Prima di dormire

di Ljn
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Popolo, salve.
Nell'attesa di tutto il resto, pare saggio andare avanti con quello che mi viene pronto, perciò ecco a voi i 20 anni. Differentemente da quanto avevo pensato, non saranno rossi, solo un po' allusivi alla relazione, perciò il rating resta fisso.
Mi pareva strano, cominciare con una scena di sesso, quando avevamo lasciato i nostri eroi bellamente divisi gli uni dagli altri. Cosa volete. Fosse stata un'altra storia, mi ci sarebbero voluti 36 capitoli, prima di far accadere ... oh, aspetta. Forse pure una cinquantina, via. ^^/
Sta di fatto che a quanto pare ultimamente mi vengono le "finestrelle sul cortile", e quindi la foto di questa tappa nella vita della squadra 7 è questa che segue.
Ho questionato con me stessa e con un certo Grillo parlante (ciao, Grillo ^^) se non fosse il caso di aggiungere "il resto" della squadra 7 alle istantanee, ma alla fine ho deciso per il no. Sarebbe diventato un po' troppo dispersivo, potenzialmente ampliabile, e più generalmente di più difficile gestione. E io non conosco un gran che Sai e Yamato, quindi avrebbe domportato una ricerca, e questo avrebbe allungato il tutto, e l'intera faccenda era intesa come uno sfizio.

 


Prima di dormire.

- 20 anni. -
 

Sakura.

Ha vent’anni.

Una carriera avviata al successo ormai da anni, l’ammirazione di mezzo villaggio, una squadra che in qualche modo funziona, un rapporto conflittuale con quell’idiota di ex-sensei, dei buoni amici che vede il più spesso possibile, un bell’appartamento. Sta fissando i suoi due migliori amici maschi, dopo che sono stati buttati fuori dal ristorante in cui l’hanno portata per festeggiare il suo compleanno perché i cretini non possono stare dieci minuti nella stessa stanza senza iniziare una discussione per determinare chi ha il cromosoma Y più grosso (o chi è più infantile, se qualcuno dovesse chiederlo a lei, e in quei momenti di solito lei è troppo irritata per dare giudizi di parte, quindi scegliere potrebbe rivelarsi davvero difficile). Ah, non che abbia illusioni di sorta su chi dovrebbe davvero ringraziare, per quel regalo. Sasuke può aver scelto il ristorante, altrimenti sarebbe appena uscita da Ichiraku, e probabilmente pure il regalo, altrimenti avrebbe avuto una pianta invece di un rotolo di tecniche rare, ma è Naruto quello che ha avuto l’idea. È Naruto quello che ha fatto in modo che misteriosamente tutti i suoi pazienti stessero bene, che il reparto di cui è responsabile fosse incredibilmente in ordine, che tutti i suoi amici fossero lì, e non in missione e sparsi per il mondo. Lo sa. E sa che loro sanno che lei sa. Lo sa nello stesso modo in cui sapeva in anticipo che quelle due teste di rapa che si credono due “grandi shinobi” avrebbero resistito metà serata al massimo, proprio perché è il suo compleanno, prima di mettersi a bisticciare (per una scemenza a caso appena più grave delle altre scemenze che li fa discutere di solito) ed essere costretti da lei a lasciare il ristorante prima di essere buttati fuori e subire quindi la sua giusta ira per la magra figura che le hanno fatto fare. Lo sa. E non è neppure molto arrabbiata. Solo un po’ triste, perché pare che tutti i loro amici abbiano un compagno (pure Sai sta uscendo con qualcuno, e che sia Ino è solo uno smacco in più per il suo orgoglio), e invece loro tre sono congelati in quella relazione di amicizia che non vuole saperne di evolversi. È uscita con qualche ragazzo, nell’attesa che quei due decidessero di fare qualcosa in proposito, eppure eccola là, a vent’anni, con la guerra finita da quasi tre, la punizione di Sasuke da sei mesi, e lei ancora ad essere ignorata dal moro. Cribbio, è così frustrata che ha giurato che dirà di sì, la prossima volta che Naruto le chiederà di uscire. Solo che Naruto è un secolo, che non le chiede di uscire, e poi sarebbe come rubare l’anima gemella a Hinata, e lei non vuole rovinare la loro amicizia. Quindi aspetta. Allude. E viene ignorata. E intanto ha ormai vent’anni, accidenti!, e si è alzata tre minuti prima dal suo posto a capotavola lasciandosi alle spalle una dozzina di ninja alticci e allegri e rumorosi come l’inferno, per andare a recuperare i suoi due migliori amici maschi, diavolo, dopo aver dato loro cinque minuti per calmarsi (non di più, perché altrimenti rischierebbe di doverli uccidere, dopo averli rimproverati di aver raso al suolo mezzo villaggio, e non di meno, perché altrimenti l’aria fredda che li ha spediti a respirare non servirebbe a niente a parte rinfocolare il fuoco della loro lite). E ora li fissa. E li fissa ancora. Perché sì, stanno ancora insultandosi a vicenda. E sì, si stanno letteralmente prendendo per i capelli, là appoggiati contro il muro del vicolo accanto al ristorante. Ma tra un insulto e l’altro, le loro bocche sono incollate l’una all’altra. E la presa che hanno sulle ciocche arruffate e i vestiti spiegazzati dell’altro sono più affamate, che rabbiose. E lei non può far altro che fissarli, e vagamente pensare che dovrebbe volerli pestare a sangue, e che dovrebbe avere il cuore spezzato. Invece pensa solamente che bere, ora, le pare proprio una buona idea, e che li pesterà domani. E che è sola, più di quanto non avesse pensato quattro minuti prima.

