Private Lies

di Corvero
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NEI CAPITOLI PRECEDENTI:

“Secondo i rapporti ufficiali, il nostro “nuovo” acquisto” Patricia fece una pausa, calcando sulle sue ultime parole con disprezzo “ha continuato a parlare di una misteriosa “telefonata” che avrebbe rivelato la sua copertura. Ma nessuno ha telefonato a quell’ora.”
“Io e te sappiamo bene quanto i rapporti ufficiali siano spesso…imprecisi…” commentò Dan.

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Mentre il video le scorreva sotto gli occhi, e l’audio (un lungo concerto di spari e urla, seguito da un mormorio quasi impercettibile) rimbombava nella stanza, il volto di Patricia si trasformò in una maschera di orrore “Oh mio Dio” commentò sconvolta “Oh mio Dio”.

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“Scoprirò ogni cosa sul conto di chi è responsabile di tutto questo. E il giorno in cui sarà in mano nostra…farò in modo che se ne ricordi per sempre” concluse Steven a bassa voce, fissando il suo sguardo sul sole che stava tramontando nel Lago Michigan.

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Il suo volto uscì dalle tenebre. Si trattava del terzo uomo nella fotografia di Dan.

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Con un sorriso soddisfatto, Kerman strappò l’indumento dal corpo, recuperando un mazzo di chiavi nascosto al suo interno. Il mazzo era attaccato a un portachiavi etichettato come “PAULA CANTRELL-LOFT”.

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“Il tuo collega è la chiave per arrivare alla tua libertà. Tu continua ad informarmi su di lui, e un giorno, quando te lo sarai meritato, l’originale di quella cassetta sarà tuo.” concluse il messicano, Patricia si tolse gli occhiali scuri, rimanendo per alcuni secondi a fissare la schiena dell’uomo che si allontanava lentamente.

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L‘uomo, quando fu chiaro che Jane non lo poteva più sentire, prese il suo telefonino e compose un numero. “Sono Parker. Il primo contatto con la seconda potenziale talpa è stato effettuato” comunicò freddamente.
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“Si chiama Zoe qualche cosa. Vive a Delavan, vicino al lago. Andavamo da lei qualche volta…ha un loft e dava le chiavi a Paula”

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“Un collasso? Quanto grave?” si informò nervosamente Dan. L’infermiere sospirò “Signor Weissman, Ginevra Shelby è morta.”

CAPITOLO III: La casa sul lago

SEARS TOWER, PIANO 42-INTERNO 8

QUATTRO ANNI FA

L’ufficio, perfettamente arredato, era completamente vuoto. La scrivania, di mogano purissimo, era stata girata in modo da godere al meglio della splendida vista sul lago Michigan. Nonostante fosse tarda notte, le luci della città garantivano una luce discreta, che illuminava la sedia in pelle e gli scaffali di legno pregiato, conferendo alla stanza un aspetto crepuscolare.

All’improvviso la porta dell’ufficio si aprì di scatto, permettendo a due uomini di entrare. Il più alto dei due era l’uomo della fotografia di Dan, l’uomo che, molti anni dopo, avrebbe incastrato Steven. L’altro era Dan in persona.

I due si fermarono vicino alla scrivania. Dan appoggiò i gomiti sul mobile, sospirando profondamente. Il suo compagno, decisamente più rilassato, si accese una sigaretta ed inspirò lentamente il fumo, quasi assaporandolo.

“Non c’è niente di meglio di questa sera” sentenziò “Una notte serena, un amico con cui discutere, un pacchetto di sigarette. Felicità, perfezione e pienezza di vita”. Inspirò di nuovo. “Non sei d’accordo, Dan?” Dan non rispose se non con una smorfia di scarsa convinzione. “Potrei fare degli esempi diversi di quello che intendo come felicità, ma sarebbero fuori luogo, Virgil” commentò .

