Storia
scritta per il contest Titoli su Titoli - 2nd Edition indetto
da Eireen_23.
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Parte
1: La ragazza al telefono.
Ogni
uomo ha un prezzo.
Riza
Hawkeye
non è un alchimista, ma questo non le impedisce di sapere che cos'è
uno scambio
equivalente.
Più che una formula è una massima di vita, una frase che a conti
fatti non fa altro che regolare le leggi della Natura.
Per
avere qualcosa bisogna sacrificare qualcos'altro che abbia pari
valore. Non c'è nulla di più semplice, di più chiaro, di più
vero.
Lo
sa perfettamente, la sfortunata Riza, che non c'è niente di
elementare e di facile nella vita. Sente nel profondo di se stessa di
non avere alcun diritto di lamentarsi perché alla fine ciò che
voleva lo ha ottenuto.
E'
proprio lì, all'altro capo del telefono, che le parla gentilmente in
quel sabato pomeriggio un po' ventoso.
Lei
è seduta sul divano del suo piccolo e spartano appartamento,
incollata alla cornetta. Con una mano tortura il filo arricciolato
dell'apparecchio, l'altra la tiene in grembo, sui suoi pantaloni
color panna da zitella cinquantenne, come dice sempre Rebecca
per spronarla a vestirsi in modo più attraente. Riza sa
perfettamente di non essere in grado di abbigliarsi in modo diverso,
le va bene così, ed ecco che tornano sempre alla ribalta i pantaloni
incriminati, la camicia viola o verde pistacchio -che colori
orribili, nemmeno mia nonna si veste così le ricorda
continuamente l'amica-, il reggiseno sportivo e le mutandine in
cotone sprovviste di un qualsiasi accenno di sensualità.
Non
le importa proprio niente di essere attraente, ma questo a Rebecca
non può dirlo. Non può confessarle di essere già al fianco
dell'uomo che desidera, e di non avere nessuna intenzione di fingersi
una persona che non è solo per attirare qualcuno. Non si trucca mai
Riza, e lui le ha perfino detto che quel suo viso acqua e
sapone gli piace. Cosa potrebbe volere di più?
La
giovane donna si morde il labbro inferiore ascoltando i sussurri alla
cornetta.
“Sai,
Elsie, ti ho pensata tutta la notte... Avevo voglia di sapere come
stavi...”
Elsie...
Un nome che lui ha scelto per lei, un nome che odia e che ama nello
stesso tempo. Lo ama perché è solo di nascosto che può ascoltare
le parole d'amore che il suo uomo le regala, perché i telefoni
potrebbero essere tracciati e la posta in gioco è troppo alta. Lo
odia perché ogni volta la sensazione che le frasi ardenti che il
colonnello Roy Mustang le rivolge non siano realmente per lei la rode
dall'interno, dai visceri. Alla fine, chi è che potrebbe assicurarle
che non stia solo giocando con i suoi sentimenti sinceri, che non la
stia illudendo? E' una percezione che la tormenta troppo spesso,
tutte le prove sono a suo svantaggio. Può solo fidarsi della
buonafede che ha sempre dimostrato e dei suoi buoni propositi. Una
persona con dei pensieri retti e obiettivi politici nobili come lui
dovrebbe dimostrarsi onesto anche dal punto di vista morale nei suoi
confronti.
Riza
infatti
perdona, perdona sempre e giustifica ogni mancanza del colonnello.
Difende l'indifendibile con un ardore spropositato. Sa che lui
frequenta altre donne, ma le ha assicurato che è solo per non
insospettire gli avvoltoi che non vedono l'ora di beccarlo in fallo
con la sua assistente, e lei gli crede; sa che beve, però la
mancanza di Hughes si fa sentire, povero colonnello: è ancora
distrutto dalla morte dell'amico. Lo capisce, probabilmente deve
ancora elaborare il lutto, e sarebbe un'acida egoista a criticare
questa sua piccola debolezza.
Questo
è il prezzo che deve pagare per sentirsi dire qualche parola d'amore
dall'uomo di cui è follemente innamorata da quando era una ragazza,
anche se il suo nome al telefono è tabù e davanti al resto del
mondo lei è solamente il tenente Hawkeye.
“Anche
io ho voglia di vederti, Roy... Mi sei mancato.”