Ha vent’anni. E ha appena realizzato una cosa che avrebbe dovuto capire almeno due secoli prima. Oh, beh. Meglio tardi che mai, dicono.

 

Kakashi.

È la sera del 28 di marzo, e lui è nel bel mezzo di una festa di compleanno.

Perché sia là, non è chiaro neppure a lui. Sa solo che una settimana prima ha ricevuto una visita insolita, una di quelle che ti lasciano talmente sbalordito che accetti di comprare l’enciclopedia di cui non hai bisogno dal più imbranato dei venditori porta a porta. I suoi due ex-allievi si erano presentati alla sua porta, e gli avevano comunicato con un sorriso sulle labbra (… un sorriso, due coppie di labbra, per essere pignoli) che quella sera si sarebbe tenuta la festa per Sakura, e che lui avrebbe dovuto portare un regalo e sé stesso. “Non necessariamente in quell’ordine, Kaka’-sensei! Non vogliamo aspettarti tutta la notte!” “Limitati pure al regalo, che tanto della tua presenza si può far a meno.” … Amori di ragazzi, i suoi. Comunque sono venuti entrambi, ad invitarlo, e i vent’anni sono un passo importante, e Sakura ha più diritto di molti altri, di festeggiarli. Lui i vent’anni li ha compiuti su un campo di battaglia, quando già da secoli si sentiva più vecchio di quanto i suoi documenti ufficiali dichiaravano di lui. Sakura invece ha perso quelli dai tredici ai diciassette, e poi i diciotto e i diciannove sono stati occupati da lavoro e ricostruzione. I venti finalmente li può festeggiare con tutti i suoi amici e lui si domanda di nuovo cosa ci faccia lì con loro. Lui che è un relitto del passato, e che non appartiene davvero al futuro brillante che lei ha dinnanzi a sé. Aaah … si sta facendo di nuovo prendere dalla melanconia, ed è solo a metà della serata. Sorride condiscendente, quando i suoi due sciocchi allievi (di cui è tanto orgoglioso, in situazioni che non contemplano la vita reale ma solo di estremo e letale pericolo), iniziano a litigare come bambini di sei anni e vengono spediti fuori dal ristorante a calmarsi dalla festeggiata che, nonostante l’ovvia irritazione verso l’infantilismo dei ragazzi, pare avere il suo stesso istinto genitoriale nei loro confronti, quando si tratta di gestire le loro bizze. Accetta distrattamente dell’altro sakè, consapevole di avere gli occhi di tutti puntati addosso, più o meno sfacciatamente. Sono tutti là ad aspettare che lui abbia bevuto abbastanza da commettere un passo falso, permettendo alla curiosità morbosa che quei mocciosi hanno verso la sua faccia di essere soddisfatta. Davvero, a volte si domanda se il carattere di Naruto non sia contagioso. Aaah … sarà una lunga notte, e lui avrà bisogno di tutto il sakè disponibile per superarla, dato che le feste non sono il suo genere di passatempo preferito. Quindi lascia vagare pigramente lo sguardo attorno alla tavolata in modo che le occhiate terminino e lui possa bere in pace, registrando allo stesso tempo le coppie formate da quelli che fino al giorno prima erano bambini alti metà di lui, e ora non lo sono più. Uomini e donne, passati attraverso un inferno simile e diverso dal suo, ognuno segnato da esso da ferite profonde e lezioni imparate a duro prezzo, ma che ora ridono e si divertono trovando sostegno l’uno nell’altro, invece che solo in loro stessi, e gravitano come