Virgil annuì lentamente, appoggiandosi alla finestra. “Eppure è uno spettacolo magnifico. Mi ricordo ancora di quando lo vidi per la prima volta: non riuscivo a credere ai miei occhi” continuò, quasi estasiato “Milioni di persone sotto di te, ignare, che vivono la loro vita… Chi arriva qui è sopra ogni giudizio, al di là di ogni possibile vendetta, o meschina ritorsione. E’ così che si sente Dio, quando ci osserva” concluse. Dan non obiettò: sembrava nervoso e vagamente a disagio.

“La tua pistola, Dan” ordinò Virgil in tono secco. “Prendila dalla tasca destra e appoggiala sulla scrivania”. Stupefatto, Dan si bloccò per un attimo. “Come hai fatto ad indovinare?” mormorò. “Andiamo…” obiettò Virgil, sorridendo. “Sapevo me la avresti portata…lo fai sempre” Dan non rispose: semplicemente, frugò nella sua tasca destra e appoggiò una automatica sulla scrivania, togliendo il caricatore che si infilò in tasca. Virgil premette un pulsante e le luci dell’ufficio si accesero. La luce improvvisa quasi accecò Dan, che si dovette riparare gli occhi con una mano.

“Da quanto tempo ci conosciamo, Dan?” domandò Virgil. “Dieci anni” rispose Dan, senza riuscire a guardare negli occhi l'uomo a cui aveva risposto. “E siamo amici, non è vero?” continuò Virgil. Dan non rispose. “Dan, capisco come ti senti. Mi sentivo anche io come te, due anni fa. Avrei voluto piantare una pallottola in testa all'uomo che mi aveva introdotto nelle Sequoie. Ma passerà, vedrai” concluse Virgil, concedendosi una seconda sigaretta. “Quello che ti hanno chiesto, ciò a cui hai rinunciato...non è nulla, rispetto a ciò che riceverai” spiegò. “Sei come un bruco che rimpiange il bozzolo che ha dovuto abbandonare..ma non sa che diventerà una farfalla”.

“Voglio uscirne, Virgil. Lascio le Sequoie.” rispose Dan, fissando il suo amico negli occhi per la prima volta dall'inizio della conversazione. “Non si esce dalle Sequoie, Dan” osservò Virgil, spegnendo la sua sigaretta in un posacenere nero. “Non mi importa. Uccidetemi pure, se volete” rispose Dan. “Non funziona così.” obiettò Virgil “Non ci sono punizioni per chi decide di abbandonarci...semplicemente, nessuno può farlo. Te ne accorgerai”.
“E se domani mattina entrassi nel commissariato più vicino, e rivelassi tutto ciò che so, Virgil? Che cosa fareste?” chiese Dan, in tono provocatorio. Virgil si limitò a scuotere la testa. “Chi ti crederebbe?” si limitò a rispondere. Dan non rispose. “Riposati, Dan” disse Virgil “Hai già fatto abbastanza. Un giorno, quando avremo bisogno di te, ti contatteremo di nuovo” concluse.

CASA DI DAN WEISSMAN

PRESENTE

“Signor Weissman, Ginevra Shelby è morta.” Le parole dell'infermiere paralizzarono Dan, che si riprese solo dopo alcuni secondi “Avverto subito la signorina Shelby. Grazie per avermi chiamato” rispose Dan , in tono meccanico, rimettendo la cornetta al suo posto.

Per alcuni secondi non reagì, rimanendo immobile, come se un improvviso colpo alla testa lo avesse tramortito. All'improvviso afferrò il telefono e compose un numero.

LUOGO SCONOSCIUTO

Virgil sedeva alla sua scrivania, osservando il suo portatile e scuotendo la testa “Questo complica tutto” mormorò fra sé e sé. Il suo telefonino suonò le note dell'inno americano. Virgil lo prese in mano e lo portò all'orecchio. “Hanno ucciso la madre della mia segreteria” gli comunicò freddamente Dan attraverso il cellulare.

