Il sole picchiava
impietoso, sulla terra mista a sabbia arida. In appena un giorno la
temperatura era aumentata di tre gradi, e a causa
dell'umidità respirare era quasi impossibile. Se ci si
guardava intorno pareva di trovarsi in un miraggio, circondati da
volute di calore che le profonde crepe del terreno sputavano fuori.
L'unico vantaggio di
possedere un hotel, o qualcosa di simile, in mezzo ad un deserto, era
la sicurezza di non avere concorrenza in una zona di almeno seimila
ettari.
-Una stanza.-
tossicchiò con voce roca. Aveva la gola impastata.
-Singola?- l'uomo al
banco, il direttore, squadrò il nuovo arrivato con
diffidenza.
Il ramingo
ricambiò lo sguardo da sotto il cappuccio. Così
conciato era pressoché impossibile farsi riconoscere: niente
domande, niente spiegazioni...
-Si.-
-Nome?-
Si trattenne a stento
dal ridere, indugiando sulla pelata lucida di sudore della persona di
fronte a lui. Tsuda, vecchio idiota!
-Fuuko.- dai, questo
glielo si poteva concedere.
-Ragazzo, ho bisogno
di un cognome. Con chi credi di avere a che fa...-
-Hatori.-
sparò il giovane. Inventato di sana pianta in quel preciso
istante.
Tsuda gli
lanciò un'altra occhiata rancorosa. Era abituato a
riconoscere la balla dalla verità, dopo trent'anni che
faceva quel mestiere, e mandava avanti una baracca lurida dalla quale
passava la peggior specie di criminali. Figurarsi se si beveva una
cazzata simile.
Ma in fondo,
pensò, se stai in mezzo al nulla chi si cura di te?
Forse per abitudine,
forse perché alla fine della fiera non gliene sbatteva
granché nemmeno a lui, il padrone della bettola si
appuntò quello che il giovane gli aveva detto, estrasse un
mazzo di chiavi da una tasca del grembiule, e si spostò
verso un'altra zona dello stabile.
Mentre camminavano,
Fuuko osservò schifato il pezzo di stoffa lercio che Tsuda
portava sopra i vestiti: doveva aver sicuramente visto tempi migliori,
e magari qualche passata di detersivo.
Interruppe i suoi
pensieri quando l'uomo aprì la porta della stanzetta a lui
designata, spingendo di malgarbo il legno con la mano grassoccia.
L'uscio girò a fatica sui cardini arrugginiti, cigolando
così forte che sembrava stesse piangendo.
-Ecco.-
-Grazie.- mosse un po'
all'interno dell'ambiente. Le lunghe gambe gli permettevano falcate di
notevole ampiezza, e con un paio di queste aveva già
percorso l'intero spazio della camera. Dire "striminzita" era un
eufemismo.
-La cena è
alle sette, le luci si spengono alle undici e mezza, e se vuoi del
divertimento basta chiamare me.- sciorinò Tsuda strascicando
la voce come se avesse avuto da compiere uno sforzo immane.
Fuuko rise
sguaiatamente. "Divertimento". Che stronzo. Lo congedò con
un gesto della mano e gli piantò davanti un sacchetto di
soldi.
-Questi dovrebbero
bastare.- disse con un tono sbrigativo che lo invitava chiaramente a
togliersi dalle palle.
L'uomo lo
afferrò con una mano unticcia e lo ficcò in
fretta in tasca, voltandosi e togliendo il disturbo senza dire nulla.
Fuuko si sedette sul
letto: almeno il materasso era abbordabile. Si costrinse a non pensare
su chi o cosa avesse dormito (o fatto altro) tra quelle lenzuola, per
evitarsi un sicuro rivoltamento di stomaco, tolse la palandrana color
cammello e vi si sdraiò sopra.
Gli dava fastidio
ammetterlo, ma era stanco morto. Il viaggio era durato parecchi giorni,
che in mezzo al deserto erano sembrati mesi. Puzzava, oh si, e aveva
probabilmente venti chili di polvere addosso. Sollevò una
ciocca di capelli neri per osservarla: per colpa della sabbia aveva
assunto una tonalità vicina al castano.
Sbuffando, si
alzò dal letto, levò a fatica i vestiti, e
andò a farsi una doccia. L'occhio gli cadde sulle
piastrelle: i residui di calcare avevano creato una patina dura come
cemento, per non parlare della ruggine che...
-Bleah...- chiuse gli
occhi e girò la manopola a tentoni. Meglio non guardare.
Il getto d'acqua
fresca gli fece correre un brivido piacevole lungo la schiena. Ah, che
meraviglia.
Non seppe di preciso
quanto tempo fosse rimasto sotto la doccia, ma quando uscì
si sentiva bene da morire, rilassato, pulito (e non è poco).
