva così chiesto di esserci e io
avevo accettato volentieri, senza pensare troppo. Solo ora, mentre la
porta scorrevole si apriva davanti a me, mi rendevo conto che stavo
andando a passare la notte in una casa non mia e, per giunta, senza
acqua calda…
Senza contare quell’altro, piccolissimo, problema che avevo a casa mia… Meglio pensare ad una cosa alla volta.
Aprii la porta con le chiavi che mi aveva dato Rielke. La casa era
luminosa, infatti, appena entrati ci si trovava subito nel bel salone
che dava sull’ampio terrazzo. Altra cosa da fare: innaffiare le
piante.
Mi diressi alla mia sinistra, verso la cucina. Era piccola e quadrata, dava direttamente sul salone.
Avevo comprato poche cose, per la cena e la colazione del giorno dopo:
un po’ di formaggio, insalata, pomodori, una confezione di pere,
biscotti e latte per la mattina dopo. Cominciai a riporre le cose nel
frigo. Mancava il pane, ma me lo sarei portato da casa, tanto dovevo
ripassarci.
Pensando a cosa mi aspettava lì, cominciò subito a
prudermi la testa. Ma che cosa avevo fatto di male io? Cosa, per
meritarmi un orso polare che parla biascicando come se avesse sempre un
pesce in bocca e non mi spiega mai le cose? Eh?!
Stavo cercando di rimuovere il ricordo dello sgradito ospite che si era
installato a casa mia, quando suonarono alla porta. Non era il
citofono, ma il campanello del pianerottolo. Mi allontanai dalla cucina
per guardare dallo spioncino.
Era un uomo. Alto, abbronzato, sulla quarantina, un bel tipo tutto
sommato. Sorrideva allo spioncino con aria familiare. Rielke mi aveva
parlato di un suo vicino gentile. Robert, Karl… non ricordavo il
nome. Decisi di socchiudere la porta, lasciando la catena.
“Salve.” Salutai diffidente.
“Ciao, io sono Robert!” Rispose lui entusiasta. “Tu
devi essere Wina, Rielke mi ha parlato di te!” Aggiunse.
“Mi fai entrare?” Chiese poi.
No, l’idea non mi piaceva e lui dovette capirlo dalla mia faccia,
del resto non ero mai stata capace di nascondere le mi impressioni
negative, ma la mia amica mi aveva parlato bene di lui, quindi mi
sembrava scortese lasciarlo fuori. Socchiusi la porta, tolsi la
catenella e lo fece passare. Lui entrò fluido. Indossava un
completo scuro, giacca e cravatta, nonostante fosse un caldo giorno di
luglio.
“Rielke ti ha parlato di me?” Chiese l’uomo, mentre
raggiungeva la cucina, completamente a suo agio. Io lo seguivo con aria
scettica.
Sì, Rielke mi aveva parlato di lui. Era un medico che viveva
nell’appartamento di sotto. Lavorava in ospedale. La faceva
ridere. Erano stati a letto, un paio di volte.
Eravamo entrambi in cucina, ormai. Robert si stava servendo
tranquillamente di un bicchiere d’acqua fresca. Era troppo
disinvolto, già non mi piaceva. Un po’ d’imbarazzo
dovrebbe essere normale, quando si è davanti ad uno sconosciuto,
no?
Mi venne da pensare al mio ospite.
Al nostro primo incontro ci era voluta quasi una serata per riuscire a
guardarci solo in faccia e lui abbassava gli occhi continuamente, anche
dopo. Il fatto che poi avessimo passato il resto della notte a parlare
come se ci conoscessimo da una vita, era relativo. Era passato quasi un
anno e ancora non eravamo riusciti ad abbassare del tutto le reciproche
difese. Ehhh, quanto mi faceva penare! Ma poi mi bastava guardare quei
suoi occhi…
“Sai che sei proprio una bella ragazza?” Affermò
improvvisamente l’uomo, riportandomi al presente; la sua voce si
era fatta più calda, il tono fastidiosamente seducente.
Io stavo mettendo la confezione delle pere nel frigo e mi girai a
guardarlo con la coda dell’occhio. Stava osservando le mie gambe
e il mio fondoschiena. Lo fissai con uno sguardo gelido, aspettando che
i suoi occhi incrociassero i miei. Quando accadde, lui sorrise
soddisfatto. Storsi la bocca.
“Proprio una bella ragazza, sì.” Confermò infine.
“Grazie.” Risposi fredda. Mi dava fastidio il suo tono, il
suo sguardo, il suo compiacimento. La stanza stava cominciando a
diventare troppo piccola.
“Conosci Rielke da molto?” Mi chiese, mentre aggirava il
tavolo e si avvicinava di più a me. Feci istintivamente un passo
indietro.
“Un paio d’anni…” Risposi vaga, dedicando la mia attenzione al frigo.
“Dovremmo uscire insieme, una volta o l’altra.”
Suggerì distrattamente l’uomo, facendo un ulteriore passo
avanti.
“Non mi pare proprio il caso…” Mormorai io, con un sorrisetto nervoso.
Robert era, innegabilmente, un bell’uomo. Il bel viso abbronzato
era molto virile e attraente ed aveva occhi azzurri magnetici. Ma non
mi piaceva. Sarà stato il suo odore. Sarà stata la luce
nei suoi occhi. Non mi fidavo.
