Preludio: Casa
Il
ragazzo si fermò innanzi alla casa Parigina osservandola con
curiosità. Di certo si aspettava qualcosa di meglio per uno
dei più celebri alchimisti di quel mondo, oltre che celebre,
probabilmente unico. La luce del lampione illuminava la facciata
rivolta alla piazzetta di quella palazzina a due piani.
Buona parte della vernice era crollata sul marciapiede,le finestre
erano sbarrate con travi di legno, la porta pareva lì
lì per cadere dai cardini. Si chiese come accidenti facesse
una persona tanto importante a vivere in una topaia simile.
-Ehi!- chiamò senza voltarsi. Una voce maschile giovanile
gli rispose.
-Sicuro che siamo al posto giusto?- continuò lui fissando
scettico l’edificio.
Un secondo ragazzo ammantato gli si affiancò -Direi di
sì- prese un pezzo di carta da una tasca e lesse
ciò che riportava, vergato di fretta. Poi alzò lo
sguardo e guardò prima il numero civico poi il cartello
riportante il nome della via, posto all’inizio della
strada,non troppo lontano.
-Sì- concluse rimettendo il pezzettino di carta in tasca
-È l’indirizzo giusto-
L’altro ragazzo, il più basso dei due, fece una
smorfia disgustata e avanzò verso l’uscio.
Afferrò il batacchio e batté due volte. Attese
qualche minuto. Dalla casa provennero alcuni rumori, ma nessuno si
prodigò di aprire la porta. Il giovane riafferrò
il batacchio d’ottone e batté una terza e una
quarta volta,con più forza.
-Ricordati che è un vecchio di quasi seicento anni che
sopravvive grazie a una pietra..- si raccomandò il
più alto con preoccupazione nella voce.
L’altro parve non averlo udito ed afferrò
l’oggetto un ennesima volta e continuò a battere
insistentemente. Finalmente la porta si aprì, e
dietro ad essa fece capolino la sagoma di un vecchio in semi
oscurità.
-Che volete?- Gracchiò quello osservandolo con i suoi
luminosi occhi da furetto.
Il ragazzo che aveva bussato si tolse il cappuccio, mostrando una lunga
coda che arrivava a metà schiena, apparentemente fatta di
filamenti dorati. Sopra agli occhi d’ambra posavano un paio
di occhiali rettangolari. Sorrise sardonico al vecchio. -Ci fa entrare
o pensa di farci rimanere qua?-
L’uomo lo fissò accigliato,mentre il ragazzo
più alto si avvicinava e sfilava il cappuccio, mostrando un
bel viso ornato da un sorriso affabile, occhi speculari a quelli
dell’altro ragazzo, di una sfumatura più scura,
come anche i capelli di un oro più opaco, raccolti in un
codino lungo sino alle spalle.
Il vecchio indugiò sulla soglia qualche attimo ancora,
stupito da quella visione, poi parve riscuotersi e aperse la porta
lasciando passare la coppia, prelevando i loro cappotti e appendendoli
su di un appendiabiti d’ebano posto affianco
all’entrata. Li condusse lungo un corridoio dalle pareti in
legno e dal pavimento in parquet, sino a farli accomodare in un salotto
degli stessi materiali, avente un tappeto persiano a terra, poltrone e
un sofà di velluto verde acido, dalla bellezza discutibile
quanto lo era la mobilia malandata, dall’apparenza vecchia e
disusa .
I due indugiarono un istante, poi decisero di sedersi nelle due
poltrone, l’uno affianco all’altro, mentre
l’uomo prese posto innanzi a loro, nel divanetto. Egli accese
infine una pipetta e li scrutò da testa a piedi. -Mai mi
sarei aspettato- mormorò quasi più a
sé stesso -Di ricevere visite tanto importanti-
seguitò ad esaminarli nella stessa maniera utilizzata da un
compratore durante la fiera di primavera sulla merce esposta.
Il ragazzo dalla chioma più chiara si mosse tra i
bracciali,apparentemente imbarazzato dall’ epiteto
“importante”. Lanciò uno sguardo
all’altro ragazzo. -Dunque già sa chi siamo- disse
riportando gli occhi all’uomo.
-Mi pare ovvio che io lo sappia, come è palese che voi
sappiate chi siete venuti a trovare- replicò conciliante.
Sbuffò due nuvolette di fumo dalla bocca, poi
proseguì il discorso -E cosa desidererebbero due
così importanti personaggi da un povero vecchio quale io
sono?-
Il più alto lanciò uno sguardo
all’altro, che però non staccò gli
occhi dall’interlocutore. -Siete o no, Nicolas Flamel, il
più grande alchimista di questo mondo?- domandò
questi sporgendosi in avanti verso il vecchio.
L’uomo non rispose per qualche istante -Aggiungerei
l’unico- precisò infine -Tutti quelli che si
definiscono tali non sono che dei chimici con delle idee un
po’ strambe-
Il ragazzo sorrise - Ma gli alchimisti non sono sostanzialmente dei
chimici con delle idee un po’ strambe?- ribatté
ghignando.
