Titolo: Attimi
Rating: PG
Pairing: Arthur/Merlino
Spoilers: Il Calice Avvelenato, 1x04.
AN: beh, con questa
piccola storia senza pretese, voglio solo permetterci di sognare un
pochino su quello che sarebbe potuto accadere prima della scena in cui
Arthur si reca a far visita a Merlino e tutto pare tornare come prima o
quasi tra di loro. Perché, ammettiamolo tutto in quella
serie, grida al pairing Arthur/Merlino. E, vi prego, non fate caso se
uso il nome inglese del nostro bel principe. Semplicemente mi piace di
più. Tutti i diritti della serie Merlin appartengono alla
BBC.
Attimi
Mentre il tocco
gentile delle labbra di Arthur sfiorò la carne rovente della
sua fronte, Merlino sentì il respiro serrarglisi in gola per
un tempo che parve infinito. Un tempo infinito per lui, giovane mago,
ma che nella realtà al di fuori di quelle spoglie mura di
pietra si protrasse per un semplice battito di ciglia. Un battito prima
che il ricordo di dover fingere di dormire lo riscuotesse.
Tentò di
normalizzare il suo respiro, cercando di fingere un’immagine
di sonno sereno. Dentro di sé, invece, era una massa
brulicante di atomi eccitati e magia cui era bastato un semplice tocco
del principe per potersi liberare inarrestabile, lontano dal suo
controllo. Da qualche parte nella sua mente sconvolta, il suo inconscio
era tuttavia riuscito a tenerlo immobile prima di venire scoperto.
Dita forti sfiorarono
i suoi capelli madidi di sudore, allontanandogli scure ciocche dalla
fronte. Quelle dita si soffermarono per un secondo, o forse due, prima
di scendere a lambire la sua guancia infuocata e poi scomparire. Un
tocco così flebile da sembrare irreale. Soltanto un sogno
sfocato, eppure tutto in lui gridava altrimenti. Un semplice tocco.
Immediatamente Merlino ne sentì la mancanza, la sua pelle
fremeva come attraversata da mille e mille scosse elettriche. Era
bastato un semplice tocco.
Non riusciva a
crederci Merlino. Si chiedeva se magari la febbre indotta dal veleno di
Nimueh non avesse iniziato anche ad intaccare la sua ragione oltre che
al suo corpo, mescolando realtà a mera fantasia. Arthur,
anche se non era l’arrogante principe viziato offeso dalla
sua sola presenza, non avrebbe di certo perso il controllo per lui, per
quel figlio di nessuno morente. E mai... mai l’avrebbe
toccato in quel modo così… no, non poteva dire
quella parola, non era possibile. Arthur era il principe,
eppure… lo aveva sfiorato in un modo quasi intimo.
C’erano
state volte in cui il principe aveva dimostrato di considerarlo
più di un semplice servo, qualcuno cui impartire ordini e da
guardare dall’alto in basso. Alle volte, gli veniva quasi da
credere che Arthur lo considerasse un suo amico. Forse non un amico cui
raccontare i propri segreti più oscuri o i propri timori, ma
qualcuno di cui fidarsi con la certezza che sarebbe stato lì
quando ne avesse avuto bisogno. Era una cosa che sentiva attraverso
certi piccoli gesti o azioni, attimi in cui tutto il resto diveniva
insignificante. Un ricordo preciso si fece strada in lui con
prepotenza. Un flash, rapido ed indistinto, in cui Arthur gli
circondava le spalle con un braccio. Lui, lo stupido servo. Il suo
principe non era tenuto a salvare la sua patetica, idiota esistenza
eppure lo aveva fatto, rischiando la furia di Uther.
Ricordare quegli
attimi in cui i loro corpi si erano trovati vicini, così
vicini, stretti l’uno al fianco all’altro gli
mozzava il respiro già flebile. Ma non era stata la prima
volta, la prima volta in cui la sola presenza di Arthur, una sua misera
parola, lo aveva mandato in confusione.
C’era il
modo sarcastico con cui si affrontavano, quello scambio che veniva loro
naturale almeno quanto respirare. O la cosa che preferiva
più di tutte, quando Arthur gli diceva almeno una volta al
dì “Merlino, tu idiota” in quel suo tono
frustrato, ma che all’udito di un semplice servo perdeva
tutta la sua ostilità, risuonando allegro come una melodia
di note giocose.
C’erano
volte in cui Arthur lo scrutava con quei suoi occhi di tempesta, con
uno sguardo che non riusciva a definire. Uno sguardo che faceva tremare
tutto il suo corpo senza che potesse impedirlo e lo faceva arrossire
come un’ingenua servetta. Sapeva che non voleva dire nulla
quello sguardo, non poteva dire nulla.
Ma ora? Ora non aveva
più certezze, Merlino. Quel bacio sulla fronte, quel tocco
fra i capelli umidi, l’avere anche solo Arthur al suo
capezzale a prendersi cura di lui, gli faceva battere il
cuore come lo stallone del suo principe lanciato al galoppo nel fragore
della battaglia. Aveva paura che decidesse addirittura di balzargli
fuori dal petto. Sentiva le dita implorarlo di poter afferrare quella
mano callosa ma gentile e stringerla forte.
Chissà cosa
sarebbe successo se avesse aperto gli occhi. Poteva percepire il
respiro di Arthur sfiorargli i capelli. Poteva sentire il profumo della
sua pelle: olio, sudore, sapone e una cosa cui non poteva dare un nome
preciso ma che era irrimediabilmente Arthur.
Avvertì il
principe farsi più vicino, prima che le sue labbra calde gli
sfiorassero una tempia per la durata di un battito di cuore. Avrebbe
voluto spalancare gli occhi per la sorpresa ma il suo corpo non
rispondeva più. Era troppo malato e stanco. Poteva solo
sfiorare il mento di Arthur con le ciglia in un movimento quasi
impercettibile. Poteva solo questo mentre il desiderio di circondare il
collo del suo principe e stringerlo a sé diveniva sempre
più soffocante. Ma niente funzionava come avrebbe voluto.
Semplicemente le sue membra non volevano ubbidirgli.
Doveva muoversi,
emettere anche solo un sussurro, mostrargli che lui, Merlino, era al
suo fianco ma non poteva. Il suo corpo non voleva cooperare anche se,
forse, era meglio così. Arthur avrebbe avuto ragione nel
chiamarlo idiota e questo non andava bene.
Non riusciva a
ragionare. La sua mente era confusa, avvolta in una grigia nebbia che
la febbre rendeva sempre più fitta. Arthur si
stava allontanando.
Avrebbe voluto urlare,
implorare di tornare al suo fianco ma non poteva.
“Guarisci
presto, Merlino. Per me”.
Le spire del sonno lo
avvolsero nuovamente mentre le parole di Arthur risuonavano potenti
dentro di lui, accendendogli una luce calda nel cuore.
Da qualche parte,
forse dai meandri stessi di quel palazzo di pietra, il suono di una
risata antica si diffuse nell’aria circostante.
Due uomini, un solo
destino.
Due uomini,
un’anima sola.
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