Aprì la sacca da viaggio e ne estrasse un asciugamano, col
quale si frizionò i capelli. Poi infilò un paio
di boxer e di pantaloni puliti, calzò gli immancabili
scarponi, fece un fagotto con gli abiti che aveva usato durante il
viaggio e andò alla lavanderia comune.
Mentre appoggiava
l'agglomerato di vestiti su un tavolino, osservò alcuni
degli altri clienti dell'albergo, anche loro intenti a lavare i panni.
Ridacchiò
alla vista di un uomo piuttosto nerboruto tutto preso a sfregare una
camicia, al centro della quale troneggiava una vistosa macchia
giallognola.
"Residui di
sbornia..." pensò. Poi vide che aveva un'altra maglia
ammollo, schizzata di rosso.
"...e di rissa."
concluse scuotendo il capo.
Si avvicinò
ad una vasca, vi immerse i propri indumenti e diede loro una prima
sciacquata. Poi con una voluminosa saponetta iniziò a
pulirli per bene.
Stava per appenderli
ad asciugare quando fu riportato all'ordine da un brontolio minaccioso
del proprio stomaco. Gettò un'occhiata all'orologio appeso
alla parete: grazie al cielo mancavano cinque minuti alla cena.
Entrato nella sala da
pranzo, che fungeva anche da semplice bar, occupò il
tavolino più piccolo e più decentrato. Attirava
già abbastanza l'attenzione senza far nulla, figuriamoci
andarsela a cercare.
A poco a poco la
stanza si riempì di gente, alcuni dei quali, in gruppo, si
dimostravano già boriosi e rumorosi, perfino da sobri.
-Povero Tsuda...-
commentò sottovoce Fuuko -...per forza si è
ridotto così, a vedere ogni santo giorno della gente simile.-
Per un attimo nei suoi
pensieri si focalizzò lo scopo di quel viaggio. Il compito a
cui doveva adempiere... ormai era così vicino...
-Stasera.-
sussurrò.
-Stasera.-
ripeté più forte, per fissarlo bene in testa.
Dopo aver ingurgitato
di malavoglia anche l'ultimo pezzo di bistecca, si pulì la
bocca col tovagliolo (incredibile che ci fossero), scostò la
sedia e fece per andarsene, quando qualcuno lo fermò
afferrandolo per un braccio.
-Ehi, bambolina! Che
ci fai tutta sola in un posto simile, eh?-
Il naso di Fuuko fu
pervaso da un odore di alcool insostenibile. Sicuramente quello che gli
aveva stretto la mano attorno al polso era ubriaco fradicio. Poco male.
-Che cazzo vuoi?-
sibilò.
-Oh no.- riprese
l'altro, simulando un tono dispiaciuto. -Le belle ragazze non
dovrebbero parlare in maniera così poco delicata!- aggiunse,
girandosi verso i compari seduti allo stesso tavolo, che risero
all'unisono come una mandria di pecoroni.
Fuuko stava
decisamente perdendo la pazienza. Non voleva causare guai, ma era
meglio mettere le cose in chiaro.
-Te lo
ripeterò una volta sola.- ringhiò rivolgendosi
all'uomo.
Si voltò,
liberandosi con facilità dalla presa e afferrando per il
collo taurino l'energumeno che gli aveva fatto saltare i nervi. Strinse
le lunghe dita affusolate così tanto che era sicuro di
avervi lasciato l'impronta, e lo sollevò dalla sedia
portandolo a livello del suo volto.
-Non farmi perdere le
staffe. O per te sono guai.- scandì ogni parola col veleno.
Lo fissò negli occhi.
Senza averne realmente
l'intenzione, aveva assunto uno dei suoi sguardi più freddi
e terribili. Tutta la tavolata si era zittita e lo fissava sconcertata.
-Mi hai capito?-
aumentò la presa sul collo dell'altro, che boccheggiava, nel
tentativo di prendere aria.
Avrebbe dovuto
fermarsi. Doveva controllarsi.
Difficile.
Sentiva il sangue
affluirgli velocemente al cervello, imporporargli le gote.
-Hai capito quello che
ti ho detto??- urlò.
Ormai nella sala
aleggiava un silenzio sinistro, e tutti gli occhi erano puntati su di
lui.
Sentiva il cuore
pulsargli nelle orecchie.
-...ko...-
Che rumore...
-...ko!-
Ancora.
-...Fuuko!!-
Una voce lo
riportò alla realtà. Girò la testa di
lato e guardò in basso. Tsuda lo fissava con il panico negli
occhietti acquosi, spalancati e vitrei.
-Fuuko Hatori, mettilo
giù. Non... Non voglio grane in questo posto!! Altrimenti
prendi la tua roba e te ne vai!-
Doveva aver raccolto
tutto il suo coraggio per parlargli a quel modo.
