F
C'era una
volta una piccola
città, situata al di sopra di una grande collina. I suoi
abitanti erano persone molto riservate: consideravano la loro
città come una sorta di rifugio dal resto del mondo.
Ovviamente
alcuni abitanti uscivano di tanto in tanto dalla città per
motivi di lavoro, ma non la abbandonavano mai.
In pochi conoscevano l'esistenza di quella piccola cittadina; si era
infatti deciso di tenerla segreta, come una città-fantasma.
Questa decisione era stata presa da Giove, il capo della
comunità e colui che aveva fondato il paese. Era un signore
di
mezza età che, stanco dei rumori delle grandi metropoli, si
era
rifugiato in collina e qui aveva deciso di fondare una
città.
Non le aveva dato un nome proprio perché voleva che
rimanesse
segreta e lontana dal mondo. Giove era carismatico, sapeva come usare
le parole e questa sua abilità gli era servita per
convincere
alcuni suoi amici e conoscenti a seguirlo nella città che
aveva
fondato. E
così, altre persone si trasferirono insieme a lui: persone
che cercavano un luogo pacifico e tranquillo dove poter vivere.
Erano passati ormai tre anni da quando Giove aveva fondato la
città. Era sicuro che niente e nessuno potesse disturbare
quell'equilibrio che lui aveva creato.
"Buongiorno signor Giove".
"Oh, buongiorno Venere. Come va?".
"Potrebbe andare meglio. Sa, se solo Nettuno abbassasse un po' le sue
pretese".
"Suvvia Venere, lei lo conosce. Sa quello che ha passato".
"Già... dopo quel fatto il suo carattere è
peggiorato
parecchio. Ancora adesso io non riesco a capacitarmi di come sia potuta
accadere una cosa simile".
Giove guardò la sua interlocutrice. Venere era una donna
sulla
quarantina, magra come uno stuzzicadenti e con la faccia perennemente
stanca.
"Adesso mi scusi signor Giove ma devo andare. Nettuno si
starà già chiedendo dove sono".
E così Venere salutò frettolosamente Giove e si
diresse a
passo spedito verso la casa di Nettuno. Non appena entrò
sentì una voce dal tono arrabbiato:
"Venere, sei in ritardo! Ma dove diamine ti eri cacciata?".
"Mi scusi signor Nettuno, mi scusi tanto. Mi sono svegliata tardi e...".
"Silenzio! Non intendo sentire scuse. Forza, inizia a lavorare. Questa
maledetta casa non si pulirà da sola".
Venere sospirò ed iniziò a mettere in ordine le
lenzuola
del letto di Nettuno. Era da quando era arrivata in città
che
lavorava per lui: Nettuno... Quando Venere l'aveva visto per la prima
volta pensava che fosse solo un vecchio con qualche rotella fuori
posto. Mai si sarebbe aspettata che un giorno sarebbe finita a lavorare
per lui.
"Il destino è crudele" pensava Venere. Ma d'altronde, che
cosa
poteva fare? A differenza di tutti gli altri abitanti della
città, Venere non aveva un lavoro. Quindi per guadagnarsi da
vivere, Giove le aveva proposto di svolgere qualche lavoro per conto di
Nettuno.
"Non è niente di impegnativo" le aveva detto Giove. "Devi
solo
fare un po' di faccende nella sua casa. Sai, Nettuno ormai ha una certa
età e queste cose non riesce più a farle senza
l'aiuto di
qualcuno. Oh, e poi magari potresti anche aiutare sua moglie Giunone".
Venere rabbrividì ripensando a Giunone. Era passato ormai un
anno da quando...
"Venere! Devi essere più veloce! Non ti pago per battere la
fiacca".
Le parole di Nettuno strapparono Venere dai suoi pensieri.
"M... Mi scusi" balbettò Venere. "Mi scusi, mi scusi. Da
adesso sarò più veloce e...".
"Finiscila di parlare a vanvera, oggi mi infastidisci più
del solito. Penso che ti dimezzerò la paga".
"M... Ma non può farlo".
"Certo che posso. Così con la paga dimezzata sarai
più
oculata nei tuoi acquisti e comprerai solo l'indispensabile. E ora
ritorna al lavoro".