La
sua voce è quasi spezzata. E' sincera, non vede davvero l'ora che
arrivi a casa sua con il buio, per poi lasciarsi andare ad una
libidine peccaminosa ed estraniarsi dal mondo per almeno un po' di
tempo. In quei momenti lui non è il colonnello Mustang e lei non è
il tenente Hawkeye. Sono Roy e Riza che fanno l'amore come due
disperati per sfuggire ad un mondo crudele che li vuole divisi da dei
dannati gradi militari.
“Questa
sera vengo a farti visita, non ti dispiace, vero? E' sabato, ci
possiamo divertire insieme, dopo cena...”
“Sì,
va bene. Mi fa tanto piacere vederti...”
“Non
sai cosa ti farei, bambolina... Stasera ti bacio tutta, ogni
centimetro della tua pelle profumata...”
Riza
arrossisce
violentemente, non sa mai cosa rispondere a quelle affermazioni. Le
pare sempre strano sentire il colonnello esprimersi in quel modo
volgare, abituata com'è ad assisterlo sul lavoro. In pubblico le
parla con distacco, non le permette di dargli del tu, perché questo
insospettirebbe sottoposti e superiori . Ormai non è più in grado
di capire quale sia la squallida pantomima e quale la realtà. Spera
con tutta sé stessa che lui davvero la ami come le decanta sempre al
telefono, che il suo cuore arda di passione sincera per lei, per la
sua inesperienza affettiva, per le sue parole ingenue, per quei
dannati pantaloni fuori moda, per il suo viso senza trucco su cui di
tanto in tanto compaiono delle antiestetiche occhiaie bluastre a
causa dello stress oppure qualche foruncolo durante i fastidiosi
giorni del ciclo.
“Ti
regalo anche la Luna se me la chiedi, lo sai che per te farei anche
l'impossibile.”
E'
una palese bugia. Se davvero fosse così avrebbe mandato a quel paese
le regole militari e avrebbe già urlato al mondo di amare il tenente
Hawkeye.
Riza
fa
finta di nulla e ricaccia indietro una lacrima prepotente che si
permette di spuntare all'angolo dell'occhio sinistro. Perché deve
dire quelle piccole bugie, perché deve fare lo splendido sapendo che
nessuno lo conosce bene come lei?
“Sei
sempre molto dolce con me... Vorrei tanto che già ora fossi qui.”
“Se
avessi potuto venire prima a quest'ora saresti già tutta nuda tra le
mie braccia, piccola. Devi pazientare ancora qualche ora e ti porterò
in Paradiso, te lo posso giurare, Elsie...”
“Tutte
le volte mi porti in Paradiso, lo sai...”
E'
la verità. Solo a lui si è consacrata, gli ha affidato anima e
corpo sia sul lavoro che nell'intimità. Gli ha regalato la sua
verginità, un bene che ha sempre considerato prezioso e che aveva
già deciso da ragazza che sarebbe stato suo, o di Roy o di nessun
altro. Non è un'esperta in queste cose, è sempre stata un po'
impacciata. Le prime volte non voleva nemmeno tenere la luce accesa,
e si è sempre sentita più tranquilla, più protetta, con una
maglietta addosso. Lui ha ceduto alle sue richieste senza offendersi
apparentemente, dicendo che la capiva e che la voleva tranquilla e
appagata. Non è da molto che finalmente si è decisa a restare
completamente nuda in sua presenza. Nel sesso ha la sensazione di
essere una frana, e potrebbe essere questo un ennesimo motivo per cui
lui prediliga anche altro tipo di compagnia. Non può farci nulla.
“Allora,
preparati... Non vedo l'ora... Ti amo, Elsie, sei la donna più bella
del mondo.”
“Anche
io...”
Dimmelo,
Roy, dimmelo di nuovo che mi ami da morire,
che
faresti qualsiasi cosa per me anche se è una bugia,
che
faresti l'amore con me fino a non averne più le forze
per
poi addormentarti abbracciato alla mia schiena devastata,
che
anche se non sono perfetta sono bellissima ai tuoi occhi.
Dimmelo.
Non
me l'ha mai detto nessuno, dimmelo almeno tu ancora e ancora...
Non
voglio lasciare l'esercito perché non potrei starti più così
vicina,
quindi
ti prego, chiamami pure Elsie,
bevi
come una spugna e frequenta pure quelle frivole sciacquette da bar,
ma
ti supplico, sii sincero con me!
Lo
sai che sono innamorata di te,
che
anche se non ho altre esperienze faccio quello che posso per
dimostrartelo.