Negli occhi di Flamel balenò uno scintillio dalla natura non
ben identificata. Pareva soddisfatto e compiaciuto dalla replica acuta
del giovane. Sorrise di rimando -Si potrebbe definire così
in effetti. Sai,da quel poco che so,e dall’impressione che mi
hai fatto ora, credo che tu saresti un ottimo alchimista..-
Questa volta il ragazzo scoppiò sonoramente a ridere di
gusto, e persino sul volto dell’altro comparve un sorrisetto
divertito.
-Oh, se lei sapesse probabilmente tacerebbe e si prostrerebbe a me,
appena mettessi piede in casa sua- e continuò a ridere
divertito.
Il vecchio alchimista inarcò un sopracciglio, scettico. -E
perché dovrei farlo?-
Questa volta gli sguardi dei due giovani si incrociarono. Pareva ci
fosse una sorta di discussione recondita in quegli sguardi
d’oro, come se guardandosi comprendessero l’uno i
pensieri dell’altro.
-Beh- continuò il ragazzo -Questo per ora non possiamo
rivelarvelo- concluse infine con una nota di malinconia malcelata nella
voce. -Basti sapere che lo farebbe-
Lo scetticismo nell’espressione del vecchio non scomparve, ma
non perseverò sull’argomento,voltando pagina senza
frapporre altre domande.
-Ebbene,che volete da me?-
A sorpresa fu l’altro ragazzo a parlare questa volta. Aveva
una voce più infantile rispetto a quella del più
basso,meno matura,ancora persa nei rami dell’adolescenza.
-Siamo venuti a chiederle un aiuto- disse estraendo un grosso quaderno
spesso, zeppo di fogli, da una tasca interna del panciotto bordeaux.
Flamel si chiese come aveva fatto a tenerlo nascosto per tutto quel
tempo. Glielo passò quasi con timore, guardando la copertina
con preoccupazione.
Esso era consunto, macchiato, la sovraccoperta squarciata in diversi
punti, e doveva esser stato di un blu notte,mentre ora aveva perso
parte del colore, diventando di un grigio scuro striato di blu.
Lo aprì, e ciò che vi trovò gli
spezzò il fiato. Dovette tenersi al divano per non venir
meno. I fogli erano vergati con una calligrafia minuta ed
un’altra disordinata. Portavano scritte diverse formule
alchemiche di varia natura, molte delle quali, ammise tra sé
e sé, non conosceva. Sfogliò il tesoro, avido di
sapere, risucchiando dalla carta più informazioni possibili,
finché non gli venne tolto di mano, a nemmeno un quarto
dell’opera.
La sua testa scattò all’insù, per
capire chi fosse il responsabile di un simile affronto. Si
ritrovò a guardare il sorrisetto ghignante di
superiorità del ragazzo più basso.
-Mi dispiace privarla del piacere della lettura- disse sarcastico, con
tono fintamente contrito -Ma il suo apprendere avverrà solo
se accetterà, e guardi che la controlleremo, il nostro
patto.-
L’uomo lo guardò sospettoso, e si mise
all’ascolto, rimanendo sull’attenti. Se la
richiesta sarebbe risultata ragionevole, avrebbe accettato, altrimenti
non se ne sarebbe fatto nulla, e avrebbe sequestrato loro il diario
anche con la forza se necessario.
-Cosa dovrei fare?- sibilò a denti stretti, trattenendosi a
stento dall’urlare.
L’altro continuò a sorridere, innervosendolo ancor
più. Senza nemmeno guardare quel che faceva, estrasse un
foglio dal fondo del quaderno, come sapesse precisamente dove esso si
trovasse, e lo porse all’uomo, che lo prese e lo
avvicinò al volto per poterlo leggere.
Fuori il buio e il freddo avanzavano, appannando i vetri della casa e
della macchina azzurrognola dei due ospiti, parcheggiata al lato
opposto della piazzetta. Flamel fu costretto ad accendere un lume per
poter leggere senza avvicinare la carta a pochi millimetri dagli occhi.
Fece scorrere velocemente lo sguardo, mormorando a fior di labbra
ciò che leggeva, quasi fossi una litania religiosa. Quando
terminò era allo stesso tempo stupefatto e confuso. Il testo
parlava di un passaggio per un altro mondo, e sulla parte posteriore
v’era disegnato un cerchio formato da rune, simboli e linee
per la gran parte sconosciute a lui. Perplesso consegnò il
foglio nella mano tesa del ragazzo, che lo ripose nel quaderno in
fretta.
-E dunque?- domandò.
Il ragazzo assunse un’aria seria contraria a quella beffarda
che aveva sbandierato sino a quel momento. -Vogliamo ci aiuti a creare
il passaggio- lo informò senza troppi giri di parole, cosa
che piacque al vecchio. Non gli era simpatico colui che non partiva
diretto sulle sue decisioni.
Nonostante questo, si vide costretto ad ammettere ad alta voce -Ma io
non sono granché pratico di queste cose-
Fu la volta dell’altro di alzare il sopracciglio -Non
è un alchimista?-
-Certo,ma mi curo specialmente di pozioni e alambicchi, poco me ne
intendo di rune e cerchi simili a quello che mi avete mostrato-
Il ragazzo lo guardò scettico, poi sorrise di nuovo. -Stia
tranquillo ce la può fare, ha letto cosa serve?- chiese
accomodandosi di più nel cuscini, e accavallando le gambe
mettendosi in una posizione da aria di superiorità.