Ero sempre stata molto istintiva, in queste cose: se un uomo non mi
colpiva positivamente al primo sguardo, era assai arduo che potesse
farlo in seguito. E si contavano sulle dita di una mano, le volte in
cui le mie prime impressioni si erano rivelate errate.
“Perché?” Fece lui, interrompendo i miei pensieri.
“Il tuo ragazzo è geloso?!” Buttò lì,
ridacchiando.
Che cavolo aveva da ridere?! Lo divertiva il fatto che potessi avere un
ragazzo?! E perché, a quella parola, mi era comparsa davanti
l’immagine di due grandi, malinconici occhi nocciola dalle ciglia
lunghissime, che mi facevano venire il magone solo a pensarli?
“Scusa, Robert, ma devo interrompere questa piacevole
conversazione.” Mi decisi a dire, volgendomi verso di lui,
sperando che cogliesse il sarcasmo, invano. “Purtroppo devo
andare.” Aggiunsi con un sorriso il più possibile cordiale.
“Oh, e dove te ne vai?” Domandò, chiaramente deluso.
“Eh, devo passare da casa…” Risposi cauta, mentre
radunavo le mie cose e mi dirigevo sbrigativa verso l’uscita.
“E quando torni qui?” Insisté lui.
“In serata, dipende, non lo so…” Replicai, aprendo la porta.
“Aspetta, scendiamo insieme!” Esclamò Robert, mentre
io oltrepassavo la soglia, ma lui mi prese per un braccio,
trattenendomi.
“Va bene.” Acconsentii, giusto per fargli mollare la presa.
Il breve tragitto in ascensore fu piuttosto fastidioso. Lo spazio
ristretto rendeva inevitabile il contatto e io, di conseguenza, mi
sentivo molto a disagio: non desideravo alcuna vicinanza con lui.
In più il suo profumo mi dava la nausea. Era troppo forte, dolciastro, quasi acidulo. No, proprio non mi piaceva.
Arrivati al piano terra, io uscii sbrigativamente dall’abitacolo,
salutando in fretta Robert e sottraendomi al suo tentativo di baciarmi
le guance. Arrivata in macchina, tirai giù i finestrini,
nonostante l’aria condizionata e respirai profondamente: avevo
ancora quel suo dopobarba nel naso.
Ero ferma davanti alla porta di casa mia ormai da qualche secondo.
Riflettevo su come avrei dovuto comportarmi. Era innegabile che fossi
un po’ arrabbiata con lui, per come si era presentato a casa mia,
ma d’altra parte, non potevo nemmeno negare che vederlo mi aveva
provocato un tuffo al cuore. Ma riepiloghiamo.
Mia madre era partita per una settimana al mare, con mia zia,
portandosi anche il cane, così io mi ero preparata a sette
rilassanti giorni, nonostante l’impegno con Rielke e i turni al
lavoro, invece… la sera stessa della partenza di mia mamma,
suonano alla porta e chi è? Lui…
Era di pessimo umore, triste, poco disposto alla conversazione. Mi
aveva chiesto di restare per la notte, guardandomi con quei suoi
occhioni maledetti e io non avevo potuto dirgli di no. Erano passati
due giorni.
Ripensai a quando ci eravamo conosciuti.
Ero, nonostante l’età, una loro devota fan, ma non avrei
mai pensato di trovarmi ad uno dei loro party; invece, una mia amica
più intraprendente di me (con cui, tra l’altro, non
parlavo più da allora, causa gli sviluppi negativi – per
lei – della faccenda), era riuscita ad accaparrarsi degli inviti.
La mia amica, poi, era anche riuscita a farsi invitare nel
privè, del resto per lei era sempre stato facile convincere i
ragazzi, mentre per me sarebbe stato più semplice convincere un
eschimese a comprarsi un freezer. Fu così che, noi tre ragazze
(eravamo in tre quella sera), ci ritrovammo sedute sul divano dei Tokio
Hotel, senza sapere bene cosa fare.
O meglio, io non sapevo cosa fare. Le altre erano decisamente
più portate di me a civettare, ridere senza senso e fare battute
cretine, tutte cose che i maschi sembrano apprezzare molto. Dio, non
chiedetemene il motivo, non l’ho ancora capito!
I ragazzi, dicevamo, sembravano apprezzare. Tranne uno. Lui si teneva
in disparte, quella sera. Me lo ero immaginato diverso, specie in
presenza di ragazze carine e piuttosto disponibili, quali si stavano
rivelando le mie amiche.
Io continuavo a tornare su di lui con lo sguardo e, verso metà
serata, miracolosamente, mi vidi restituire una delle mie occhiate
curiose. Santo cielo, che occhi che aveva! Le foto, pur stupende, non
potevano rendere giustizia a tanto splendore. Il cuore mi perse un
battito. Ma prima che potessi fare qualsiasi cosa, lui si era alzato e
stava aggirando le gambe dei presenti per allontanarsi dal tavolo.
Andava a fumare fuori, annunciò. Poi passò vicino a me e
mi chiese: “Vieni?”
Cosa feci? Cosa avreste fatto voi?! Annuii in silenzio e lo seguii.
L’unica cosa sensata, no? Mentre mi allontanavo da quel tavolo,
seguendo la maglietta bianca che lui indossava, mi sentii trafiggere
dagli sguardi delle altre ragazze, che, nonostante il classico
atteggiamento demente che fa capitolare qualsiasi uomo, non avevano
ottenuto il risultato avuto da me con un solo sguardo di sfuggita. A
dire il vero ne ero incredula io per prima.