Dimmelo.
Dimmi ancora che mi ami, mi basta questo per essere felice...
“A
dopo, ti aspetto.”
Riaggancia
per prima la cornetta e rimane a fissare il muro davanti a sé.
Tutte
le volte vorrebbe urlare di essere stufa di quella farsa, che
dovrebbe finire perché la sta facendo impazzire e invece non fa
nulla. Rimane imbambolata a crogiolarsi in quelle parole dolci come
il miele, sperando con tutta sé stessa di non essere solo una Elsie
qualunque con cui il colonnello vuole solo divertirsi. Lei
vale ben di più, no? Si conoscono da così tanto tempo, e non
avrebbe motivo di prendersi gioco di lei in modo così crudele. Le ha
ben dimostrato molte volte di tenere alla sua persona, quindi non
dovrebbe preoccuparsi. Forse è solo troppo sospettosa. Aver
partecipato ad una guerra civile l'ha resa diffidente e disillusa. Ha
visto quant'è facile tradire, colpire alle spalle, far soffrire,
uccidere. Non può fare altro che fidarsi di qualcuno che le è stato
amico sempre, che ha mantenuto i suoi turpi segreti e che dice di
amarla, la chiama Elsie e non Riza, ma dice di amarla, ed è
questo l'importante, ciò a cui si aggrappa con tutte le sue forze.
Ogni
uomo ha il suo prezzo e quello del colonnello Roy Mustang, anche se è
elevato, Riza Hawkeye è disposta a pagarlo.
Parte
2: La ragazza umiliata.
Riza
aspetta.
E' in attesa da ben tre ore, seduta sul suo divano, i capelli sciolti
sulle spalle, gli orecchini ai lobi, quelli pendenti, con delle
piccole opali*. Non li mette mai per lavorare o sarebbero troppo
d'impiccio. Per una volta si è lasciata andare ad un attimo di
civetteria che solitamente non le appartiene.
Colui
che doveva venire a trovarla e per cui ha indossato quelle piccole
gioie non ha bussato alla sua porta. Forse è una specie di legge del
contrappasso? Non avrebbe forse dovuto permettersi quell'attimo di
debole superbia? Se non avesse osato magari lui sarebbe arrivato da
lei... Si sente stupida, ma per un attimo ha persino immaginato una
scemenza superstiziosa come quella.
Scuote
la testa, dev'essere lo spumante. Lo ha comprato apposta per serate
come quella, lo ha lasciato lì sul tavolino, vicino a due belle
flutes in cristallo, i bicchieri migliori che ha in casa. La
bottiglia è ora aperta, anche se non c'è proprio nulla da
festeggiare. Uno dei due bicchieri è pieno per metà, per la seconda
volta. Riza pensa, sorridendo amaramente, che se continua così si
ridurrà anche lei come il suo povero colonnello. Il suo pensiero è
martellante, non ha altro che il suo viso ben rasato, i suoi capelli
neri e lucidi e i suoi occhi profondi impressi a fuoco nella mente.
Può quasi sentire il suo profumo... Lui ha sempre quella fragranza
particolare, che ha una nota muschiata di dopobarba, ma anche una più
dolce, quasi pungente, che non sa definire. E' la sua pelle,
semplicemente.
Quanto
vorrebbe vederlo giungere alla porta un po' trafelato, scusandosi con
lei e porgendole un regalo per farsi perdonare, dei fiori magari, o
una scatola di cioccolatini, i suoi preferiti, quelli con il
marzapane dentro, o anche solo delle crocchette per Hayate. Non molto
romantico, ma sarebbe da lui.
Non
può continuare così, non può stare sveglia tutta la notte a
tracannare spumante da sola e a rimuginare su come avrebbe passato la
serata, tra cioccolatini e cin-cin alla salute di non si sa
bene chi, prima di fare l'amore convulsamente, come se stesse
arrivando la fine del mondo.
Magari
gli è successo qualcosa, ha avuto un incidente, è ferito... Negli
ultimi tempi nessuno di loro è tranquillo dopo quello che è
capitato a Maes Hughes, dopo tutte le indagini sul misterioso
assassino di Alchimisti di Stato...