L’altro deglutì. -Sì..-
-Eh…-
-E che pretendete?Che vi ceda la mia?- Urlò esasperato
l’uomo,balzando in piedi allarmato. Aveva iniziato a sudare
freddo. Quella storia non gli piaceva affatto.
Il ragazzo sorrise,compiaciuto dalla sua reazione. -Si sieda, non
c’è bisogno d’allarmarsi- lo
invitò con un cenno dalla mano.
Flamel si sedette, guardando truce quel giovane impertinente.
-Innanzitutto non mi pare d’aver mai detto di desiderare la
sua pietra nello specifico- Puntualizzò sfilandosi gli
occhiali con stizza. Pareva non sopportasse quello strumento, e che
fosse una costrizione per lui indossarli. -O sbaglio?-
Tranquillizzandosi, il vecchio annuì.
-L’ho detto?-
-No… non l’ha detto… mi perdoni
l’equivoco- s’affrettò a spiegare
l’alchimista arrossendo ferocemente d’imbarazzo.
-Dunque, è stato stupido spaventarsi a quel modo-
capitolò il ragazzo, infilandosi gli occhiali nel nodo della
cravatta, facendovi passare una bacchetta argentata. -Seconda cosa, mi
par di capire che lei abbia trovato il modo di crearla utilizzando i
suoi “alambicchi”- continuò osservandolo
come incitando a correggerlo nel caso si confondesse.
L’altro non poté far nulla se non annuire.
-Perfetto, le chiedo dunque di costruirla di nuovo, replicare la grande
impresa. Naturalmente col nostro aiuto- concluse infine sospirando.
Flamel rimase pietrificato. Ricordava bene come aveva creato quella
pietra, e non ne andava particolarmente fiero.
-Posso declinare l’offerta?- domandò
garbatamente,allargandosi il colletto della camicia con un dito. Aveva
ripreso a sudare.
Un’occhiata di ghiaccio lo trafisse con il suo gelo
sprezzante. -Non credo- rispose il biondo. -Le ricordo che, con il
grado da noi acquisito dopo una serie di avvenimenti fruttuosi al
governo francese, tra cui il recupero e la distruzione della bomba ad
uranio, sottratta ai tedeschi prima che qualcuno venisse a conoscenza
della formula oltre a noi due soli, ci permetterebbe di ordinarle in
modo vincolante a donarci il suo aiuto. Ma, non glielo ordiniamo, e per
di più le offriamo uno scambio
“culturale”. Ma l’avverto, se ci
costringerà a farlo noi usufruiremo della nostra egemonia,
la obbligheremo ad aiutarci,o,nel peggiore dei casi, la uccideremo e
ruberemo la sua pietra,tanto è sufficiente ai nostri scopi.
Comunque vada l’avremo vinta noi.
Detto ciò, le ridomando: vuole aiutarci?-
Attimi di tensione attraversarono come pure scariche elettriche
l’aria circostante. Flamel si guardò attorno come
un cane braccato, muovendosi agitato, con scatti tesi e impauriti. Ci
doveva essere una soluzione, una scappatoia. Esaminò la
situazione da tutte le angolazioni. Non poteva scappare,
l’avrebbero trovato in meno di un giorno. Tutti lo
conoscevano, e tutti amavano i due giovani per le loro imprese,
specialmente per quella citata dal ragazzo, e nessuno con un
po’ di cervello l’avrebbe ospitato, e gli altri
senza cervello non l’avrebbero ospitato per orgoglio.
Uccidersi era inutile. L’avrebbero avuta comunque.
Imprecò in un sibilo impercettibile, e si schiarì
la voce, riacquistando un po’ di dignità nel
portamento e nell’espressione.
-Come volete, creerò una seconda Pietra Filosofale-
accettò. Era l’unico modo per avere un
po’ di vantaggio per sé.
I due ragazzi sospirarono rallegrati dalla notizia. -Le siamo
infinitamente grati- lo ringraziò il giovane che
l’aveva convinto,abbozzando una riverenza, emulato subito
dall’altro. Per un attimo Flamel pensò che
lavorare per quei due non era tanto sbagliato. Suo malgrado
sorrise,mentre gli ospiti si alzavano e si dirigevano alla porta. Il
più basso inforcò gli occhiali.
-Mi servirà un gran numero di corpi morti da poco- aggiunse
infine mentre erano sulla soglia.
Per un attimo parvero interdetti, poi il ragazzo dai capelli
più chiari parlò.
-Dopodomani al penitenziario si svolgeranno duecentoventi esecuzioni.
Pensa che se noi due tornassimo domani con il necessario, riuscirebbe a
preparare tutto in un giorno per poi creare il giorno successivo la
pietra in un solo pomeriggio con i corpi dei condannati?-
L’alchimista si sentì mancare, ma nonostante
questo annuì. In fin dei conti era in gioco ormai, e quella
era una sfida per le sue capacità.