Finì con noi due a parlare su un terrazzo. Lui fumava, ogni
tanto mi faceva una domanda. Io rispondevo al mio solito modo:
sarcastico e vagamente cinico. Lui ridacchiava piano. Io facevo battute
pungenti. Lui sorrideva come un angelo. Il tempo trascorse senza
nemmeno che ce ne accorgessimo. Mi sembrava di conoscerlo da sempre. E
all’alba sapeva di me cose che pochi altri avevano il piacere, si
fa per dire, di conoscere. Io, di lui, sapevo solo che era bello, un
po’ scontroso, con degli occhi magici e delle mani magnifiche e
che aveva il profumo più buono del mondo.
Quando ci decidemmo a scendere, scoprimmo che le mie amiche avevano
mollato il colpo, i Tokio Hotel se ne erano ritornati in albergo e ad
aspettarci c’era solo una delle loro guardie del corpo.
Da allora era passato quasi un anno. Ci eravamo tenuti in contatto e
visti qualche volta. Niente d’impegnativo, anche se avevo sempre
l’impressione, quando ci lasciavamo, che non ci fossimo detti
tutto. Ma avevo capito presto che lui, in quanto ad espressione di
sentimenti, era piuttosto stitico. Eravamo affetti dalla stessa
malattia.
Ed ora stava a casa mia da due giorni. E io avevo passato due notti
insonni, nel letto di mia madre perché nel mio c’era lui,
a pensare che lo avevo a tre metri di distanza.
Sbuffai con una certa potenza, poi afferrai le chiavi dalla borsa e mi
decisi ad aprire, ma solo perché mi si squagliava il gelato che
avevo nella spesa.
La casa era in penombra, tutte le persiane erano chiuse, per riuscire a
mantenere un po’ di fresco all’interno. Mi guardai intorno,
nessuna traccia di lui. Sospirai, mentre mi dirigevo in cucina per
mettere a posto la roba. Sembrava che oggi non fossi capace di fare
altro.
“Hey.” Quel richiamo mi spaventò talmente, nel
silenzio, che per poco non mi tirai in testa un pezzo di parmigiano da
mezzo chilo. “Scusa, ti ho fatto paura…”
“Ma no.” Feci io, voltandomi ad occhi bassi; poi li rialzai.
Si può avere un infarto multiplo a trent’anni, senza aver
mai avuto avvertimenti cardiaci prima? No, perché trovarselo
davanti così, in quelle condizioni, poteva risultare molto,
molto pericoloso.
Era appoggiato allo stipite e si grattava la nuca con la mano sinistra.
La destra era appoggiata distrattamente al muro. Indossava un paio di
boxer a quadretti sul beige, e nient’altro.
Mi voltai di scatto nuovamente verso il frigo, deglutendo e cercai di
non pensare al suo corpo magro e atletico, alla sua pelle elastica e
morbida. Alla sua mano enorme che, un secondo prima che mi girassi, si
era posata con noncuranza sul suo addome leggermente, ma
irresistibilmente, scolpito.
“Tutto bene?” Mi domandò, prima di fare due passi e lasciarsi cadere sulla mia sedia.
“Sì.” Risposi fredda. “Devo finire qui.” Spiegai sbrigativa.
“Ah… ok…” Fece lui, poco convinto. “Sono buoni questi?” Chiese poi.
Quando mi accorsi di cosa stava facendo, aveva già sbriciolato
la confezione e si stava mangiando i miei biscotti preferiti due alla
volta.
“E che cazzo, Tom!” Sbottai io, sfilandogli la scatola di mano.
“Che c’è?” Fece con aria innocente. “Non saranno del cane?” Domandò preoccupato.
“No, erano miei!” Piagnucolai io, osservando la
devastazione che avevano creato le sue dita in pochi secondi. Ma come
faceva ad essere così distruttivo? Quando suonava era talmente
delicato…
“Non li ho mangiati tutti…” Si giustificò Tom.
“Fa niente, dai.” Mi rassegnai io sospirando, poi misi via
il resto della roba. “Ti ho svegliato rientrando?” Gli
chiesi quindi, tanto per educazione.
“No, ero in bagno.” Rispose tranquillo, sempre svaccato sulla sedia.
Mi girai lentamente verso di lui. “Fumavi?” Se c’era
una cosa che mi dava fastidio era l’odore di fumo in bagno.
“Fumo sempre sul gabinetto.” Rispose noncurante,
stringendosi nelle spalle. “Ma non farti venire una sincope,
c’è la finestra aperta.”
“Oh, grazie! Come sei sensibile!” Sbottai sarcastica, posandomi una mano sul cuore.
“Sbaglio o sei un po’ acidina, oggi?” Replicò alzando un sopracciglio.
“Non ho tempo per l’acidità.” Affermai netta,
mentre chiudevo l’ennesimo sportello e tornavo a guardare lui. Si
stava legando i rasta sulla testa con la sua solita fascia. Lo adoravo
con la pettinatura “medusa”.
Ignorai la sua espressione beffarda e mi spostai, decisa a verificare
le condizioni della mia camera e del bagno. Speravo che non avesse
lasciato troppo disordine. Gli passai accanto, sfiorando la sedia e lui
mi guardò in modo strano.
“Che cosa c’è?” Gli domandai insospettita.