Venere riprese a sistemare la disordinata casa di Nettuno, sopportando
tutti gli insulti che quest'ultimo le rivolgeva.
-Toc Toc-
"E chi sarà mai adesso?" borbottò Mercurio.
Andò
ad aprire la porta e si ritrovò davanti Giove, che sfoderava
un
sorriso a trentadue denti.
"Salve signor Mercurio, disturbo?".
"No, certo che no. Entri, entri pure. Le posso offrire qualcosa?".
"Oh no, non si disturbi. Volevo semplicemente ricordarle che questa
sera ci sarà la riunione settimanale dei cittadini".
La riunione settimanale era una strategia ideata da Giove per cercare
di far legare tra di loro gli abitanti. Anche se per ora non aveva
funzionato.
"Ah, la riunione, certo che me ne ricordo. Io e mia moglie verremo
sicuramente" disse Mercurio.
"Ottimo. Allora ci vediamo stasera" gli rispose Giove e se ne
andò fischiettando.
"Chi era?" chiese Diana.
"Giove. Dice che stasera ci sarà la riunione settimanale. Se
non
andiamo nemmeno questa volta probabilmente ci tormenterà per
un'altra settimana".
"Dobbiamo proprio? Quelle riunioni sono così noiose".
"Lo so, cara, lo so".
"Lo sai ma non fai niente".
"Su, vedrai che non sarà così terribile.
Piuttosto, Saturno non dovrebbe già essere qui?".
"Hai ragione" disse Diana. "Di solito non torna mai così
tardi".
Proprio dopo che Diana ebbe finito di pronunciare quelle parole, la
porta dell'abitazione si aprì ed entrò un giovane
ragazzo
con uno zaino in spalla.
"Saturno!" esclamò Mercurio. "Dove diavolo eri finito? Ti ho
detto mille volte che non devi tornare a casa tardi".
"Hai ragione papà, scusa" disse Saturno a voce bassa.
"Allora?" chiese Diana.
"C... Cosa?" balbettò Saturno.
"Il compito".
"È... È andato abbastanza bene. Il professore ha
detto che sono migliorato e che ci sono meno errori e...".
"Saturno, hai preso un buon voto?".
"E il professore ha detto anche che sono sulla buona strada per
imparare quella regola che non mi ricordavo mai e...".
"Saturno, dannazione, hai preso un buon voto sì o no?"
urlò Mercurio.
Saturno rimase in silenzio per qualche istante, abbassò la
testa e sussurrò:
"No, il compito è andato male".
Mercurio sospirò.
"Saturno, ma che cosa dobbiamo fare? Pensavamo di avere un figlio
intelligente, non un imbecille che non riesce nemmeno a prendere un
voto decente" disse Diana.
"P... Però io mi sono impegnato, ho fatto tutto quello che
potevo e il professore...".
"Diana, tienilo fermo" disse Mercurio interrompendo il figlio.
"No, no, papà, ti prego, non lo fare". Saturno aveva gli
occhi
terrorrizzati. Sapeva che cosa stava per succedere. Diana lo
afferrò per le braccia e lo tenne fermo mentre lui si
agitava
inutilmente.
"Quanti?" chiese Mercurio.
"Tre" rispose Diana.
"No, papà, ti scongiuro, no!".
Mercurio sferrò un pugno a Saturno in pieno volto.
Poi un altro.
E un altro ancora.
"Devi prendere dei buoni voti, Saturno" gli disse Diana con voce
fredda. "Devi solo prendere dei buoni voti".
Giove si stava dirigendo verso la casa di Marte e di Aurora con passo
spedito, cercando di togliersi dalla testa alcuni pensieri che lo
stavano tormentando: Minerva... Perché pensava sempre a
Minerva?
Perché non riusciva a togliersela dalla testa? Era una
persecuzione, un fantasma che si era nascosto nei suoi pensieri e che
non ne voleva sapere di andarsene.
Minerva...
-Toc Toc-
"Marte, vai a vedere chi è" disse Aurora.
"Subito, mia signora".
Marte aprì la porta e si ritrovò davanti Giove,
che
sfoderò lo stesso largo sorriso che aveva usato con Mercurio.
"Buongiorno signor Marte".
"Buongiorno signor Giove. Che cosa posso fare per lei?".