Il ragazzo stava per aprire l’uscio quando al vecchio
soggiunse una cosa.
-È vero che io so chi siete- disse guardandoli con
diplomazia -Ma a parte questo è bene
presentarsi,specialmente se si ha l’intenzione di collaborare
in un progetto-
Il ragazzo parve accigliato, poi sfoggiò il suo solito
sorrisetto sardonico.
-Io sono Edward Elric, e lui è mio fratello, Alphonse Elric-
E con questo uscirono chiudendosi la porta alle spalle, lasciando
Nicolas Flamel sconcertato.
***
Edward abbassò la cornetta del telefono, chiudendo la
chiamata con un sospiro annoiato. Raggiunse il fratello in cucina, e si
abbandonò su una delle sedie, sbadigliando sonoramente
mentre si grattava la testa. Aveva sciolto la coda ed ora la filigrana
dorata gli ricadeva in onde sulle spalle, in tinta con gli occhi.
Dall’altro lato del tavolo Alphonse gli passò una
scodella colma di zuppa di cipolle e un bicchiere d’acqua.
-Allora?- domandò immergendo il cucchiaio nella sua porzione.
Il maggiore dei due bevve un sorso della pietanza e sorrise divertito
-Al, se glielo chiedessimo ci concederebbero anche cinquecento di quei
diavoli- rispose.
Il fratello non parve felice della notizia, anzi, la sua faccia
mostrava piena contrariazione -Chissà se ce la faremo-
mormorò in un soffio.
Edward smise di mangiare, sfiorando l’altro con uno sguardo
compassionevole, che cambiò immediatamente per uno di
sicurezza. -Sta tranquillo con la Pietra ce la faremo..-
-Se funziona-
Il maggiore tacque, non trovando argomentazioni logiche -Vedrai che
funzionerà- ribatté soltanto, mormorando a sua
volta. Nascose la sua insicurezza sotto una maschera di determinazione,
che in realtà era da tempo vacillante.
Finirono la cena in silenzio, senza aggiungere altre frivolezze inutili
ad una discussione caduta già in basso prima di essere
svolta.
Edward si alzò dal tavolo stiracchiandosi davanti al
fratello che portava i piatti nel lavandino, e li lasciava
lì senza curarsene.
-Conviene andarsene a letto- disse dirigendosi verso il corridoio
-Domani avremo un sacco di roba da fare-
Alphonse annuì poco convinto. Nella sua testa ancora rodeva
il dubbio del fallimento. Non aveva nessuna voglia di rimanere deluda
un ennesima volta dalle aspettative. Certo,avevano calcolato tutto nei
minimi dettagli, ed erano realmente pochi i fattori che facevano
pensare al fallimento, ma nonostante questo aveva avuto talmente tanti
fiaschi da spingerlo a non esser più sicuro.
Nascose l’incertezza sotto un sorriso di posa rivolto al
fratello, per non farlo impensierire. Andava sempre in paranoia quando
si rendeva conto che non era felice. Si angustiava troppo e
inutilmente. Ma nonostante questo Alphonse apprezzata
l’affetto che lo spingeva a preoccuparsi per lui.
Affetto che, mettendo in azione il suo istinto,aveva spinto Edward a
comprendere il timore del fratello. Tacque però. Sapeva che
comunque sia non avrebbe potuto dire nulla di intelligente per
confortarlo. Probabilmente si sarebbe messo a sproloquiare inutilmente,
balbettando parole insensate e superflue. Mai stato bravo nel consolare
le persone. Una cosa però non riuscì a tacerla.
-Al?-chiamò appena prima che il fratello si fosse chiuso la
porta della camera alle spalle.
La testa del ragazzo fece capolino da dietro la porta, guardandolo
perplesso.
-Goditi il cielo di questa notte finché puoi,
perché tra due giorni vedremo quello di Amestris- disse con
un sorriso divertito stampato in viso.
L’altro rise -Poetico-
Edward arrossì leggermente. -Certo, notte eh…-
-Notte Ed- e così si chiuse la porta alle spalle, lasciando
il ragazzo a fissare l’uscio chiuso. Solo,insieme agli stessi
dubbi che assillavano il fratello.
***
La mattina dopo il sole era offuscato da nubi basse e gravide di
pioggia che promettevano un acquazzone durante il pomeriggio. Misero le
poche cose che possedevano in un bauletto,pagarono il proprietario
dell’appartamento la cifra stabilita e salirono in macchina
portandosi dietro una seconda borsa.
Non ci volle molto per raggiungere la casa del vecchio alchimista.
Questa volta l’uomo rispose subito, facendoli entrare con un
sorriso mesto in volto. Mise i loro cappotti nello stesso posto del
giorno prima e li condusse in una cantina insieme alle valige che si
erano portati dietro.