pianeti attorno ad una comune Stella. Mah. Si domanda se anche la sua generazione sarebbe potuta essere così, se Minato-sensei e Kushina-san fossero sopravvissuti alla follia dell’odio che ha rischiato di incenerire il mondo intero, poi liquida il pensiero. Non ha senso speculare sul passato (questo almeno lo ha imparato), lui è ad una festa e i cinque minuti che Sakura concede sempre ai ragazzi per calmarsi sono quasi … Ah. Ecco. Annuisce a se stesso. Sakura si sta alzando proprio in quel momento per andare a riprendersi i compagni in castigo. Sorseggia di nascosto il sakè, e l’occhio gli scivola su Sai, che siede vicino ad Ino e la fissa come fosse un dipinto di uno stile affascinante e sconosciuto, che lui vuole riuscire a padroneggiare. Quel ragazzo è interessante, lo deve ammettere. Inquietante, certo, in un modo diverso da quanto inquietante può diventare Sasuke, o Naruto, o Sakura stessa quando ci si mette, ma proprio per questo crede si inserisca bene nel quadro generale della squadra. Nello stesso modo in cui si inseriscono gli ex compagni di Sasuke, suppone. Non avranno mai lo stesso morboso rapporto che hanno quei tre, ma nessuno potrebbe riuscire in quello. Anche Sakura, pur essendo Sakura, non la ha, quella stessa simbiosi in cui sono chiusi i suoi due ragazzi, anche se è l’unica che mai ci si potrà avvicinare. E forse è un bene dato che il pensiero di quei tre più legati di così porta il suo cervello automaticamente a pensare a situazioni molto poco caste e decisamente troppo affollate per dei ragazzi che ha visto crescere. Già così, quando pensa ai due usciti in precedenza, la sua mente tende a fare supposizioni che preferirebbe tanto, TANTO evitare. Non è proprio il caso, che alla coppia si aggiunga … Ah. Sakura è tornata. Sembra scossa. Un po’ triste. … Oh. Una intuizione gli illumina i pensieri foschi. Forse lì fuori non era esattamente in corso una bonaria litigata tra amici etero … Avrebbe dovuto avvertirla mesi fa, dei suoi sospetti? Mentre ancora è intento a considerare le alternative e le possibili opzioni di comportamento futuro, Sakura gli piomba a sedere accanto, gli ruba il bicchiere di sakè e lo svuota facendo una smorfia. Quindi sospira pesantemente. E a lui non resta che fare l’unica cosa che un uomo possa fare in una situazione del genere. Afferra la bottiglia più vicina, quella che ha sequestrato per sopravvivere alla serata, le riempie il bicchiere fino all’orlo … e le fa passare un braccio libero e comprensivo attorno alle spalle. Non c’è bisogno di parole, tra di loro. Lei sa che lui sa cosa ha visto. E lui sa che lei sa che lo immaginava da tempo e che non glielo aveva detto perché è Kakashi, e Kakashi non dice, quello che è ovvio. Sakura scola di nuovo il bicchiere in un sol colpo, poi gli appoggia la testa sulla spalla. Lui si procura un altro bicchiere e li riempie entrambi, accarezzandole solidale il braccio. Sarà una lunga notte, ma non importa più.

È la sera del 28 di marzo, i suoi imbranati allievi hanno appena confermato la teoria che ha formulato anni prima su di loro, la sua talentuosa allieva ha appena fatto l’ingresso ufficiale nel mondo adulto. Lui è nel bel mezzo di una festa di compleanno. E sa perfettamente perché è là.

 

Naruto.

La notte è quieta.