Oppure
magari si è solo dimenticato di lei... Roy Mustang si
dimenticherebbe anche la testa se questa non fosse assicurata al suo
collo. Quante volte quella stessa scena si è già ripetuta? Spesso
Riza ha passato serate insonni ad aspettarlo per poi perdonarlo il
giorno dopo, perché lui, si sa, è un uomo impegnato, talmente
impegnato che dormirebbe tutto il tempo sulla scrivania per lasciare
fare tutto il lavoro ai suoi sottoposti se non ci fosse lei a
spronarlo, mentre la sera si concede il giro turistico dei
locali peggiori della città... E lei è patetica. Continua a
guardargli le spalle, a fargli da babysitter, a controllare che si
impegni il minimo indispensabile in ufficio.
Non
riesce a fare a meno di lui perché sotto quella marea nera di
difetti lei sa cosa si nasconde. Il colonnello è un uomo con degli
ideali giusti, generoso, che non sopporta i soprusi e in sua
compagnia, come donna, si sente così bene...
Riza
si
alza e lascia il bicchiere sul tavolo. Il piccolo Hayate le gira
attorno scodinzolando con insistenza, ma lei non gli da peso. Si
occuperà di lui più tardi. Si infila la giacca e esce chiudendosi
la porta alle spalle.
***
Nell'aria
c'è un odore strano.
E'
l'effluvio peculiare di quel tipo di locale, dolciastro e nauseante
tanto da dare allo stomaco. Si appiccica alla pelle e ai vestiti, ha
quasi una consistenza propria. E' costituito da diverse fragranze: sa
di tabacco, di incensi, di liquore, di dozzinali profumi da donna, ma
anche di latrine, di frittura, perfino di vomito alcolico. E'
tremendo. Come si fa a sopportare per ore quel fetore?
Riza
lo avverte appena entra in quell'ambiente e arriccia il naso. No, non
riuscirebbe a frequentare assiduamente quei postacci. Sono sporchi e
pieni di persone poco raccomandabili, poco interessanti.
I
pochi uomini presenti la fissano avidamente, le altre donne,
appariscenti e strizzate nei loro tubini, sogghignano tra loro
rivolgendole occhiate divertite. Deve essere proprio ridicola mentre
si tiene la giacca chiusa sul petto come se fosse una corazza e
cammina per pochi passi prima di bloccarsi e fissare la scena
devastante che le si para davanti con violenza inaudita.
Gli
attimi si dilatano, i minuti diventano ore, e lei non riesce a
scollare lo sguardo da quel divanetto. Immagina che tutti le stiano
ridendo alle spalle mentre le sue gote si tingono di un rosso leggero
e i suoi occhi nocciola si inumidiscono. No, non deve piangere. Fa
appello a tutta la sua forza di volontà, a quell'ultimo residuo di
dignità che le resta. Il cuore le pulsa in gola.
Il
colonnello evidentemente si è dimenticato di cosa aveva promesso
alla sua Elsie al telefono. Se ne sta steso sul quel sofà
verde sbiadito con la camicia mezza aperta e macchiata. A sostenerlo
ci sono due ragazze, la prima mora e riccia, la seconda con i capelli
rossi, lisci, con il viso spruzzato di lentiggini e un trucco pesante
un po' colato agli angoli degli occhi chiari. Le due la fissano
ridendo a loro volta, mentre lui non a alcuna reazione. La guarda con
sguardo vacuo, liquido e perso nei fiumi tumultuosi e ambrati del
Whisky. Ci sono due bottiglie sul tavolino lì accanto, una delle
quali è vuota.
“Tenente...
Buonasera...”
Non
dovrebbe nemmeno permettersi di salutarla. E' uno spettacolo pietoso,
che la umilia nel profondo. Perché si riduce in questo modo? Perché
le fa questo? Perché si approfitta in quel modo della fiducia che
ripone in lui? E Riza lo sa, lo sa che è una situazione abituale,
che a lui prova un malsano piacere a seguire i propri istinti
incontinenti, a consumare il cervello e il fegato annegandoli
nell'alcool, pensando a quanto la vita sia dura e ingiusta senza il
suo amico Hughes, per poi consolarsi tra le braccia di ragazze senza
morale. Il colonnello è proprio il contrario di lei, controllata,
morigerata, che si sente in colpa ad aver solo indossato dei
maledetti orecchini più appariscenti del solito e che fino a poco
tempo prima si vergognava di mostrargli il seno.
“Forse
è il caso di andare a casa, colonnello. Per questa sera mi sembra
che si sia divertito abbastanza.”
