Buonasera gente!
Sorpresi?
Alla fine sono tornato! Non vi ruberò molto tempo, ma volevo
solo chiarire che
il nostro fiammeggiante Ace in questa 'long/raccolta/non lo so'
sarà una donna
per il semplice fatto che è il mio personaggio preferito, ma
lo preferirei
ancora di più se avesse un paio di tet... Oh, i capelli lunghi.
LOL. Per farmi
perdonare ci metterò dentro un po’ di
romanticismo. Sono un romanticone, cosa
volete farci.
Quindi
niente, spero vi
piaccia, spero vi divertiate, spero che Anne vi faccia restare a bocca
aperta e…
E niente, è già troppo così.
Portgas.
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Whitebeard
Pirates’ Flame.
1.Tanto
vale
essere amici da subito.
Si
svegliò di
soprassalto, con il respiro affannato e un grido disperato incastrato
in gola. Il
lenzuolo aggrovigliato ai piedi del letto le intrappolava le gambe,
facendole
credere in un primo momento di essere legata, mentre la luce che
filtrava dall’oblò
sulla parete alla sua destra la investì in pieno viso,
costringendola a sbattere le
palpebre in un attimo di smarrimento.
Quella
non era la sua
cabina; quello non era il suo letto, troppo stretto e con solo un
cuscino; gli
oggetti sparsi in giro e l’arredamento non le dicevano nulla.
Solo gli abiti
erano gli stessi, anche se non aveva idea di che fine avessero fatto i
suoi stivali.
Deglutendo
a fatica e
percependo il cuore aumentare il suo battito, decise di far scivolare i
piedi
giù dal giaciglio, rabbrividendo a contatto con il pavimento
di legno scuro,
troppo scuro rispetto a quello della sua stanza, e solo dopo essersi
abbottonata
la camicia si alzò, muovendo i primi passi un poco
instabili.
Sentiva
male ovunque e
ad ogni articolazione. Le sembrava che una spalla fosse fuori uso,
mentre le
gambe le dolevano ad ogni sforzo che compiva durante la sua avanzata.
Credeva di
averci fatto l’abitudine, ormai, erano imprevisti del
mestiere che quella
scelta di vita comportava e, per quanto le riguardava, esibiva con
fierezza le
ferite che guadagnava lungo la strada, ma quelle bruciavano
più del solito.
E
più del suo fuoco.
Aprì
la porta della
cabina e si ritrovò davanti ad un lungo corridoio dal quale
proveniva un
rumoroso vociare, misto al rumore del mare all’esterno, il
tutto completato da
una zaffata di salsedine e odore di zuppa di pesce che la
investì in pieno,
facendole girare la testa e borbottare lo stomaco.
Qualcosa
le diceva che
non mangiava da molto e, mano a mano, che l’uscita si
avvicinava, i ricordi le
si affollavano nella mente, sovrastandosi gli uni con gli altri
rischiando di
farla impazzire.
C’era
stato quel Jimbe
che l’aveva sfinita, totalmente, per cinque giorni
consecutivi, anche se, alla
fine, il primo a stramazzare al suolo era stato lui. Ben gli stava.
Poggiò
la mano sul pomello,
trovando la porta socchiusa e spingendola, mentre una consapevolezza
che non
avrebbe voluto avere si faceva strada in lei, facendole contorcere le
budella.
Alla fine
aveva perso,
sopraffatta dalla stanchezza e da tutto quel potere che non aveva
calcolato in
precedenza, troppo convinta di essere imbattibile con il suo potere che
le
faceva scorrere il fuoco puro nelle vene.
Aveva
commesso un grave
errore e, solo per colpa sua, l’uomo che voleva uccidere
l’aveva sconfitta e
umiliata.
Uscì
sul ponte,
lasciandosi illuminare dalla luce del sole che le diede immediatamente
una
sensazione di calore, notando un cielo azzurro e l’oceano
infinito, calmo e
piatto. Si portò i capelli dietro le spalle, disordinati a
causa delle ore
passate a dormire e del venticello che gonfiava lievemente le vele
degli
alberi.
Aveva
riportato un
sacco di ferite; era stata sconfitta e la nave sulla quale si trovava
non era
per niente la sua amata Spade.
-Finalmente
ti sei
svegliata.-
Si
voltò di scatto ma,
non trovando nessuno alle sue spalle, alzò il capo per
incontrare una figura
distinta seduta in maniera scomposta sul tettuccio sopra alla porta.
Corrugò
la fronte e
cercò di fare mente locale, senza alcun successo. Non aveva
mai visto quell’uomo
e non aveva idea di chi potesse essere. Gli abiti puliti e chiari, il
corpo
massiccio e le spalle larghe, i capelli castani e acconciati in una
pettinatura
vecchio stile e l’aria che non ispirava affatto fiducia le
confermarono che no,
un elemento del genere non lo aveva mai incontrato, altrimenti se lo
sarebbe
ricordata.
Indietreggiò
quando lo
vide saltare sul ponte, a pochi passi da lei, e andò a
sbattere contro il parapetto;
nel frattempo lui aprì le braccia come a volersi mettere
meglio in mostra. -Io sono
Satch.- disse, accompagnando la frase con un sorriso che lei non
ricambiò,
troppo sconvolta e impegnata a rendersi conto che quello non era un
incubo, ma
la pura realtà. Evidentemente la fortuna aveva deciso di
abbandonarla a se
stessa, lasciando posto alla sfiga più nera.