"Niente, niente. Sono solo passato per ricordarle che stasera ci
sarà la riunione settimanale. Contiamo sulla vostra
partecipazione e su quella della signorina Aurora".
"Certamente. E ora mi scusi, ma ho molto da fare" disse Marte in tono
sbrigativo, sbattendo letteralmente la porta in faccia a Giove.
"Che seccatura" disse Aurora.
"Beh, magari potrebbe essere interessante" disse Marte.
Aurora puntò la pistola che aveva in mano contro Marte.
"Non farlo mai più" gli disse Aurora. "Non permetterti mai
più di esprimere una tua opinione. Sono stata chiara?".
Marte annuì con volto terrorizzato. Si era dimenticato che
Aurora aveva in mano la pistola.
"Ora, mettiti a gattoni" gli ordinò Aurora tenendolo sotto
tiro con la pistola.
Marte obbedì e si mise a gattoni. Aurora si
avvicinò a lui e gli diede un calcio sul volto.
"Esprimerai ancora una tua opinione?" gli chiese Aurora.
"N... No" rispose Marte.
Aurora gli diede un calcio allo stomaco.
"Non ti ho sentito".
"No, mia signora" disse Marte con un filo di voce. Doveva stare attento
alle parole.
"Bene. Fallo ancora una volta e sentirai il dolore che provoca un
proiettile nel petto" disse Aurora mostrandogli la pistola. "Forza, seguimi. È
quasi ora di pranzo".
Marte seguì Aurora come un cane. Era la sua condizione.
Aurora lo teneva in pugno.
"Venere, non hai ancora finito? Tra poco inizia la riunione e non
voglio arrivare in ritardo per colpa tua" disse Nettuno.
"Ma... Ma è stato lei a pretendere che dessi una sistemata
anche all'armadio" si giustificò Venere.
"Tutte storie. Se tu non fossi così lenta a quest'ora
saremmo già fuori casa".
Venere era sul punto di crollare. Quel giorno era rimasta a casa di
Nettuno anche nel pomeriggio; non aveva mai lavorato così
tanto senza fare nemmeno una pausa. Nettuno minacciava di dimezzarle
ulteriolmente lo stipendio. A lui non importava molto se Venere aveva
la possibilità di comprare del cibo oppure no. A lui bastava
che venisse a lavorare puntualmente, ogni giorno. E la povera Venere
non poteva fare assolutamente niente: non poteva andarsene in modo
definitivo dalla città, Giove non voleva. E non poteva
nemmeno lasciare il lavoro, dato che difficilmente ne avrebbe trovato
un altro. L'unica soluzione era quella di stringere i denti e
sopportare Nettuno.
"Tu dovresti solo ringraziarmi, Venere. Chi ti ha dato un lavoro? Chi
ti da i soldi necessari per vivere? Chi ti tiene in vita? È
tutto merito mio. Sai che cosa saresti senza di me? Una pezzente
vestita di stracci che chiede l'elemosina".
Una lacrima scese sul viso di Venere.
"Ah, adesso piangi? Ma non hai un po' di dignità?" le disse
freddamente Nettuno. "Dai, forza, piangi. Piangi. Piangi. Piangi".
Nettuno la stava esortando a piangere. E Venere piangeva.
Qualche minuto dopo Nettuno e Venere uscirono e si diressero verso la
piazza della città dove stava per iniziare la riunione
settimanale.
"Cari cittadini, vi ringrazio per essere qui, questa sera, per
partecipare alla nostra consueta riunione settimanale" disse Giove ad
alta voce. Tutti i cittadini gli fecero un grande applauso. Erano
seduti su delle vecchie sedie di legno.
"Come sapete, questa riunione ha come scopo principale quello di far
venire alla luce tutti i problemi che ci sono nella nostra amata
cittadina. Quindi, se qualcuno di voi vuole dire qualcosa in proposito,
è libero di farlo".
Nessuno disse niente. Come sempre.
"Bene, sono rallegrato nel constatare che qui continui a regnare
l'armonia e la serenità" disse Giove sorridendo.
"Già, non c'è proprio nessun problema" disse
Mercurio. "Anzi, oggi è una giornata importante, almeno per
me e mia moglie. Sapete, il nostro caro Saturno ha preso un ottimo voto
in un compito molto difficile. Secondo il suo professore lui
è il migliore della classe. Non è
così, Saturno?".