Lì si fermò, e si voltò a guardare i
due negli occhi. -Sto per portarvi in un posto che pensavo non avrei
mai mostrato a nessun altro- disse -Promettetevi che non lo direte ad
anima viva-
Edward sfoggiò il suo solito sorriso sardonico -Stiamo per
andarcene, a chi vuoi che lo diciamo?-
L’altro scrollò le spalle e si voltò
verso una delle pareti. Estrasse dalla cintura in pelle legata in vita
un mazzo di chiavi vecchi e arrugginite. Cercò per qualche
istante tra i tintinnii di ferro contro ferro, fino ad afferrare la
più malandata di tutte. Tastando il muro trovò
infine una apertura che prima i due fratelli non avevano notato, ben
nascosta com’era. L’uomo vi infilò la
chiave, che fece girare tre volte, ed infine aperse una porta
scorrevole ed entrò nella stanza che gli si presentava
innanzi.
I ragazzi si guardarono, poi, incerti,lo seguirono dentro.
La stanza aveva delle finestrelle talmente in alto da essere attaccate
al soffitto, simili in tutto e per tutto a quelle delle prigioni in
grandezza, chiuse da una parte in vetro oscurato. Puzzava di stantio,
ed era zeppa di scaffali e tavoli sormontati da
provette,ampolle,alambicchi e ogni sorta di strumenti che un chimico
invidierebbe, alcuni talmente vecchi da appartenere a secoli passati.
Il laboratorio era illuminato da luci di colore rossiccio che rendevano
più lugubre lo spazio più di quanto
già non fosse da solo.
Edward posò a terra le borse, guardandosi intorno
incuriosito. Dunque era così che si creava
l’alchimia in quel mondo?
Fu una giornata piena. Seguirono diligentemente tutto quello che veniva
ordinato loro. Flamel era meticoloso su ogni cosa, non ammetteva errori
e, fra le altre cose, si ritrovarono a collaborare con un secondo
ragazzo, incappucciato,con il viso nascosto da una maschera di pelle.
-È un povero diavolo sfregiato in viso dai nazisti. Un ebreo
insomma. Lo tengo con me perché mi è utile a
sbrigare faccende che, con la mia età,non posso
più fare da solo- Aveva spiegato loro il vecchio quando gli
avevano chiesto chi fosse.
-E come si chiama?- aveva incalzato Edward guardando il ragazzo con la
coda dell’occhio mentre metteva certi vetrini in uno scaffale
e frugava in cerca di materiale.
L’uomo sbuffò -Ah, non lo so. È muto.
Lo trovai dopo che lo ebbero malmenato in un vicolo malfamato di
Berlino quando bazzicavo là per un’intervista con
un tizio uscito di senno. Non lo vuole scrivere, e praticamente non si
esprime mai. Io lo chiamo Name-
Edward aveva fatto commenti sarcastici sulla fantasia poco sviluppata
dall’uomo e le domande si erano concluse in quel modo. Ben
presto si erano resi conto che il ragazzo era d’aiuto,che
svolgeva compiti che avrebbero fatto loro perder tempo come pulire
l’attrezzatura, sterilizzarla,cercare certi oggetti,
rimetterne a posto altri che non servivano più. Mansioni di
poca importanza ma che facilitavano il compito a loro tre.
Fu così che tirarono fino a sera. Allo scoccare della
mezzanotte esatta Edward finì di disegnare
l’ultima runa del Cerchio Alchemico e si sollevò
in piedi barcollando. Vedeva doppio e si sentiva debole,ma nonostante
questo trovò la forza di sorridere per la riuscita
dell’operazione.
-È fatta- disse -Ora manca solo l’ultimo pezzo del
puzzle e io ed Al potremo tornarcene a casa- Un fremito
d’eccitazione lo attraversò ripensando alla sua
patria e alle persone che vi aveva lasciato.
Aveva lasciato Amestris all‘età di sedici anni.
Aveva passato due anni in compagnia della copia di suo fratello in
questo mondo, ed era tornato per poche ore dall’altra parte,
ed inseguito si era ritrovato di nuovo qui, in compagnia, questa volta,
del suo vero fratello, e per altri due anni vi aveva vissuto, cercando
disperatamente una via per ritornare da dov‘era venuto. Ora
aveva vent’anni, e poteva dire di aver lasciato la sua patria
per quattro lunghi anni. Certo i primi due senza Alphonse erano stati
terribili, ma nonostante fosse ora con il fratello, non era ancora del
tutto felice. Dovevano andarsene da quel posto, e il più
presto possibile, o, ne era certo, sarebbero impazziti entrambi.
Sospirò. Non era ancora giunto il momento di esultare, solo
adesso arrivava la parte difficile, e doveva affrontarla con tutto il
coraggio e la determinazione che possedeva, per lui e per suo fratello
doveva essere forte ed infondere speranza a sé stesso e ad
Alphonse, nascondendo per un po’ le sue insicurezze.
Si voltò verso gli altri -Beh, direi che è ora di
una bella nottata di sonno. Le esecuzioni sono svolte sempre molto
presto e non faranno un eccezione per noi- disse poggiando il moncone
del gessetto che aveva utilizzato sul tavolo.
-A che ora sono?- domandò Flamel.
-Lei non si preoccupi, andremo io e Al da quelli-
-Invece mi serve saperlo per poter preparare il necessario in tempo-
ribatté il vecchio.