Fuuko si sentiva
spaesato. Mollò la presa sull'uomo che stava suo malgrado
strangolando, che cadde con un tonfo sordo sulla sedia.
Lo guardò.
Si aggrappava al
tavolo massiccio con un braccio, annaspando alla ricerca di ossigeno, e
recuperando pian piano un respiro regolare.
Sul collo spiccavano
dei lividi violacei, laddove le dita del ragazzo avevano esercitato la
loro pressione.
-Q-quello è
pazzo...- bisbigliò con voce rotta qualcuno in un punto
imprecisato alla sua destra.
Avrebbe voluto essere
inghiottito dal pavimento. Era mortificato.
-Mi dispiace.-
balbettò.
Il silenzio era
pressante. Lo soffocava.
-Mi dispiace davvero.-
Raggiunse la propria
camera senza riflettere, muovendosi come un automa. Si sedette sul
letto e appoggiò il capo sui palmi delle mani. Non avrebbe
davvero voluto reagire così, ma odiava, detestava con tutto
se stesso quando facevano battute sul suo volto. Non ragionava
più. Anche se dopo si sentiva da schifo.
L'unica cosa che
poteva distrarlo, in quel momento...
-Tsuda.-
L'uomo stava lavando
alcune vettovaglie, e pareva che non l'avesse sentito. Gli
picchiò gentilmente sulla spalla, e questo si
voltò.
-Che vuoi? Sei venuto
a dirmi che alla fine l'hai ammazzato?-
-No. E scusa ancora.-
L'altro
agitò sbrigativo la mano.
-Lascia stare, lascia
stare...- posò sul bancone il bicchiere ancora umido e il
canovaccio che stava usando per asciugarlo.
-Allora, cosa ti
serve?-
Fuuko
sussultò un poco. Tsuda lo stava guardando dritto in faccia,
ma la sua espressione non era cambiata per nulla. Forse era l'unico a
reagire così.
-Presentami le tue
ragazze.- disse.
L'oste
annuì, afferrando il famoso mazzo di chiavi.
-Vai nella tua stanza,
te le porto là.-
Dieci minuti dopo, il
giovane sentì bussare alla porta.
-Avanti.-
Circa dieci o undici
bellissime ragazze entrarono nella stanza con passi leggeri e
aggraziati, e si disposero in fila davanti a lui. Le osservò
con cura: avevano acconciature elaborate, indossavano kimono molto
raffinati e colorati, ma aggiustati sul corpo in modo da lasciare
scoperte le gambe e una generosa porzione di scollatura. Sul volto di
alcune, notò, il trucco era un po' troppo pesante.
Le guardò
ad una ad una, mentre Tsuda ne presentava il nome, e loro facevano un
breve inchino. Via via che l'uomo parlava, si sentiva sempre
più imbarazzato, e avvertiva una strana sensazione, sicuro
che qualcosa non andasse.
Il presentimento si
fece più forte quando arrivarono all'ultima, una certa Yui o
qualcosa di simile.
-E... Poi?- chiese il
ragazzo.
-"Poi" cosa?-
incalzò irritato l'altro.
-Sei sicuro di
avermele mostrate tutte, vecchio?- grugnì Fuuko.
L'altro fu chiaramente
preso in contropiede, ed esitò prima di rispondere.
-Che altro dovrebbe
esserci, me lo spieghi?- si era messo sulla difensiva.
-Ho sentito... Che non
hai solo queste ragazze, vero Tsuda? Perché non mi mostri
anche l'ultima?-
Sbuffò.
-Entra.- si rivolse
sgarbatamente a qualcuno che stava in corridoio.
Cercando un po' di
spazio in quello sgabuzzino che era la camera, si fece avanti una
figurina esile e bassa, a capo chino, ondeggiando i lunghi capelli
bianco latte.
-Voglio lei.- disse
Fuuko, soddisfatto.
Se qualcuno gli avesse
chiesto di prendere a testate un muro, forse Tsuda avrebbe avuto
un'espressione migliore.
-Lei costa il doppio.-
ringhiò rabbioso.
-Posso darti anche il
triplo.- disse il ragazzo.
-Lei è
particolare.-
-E allora?-
-Lei...-
esitò. Non sapeva più che dire per farlo
desistere. Era chiaro come il sole che non gliela voleva lasciare.
-Vecchio, la tratto
bene, non ti preoccupare.-
-Ma lei...-
Fuuko gli fece segno
di avvicinarsi, e gli bisbigliò qualcosa all'orecchio,
scostando di poco il cappuccio che aveva indossato per tutto il tempo.
Intanto tra le giovani donne in piedi, era iniziata una battaglia a
colpi di sussurri. Dai loro sguardi, tutti erano chiaramente
pettegolezzi, rabbiosi e infastiditi, che alludevano alla scelta del
"nuovo arrivato", caduta sulla piccola ragazza dai capelli bianchi
invece che su una di loro.