La
sua voce cerca di essere fredda, eppure è leggermente incrinata. Non
è facile rimanere neutri in quella situazione in cui è lei stessa a
sentirsi in imbarazzo e non è giusto! O forse lo è? Potrebbe essere
l'ennesima punizione per l'ennesima scelta sbagliata,
l'ennesimo peccato: dopo le morti innocenti di Ishval, l'aver
desiderato un uomo che non avrebbe dovuto essere nelle sue
possibilità. Non avrebbe dovuto concedersi e infrangere quel tabù
militare... E allora Riza paga volentieri caricandosi sulle spalle
una vile vergogna, per poi rialzarsi a testa alta.
Cerca
di sollevarlo in piedi, cosa per nulla facile. Il colonnello si tiene
in equilibrio a malapena, ma stranamente le due ragazze la aiutano,
ovviamente senza smettere un attimo di ridere.
“Tenente...
S-sei proprio un angelo... A-arrivi al momento... Giusto...”
“Sì,
certamente.”
Almeno
ha la decenza di chiamarla con il suo grado militare. Almeno non
l'ha chiamata Elsie. E' quasi un sollievo in quella situazione.
“Ehm,
ehm...”
La
ragazza mora fa finta di tossire. Quel suo sorriso è irritante.
“Scusi,
signora tenente... Non vorrei sembrare scortese, ma... La compagnia
ha un prezzo, non so se mi spiego.”
“Abbiamo
sbagliato noi, di solito i soldi li chiediamo prima... Ma per Roy
abbiamo fatto un'eccezione dato che viene sempre qui...”
“Sono
Centomila Cents a testa. Sa, signora tenente, Roy ha bisogno di
divertirsi, poverino... Con il lavoro che fa... Si è rilassato un
po'...”
Riza
rimane
per un attimo inebetita.
Roy,
non è abbastanza?
Non
hai ancora finito di macellare il mio cuore,
di
straziarlo e di farlo sanguinare?
Io
sopporto tutto, sopporto la tua indolenza, le tue bugie,
sopporto
i tradimenti, che tu ti faccia chiamare per nome da due prostitute e
non da me.
Sono
debole perché non riesco a dirti quanto mi fai stare male.
Duecentomila
Cents. Io valgo meno di questa cifra?
Almeno
abbi il coraggio di dirmelo,
tanto
sai che ti perdonerò comunque, che ti perdonerò sempre
quando
mi impietosirai con la scusa che ti manca Hughes
e
che è il Whisky a farti fare cose che non vorresti...
Le
banconote bruciano nella mano. Non può fare a meno che lanciarle con
un gesto elegante calcolato, estremamente carico di disprezzo. Di
certo non ha intenzione di mettersi a urlare e gridare come vorrebbe.
Ha ancora l'orgoglio, e quello mai nessuno potrà portarlo via ad una
come lei che ha combattuto la guerra, che ha visto il male in ogni
sua forma, che ha visto uccidere, torturare, vilipendere e stuprare.
Che
ridano pure di lei, del suo abbigliamento da cinquantenne, del suo
viso trascurato, dei suoi occhi arrossati e cerchiati, della sua aria
da completa sfigata con la figa di legno che trascina via un
colonnello dell’esercito nonché Alchimista di Stato talmente
sbronzo da non riuscire a fare due passi senza rischiare di
cadere rovinosamente per terra trascinandola con sé. Riza sa
perfettamente cosa stanno pensando e non se ne cura. Non saranno due
come loro ad averla vinta su di lei, perché lui il giorno dopo non
si ricorderà nemmeno i loro nomi, mentre lei sarà sempre al suo
fianco.
Duecentomila
Cents non sono niente.
Parte
3: La ragazza davanti al caffè.
Riza
Hawkeye
non è riuscita a dormire per tutta la notte. Non sapendo cosa fare,
ha portato il colonnello a casa sua e lì è rimasta, per assicurarsi
che almeno non si soffocasse vomitando sdraiato nel letto. Sarebbe
stata una morte davvero poco dignitosa, si sarebbe sentita in colpa
per il resto della vita se fosse capitato. Non riuscirebbe a vivere
senza di lui. Non lo odia, proprio non ci riuscirà mai.
Quella
casa è disordinata, ci sono fogli e libri sparsi dappertutto,
vestiti sporchi sulla moquette grigia tipica delle abitazioni degli
scapoli incalliti come lui, piatti sporchi vecchi di chissà quanti
giorni nel lavandino.