Edward lo guardò accigliato. -Beh, alle otto e mezza-
Flamel annuì e li condusse alla loro camera. -Io e Name
dormiremo in salotto, non dovete preoccuparvi- disse sorridendo davanti
alle proteste dei ragazzi. -Staremo bene- e se ne andò
lasciandoli soli in camera.
Il maggiore pretese di dormire sul pavimento, senza nemmeno ascoltare
le obiezioni del fratellino, che dovette suo malgrado prendere il posto
nel letto.
L’indomani mattina si alzarono alle sette. Trovarono Name
seduto su una sedia in sala a leggere un tomo dall’aria
antica, e Flamel che li invitava ad entrare in cucina e a sedersi al
tavolo per consumare la colazione.
-Lui non mangia?- domandò Alphonse accennando al ragazzo
senza nome.
-Oh no, non gli piace mangiare così presto-
borbottò l’alchimista.
A quel punto Alphonse ricordò che anche il giorno prima non
aveva visto Name mangiare, ma non espresse i suoi pensieri. Avrebbe
consultato il fratello quando sarebbero stati soli, e si
concentrò sulla propria colazione.
Purtroppo però il cibo rischiò di risalire quando
assistette alle morti dei condannati. Fu costretto ad allontanarsi dal
piazzale dove venivano svolte, seguito dal fratello che pareva non
provare nulla di fronte a quello spettacolo, ma nonostante si fosse
allontanato il rumore degli spari arrivava alle sue orecchie ogni volta
che i grilletti venivano premuti, insieme ai lamenti dei cari delle
vittime.
-Vittime?- chiese con una nota di disgusto nella voce Edward quando lo
udì usare quel termine per definire i prigionieri oramai
uccisi -Non sono vittime Al. Le vittime sono quelli che hanno subito i
loro crimini sulla loro pelle-
Alphonse lo guardò sinceramente stupito dalla sua reazione
-Sì ma non è anche questo un modo ad
atteggiarsi da Dio?Non è forse lui che decide chi deve
morire e chi no?-
L’altro non rispose e la conversazione finì
lì.
Per trasportare i corpi dovettero usare un camion prestato loro da
Flamel per l’occasione. Non avevano avuto tempo di domandare
dove l’avesse preso, e sapevano che forse era anche meglio
non domandarlo. La risposta, probabilmente non gli sarebbe piaciuta.
Come non piacque ad Alphonse quella che gli diede suo fratello quando
gli espose le sue costatazioni.
-Boh, magari non l’hai visto tu mangiare e in
realtà si è fatto fuori la riserva intera della
Francia mentre noi lavoravamo. Io non ci ho fatto caso sinceramente-
disse senza prestare troppa cura a quello che gli era stato riferito.
-Ma Edward mi sembra abbastanza strano..-
Edward gli aveva sorriso -Su Al, alla fine che importa realmente?Conta
solo che ci lascino fare quello che ci serve senza problemi e che ci
diano una mano- capitolò.
L’altro annuì e tacque.
Ci impiegarono più tempo ad arrivare alla casa di quanto ne
avevano usato per arriva prima al piazzale dell’esecuzione.
Quando furono in casa trovarono Name praticamente nella stessa
posizione di quando l’avevano lasciato, e Flamel seduto in
una poltrona intento a leggere il giornale del mattino.
Alzò gli occhi quando entrarono. -Mi è venuto un
dubbio- esordì fissandoli entrambi. -Se siete tedeschi,o
perlomeno avete vissuto maggior parte del tempo lì. Come
avete fatto ad imparare il francese così bene?-
Edward inarcò un sopracciglio -Libri e abitudine-.
Flamel annuì.
Trasportarono i corpi in grossi sacchi di tela fin sotto nel
laboratorio. Quando l’operazione fu terminata Flamel li
cacciò fuori dalla stanza. -Ora, se volete scusarmi, devo
lavorare solo. Ci vorrebbe meno tempo con corpi giovani come quelli dei
bambini, e ne necessiteremmo anche meno, dunque dovrete aspettare un
po’- e chiuse la porta in faccia ai due fratelli,rimanendo
nella stanza solo con l’aiutante silenzioso.
Ci vollero ore per terminare l’opera. I due fratelli
aspettavano in sala nervosi. Edward camminava avanti e indietro, al
rimaneva fermo a fissare il fratello. Ogni tanto compariva Name.
Tentavano di farsi scrivere qualcosa, come procedeva la creazione, ma
lui non li degnava di uno sguardo, andava in cucina prendeva
dell’acqua o del cibo, o a volte bicchieri di vetro, ma mai
rispondeva alle loro domande. Così iniziarono ad abituarsi
al suo andirivieni, alzando appena lo sguardo quando arrivava, ma
facendo finta di nulla.
Passò mezzogiorno.
Name arrivò per prendere il pranzo al vecchio. Al contrario
i due non si preoccuparono di mangiare, ma continuarono
l’estenuante attesa.
Quando anche le tre suonarono Edward,che si era finalmente seduto alle
due, stanco di camminare inutilmente, si alzò in piedi
irritato. -Accidenti noi ci avremmo messo due minuti!-
esclamò irritato.
E riprese a camminare agitato.