“Odori di dopobarba.” Rispose perplesso.
Roteai gli occhi. Ma quanto era morboso quel profumo per essermi
rimasto addosso ancora dopo più di un’ora? Tom continuava
a fissarmi, mi sentii obbligata a dargli spiegazioni.
“Ho avuto un «incontro» a casa di
Rielke…” Mormorai vaga, mentre infilavo il corridoio
diretta in camera.
“Che incontro?” Domandò burbero lui, seguendomi.
“Con un molto disponibile
e dopobarboso vicino di casa.” Risposi acidamente ironica,
entrando nella stanza. Il letto era completamente sfatto e c’era
odore di chiuso. C’era troppo odore di lui.
“E ti ha toccato?” S’informò Tom. Era un’impressione mia, o sembrava infastidito all’idea?
“Sì.” Ammisi, mentre aprivo finestra e imposta.
“E tu gli hai permesso di metterti le mani addosso?!”
Sbottò irritato. Io mi voltai verso di lui, sorpresa. Non mi
aspettavo una reazione simile, sembrava… geloso.
“Mi ha solo toccato un braccio!” Esclamai ad occhi
spalancati. “È stato casuale.” Aggiunsi noncurante,
alzando le mani, mentre tornavo a dedicarmi al letto.
“Casuale, certo.” Commentò acido Tom. Lo avevo
distintamente sentito sedersi con il solito garbo sul pouf. “Lo
so io che voleva toccarti, quello.”
“Senti, Tom.” Affermai io, girandomi di nuovo verso di lui.
“Mi spieghi perché credi che avesse pensieri di natura
sessuale?” Gli chiesi, anche se, effettivamente, negavo
l’evidenza.
“Scherzi?” Ribatté retorico. “Con te davanti, vestita in questo modo?” Aggiunse con tono ovvio.
Io ero perplessa. Abbassai gli occhi a guardare il mio vestito di lino
beige. Non era niente di speciale, semplice, con le spalline larghe, mi
arrivava al ginocchio. Ai piedi avevo delle infradito di cuoio marrone,
le unghie dipinte di nero.
“Che cosa ha che non va?” Domandai confusa, spostando gli
occhi da me a lui. “È un normalissimo abito
estivo…” Tom sembrava non sapere cosa rispondere.
“Beh…” Esitò, con gli occhi sull’orlo
della gonna. “È… fine…” Mormorò
imbarazzato, poi deviò lo sguardo. “E tu hai un bel
corpo…”
“Oh, grazie!” Sbottai io, nascondendo l’imbarazzo
provocato da quel commento dietro alla mia solita acidità.
Accidenti a me, non ero mai capace di reagire come le persone normali!
“Era un complimento!” Fece infatti lui, indispettito.
“Non li fai col tono giusto!” Insistevo, allora ero proprio pazza.
“Nemmeno tu!” Rispose Tom.
Ma che diavolo stavamo facendo? Stavamo per litigare? E per che cosa?
Un giorno avrei dovuto rivolgermi ad uno specialista, per farmi
spiegare perché, quando qualcuno mi faceva un complimento, io mi
ritraevo in me stessa, impaurita, come se mi puntassero una pistola
contro.
“Tom…” Sussurrai dispiaciuta.
“Sì?” Ribatté lui.
Io sospirai e mi sedetti sul letto, guardandomi i piedi. Sapevo che
anche lui non mi stava guardando. Solo dopo qualche secondo, mi decisi
ad alzare gli occhi.
Tom era sempre seduto sul pouf. Le gambe allargate, i gomiti sulle
ginocchia. Guardava in basso, verso la sua sinistra. I miei occhi,
purtroppo, si fermarono sulle sue spalle. Sospirai di nuovo.
“Potresti farne a meno?” Feci, esasperata dalla sua sola presenza.
“Di fare cosa?” Replicò Tom, alzando gli occhi su di
me e raddrizzandosi, cosa che evidenziò il suo bel torace.
Deglutii.
“Di fare così!” Sbottai stanca.
“Così come?” Insisté lui, implacabile.
A quel punto ci stavamo fissando con aria di sfida. Io incrociai le
braccia, spedendogli un’occhiata inceneritrice. Lui rispose con
uno dei suoi sorrisetti beffardi. Qualche secondo e scoppiammo entrambi
a ridere.
Ridendo, io mi stesi sul letto. Le lenzuola avevano il suo profumo.
Quanto mi piaceva. Era proprio buono, come lui. Respirai profondamente,
socchiudendo gli occhi.
Dopo qualche istante, mi sentii sovrastare da un’ombra. Una
presenza che poteva essere solo la sua. Aprii gli occhi. Tom era in
piedi, appoggiato al letto, tra le mie ginocchia appena divaricate. La
posizione mi fece allarmare immediatamente. Però lui mi guardava
pensoso, con gli occhi vagamente malinconici. Era bello da piangere. Mi
mancava il respiro.
“Wina…” Mormorò a voce bassa.
“Sì?” Ero ipnotizzata dal piercing sul suo labbro.
“Sei arrabbiata con me?” Mi chiese con tono triste.
“Un pochino sì.” Risposi con sincerità.
“Insomma, ti sei installato a casa mia…” Aggiunsi,
evitando di guardarlo. Lui sospirò sconsolato. “Vorrei
solo sapere quanto durerà questa storia.”