Si
accasciò a terra,
prendendosi la testa fra le mani e lasciando che i le ciocche corvine
ormai
lunghe le ricadessero morbide sulle spalle.
-Vedrai,-
lo sentì
mormorare, adocchiando dei piedi muoversi sotto ai suoi occhi per poi
scomparire dal suo campo visivo. -Diventerai una di noi.-
A quelle
parole si
irrigidì e ogni fibra del suo corpo vibrò.
-Tanto
vale essere
amici da subito.- continuò l’altro, incurante
della sua reazione e senza
perdere il sorriso.
-Chiudi
il becco!-
sbottò, svuotando il petto dall’aria che aveva
trattenuto e sentendosi più
leggera, come se si fosse tolta un peso dal petto. Anche se,
sinceramente,
continuava a sentire un macigno sullo stomaco e un sentore di nausea
sempre più
forte.
Udì
l’altro ridere e la
piccola soddisfazione che si era presa venne rimpiazzata da un fastidio
crescente. Il suo orgoglio era già a pezzi, non aveva quindi
bisogno di essere
ulteriormente derisa, specie da uno come quello. Chi diavolo si credeva
di
essere?
-Sei
scorbutica di
prima mattina.- le rese noto, sorvolando comunque sulla questione e
cambiando
discorso. -Ad ogni modo, non vuoi sapere cosa è successo
dopo che hai perso
conoscenza?-
La
ragazza strinse i
pugni, senza però zittirlo. I ricordi c’erano, ma
erano confusi e non nitidi,
perciò non riusciva ad avere un quadro generale della
situazione. Se solo quel
fanfarone non l’avesse tirata tanto per le lunghe. Possibile
che non si
rendesse conto del pericolo che stava correndo? Le sarebbe bastato un
secondo
per dargli fuoco e farlo bruciare vivo.
-I tuoi
uomini hanno
provato a difenderti.-
Silenzio.
-Ma li
abbiamo
bastonati per bene.-
Fu certa
che la rabbia
avesse sostituito il sangue nel suo corpo perché
iniziò a fremere e a
digrignare i denti. Se avevano provato a torcere un solo capello alla
sua ciurma
avrebbe ridotto quella nave ad un mucchio di macerie galleggianti,
spedendola
negli abissi senza pietà.
Fece per
alzarsi in
piedi con l’intento di sfogare un po’ di quel
nervosismo su Satch, ma lui la
precedette intuendo le sue intenzioni e la tranquillizzò in
parte.
-Tranquilla,
stanno
bene e sono tutti a bordo.-
Si
mordicchiò un
labbro, mascherando il sollievo che provò
nell’udire quelle parole. I suoi
compagni erano salvi, ma non grazie a lei. Avrebbe dovuto vegliare su
di loro
per proteggerli, invece era crollata dopo il primo colpo senza pensare
alle
conseguenze e abbandonandoli al loro destino. Difficilmente se lo
sarebbe
perdonato e avrebbe fatto di tutti affinché ciò
non si ripetesse.
In quel
momento, però, un
particolare attirò la sua attenzione e decise che, prima di
affrontare i suoi
uomini, doveva risolvere il problema più grosso di tutti.
-Sicuro
di volermi
tenere qui senza sbattermi nelle stive o mettermi ai ferri?-
Dopotutto,
era pur
sempre un Rogia, e addosso non aveva manette di agalmatolite. Le
sarebbe
bastato davvero poco appiccare un incendio.
-Ai
ferri?- ripeté l’altro,
sorpreso da quell’assurda domanda. Loro non mettevano nessuno
ai ferri, che razza di sciocchezze!
Doveva
proprio spiegare tutto a quella ragazzina. -No, non è
assolutamente
necessario.- affermò, elargendole un altro sorriso divertito
quando la vide
restarsene in silenzio a meditare e a rimuginare su quello che le aveva
detto. Quegli
occhi scuri e distaccati un po’ lo mettevano a disagio,
doveva ammetterlo, ma
lui era sempre stato una persona tanto, a volte fin troppo, espansiva
ed era
nella sua indole attaccare bottone con tutti per fare amicizia. Lei,
anche se
era salita a bordo non con le sue gambe e dopo essere stata rivoltata
per bene
come un calzino dal suo capitano, era una nuova compagna e, broncio a
parte,
era pure carina. Era sicuro al cento per cento che sarebbero diventati
grandi
amici.
Così,
saltò giù dal
parapetto sul quale si era accomodato, invitandola ad alzarsi e a
seguirlo per
una visita guidata a bordo della famosa e imponente Moby Dick. Non si
abbatté
quando lei rifiutò e si ripromise di provarci il giorno
successivo, nella
speranza che sbollisse il malumore. Non a tutti piaceva prenderle da
Barbabianca.
Dal canto
suo, la
giovane era ferita nell’orgoglio più di quanto
aveva creduto all’inizio e non
aveva la minima intenzione di fare conversazione o diventare amica di,
come si
chiamava?, di quello lì, tanto meno del resto di loro.
Si
sollevò e tornò
sotto coperta, decisa ad ispezionare il vascello per conto suo e a
ricongiungersi con la ciurma.
Si
sarebbe presa la sua
rivincita e quei bastardi avrebbero capito presto che con il fuoco era
meglio
non scherzare.
Gli
avrebbe fatto
vedere lei chi era Anne Pugno di Fuoco.
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