Il giovane, che si era improvvisamente ritrovato al centro
dell'attenzione, annuì timidamente.
"Bene, bene. Sono felice per voi" disse Giove. "Da quello che avete
raccontato anche nelle altre riunioni Saturno è proprio uno
studente modello. Continua così, ragazzo".
"Neanche noi abbiamo avuto problemi di recente" disse sorridente
Aurora. "Non è così, tesoro?".
"Certo" disse Marte. "Non potrei desiderare una vita migliore. Sto
anche terminando il mio libro".
"Oh, questa è una splendida notizia. So che era da molto che
ci stavi lavorando. Ottimo, ottimo. E tu, Nettuno?".
"Non ho niente da dire, Giove. Oggi ho risolto un piccolo conflitto che
aveva con la carissima Venere e adesso abbiamo ritrovato l'armonia"
disse Nettuno.
Venere non disse nulla.
"Perfetto. Cari cittadini, penso che non ci sia più nulla da
dire. Ricordatevi che io sono a vostra completa disposizione per
qualsiasi necessità" disse Giove.
Tornando a casa, Venere pensò a quello che era appena
successo. Nettuno aveva mentito. Nettuno aveva mentito davanti a tutte
quelle brave persone. Era un mostro. Un lurido mostro che si divertiva
nel vedere la sofferenza altrui.
Giunone.
Venere si fermò. Giunone. Le era tornata in
mente. Perché?
Un caso. Sì, sì, sì. Solo un caso.
Giunone.
Di nuovo! Il nome di Giunone risuonava nella testa di
Venere.
Giunone.
Giunone deve prendere le pillole.
Giunone deve prendere le pillole a mezzogiorno.
Se Giunone non prende le pillole...
"Basta, basta, basta".
Nettuno insultava Venere.
Nettuno derideva Venere.
Giunone no.
Giunone era brava con Venere.
Giunone cercava sempre di calmare il marito.
Giunone voleva bene a Venere.
Venere dava le pillole a Giunone ogni giorno.
Venere odia Nettuno.
"Basta, basta, basta, basta!".
Venere vuole far
soffrire Nettuno.
Venere vuole che Nettuno pianga.
Venere nasconde le pillole.
Venere non sente la voce disperata di Giunone che la chiama.
Venere sa che è stato solo un piccolo incidente.
Solo un piccolo incidente.
Quel giorno Nettuno provò un dolore che non
aveva mai provato prima
Quel giorno Venere ringraziò la sua amica Giunone per il suo
inconsapevole sacrificio.
Nettuno pianse. E Venere fu felice.
Il mattino dopo, Giove passeggiava per la città immerso nei
suoi pensieri. Il discorso di Mercurio alla riunione lo aveva colpito
molto. Sentire i progressi che faceva il giovane Saturno a scuola gli
aveva ricordato il suo precedente lavoro di insegnante.
E Minerva. C'era sempre Minerva nei suoi pensieri. Oh, era
così bella. Davvero una splendida ragazza. E poi era
così innocente. Aveva solo quindici anni.
Di colpo tornò tutto. Giove aveva di nuovo quella scena
davanti agli occhi. Lui non era più un uomo. Era qualcosa di
molto più ripugnante.
Giove ricordò perché era scappato.
Ricordò perché aveva deciso di fondare quella
città.
Minerva non andava molto bene a scuola. Però era
determinata, voleva migliorare a tutti i costi.
"Mi aiuti, signor Giove" gli diceva Minerva. "Vedrà che non
la deluderò".
E così, grazie alle lezioni di Giove, Minerva
migliorò sempre di più.
Ed arrivò la lezione finale.
Minerva chiese a Giove se c'era qualcosa che poteva fare per
ringraziarlo.
Giove la guardò. Era così bella. Le chiese di
chiudere gli occhi. E Minerva obbedì.
Quello che accadde dopo è un fatto talmente ripugnante che
lo stesso Giove ha rimosso dalla sua memoria.
Si ricorda solo un grido di aiuto.
Vestiti strappati.
La sua mano che copriva la bocca di Minerva.
Gli occhi terrorizzati della ragazza; occhi che avevano già
capito che cosa stava per accadere.