Virgil aggrottò le sopracciglia “Strano, non è nel loro stile” rispose. “Nel loro stile?” urlò Dan, infuriato. “Una donna innocente è morta, anche per colpa tua, e tu dici solo che non è nel loro stile?” “Da quanto mi hai detto, era una donna molto malata. Avrebbe potuto morire domani, o dopodomani. E non l'ho uccisa io, Dan” obiettò Virgil. “Così come non hai ucciso la partner del mio nuovo detective, non è vero?” ribatté Dan, urlando sempre di più.

“Lamentarsi non riporterà quelle due donne in vita, Dan. Ovviamente non vorrei mai che queste cose accadessero, ma quella che combattiamo è una guerra. I civili, purtroppo, a volte rimangono uccisi.” spiegò Virgil, rimanendo calmo. “Piuttosto, fossi in te licenzierei il tuo avvocato, Patricia Lawford. Ha un passato..non proprio esemplare, diciamo...e potrebbe essere facilmente ricattabile” Dan non rispose. “Tu non lo sapevi, vero Dan?” insinuò Virgil.

“Non sono cose che vi riguardano” rispose Dan in tono brusco. “Hai un curioso senso della moralità, Dan. Non accetti che degli innocenti muoiano, e assumi una donna come Patricia Lawford pur sapendo ciò che ha fatto...” osservò Virgil. . “Le consiglierò di trovarsi un nuovo lavoro” rispose Dan dopo alcuni secondi. “No, aspetta” lo interruppe Virgil “Se lei sa che tu sai del suo passato, forse possiamo usarla” “Le persone non sono manichini nelle nostre mani, Virgil!” obiettò debolmente Dan. “Oh, andiamo. So che tu preferisci chiamarlo un modo per rimediare ai tuoi errori, ma tu manipoli le persone che ti circondano come e più di me” concluse Virgil, leggermente divertito. “Ecco cosa farai...” proseguì.

PRIVATE LIES

Starring:

Skeet Ulrich as Steven Campbell
 
Jennifer Morrison as Patricia Lawford

Philip Baker Hall as Dan Weissman

And

Rainn Wilson as Frank Lee Beaumont
 
Guest stars:

Sophia Bush as Zoe

Joel Gretsch as Taggart

Karl Urban as Kerman
 
Jack Coleman as Agent Gall

David Gallagher as Harvey Krakowski

Cheech Marin as The Mexican

Jessy Schram as Jane Shelby
 
DELAVAN. SULLA RIVA DEL LAGO

L'automobile di Steven e Frank percorreva una strada che costeggiava il lago di Delavan. I fari illuminavano le poche case nei dintorni, tutte ville ben arredate, circondate da giardini perfettamente curati.

All'interno dell'automobile, Frank continuava a lanciare occhiate glaciali ad Harvey, che si ostinava a sbuffare e a torcersi le mani. “Ho un esame domani” mormorò l'ex-fidanzato di Paula in tono petulante. “Davvero non capisco cosa ha potuto trovare una ragazza come quella in una mezza cartuccia come te” ribatté Frank. Steven,sibilando fra i denti, sterzò leggermente, facendo cadere Frank addosso ad Harvey. “Sei impazzito?” urlò stupefatto Frank. “Se non la smetti, ti faccio cadere nel lago” obiettò Steven “Finiscila di fare l'idiota e stai zitto. Sei il peggior partner con cui ho lavorato.”

“Ah, sì, sai che ti dico, Hollywood? Che senza di me, tu non andresti da nessuna parte!” rispose Frank, offeso. Steven scoppiò a ridere. Frank alzò le spalle, mettendo il muso. “Non ti meriti un partner come me...sono sprecato con un californiano” continuò, mentre Steven tentava a fatica di rimanere serio. “E' laggiù! Quel capannone, dopo il canneto” li interruppe Harvey, indicando un magazzino grigio che spiccava fra le foglie degli aceri che circondavano il lago. Steven annuì e accelerò leggermente.