Lei
si è limitata a rannicchiarsi sul divano infagottata in una coperta,
ma comunque non è riuscita a chiudere occhio. Ha avuto freddo ai
piedi, nonostante stesse raggomitolata cercando di scaldarseli. Erano
gelati mentre il suo petto bruciava.
Bruciava,
brucia tuttora e fa terribilmente male. Il colonnello è sempre
sorprendente, perché è capace di ustionarla in tutti i modi
possibili, non solo con le fiamme della sua alchimia.
E'
ormai passato molto tempo, è mattina inoltrata quando lo vede
comparire come uno spettro dalla camera da letto. Riza si volta,
sempre da seduta, con in mano una tazza di caffè che si è appena
preparata, tanto per occupare la mente e non stare lì a rodersi il
fegato. Ha ancora addosso i vestiti stropicciati e sporchi del giorno
prima, la camicia aperta e macchiata, la cravatta allentata e ridotta
ad un malinconico straccetto penzolante. Il suo volto è pallido e
segnato, i capelli sono scompigliati come se avesse appena ricevuto
una scarica di corrente elettrica.
La
guarda per un paio di secondi con occhi cisposi ridotti a due
fessure, poi si lascia andare accanto a lei con un tonfo sordo.
La
ragazza ne deduce che debba avere un cerchio alla testa piuttosto
intenso.
“Mi
dispiace...”
Eccole
lì, le solite patetiche scuse che finiranno per convincerla. Non
l'ha nemmeno salutata, sapendo di essere in torto marcio. Riza
sorseggia il caffè appoggiando la tazzina sulle labbra screpolate
senza guardarlo. La sua mano trema leggermente. Il liquido è appena
tiepido, l'ha lasciato raffreddare troppo a lungo.
“Si
ricorda cosa mi ha detto ieri pomeriggio?”
“Sì...
E' che mi sono lasciato prendere la mano, avevo bevuto e...”
“Ho
dovuto pagare due ragazze. Non sapevo dove avesse messo il
portafoglio, così ho pagato io. Non volevo creare problemi nel
locale. Centomila Cents a testa.”
Parlare
è difficile quando nel torace un coltello affonda ad ogni parola e
poi si torce, straziando il cuore, facendolo a brandelli. Dopo il
dolore però, Riza sente una sensazione diversa: è soddisfazione. I
suoi occhi brillano a scrutare di sottecchi quelle guance ceree su
cui inizia a formarsi un lieve alone di barba mentre diventano
violentemente paonazze. Non vorrebbe essere crudele con il povero
colonnello, tuttavia adesso tocca a lui. Deve vergognarsi, è
giusto così, è finalmente il suo turno.
“Io-io
non lo sapevo... Pensavo fosse tutto come al solito, insomma, non
pensavo che...”
Com'è
bello quando è in difficoltà. Anche in quello stato patetico
mantiene un fascino magnetico ai suoi occhi. Quella di fissarlo è
una tentazione troppo grande, allora le sue pupille si concentrano
sul caffè. Se dovesse alzare gli occhi si intenerirebbe e almeno per
un po' vorrebbe farsi desiderare. Solo per pochi secondi, che lui
assapori la sensazione di perderla... E che senta a sua volta quel
abisso di vuoto pulsare sofferente nel petto.
“Non
gliel'hanno detto? In effetti avrebbero potuto giusto approfittare
della situazione vedendola, come dire, poco
sobrio.
Avranno pensato di farsi qualche soldo in più alle spalle di due
militari, sono cose che capitano.”
Sono
cose che capitano. Forse
sta cercando più di convincere se stessa che altro, però...
Potrebbe anche essere la verità. Quelli sono i momenti in cui inizia
ad instillarsi in lei il dubbio sulla sua malafede. No, il colonnello
non può essere così disumano con lei, si tratta solo di un
equivoco. Sì, probabilmente è così, lui è un uomo buono,
intelligente, idealista. Deve almeno provare a crederci, in quella
scusa. Se lo avesse fatto apposta sarebbe stato un comportamento
troppo sconsiderato perfino per lui, e a quel punto avrebbe potuto
tranquillamente già dirle “Guarda,
tenente, non siamo fatti l'uno per l'altra, non voglio più rischiare
di perdere la mia carriera per te. Mi sono accorto che non sei in
grado di soddisfarmi, vorrei qualcosa di più. Non offenderti, ma
andare a letto con te è noioso, vuoi sempre fare le solite cose da
suorina, ti ho dovuta pregare perfino per farmi vedere le tette… E
poi non fai mai nulla per essere attraente. Prima questa cosa mi
piaceva, ma adesso mi sono stancato... Preferisco dedicarmi a
qualcosa di meno impegnativo ma più appagante.”