“Non lo so.” Ammise lui, scuotendo il capo. Qualche dread gli scivolò sul petto.
“Hai chiamato Bill?” Gli chiesi.
“Non sono io a dover chiamare per primo.” Fece, con una
nota di irritazione nella voce, poi si mosse per andare via, ma io lo
presi per un polso.
“Ma non vuoi farci pace?” Tentai, sperando che tornasse a guardarmi in faccia.
“È lui che deve chiedermi scusa.” Affermò
serio, tradendo un certo nervosismo. “Stavolta non sarò io
a cedere.” Aggiunse duro.
“Però sei triste… e Bill ti manca.” Soggiunsi
io, continuando a tenere la sua mano. Non mi rispose, ma i suoi occhi,
che continuavano ad evitarmi, si fecero un po’ lucidi.
“Dai, vieni qui.” Lo invitai, tirandolo verso di me.
Mi guardò sorpreso, ma quando vide che ero convinta delle mie
azioni, fece un piccolo sorriso dolce, quindi tornò dove era
prima e si fece cadere piano su di me. Lo abbracciai con tenerezza,
sentendolo sospirare contro il mio collo. Era il nostro primo
abbraccio, da quando era arrivato. Ci era sempre piaciuto abbracciarci.
Non so se si rendesse conto di quanto era bravo a farlo.
Restammo così per un po’. Accarezzavo lentamente la sua
schiena nuda. Lui faceva lo stesso con il mio fianco. Era fin troppo
piacevole.
Lì, ad occhi chiusi, persa nel suo calore e nel suo profumo, mi
sembrava di essere in un’altra dimensione. Infatti, mi accorsi
quasi all’improvviso che il sole stava calando.
Fui costretta a salutarlo in fretta e furia, volevo essere a casa di
Rielke prima di sera. Presi quello che mi serviva e feci a Tom un paio
di raccomandazioni, tra cui quella di chiamare Bill, cosa che lo
irritò non poco, quindi gli diedi un veloce bacio sulla guancia,
prima di volare fuori di casa.
Cenai sulla terrazza di Rielke, dopo averle innaffiato le piante.
Guardavo il tramonto, domandandomi perché ero lì da sola,
a mangiare insalata con formaggio. C’era un bel panorama,
sì, ma cosa era meglio: essere su quel balcone, o nella mia
cucina a guardare negli occhi Tom?
Sospirai, mentre riportavo in cucina la roba. Lavai i piatti e misi
tutto a posto, dopo aver pulito il lavandino e il tavolo. Mi sentivo
stanca. Mi mancava lui.
Avevo portato con me un paio di dvd, tanto per avere qualcosa da fare
dopo cena. Ne misi uno nel lettore e poi mi buttai sbuffando sul
divano. Dopo poco che il film era iniziato, lo sguardo mi cadde sul mio
cellulare. Mi era presa all’improvviso la voglia di chiedere
scusa a Tom per essere stata un po’ cattiva con lui, in quei due
giorni.
O forse era solo una scusa banale per sentire la sua voce. Quella casa
era diventata troppo grande, vuota e silenziosa. Mi sentivo sola.
Che stupida. Potevo girarci intorno quanto volevo, ma era inutile
negare ancora: mi ero presa una cotta spaziale per Tom Kaulitz. A
trent’anni, capito. Per uno di venti. Povera scema, ma che
credevo di fare?
Sbuffai di nuovo. Sembrava l’unico gesto da fare, per togliermi
il fastidio di quelle farfalle nello stomaco, ogni volta che pensavo a
lui. E Tom era a casa mia! Che cazzo ci facevo io qui?!
Mi alzai, presa dal nervoso e cominciai a passeggiare per la casa.
Andando in bagno passai vicino al lettuccio che Rielke mi aveva
preparato in corridoio.
Ah, questo mi ero dimenticata di dirlo! Sì, la mia amica mi aveva fatto capire, chiaramente, che preferiva io non dormissi nella sua camera da letto. Così aveva provveduto, preparandomi quella specie di branda militare nel suo corridoio, tra la porta del bagno e quella dello stanzino.
Mi ci sedetti sopra, facendola cigolare, mentre sentivo la depressione salire a livelli vertiginosi.
Guardai il cellulare tra le mie mani. Cosa stavo aspettando? Aprii lo
sportello e mi decisi a richiamare il numero. Volevo disperatamente
sentire la sua voce.
“Wina?!” Mi rispose, leggermente allarmato.
“Dormivi?” Gli chiesi io, preoccupata di averlo disturbato.
“No, guardavo la tv.” Fece e me lo immaginai stringersi nelle spalle. “Tutto bene?”
“Scusa…” Mormorai stanca e triste.
“E di che cosa?” M’interrogò perplesso Tom.
“Sono stata cattiva con te…”
“Fammi il favore!” Sbottò burbero. “Ti ho
occupato casa, svuotato il frigo, costretta a raccontare bugie a tua
madre e giro per casa in condizioni indecenti!”
Risi piano. “Quello è il meno… sei un bello
spettacolo in mutande.” Commentai poi, pur senza entusiasmo.
“Mi preferiresti senza, eh?” Buttò lì, con il
suo tono più strafottente. Immaginai il suo sorriso storto.
“Smettila di fare lo sborone, tanto lo so che non sei così.” Replicai mesta.
“Wina, che succede? Ti sento strana…” Riprese lui, facendosi serio.