L'automobile si fermò in uno spiazzo invisibile dalla strada, nascosto come era dal canneto. Steven uscì immediatamente, mentre Frank si trascinò dietro Harvey, che sembrava decisamente riluttante. “E se la polizia e quei tizi sono anche qui?” borbottò. “Mi hai detto tu che nessuno sapeva di Delavan a parte te e Paula...e se hanno cercato di catturarti, evidentemente non lo sapevano nemmeno “Loro”...” replicò Steven in tono asciutto, chiudendo le porte dell'automobile. Harvey annuì, non molto convinto.

“Da dove si entra?” chiese Frank, esaminando il magazzino. Harvey deglutì e si avviò verso destra, seguito subito da Steven e Frank. Arrivato davanti ad una porta rossa Harvey iniziò a battere il pugno secondo un ritmo preciso. “E' così che ci presentavamo, io e Paula” spiegò “Era una specie di gioco...” “Direi piuttosto un codice” obiettò Steven.

All'improvviso la porta si aprì scricchiolando. “Zoe? Sei in casa?” chiese Harvey, affacciandosi all'interno. Il magazzino era completamente buio. “Non c'è..strano..” mormorò Harvey. Due mani femminili lo afferrano per il collo, trascinandolo all'interno. Frank e Steven si precipitarono a loro volta nel magazzino. Le luci si accesero di colpo, rivelando tre sedie disposte attorno a un tavolo sporco, e un po' di mobilia in cattivo stato. Una bella ragazza dai capelli scuri teneva un fucile a canne mozze puntato contro di loro. Harvey stava a terra, le mani dietro la testa. “Posate le armi a terra o vi uccido!” urlò la ragazza. Harvey urlò “Sono con me, Zoe! Ti puoi fidare!” La ragazza sembrò non ascoltarlo.

“Armi a terra, ho detto!” urlò di nuovo, agitando il fucile. Steven alzò la sua pistola sopra la testa e la lasciò cadere. “Harvey sta dicendo la verità, Zoe” disse Steven “Non vogliamo farti del male” “Zitto!” gli ordinò Zoe. “E a terra!”

Steven fece finta di chinarsi e si avvicinò a Zoe, strappandole il fucile di mano e puntandoglielo contro. “Se volessi ucciderti, ora potrei farlo” le spiegò. Zoe deglutì, impaurita. Senza aggiungere nulla, Steven lasciò cadere il fucile a terra. “Ora mi credi?” chiese. Zoe annuì, lasciandosi cadere su di una sedia. Harvey si rialzò timidamente, mentre Frank riprendeva la pistola di Steven. “Che cosa volete, allora?” mormorò Zoe. “Notizie su Paula Cantrell. E' scomparsa, e delle persone, persone che non si fanno problemi ad ammazzare gente innocente, la stanno cercando. Credo che tu sai di chi parliamo...” iniziò Steven. Zoe scosse la testa. “Paula mi aveva solo detto che ci sarebbero stati uomini pronti a uccidere, o a torturarmi, per sapere tutto su di lei da me. Non mi ha mai detto perché o chi”.

Steven si morse la labbra. “Non ti hai detto chi? E tu le hai creduto?”chiese, in tono scettico. “Era la mia migliore amica” rispose Zoe, aggressiva. “Non le ho chiesto nulla, degli amici ci si fida e basta.” Frank annuì, ma un'occhiataccia di Steven gli fece tornare il muso. “Da quanto tempo la conoscevi?” iniziò Steven sedendosi di fronte a Zoe. “Chi sei, un poliziotto?” chiese Zoe, in tono di sfida. “Una specie” rispose Steven “Ma siamo tutti nella stessa barca. Gli uomini di cui hai paura hanno quasi ucciso me, il mio collega e Harvey. Paula è scomparsa, noi vogliamo solo ritrovarla e rimanere vivi, potendo”. Zoe annuì di nuovo. Harvey tentò di sedersi sulla terza sedia, ma fa preceduto da Frank, e fu costretto a sedersi per terra.