“Tenente,
giuro che non lo sapevo... E mi dispiace... Sai perché lo faccio,
perché nessuno si deve insospettire... Non voglio essere costretto a
fare a meno di te... Sei troppo preziosa.”
“Me
lo giuri allora. Mi giuri che non sapeva nulla delle intenzioni di
quelle ragazze.”
Giuramelo!
Dimmi
che mi ami, dimmi che non sono solo la tua fedele ombra,
che
non sono solo una bambola di pezza d nome Elsie,
Dimmelo!
Io
sono Riza, sono fatta di carne, ossa e tendini.
Il
mio sangue scorre, il mio cuore pulsa, le mie cicatrici fremono.
Io
pago il tuo prezzo, ma tu dimmi che mi ami,
dimmi
che sono più importante
di
come il nostro atteggiamento in pubblico possa far pensare.
L'uomo
le prende la mano libera nelle sue, costringendola a voltarsi. I suoi
occhi sono vicini, talmente neri da perdercisi, nonostante la sclera
destra sia rigata da un sottile capillare esploso. In quello sguardo
Riza annega ogni volta e soffoca, impotente.
La
voce dell'uomo si abbassa. E' un soffio che le da brividi di piacere,
un sussurro dolce, che sa ancora di Whisky, un istante rubato al
tempo solo per lei.
Per
una volta pronuncia il suo nome.
“Te
lo giuro, Riza. Non lo sapevo. Ho sbagliato, lo so e mi vergogno come
un cane. Ti prego, perdonami. E' un periodo difficile, lo sai, e non
avrei ragione di mentire proprio a te... Perché mi sarei impegnato
in una storia come questa se non ti amassi? Per favore, credimi...”
E'
più forte di lei. Sta sbagliando? Probabilmente, ma non le
interessa. E' abituata a fare errori e poi a pagarne le conseguenze.
Potrebbe dire che quella è davvero la classica ultima goccia e che
il vaso ormai è traboccato, che non vuole più saperne, che anche se
il suo cuore sarebbe definitivamente fatto a pezzi vorrebbe tornare
ad un rapporto strettamente professionale con lui, niente più baci,
niente più effusioni, niente più Elsie, odiosa controparte
che si prende tutti i “ti amo” sussurrati al telefono, niente più
notti insonni passate avvinghiati a fare l'amore disperatamente
oppure ad aspettare piangendo lacrime amare. Solo puro e semplice
lavoro.
No,
non ci riesce, la sola idea le fa venire i brividi.
Annuisce
e rimane ferma, con la tazza di caffè ormai freddo e imbevibile
sempre in mano e si lascia accarezzare un guancia. La mano del
colonnello è sudata e calda, tuttavia il suo tocco non è
sgradevole. Lei vi si appoggia lievemente, anelando al contatto come
un assetato all’acqua. La tira lievemente verso di lui e Riza
si appoggia contro la sua spalla, chiudendo gli occhi, finalmente. Il
caffè si ritrova appoggiato sul tavolino.
“Io…
Io le credo. Mi fido di lei…”
“Mi
dispiace di averti umiliata in quel modo, non te lo meriti. Ti
prometto che non mi spingerò più fino a questo punto… Questo…
Fa stare male anche me…”
Riza
finalmente
si lascia andare un poco al sonno, sfinita, mentre lui, il suo
tormento e la sua gioia, le sussurra qualcosa all’orecchio.
“Senza
di te non so cosa farei.”
Questi
momenti si ripetono in continuazione, in una giostra spietata, ma
ormai lei ci è salita e nulla di più può fare, se non continuare a
girare. E non importa davvero nulla per lei, l'importante è che
possa sempre stargli accanto, che quelle dita tremanti capaci
di generare fiamme crudeli le sfiorino il viso e il corpo,
scaldandole la pelle e l'Anima, sporcandole con immoralità proibita.
Ogni
uomo ha un suo prezzo e Riza è ben lieta di continuare a pagare.
Fine
*
L'opale è una pietra di colore variabile utilizzata spesso in
gioielleria. Tra i vari significati positivi legati alla conoscenza,
c'è quello negativo legato al tradimento.
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