“Sono stata una stupida, dovevo restare con te…”
Affermai con tono incolore, ma poi mi prese la rabbia. “Qui
è uno schifo! Mi sento sola e mi sta venendo la
depressione!”
“Hey, hey, calma, dolcezza!” Esclamò Tom,
interrompendomi. “Dammi mezz’ora e sono lì.”
“Ma Tom, non sai l’indirizzo!” Gli dissi io, frustrata.
“Dammelo, scema!” Ribatté autoritario. “E poi saresti tu quella grande…”
I minuti, dopo quella telefonata, passavano lenti come secoli. Riprovai
a guardare il film, quindi mi misi a mangiucchiare noccioline salate,
cosa assai controproducente per la linea, ma ero impaziente, tesa, non
riuscivo a stare ferma.
Tom stava arrivando. Quasi non ci potevo credere. Da quanto era stato
svelto a dirlo, sembrava quasi non aspettasse altro che io glielo
chiedessi. Non glielo avevo chiesto, in effetti. Ma lui stava arrivando
lo stesso! Oddio, non stavo più nella pelle!
Una ventina di minuti dopo suonò il campanello. Saltai dal
divano come si mi avessero sparato con un cannone. In due secondi fui
all’entrata. Spinsi tutti i bottoni del citofono e spalancai la
porta.
E compresi che ero troppo eccitata dall’idea di avere Tom
lì con me, che non mi ero accorta del suono diverso del
campanello… sul pianerottolo, infatti, c’era Robert, che
sorrideva affabile.
Quando lo vidi mi sgonfiai come un palloncino bucato, profondamente delusa. E lui aveva sempre quell’odore insopportabile.
“Ciao, Robert.” Salutai piatta.
“Immaginavo che fossi tornata, ti ho sentito camminare.”
Affermò, indicando l’alto, con un sorriso piacione.
“Perché non mi hai chiamato?” Mi chiese poi.
“Ehm… beh, mi è passato di mente!” Mi
giustificai io, con finto dispiacere. “Ora se vuoi
scusarmi…” Aggiunsi, prendendo la maniglia per richiudere
la porta. “…vorrei andare a letto…”
“Ma no!” Intervenne lui. “È ancora presto,
vieni giù da me, ci beviamo un bicchiere di vino!”
“Io non bevo vino.” Replicai sbrigativa, tentando di nuovo
di chiudere la porta, ma lui fece un passo avanti ed entrò in
casa. Io lo guardai sbalordita.
“Ho anche dell’ottima birra.” Insisté Robert, facendosi più deciso.
“Grazie... ma non bevo alcolici, quindi ora se vuoi…”
“Ho aranciata, cola, quello che vuoi.” Continuò imperterrito l’uomo, avvicinandosi a me. Io arretrai.
“Non voglio niente, grazie.” Precisai con una certa
irritazione, cominciava a darmi fastidio. “Voglio solo andare a
dormire.”
“Andiamo…” Fece lui, spingendosi ancora verso di me.
Io mi ritrovai con le spalle contro lo stipite dell’arco del
salone. “Lo so che ti piaccio, non fare la ritrosa…”
“Ti sbagli, io non lo faccio, io sono ritrosa.” Risposi fredda, cercando di sfuggirgli verso destra.
“Mhh, mi eccitano i tipi misteriosi come te…”
Dichiarò lui, con voce bassa e roca, mentre mi toglieva la via
di fuga appoggiando una mano sulla parete.
“Ehhh?!” Feci io incredula. E cominciavo anche ad avere paura.
“So di non esserti indifferente, piaccio a tutte.” Riprese lui, ignorandomi. “Tutte mi vogliono.”
Nonostante la paura crescente, le vie di fuga chiuse e il suo orrendo
profumo nel naso, le sue ultime battute riuscirono a scatenare il mio
sarcasmo.
“Complimenti per l’autostima, Robert.” Commentai, infatti, acida.
“Dai, non dirò niente a Rielke, su…” Lui
continuava ad ignorarmi, ma aveva preso a carezzarmi un braccio. Io
guardai schifata le sue dita.
“Davvero, Robert, è proprio il caso che te ne
vai…” M’imposi io, cercando di essere dura, anche se
pensavo di stare per mettermi a tremare.
“Non lo pensi davvero.” Soggiunse suadente, mentre mi
accarezzava un fianco. Mi irrigidii, ora ero davvero spaventata.
“Fammi vedere cosa hai sotto questo vestitino…”
“Robert, ti prego…” Supplicai.
Quando mi stava già sollevando la gonna e io pensavo di non
avere più scampo, successe qualcosa che davvero non mi
aspettavo. E per cui ringraziai sentitamente Dio o chi per lui.
“Che cosa succede qui?” Domandò una voce minacciosa, fortunatamente molto familiare.
Robert si girò verso l’entrata, ricordando solo allora di
aver lasciato la porta aperta. Tom era entrato e stava in mezzo
all’ingresso con le gambe divaricate.
“E tu chi cazzo sei?!” Domandò irritato l’uomo, senza togliere le mani dalle mie gambe.
“Sono il suo ragazzo.” Rispose Tom, lasciandomi
completamente incredula, mentre si avvicinava con sguardo deciso.
“E se ora tu non le togli le mani di dosso, io metto le mie
addosso a te, poi vediamo come ne esci.”