Mentre i due
parlottavano, Tsuda si lasciò scappare un gridolino di
sorpresa, e dopo di questo si ammutolì. Irrigidito, si
voltò a guardare le donne, con un'espressione a dir poco
allibita stampata in volto.
-Andate.- disse con un
filo di voce.
-Come?- chiese una,
scrollando stizzita i fulvi ricci ornati di orchidee.
-Ho detto andate.- poi
guardò la più piccola. -Tu resti.-
-Muovetevi!-
abbaiò, vedendole esitanti.
Queste si decisero ad
uscire, starnazzando come oche. Sguardi malevoli aggredirono la
ragazzina che, nervosa, non doveva muoversi di lì.
Probabilmente, pensò lei, dopo quel giorno sarebbe stata
trattata ancora peggio.
Come se non fosse
già abbastanza penalizzata.
Per ultimo,
uscì anche il vecchio oste, chiudendosi la porta alle
spalle, con un altro sacchetto di monete a tintinnare in tasca.
Il silenzio
più totale calò nella stanza.
-Vieni avanti.-
L'ordine del ragazzo
spaccò il silenzio come uno sparo. Lei mosse qualche passo,
torturando con le piccole mani un lembo della veste. Si
fermò a pochi centimetri dalle ginocchia del giovane, seduto
sul materasso. Era davvero minuscola, poco più alta di lui
seduto.
-Il mio nome
è Fuuko.-
-I-io...-
iniziò lei, titubante. -Io sono Chiu.-
-E' un bel nome.-
Guardò il
suo viso. Le iridi rosa erano lucide, gli occhi colmi di lacrime.
-Hai paura?- le chiese.
Lei annuì,
incapace di parlare per il nodo che aveva in gola.
-E' la prima volta che
qualcuno ti sceglie tra le altre?-
-Si...-
riuscì a rispondere. -D-di solito tutti, appena sentivano il
prezzo d-doppio, prendevano un'altra ragazza, e così, io...-
-Non devi avere paura,
io non voglio farti del male.- abbassò il cappuccio e tolse
il mantello, gettandolo da una parte.
Chiu perse un battito.
Era un essere umano, quello che le si trovava davanti?
Tracciò con lo sguardo il profilo di quel volto. I lunghi
capelli neri scendevano lisci e fluenti ad incorniciarne l'ovale, dai
lineamenti dolci e femminei, nel quale troneggiavano due grandi occhi,
neri come la china. Il naso leggermente lungo, ma stretto e un po' a
punta, e una bocca dalla forma a cuore e dalle labbra morbide e
colorite, lo rendevano simile ad una donna.
Veloce com'era
arrivato, lo stupore sparì, sovrastato dalla consapevolezza
che era comunque un uomo, e come tale voleva solo una cosa da lei.
-Ehi, ma stai
tremando...?-
Chiu non lo
udì neanche. Stringendo gli occhi e cercando di non pensare
a ciò che stava facendo, sciolse la cintura dalla propria
vita, prese i lembi di veste che le coprivano le spalle, li
sollevò ed iniziò a spogliarsi.
Sentiva la stoffa
scivolarle inesorabilmente via di dosso, quando due mani la fermarono.
Aprì gli occhi, interdetta e sorpresa.
Fuuku si era alzato in
piedi, e le sue iridi nere la fissavano sconcertate.
-Che stai facendo?- le
chiese con un tono di voce simile a quello di un bambino.
-B-beh, io pensavo
che...-
-Ti ho mai chiesto di
fare una cosa simile?- incalzò.
Chiu non capiva. Lo
guardò meglio: era rosso in faccia.
-Che diamine,
così mi imbarazzi!! Vestiti!!-
-Ma...-
cercò di chiedere, venendo prontamente interrotta.
-Vestiti, accidenti!!-
Il ragazzo le
piantò in mano la cintura rossa, che avvolse intorno alla
tunica azzurrognola, rimessa a posto.
-Non voglio nulla di
tutto questo da te. Siediti.- le disse, facendole spazio sul materasso.
Chiu si
accomodò, con mille domande che le frullavano in testa.
Fuuku le prese con due dita un orecchio.
-Cos...?!-
-Sono davvero a
punta... Eh?-
Lei non rispose. Ma
che voleva questo?
-Raccontami la tua
storia, Chiu, Figlia di Demoni.-
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Fine
primo capitolo.
Però,
lungo! Credo che al momento non si capisca un accidenti della storia.
Comunque si, Chiu ha i capelli bianchi, gli occhi rosa e le orecchie a
punta. u.u è una figlia di... demoni!! Ok, meglio postare il
prossimo capitolo in fretta...
Ditemi che ne
pensate!! ^^
R.d.B.
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