"Basta!"
Giove si coprì la faccia con le mani.
Da quel giorno lui non era più un uomo.
E non bastava fondare una città e vivere con persone oneste
e gentili per dimenticare quello che era successo.
Lui non era più un uomo.
Era un mostro.
"Ciao mamma, ciao papà" disse Saturno entrando in casa. Quel
giorno a scuola non c'erano stati compiti o interrogazioni, quindi
Saturno aveva un aria sollevata. Avrebbe passato un pomeriggio
tranquillo.
"Saturno, oggi mi ha telefonato la tua professoressa" gli disse
Mercurio.
Saturno si fermò.
"L'hai fatto di nuovo, vero?".
"Ecco... Io...".
"Saturno, questa volta sei nei guai. Ma non ti avevamo detto che dovevi
lasciare quel ragazzino in pace?" gli disse Diana.
"Io... Io non gli ho fatto troppo male. Mi è sfuggito solo
un pugno".
Mercurio e Diana si guardarono senza dire una parola.
"Non è grave" disse Saturno.
"Certo che è grave, Saturno. È questa
l'educazione che io e tua madre ti abbiamo insegnato? Prendere a pugni
le persone? Avevi almeno un valido motivo per farlo?".
"Era divertente" disse Saturno.
"Questo è troppo! Se i pugni non funzionano con te, allora
useremo strumenti diversi". Mercurio prese una mela e la
mostrò a Saturno. "Questa mela sarà il tuo unico
pasto per tutto il giorno". Mercurio tagliò la mela in
quattro spicchi e la gettò sul pavimento.
"Forza, mangia!".
Saturno prese un spicchio di mela dal terreno, lo pulì dalla
polvere ed iniziò a mangiarlo mentre Mercurio e Diana lo
guardavano con occhi severi.
Per loro questa era l'educazione.
"Ieri la riunione è stata proprio noiosa, vero?" chiese
Aurora.
"Vero, mia signora. Proprio noiosa" rispose Marte.
"Ma è vero che stai per terminare il tuo libro?".
"Sì, mia signora. Manca solo l'ultima parte dell'epilogo e
una revisione finale. Poi potrò finalmente pubblicarlo".
"Posso leggerlo, vero?".
"Ma, mia signora, preferirei che..."
Aurora sferrò un calcio a Marte, colpendolo in pieno volto.
"Posso leggerlo, vero?" disse nuovamente Aurora.
"S... sì, mia signora. Perdoni la mia maleducazione. Il
manoscritto è nel secondo cassetto".
Aurora prese i fogli dove Marte aveva pazientemente scritto a mano il
suo romanzo ed iniziò a leggere. "Sembra scritto da un cane.
E d'altronde tu che cosa sei?" gli disse Aurora puntandogli contro la
pistola.
"Io sono solo un cane, mia signora" rispose Marte.
Aurora sorrise e strappò i fogli dove Marte aveva scritto il
suo romanzo.
"Non fare quella faccia" gli disse. "Tanto era talmente noioso che non
l'avrebbe mai letto nessuno".
Marte guardò i pezzi di carta strappati sul pavimento.
Lavorava a quel romanzo da più di un anno. Lei gli aveva
promesso che non lo avrebbe ostacolato. Lei lo aveva promesso...
Avvenne tutto in pochi secondi.
Marte si avventò contro Aurora e le strappò la
pistola dalla mano.
Ora era lui che aveva il controllo.
BANG!
BANG!
BANG!
Tre colpi. In pieno petto.
Marte aveva ucciso Aurora.
Giove e Mercurio sentirono gli spari provenire dalla casa di Marte.
Entrarono e trovarono il corpo di Aurora senza vita e Marte che la
osservava sconvolto, con la pistola ancora in mano.
"Marte, che cosa è successo?"
Marte non rispose.
"Marte... Che cosa hai fatto?".
"Mercurio, occupati di lui. Io vado a chiamare tutti gli altri.
Dobbiamo fare una riunione immediatamente" disse Giove sconvolto. Era
la prima volta che accadeva. In tre anni, era la prima volta che veniva
commesso un atto di violenza nella città. Ora più
che mai bisognava mantenere la calma.