Robert mi guardò, poco convinto. “È il tuo
ragazzo?” S’informò. Io, che ero ancora annichilita
dall’aggressione, fissavo Tom e mi sembrava bello come un angelo
vendicatore. Trovai la forza soltanto di annuire piano.
“Bene, adesso che abbiamo chiarito…” Intervenne Tom,
mentre si avvicinava di più, quasi frapponendosi tra me e
Robert. “…tu ti allontani debitamente da lei, o io m’incazzo sul serio.”
Il suo sguardo era intenso e minaccioso. Io fissavo il suo profilo: la
mascella elegante che sembrava scolpita da uno scultore in stato di
grazia, le ciglia lunghissime che ombreggiavano gli zigomi, la
colpevole perfezione del naso e delle labbra. In quel momento, per me,
era bello come una visione mistica.
Se fosse stato perché era, effettivamente, il più bello
del mondo, o perché mi aveva praticamente salvata da uno stupro,
o perché aveva dichiarato di essere il mio ragazzo, non lo
sapevo.
Dio, aveva detto di essere il mio ragazzo. Il MIO ragazzo. Il mio
bellissimo, dolcissimo, coraggioso, ragazzo! Ero assurdamente felice.
Mi ricordai poi del pericolo che avevo corso e un brivido improvviso e
gelato mi percorse tutto il corpo. Tom era, ormai, a portata della mia
mano. Gli afferrai la maglietta sulla schiena, stringendola forte. Lui
mi guardò, capì e annuì, quindi tornò a
guardare Robert.
“Allora, ti levi di torno o no?” Gli disse duro, sporgendosi verso di lui.
Robert parve avere un lampo di intelligenza e fece un rapido confronto
tra se stesso ed il giovane uomo dagli occhi infuocati che aveva
davanti. Partita persa in partenza, mio caro! Pensai io.
Dovette pensarlo anche lui, perché alzò le mani con aria
sconfitta, quasi intimorito, poi si allontanò di qualche passo,
girò sui tacchi e si diresse svelto all’uscita.
“Bravo.” Si complimentò acidamente Tom. “E chiudi la porta, eh.”
Quando la serratura fu scattata dietro la schiena di Robert, Tom si girò subito verso di me con sguardo preoccupato.
“Wina, stai bene?!” Mi domandò concitato,
prendendomi per le spalle. Annuii, un po’ spaesata, senza
guardarlo. “Perché lo hai fatto entrare?” Chiese
ancora.
Sollevai gli occhi, fissandolo smarrita. “Io… credevo che
fossi tu… poi era lui…” Non mi ero resa conto di
essere tanto sconvolta, quando prima ero presa nell’ammirare il
mio angelo salvatore. “Tu come hai fatto…”
“Il portone era aperto.” Spiegò distrattamente, era
troppo concentrato su di me, mi teneva saldamente per le braccia.
“Hai avuto paura?” Mi chiese poi, dolcemente.
Mi resi conto in quel momento, osservando i suoi occhi preoccupati, che
ne avevo avuta parecchia. Tremai e mi sentii le gambe improvvisamente
molli. Tom mi sostenne, portando una delle sue mani alla mia vita.
“Ho avuto paura, sì…” Mormorai con un filo di
voce. Tom, stranamente, sorrise. Un sorriso di una tenerezza disarmante.
“Sciocca.” Fece poi, scostandomi un ciuffo di capelli dal
viso. “Non eri una dura, tu?” Aggiunse, continuando a
sorridere in quel modo.
“Non mi era mai successa una cosa simile!” Piagnucolai io, con tono un po’ troppo infantile.
“Dai, è passata.” Fece lui comprensivo, prima di
stringermi a se, una mano tra i miei capelli, l’altra ad
avvolgermi la vita. Mi abbandonai al suo abbraccio con forza.
Restammo così, uno nelle braccia dell’altra, per qualche
minuto. Qualche lunghissimo, piacevolissimo, minuto. Quanto adoravo il
suo profumo!
Tom, infine, si scostò un po’ da me e mi guardò con
un’espressione stranissima, calda, inquieta che mi turbava
profondamente. Quindi abbassò il viso verso di me, sfiorandomi
le labbra con un bacio lievissimo e dolce come una caramella al miele.
Io mi irrigidii immediatamente e mi allontanai di un passo, fissandolo sbalordita. Non me lo aspettavo proprio.
“Tom, che cosa fai?” Domandai incredula, con gli occhi spalancati.
“Ti bacio.” Rispose lui smarrito.
“Perché?” Mi rendevo conto di fare delle domande
stupide, di aver aspettato quel bacio per quasi un anno, ma non
riuscivo a domare la mia razionalità.
“Perché mi piaci tanto.” Ammise Tom con semplicità.
Ecco. Il mio cuore in quel momento decise di prendere un turbo
ascensore verso la gola e sfondarmi la laringe. Insomma, lui, questo
angelo di vent’anni, bello come il sole, mi stava dicendo che io
gli piacevo? Io? Ma cos’era, un sogno ad occhi aperti?
Mi feci nuovamente prendere dalla mia fottutissima cerebralità. Quasi quasi mi veniva da ridere.
“Andiamo, Tom, sono troppo vecchia per te.” Riuscii infine
a mormorare, con la gola secca. Lui aggrottò la fronte, con
espressione incerta.