“La conoscevo da tre anni, ma avevamo legato come sorelle” rispose Zoe, aggiustandosi i capelli e rivelando una brutta cicatrice sopra l'orecchio destro. “Vedete questa? Me l'ha fatta un porco a Chicago tre anni fa. Paula è l'infermiera che mi ha curato, e che mi ha aiutato a denunciare quel maiale, senza impicciarsi degli affari miei, o di come lo avessi conosciuto, o del mestiere che facevo.” Harvey spalancò la bocca, inebetito. “Il mestiere...tu eri una prostituta?” biascicò sorpreso.

“Complimenti, Sherlock!” rispose Zoe, applaudendo sarcasticamente. “A volte mi chiedo che cosa ci trovasse Paula in te!” “Ce lo chiediamo tutti!” aggiunse Frank, sorridendo. Steven incalzò “Paula era un'infermiera, dunque? In che ospedale lavorava?” “Prima al Memorial, quando mi ha aiutato, poi al Saint James. Ma il Saint non le piaceva, così aveva smesso...poco prima di incontrare quell'idiota.” concluse Zoe, indicando Harvey, che non rispose. “Dove lavorava prima di scomparire?” continuò Steven.

“Non lavorava” rispose Harvey all'improvviso “Era tornata all'università, studiava nel mio corso...” Zoe alzò gli occhi cielo, ma annuì. “Aveva stoffa come segaossa e ci sapeva fare con la gente. Mi aveva persino chiesto di venire a studiare con lei” concluse, sorridendo all'idea. “Ma non si diventa una dottoressa lasciando il marciapiede, succede solo nelle favole. No, io ora vivo e lavoro qui, ho trovato un posto in un negozio, mi aiutato Paula”

Steven annuì. “Sapevi nulla delle due ore che Paula trascorreva da sola ogni settimana?” Zoe scosse la testa. “La regola era nessuna domanda., lei non me ne aveva mai fatte. Ma da quello che ho capito aveva per le mani qualcosa di grosso.. da quando aveva mollato questo pollastro, mi diceva continuamente di non aprire agli sconosciuti e di tenere delle armi a portata di mano.”

Harvey si alzò in piedi. “Mi riportate a casa ora?” si lagnò, ma nessuno gli rispose. “Avevi dato delle chiavi di questo loft a Paula?” chiese Steven. Zoe rise. “Sì, lei lo chiamava “il loft”. Avevamo fatto delle chiavi gemelle, un mazzo per me e uno per lei, e avevamo persino scritto i nostri nomi sulle etichette. Paula adorava l'ordine, io invece sono una sciattona”

“Sai nulla sulla sua sparizione?” domandò ancora Steven. “Niente di niente..mi piacerebbe...ma Paula è svanita dalla sera alla mattina...gli sbirri sono persino venuti a parlarmi, li ha mandati qui quel genio del suo fidanzato. A loro non ho detto nulla, ma tu potevi farmi fuori e non lo hai fatto..e non sei uno sbirro, altrimenti mi avresti mostrato un distintivo o roba del genere” concluse Zoe, accavallando le gambe. Steven annuì, guardandosi attorno. “Paula potrebbe essere rimasta qui da te...” iniziò. “E' quello che pensano anche gli sbirri, mi hanno perquisito la casa. Purtroppo non è così, non so dove sia, ma sono sicura che è ancora viva.” “Come fai a dirlo?” domandò Frank.
“La stanno ancora cercando, no?” rispose con aria tranquilla Zoe. “Volete un tè?” aggiunse all'improvviso. “Di sicuro ci sono molte altre domande che volete farmi..” Steven annuì, mentre Harvey iniziava a mordicchiarsi le unghie.

MAGAZZINO

Parker attendeva impazientemente, tamburellando con le dita sul volante della sua automobile, parcheggiata all'interno dell'edificio illuminato solo da pochi tubi al neon. Un uomo gli si avvicinò: nella penombra del magazzino i suoi tratti divennero gradualmente sempre più chiari. Era Taggart.