Lui però è troppo di fretta, per apprezzarla. I suoi compagni di squadra lo fissano come se volessero incenerirlo ormai da giorni, per la fretta che gli è presa, ma a lui non importa: è in missione da tre settimane e non ne può più, e ora è ad un giorno di viaggio scarso da casa, e già sente il profumo di legno vecchio e menta fresca, e una voce bassa e seccata che lo rimprovera per … diavolo, per respirare, per mangiare, chissenefrega. L’importante è che è così vicino che proprio sarebbe uno spreco di tempo non corrergli incontro per farsi maltrattare da lui. Rallentare? Prendersela con calma? Naaah. Non ne vuole sapere di sprecare un’altra stupida notte serena a fissare il cielo volendo essere in moto, incapace di dormire per l’impazienza del giorno, pensa schizzando in mezzo agli alberi, saltando di ramo in ramo. Veloce, veloce … in modo da arrivare a casa prima. Viaggiare di giorno per evitare pericoli? Eccheccavolo! Mica è una imbranata mezzacartuccia incapace di difendersi, lui! È Uzumaki Naruto, l’eroe dell’ultima grande Guerra ninja, il prossimo Hokage della Foglia! È a tanto così dal realizzare tutti i suoi sogni, e già ne ha soddisfatti altri, che non sapeva neppure di avere fino a quando non gli si sono presentati su un campo di allenamento con un’aria da principessa oltraggiata e una affermazione che sapeva tanto di domanda a fargli muovere quelle labbra strette che di solito ci vuole una guerra, per costringerle a fare qualcosa di diverso dall’inghiottire mostruosità rosse che non sanno di nulla e sputare insulti a caso. Ah! Un po’ di buio e una piccola, stupida possibilità di cadere in trappole che tanto non potrebbero trattenerlo a lungo, certo non lo può fermare! Non adesso, quando c’è un posto che può chiamare CASA, e qualcuno che lo aspetta. Qualcuno con cui bisticciare e da abbracciare quando gli va’ … Previa contrattazione e scontato sospiro seccato seguito dalla concessione della grazia divina di un bastardo troppo rigido, davvero, ma che è suo. Suo da chiamare, suo da annusare, suo da abbracciare e da stringere mentre dormono. Suo da prendere a pugni, suo da imparare a fargli un pasto diverso dal ramen in scatola per non dover sopportare le lamentele infinite sulla sua mancanza di buon senso culinario e salutistico. Suo da combattere quando ne hanno entrambi voglia e poi da farci la pace, in un modo che quando avevano dodici anni col cavolo che lo immaginavano! Suo da divertire, e suo da consolare silenziosamente quando il passato è pesante, pesante ... Suo da ricordargli che anche se il passato è una pietra, il presente sono piume soffici e leggere, e il futuro è la trapunta che le tiene tutte insieme. Sempre, per sempre, finalmente. Perciò corre, sfreccia tra le foglie, ignorando i grugniti e i lamenti esausti di Kiba e Shikamaru, ignorando i rametti che cercano di trattenerlo, ignorando i rami che si spezzano sotto i suoi piedi veloci facendogli perdere di tanto in tanto l’equilibrio e rischiando di farlo precipitare a terra (sempre se non fosse chi è, dattebane! Visto che è lui, al massimo riescono a farlo abbassare di qualche decina di centimetri, prima che si riprenda). Un solo obiettivo davanti agli occhi impazienti e ciechi agli ostacoli: passare le porte del villaggio, i cancelli del quartiere col simbolo che hanno ridipinto pochi mesi prima, quando finalmente Sasuke era tornato in servizio attivo. Superare la porta di legno che cigola un po’, il genkan e il corridoio, fino ad arrivare allo studio del Teme, per trovarvi colui che prima era solo un miraggio, e che invece ora sarebbe stato intento a studiare qualche astruso jutsu (che non sarebbe mai servito a nulla a parte permettere al genio di vantarsene con lui, ma ehi, mica è lui quello che può dire qualcosa in proposito, eh), sopracciglia aggrottate, una frase acida sulla punta della lingua che lui avrebbe ignorato per un gioioso “Tadaima!”, occhi che finalmente si sarebbero alzati ad incontrare i suoi e di nuovo quella bocca che avrebbe detto qualcosa d’altro di aspramente sasukiano che significava “Okaeri”. Ride, e i suoi compagni di team protestano indignati a questa sfacciataggine. Come può essere così allegro, quando non hanno praticamente dormito per tutta la missione, visto che lui voleva tornare a casa il prima possibile?! Ride ancora, come risposta. Non ci può far nulla. Non ci vuol far nulla. È felice.

La notte è quieta e tiepida. Assomiglia tanto a Sasuke, dattebayo!, e lui non vede l’ora di poterglielo dire.

 

Sasuke.