“Oh, cavolo.” Replicò quindi, grattandosi un
sopracciglio. “Dovevo pensarci prima di innamorarmi come un
cretino…”
Il tempo si fermò. Il mio cuore smise di battere. Per un attimo
mi sembrò che nella stanza mancasse la gravità. Quando la
mia testa smise di girare e la stanza assunse di nuovo contorni nitidi,
così come il volto divertito di Tom, io mi ritrassi dalle sue
braccia.
Le sue parole mi avevano completamente sconvolta, ma era la reazione
che avevo avuto a stupirmi ancora di più. Ero arrabbiata.
“Non prendermi in giro, Tom.” Dichiarai con durezza.
“Non ti sto prendendo in giro!” Replicò lui allargando le braccia.
“Tu… tu non puoi essere innamorato di me!” Protestai battendo i piedi.
“Perché?!” Sbottò Tom incredulo.
“Perché… perché ho dieci anni più di
te e… e non sono niente di speciale!” Cercai di spiegare
balbettando. “Tu non puoi. Non puoi! Tu sei Tom Kaulitz, io chi
cavolo sono!” Aggiunsi concitata.
Lui si riavvicinò a me, io feci un passo indietro. Tom,
però, sorrise con quella sua irresistibile dolcezza,
paralizzandomi; poi prese il mio viso tra le mani. Erano calde,
delicate.
“Tu sei molto speciale.” Mi assicurò convinto e la sua sicurezza, per un attimo, persuase anche me. “Sei la più speciale ragazza innamorata di me che abbia mai conosciuto.” Continuò sorridente.
“Io non sono innamorata di te…” Negai, decisamente
poco convinta; lui, infatti, mi guardò con espressione scettica
e divertita.
“No?” Fece poi, con voce calda e seducente.
Osservai i suoi splendidi occhi, il suo sguardo vivo e malizioso. Ero
innamorata di lui. Perdutamente. Ma ammetterlo così mi faceva
sentire troppo indifesa. E non era proprio il caso.
“Forse… un pochino…” Ammisi infine, cauta.
“Me lo farò bastare.” Affermò accondiscendente Tom, mentre disegnava spirali morbide sulle mie guance.
Ero persa nei suoi occhi e anche lui sembrava molto preso dai miei. Non sapevo cosa ci trovasse di così affascinante.
Mi accorsi, improvvisamente, che ci eravamo appena detti di essere
innamorati l’uno dell’altra. E probabilmente lo eravamo da
tempo. Forse fin dall’inizio. Era questo che mancava, ciò
che non eravamo mai riusciti a dirci.
Mi sentii prendere da un improvviso coraggio. Il mio sguardo doveva
essersi fatto più deciso, perché vidi una certa sorpresa
negli occhi di Tom. Che si acutizzò, quando gli strinsi le
braccia intorno al collo e lo baciai.
Gli ci volle un attimo, prima di reagire, ma poi mi abbracciò
con forza, avvolgendomi con le sue braccia. La mia presa si fece
più forte, intorno alla sua coda di dreads.
Ci baciammo a lungo, dolcemente, accarezzandoci reciprocamente il viso,
i capelli, la schiena, le braccia nude. Era stupendo. Le labbra di Tom
erano morbide, calde. Sapeva di pizza.
Cominciavo ad avere caldo, molto caldo, soprattutto quando le grandi mani di Tom mi massaggiavano sapienti i fianchi.
Quando ci staccammo per prendere fiato, io mi appoggiai al suo petto,
sospirando. Tom mi accarezzava i capelli, continuando a lasciarmi
piccoli baci sulla tempia. Ero completamente felice. Non mi sembrava
vero.
Lui, però, all’improvviso, si scostò leggermente da
me. Alzai gli occhi e lo vidi con un’espressione strana e
perplessa.
“Che cosa c’è?” Gli chiesi sospettosa.
“Quello che cos’è?” Domandò lui, indicando qualcosa alle mie spalle.
Mi voltai e vidi la brandina, nel corridoio dietro di noi. Sospirai depressa, scrollando le spalle.
“È dove devo dormire io.” Confessai infine; Tom mi
guardò stranito. “Rielke non vuole che usi la sua camera
da letto, così…” Spiegai allora.
“Che cosa?!” Esclamò Tom esterrefatto. “E tu
hai accettato?” Non potei che annuire. “Ma sei
scema?!”
“Senti, quando hai finito di offendere…” Biascicai
io, lo sguardo basso, incrociando le braccia. Non giunse risposta.
Quando, però, alzai gli occhi su di lui, non trovai quello che
mi aspettavo, cioè uno sguardo di rimprovero, oppure offeso.
L’espressione di Tom era divertita e molto maliziosa. Lo fissai
stupita. Lui ammiccò verso la branda, io seguii confusa la sua
occhiata.
“Che ne dici…” Esordì.
“…reggerà con tutti e due?” Quindi mi
guardò, invitante.
Io recuperai molto velocemente il mio spirito, gli sorrisi con
complicità. “Beh, male che vada, piombiamo in testa a
Robert…”
Ci guardammo, i nostri occhi scintillavano allegri. Bastò un
secondo per scoppiare entrambi a ridere. Poco più, per farlo
abbracciati.
“Ti amo, Wina.”
“Ti amo, Tom.”
Sarebbe stata la nostra notte. Una notte confortevole e rassicurante come le braccia di Tom. Anche dormendo su una brandina.
Dormendo?! Naaahhhh!
Fine
Buon Natale e Felice Anno Nuovo!
E a presto con le mie storie!
Bacioni!
Sara
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