Quando le cinque furono suonate da venti minuti, Name salì
da loro, ma questa volta non si diresse alla cucina, ma
bensì andò dai due fratelli e fece cenno con la
mano di seguirlo. I due si lanciarono uno sguardo d’intesa.
Scesero al piano di sotto, e andarono al laboratorio. Lì
Flamel sedeva su di uno sgabello, appoggiato alla parete, bevendo da un
bicchiere di vino rosso. Terminò l’ultima goccia e
poi si voltò verso i due fratelli, sorridendo.
-Sapete- disse ghignando -Non ho mai sgobbato tanto- Con un gesto
teatrale estrasse un oggetto dalla tasca.
Era una pietra, grande quando il palmo della mano di un neonato, rossa
come il sangue, rilucente come una fiamma.
Alphonse rimase immobile, sconcertato, a fissare
quell’oggetto che da così tanto cercavano, e che
in un tempo che sembrava dimenticato era stato dentro di lui, quando
ancora aveva le sembianze di un armatura. O così almeno gli
avevano raccontato, perché nulla ricordava di quel periodo.
Edward invece si affrettò verso l’uomo. Tese la
mano ed era ad un soffio dalla pietra quando l’uomo gliela
tolse dalla sua portata, lasciando le sue dita ad acciuffare
l’aria.
-Ehi ma che diavolo..-
-Ahah, caro il mio Edward- fece Flamel alzandosi in piedi -Prima il
pagamento-
Il ragazzo lo guardò accigliato, poi , a denti stretti
acconsentì -Perfetto. Al, il quaderno-
Alphonse, dopo un attimo di esitazione, ai
avvicinò,estraendo dalla tasca interna del gilet il vecchio
quaderno malandato, e lo consegnò al vecchio, che
lasciò andare la pietra, subito afferrata dalle mani del
ragazzo.
Edward lo fissò con rabbia. -Spero per te che funzioni-
sibilò.
Il resto del procedimento lo sapeva, e lasciò che Flamel si
immergesse nella lettura del quaderno. Doveva attivare il cerchio con
la Pietra Filosofale,e allora il portale si sarebbe aperto e,se tutto
andava come avrebbe dovuto, in meno di due minuti si sarebbero
ritrovati ad Amestris. Dove di preciso non lo sapeva, ma comunque si
sarebbero ritrovati là, di nuovo, a casa…
S’inginocchiò davanti al Cerchio, prese fiato, e
vi avvicinò la Pietra.
Parve come se venisse risucchiata dal terreno. I simboli e le linee del
Cerchio si illuminarono come pervasi da una luce stellare.
Flamel alzò gli occhi dal libro e rimase stupefatto.
Alphonse si avvicinò al fratello,guardando il Cerchio
sconvolto.
Poi la visione cambiò rapidamente. La luce li avvolse e
dovettero chiudere gli occhi per non venire accecati. Quando gli
riaprirono si ritrovarono innanzi al portale.
Era una porta nera, di pietra circondata da un immenso velo di bianco
che si stagliava fin dove occhio poteva vedere.
-Al- sussurrò Edward.
Il fratello gli si avvicinò -Ci siamo..?-
bisbigliò incerto.
L’altro annuì. -Sì, ci siamo-
Dopo due anni stavano per tornare a casa, ad Amestris, da tutti coloro
che avevano lasciato, e non seppero se ridere o piangere.
Le ante del portale si aprirono, mostrando un oblio trapuntato di occhi
dai mille colori. Da quell’oscurità sgusciarono
una moltitudine di arti e piccole mani che si strinsero rapidamente
intorno ai due fratelli. Con forza inaudita li trascinarono nel buio e
quando l’oblio li ebbe avvolti le porte si chiusero dietro a
loro con un tonfo.
E tutto fu nero.
***
Una piccola volpe stava cercando di stanare un topo nascosto tra le
radici di un albero quando un esplosione la fece scappare a gambe
levate. Una seconda esplosione spezzò l’aria. Da
una radura uno stormo di uccelli prese il volo dalle fronde degli
alberi, allontanandosi dalla causa di quelle esplosioni.
Nella radura un ragazzo stava ricadendo a terra dopo un salto
particolarmente alto. Atterrò agile come un gatto. Aveva
capelli biondi mossi, lunghi sino alle spalle ed occhi di un limpido
verde acqua talmente belli da lasciare incantati chi li osservava.
Aveva un fisico asciutto, era abbastanza alto ed indossava abiti dalle
tinte chiare.
Tutto il contrario della ragazza che gli stava davanti, la quale non
era rimasta affatto incantata dai suoi occhi, anzi lo bombardava con
scariche di energia di continuo, causa delle esplosioni che mettevano
in fuga gli animali.
Aveva lo stesso colore di capelli. Da ognuna delle tempie partiva una
treccia, e si andavano ad unire dietro alla testa insieme ad altre
ciocche di capelli, formando così un elaborata mezza-coda.
La sua chioma, liscia e morbida come seta, le ricadeva sino a
metà schiena, e condivideva il colore dorato con gli
splendidi occhi. La sua pelle era chiara,pareva fatta di porcellana, ma
nonostante quest’aspetto fiabesco, con le favole per bambini
la ragazza non aveva nulla da spartire.