La notte è quieta.

È un bel genere di quiete. La Luna è enorme e luminosissima, nel cielo che sembra un mantello di velluto blu punteggiato di stelle, splendenti di luce riflessa. Nel villaggio addormentato, l’unico rumore pare essere il frinire dei grilli, e lui lo sente solo perché è sull’engawa, i piedi che poggiano sull’erba del giardino, i polmoni che inalano i profumi della tarda primavera. Le ronde sono lontane dal quartiere, quella sera. Intorno, non c’è nessuno. Solo lui e i grilli. Uno sbuffo di aria bollente gli brucia la coscia sinistra, e lui stringe di riflesso la presa attorno alle ciocche morbide e chiare tra le quali sta facendo scorrere le dita da un po’ di tempo in un moto regolare. Intorno non c’è nessuno, è vero. Solo lui e i grilli. E l’idiota esausto che gli dorme in grembo, ovviamente. Lo occhieggia, l’idiota, espressione truce e un rimprovero tagliente già sulla punta delle labbra. Ma lui dorme, ignaro e scemo, appallottolato attorno a lui come un gatto troppo cresciuto, a fargli caldo. E le sue dita tirano i capelli biondi per dispetto, perché ha caldo, dannazione, e non è un cuscino, accidenti! Ma il Dobe mugola infastidito, stringendo la presa sui suoi pantaloni puntando ancora di più le ginocchia contro il fianco della sua schiena rigida, e dorme. E allora l’irritazione mezza falsa lascia il suo volto, che si distende di nuovo nell’espressione serena che si è scoperto in grado di produrre quando è solo in compagnia di un biondo che è talmente scemo da non dormire per metà missione, per poter tornare a casa a dormirgli in grembo il prima possibile mormorando di tanto in tanto qualcosa che suona sospettosamente simile a “Sas’ke”. Le dita, leggere, riprendono a coccolare la testa arruffata della sua maledizione, mentre lui si allunga, all’indietro e di lato, puntando una mano sul legno del pavimento, appoggiandosi contro le gambe piegate che gli premono sul fianco. Diavolo se è scomoda, quella posizione contorta: gli verrà di certo il mal di schiena, pensa. Inclina la testa riprendendo a fissare il cielo terso e le stelle brillanti, domandandosi quando esattamente è diventata un’abitudine, quella di coccolare la zazzera arruffata, mentre il suo proprietario lo usa come un cuscino. Bah. Dà un’altra tiratina, e la mano di Naruto aggrappata ai suoi pantaloni ne dà una in risposta. Sorride, riprendendo il lento moto della mano. Forse domani costringerà di nuovo quell’usuratonkachi a subire una lezione di astronomia, solo per vederlo irritato e sentire la sua solita protesta che “non mi serve a niente saperne il nome! So dove sono pure senza, dattebayo, Teme!”

La quiete della notte è in quel momento uno specchio perfetto del suo stato d’animo. E il ragazzo esausto che si è addormentato a metà frase un’ora prima, e che ora gli sta russando leggermente il suo nome contro la stoffa dei pantaloni, ne incarna perfettamente il cuore pulsante.


Vi è venuta la carie? Ho un ottimo dentista da consigliarvi.
Abbonatemela, via, che non mi capita spesso di aver voglia di scrivere miele e panna e fragole e angioletti con gli archi senza frecce appuntite ma solo cuoricini.
Come avete visto, ho legato le "foto" di questo capitolo due a due. Una coppia dalla serata e dalla conoscenza che il soggetto del testo dimostra dell'altra persona coinvolta nella riflessione. L'altra dalla quiete della notte, che non è più tempestosa e neppure solitaria e asfissiante.
Se avete fatto caso, le altre sere raccontate erano slegate le une dalle altre. La prima è intuibilmente la stessa sera per tutti per il semplice fatto che non era rilevante sottolineare la distanza tra i 4 protagonisti dato che ancora non facevano parte della vita degli altri. La seconda era generica, perchè il tempo si era "fermato", se volete. C'erano solo emozioni e spazio enorme, fisico e anche psicologico.
Qui invece il tempo è di nuovo in moto. Per Sakura e Kakashi è allineato. Per Naruto e Sasuke è consecutivo, in corsa lungo la stessa strada. ^^
Dopo aver pensato ad altri modi per raccontare queste serate, ho deciso che questo potesse essere il migliore. Spero concordiate con me. ^^




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