Si ritrovarono tutti in piazza, seduti sulle sedie di legno. Tutti
eccetto Marte, che era tenuto sotto controllo da Giove e Mercurio.
"Cari cittadini, se siamo qui oggi è per via di un fatto che
ha sconvolto la nostra piccola comunità. Vi ho
già comunicato l'accaduto, una vera e propria tragedia. Ma
adesso io voglio sentire dalla bocca del colpevole il motivo del suo
gesto. Marte, perché hai ucciso Aurora?".
Marte stava piangendo, non riusciva nemmeno a parlare.
"Rispondi Marte! Perché l'hai uccisa? Perché hai
uccisa una donna così dolce e gentile?" gli urlò
Diana.
"Io... Io..." balbettò Marte.
"La ricattavi?" chiese Nettuno. "Si, scommetto che è andata
così. Tu la ricattavi e lei ha deciso di ribellarsi.
Ovviamente a te questo non piaceva e quindi l'hai uccisa".
"No... No... È stata colpa sua... È stata colpa
sua".
"Giove, non voglio che ci sia un assassino nella nostra pacifica
città. Consegniamolo alla polizia" propose Venere.
"Non se ne parla. Se lo facciamo loro scoprirebbero la
città. Dobbiamo risolvere noi la questione" le rispose
Giove. "Marte, te lo chiedo per un'ultima volta; perché hai
ucciso Aurora?".
"Voi non potete capire" disse Marte. "È stata tutta colpa
sua, era lei il vero mostro".
"Basta, basta, basta! Giove, quando siamo venuti qui hai detto che, se
per caso fosse avvenuto qualche reato grave, il colpevole sarebbe stato
punito con la lapidazione. Bene, propongo di mettere in atto questa
nostra legge" disse Mercurio.
"Che cosa? No, no, non potete farlo, vi scongiuro, non potete". Marte
era terrorizzato. Stava vedendo la vera faccia dei cittadini.
"Chi è a favore?" chiese Giove.
Tutti alzarono la mano.
"No, vi prego, no". Marte scoppiò a piangere. Erano lacrime
di paura.
"Mercurio, prendi la corda e legalo. Poi portiamolo dietro casa mia".
Mercurio eseguì l'ordine di Giove, mentre Marte si dimenava
con tutta la sua forza cercando di scappare.
Dietro la casa di Giove c'era un terreno ricoperto di pietre di varie
dimensioni e con al centro un grande albero. Giove ordinò a
Mercurio di legare Marte all'albero, in modo che non potesse scappare
in nessun modo.
"Speravo che questo giorno non arrivasse mai" pensò Giove,
poi disse "Cittadini. Da questo momento siete autorizzati a prendere le
pietre e a lanciarle contro l'assassino. Lo faremo fino a quando non
vedremo più un segno di vita nel suo corpo. Così
dice la nostra legge".
Marte aveva smesso di piangere e di supplicare. Alzò la
testa e guardò i cittadini, schierati in una fila
orizzontale. Loro erano brave persone, umili e oneste. Non avranno
nessun rimorso, perché per loro questa si chiama giustizia.
Nettuno pensò a tutti gli insulti che aveva detto a Venere e
a tutte le sofferenze che le aveva provocato. E prese una pietra.
Venere pensò alla voce disperata di Giunone che le chiedeva
aiuto. E prese una pietra.
Mercurio pensò a tutti i pugni che aveva sferrato a Saturno.
E prese una pietra.
Diana pensò alla faccia di Saturno mentre mangiava quello
spicchio di mela sporco di polvere. E prese una pietra.
Saturno pensò alla faccia terrorizzata del suo compagno di
classe mentre lui lo prendeva a pugni. E prese una pietra.
Giove pensò al corpo di Minerva. E prese una pietra.
Le pietre volarono all'unisono. E colpirono Marte.
E poi volarono altre pietre. Ed altre ancora.
L'innocente era diventato colpevole.
I colpevoli erano sempre stati innocenti.
La settimana dopo, durante la riunione, nessuno accennò
all'accaduto. Per i cittadini era come se non fosse successo nulla.
Alla fine della riunione Giove disse:
"Bene, cari cittadini, sono contento che in questo paese regni sempre
l'armonia e la felicità. D'altronde, noi siamo delle brave
persone".
E tutti applaudirono.
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