A testimonianza di questo stavano i colori scuri dei suoi vestiti e il
modo irruento con cui si muoveva.
Entrambi portavano al dito medio un anello d’argento con
incisi due cerchi alchemici differenti. Quello di lei ruotava tutto
intorno ad un triangolo, mentre l’altro ad un quadrato.
Getti d’acqua di una violenza notevole sfiorarono appena la
ragazza, che riuscì a schivarli. -Maledetto stregone!-
ringhiò -Non è alchimia la tua, e magia senza
senso! Fai pena!-
Il ragazzo rise -Trisha se la mia è magia la tua
cos’è?- chiese spostandosi per un soffio da
un’esplosione.
-Io uso gli atomi dell’aria per creare le mie esplosioni!Tu
invece?-ribatté quella con un sorrisetto di scherno stampato
in viso.
-Io uso le particelle d’acqua presenti nell’aria,
non ci vuole molto a capirlo-
Lei rise -Beh io almeno non uso sempre la stessa tecnica Alec!- e con
questo si abbassò toccando il terreno con le mani messe in
modo che formassero un triangolo, e la terra ai piedi del ragazzo si
smosse, facendolo cadere a terra come un sacco di patate.
Veloce lei corse da lui e,con un movimento rapido, lo placcò
a terra piazzandogli un piede sul petto,poco sotto al collo.
-Come previsto, ho vinto- Si vantò lei sorridendo.
Lui la guardò divertito -Se ne sei convinta..-
Un dardo gelido la colpì alla schiena facendole perdere
l’equilibrio. Cadde a terra, lasciando così libero
il fratello. Si rialzarono nello stesso momento.
-Fratello questa me la paghi!- Urlò la ragazza. Stava per
attivare un’altra delle sue esplosioni che la terra si
tramutò in fanghiglia,inzuppandole le gambe. Poi si
addensò fino a renderle impossibile muovere le gambe.
-Alec che diavolo stai facendo?!-
-Non sono io!- rispose quello dimenandosi nel tentativo di muovere gli
arti inferiori bloccati a terra.
-Chiunque sia giuro che..-
-Al posto tuo starei zitta- le intimidì una voce calda alla
sua destra.
Entrambi i ragazzi si sentirono gelare riconoscendola
all’istante.
Un uomo uscì dalla boscaglia avviandosi verso i due bloccati
nella terra
Aveva capelli biondi raccolti in una coda, dorati come gli stessi occhi
incorniciati da un paio di occhiali ambrati. Una barbetta corta gli
coronava il mento, e nonostante dai suoi occhi e dai suoi movimenti si
intuisse l’età più vicina ai quaranta
che hai trenta, egli dimostrava almeno dieci anni di meno.
Al suo fianco pendeva la catenella degli alchimisti di stato, ma
nonostante questo non portava nessuna divisa.
Sorrise ai due ragazzi.
Nascondendo la sua paura, la ragazza sorrise spavalda -Oho, il
colonnello Edward Elric ci ha fatto l’onore di accorrerci in
salvo-
Alec la fulminò con un occhiataccia -Trisha sta zitta una
buona volta- la redarguì -Nonostante tu abbia la mia stessa
età sembri molto più piccola, devo sempre
ricordarti di portare un certo rispetto a..-
Lei sbuffò -Papiinoo Alec mi sta rompendo le..-
-Trisha..- la zittì il padre sbuffando.
Alec sorrise divertito -Papà,potresti liberarmi?- chiese
gentilmente.
Edward ghignò -Se mi va e quando mi va-
I due sgranarono gli occhi.
-Papà, non oserai lasciarmi qua dentro altri cinque secondi-
ringhiò Trisha.
Lui continuò a sorridere.
-Accidenti- sibilò lei a denti stretti. Velocemente si
abbassò e trasmutò il pantano facendolo ritornare
quello che era prima.
Il padre sfiorò il suo braccio, da cui fuoriuscì
una grossa lama affilata come un rasoio.
-Maledetti automail!danno un vantaggio gigantesco..- grugnì
la ragazza stizzita.
Schivò il colpo del padre con uno scatto laterale e
tentò con un calcio, mentre Alec approfittava di
quell’attimo per liberarsi, aggiungendosi così al
combattimento tra padre e figli.
È il 1937 del calendario continentale.
Edward e Alphonse sono tornati da 18 anni nel loro mondo.
Edward,nonostante mantenga una certa indipendenza, è
diventato colonnello, mentre Al ha preso il posto di Generale del
tribunale militare.
Edward ha due figli, due gemelli di 15 anni,che hanno ereditato la sua
passione per l‘Alchimia, a cui ha dato il nome di Alec, per
ricordare il soprannome “Al” del fratello, e
Trisha,medesimo nome della madre.
Alphonse ha un figlio di 11 anni, Eichi, il quale,però,
nonostante sappia usare più che discretamente il potere
alchemico, mira alla professione di medico nell’esercito.
A parte qualche piccola scaramuccia interna tra la gente di Ishvaal e
gli altri, Amestris sta vivendo un lungo periodo di pace.
Pace però che non è destinata a
perdurare…
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