“Hai portato a termine il tuo compito?” domandò in tono asciutto a Parker, che scosse la testa a malincuore. “Ho dovuto ucciderla...lo ho iniettato una siringa intera: mi aveva visto far fuori un'infermiera pagata da Weissman per sorvegliarla”. Taggart lo scrutò attentamente. “Non mi piacciono le brutte notizie” proclamò. Parker deglutì, terrorizzato. “Possiamo ancora usare Jane Shelby” si scusò. “Possiamo farlo, è vero” commentò Taggart. Parker tirò un sospiro di sollievo. “..ma tu, ora, sei inutile...” concluse l'assassino. Il viso di Parker si trasformò in una maschera di terrore: Taggart aveva acceso un fiammifero e nello specchietto retrovisore l'uomo vide Kerman, che trasportava una carica di benzina.

Disperato, Parker si tuffò fuori dall'automobile, ma fu fulminato dai colpi delle pistole di Taggart e Kerman. “Ci cascano sempre...hanno sempre paura di morire bruciati” proclamò Kerman, soddisfatto. Taggart annuì. Kerman trascinò il corpo morto di Parker in un angolo. Aprì un portellone, rivelando una fornace all'interno del piccolo spazio. Senza fretta infilò il corpo di Parker nella fornace e richiuse il portellone.

Taggart, nel frattempo, ispezionava l'automobile. “Quel fesso aveva un cadavere nel portabagagli. E' una donna, probabilmente l'infermiera di cui ci aveva parlato” annunciò. “Portala qui” ordinò Kerman. “Gall ci ha assicurato che quei poliziotti non sono più un problema, nemmeno quello che abbiamo catturato e spedito noi da lui, ma è sempre meglio far sparire tutte le prove al più presto”.

CASA DI JANE SHELBY

Le note di “Arms of an Angel” di Sarah Mclachlan riempivano la piccola stanza da letto di Jane, che, vestita con un pigiama rosa ,faceva zapping sdraiata sul letto, tentando di distrarsi. Un'occhiata all'orologio alle sue spalle le rivelò che ormai erano le due di notte.

Proprio in quel momento il telefono squillò. Jane alzò il volume della sua radio, ignorando la telefonata. Il telefono continuò a squillare. Spazientita, Jane afferrò la cornetta e urlò: “Qui casa Shelby. Attualmente siamo fuori servizio e molto nervose. Non rompete più.” “Jane, sono io.” le rispose la voce di Dan. La ragazza fece una smorfia di irritazione. “Non mi importa delle sue antipatie in fatto di ospedali, capo. Mia madre andrà al Saint James. E se questo vuol dire che sono licenziata, beh, allora ritirerò la mia liquidazione domani”.

“Jane, ti devo parlare proprio di tua madre” continuò Dan, sospirando. “Devi venire subito all'ospedale.” La ragazza si bloccò, stupefatta. “Oh mio Dio...” mormorò. “Sono in macchina e vicino a casa tua. Ti ci porterò io” le annunciò Dan. Senza perdere altro tempo Jane rimise a posto la cornetta e afferrò un cappotto. Si lanciò fuori dalla porta, mentre le note della canzone svanivano in un mormorio confuso.

CENTRALE DI POLIZIA-SALA INTERROGATORI

L'agente Gall e i suoi due sottoposti dell'FBI controllavano Parrish, White il capitano Harriet Hudson, tutti e tre ammanettati a delle sedie, come dei criminali. “Non dovrebbe tardare molto...” mormorò fra sé e sé Gall, attendendo vicino a un fax. Dopo alcuni secondi un rumore meccanico lo fece sorridere: “Dipartimento di Stato” iniziò a leggere ad alta voce, quando l'apparecchio stampò la prima pagina. “Brutte notizie per voi” commentò, squadrando i suoi tre prigionieri. “Mi è arrivata l'autorizzazione a effettuare le indagine sulla morte dell'agente Malley, firmata da Eamon Scott , capo dell'FBI di Chicago” proseguì, sventolando il foglio sotto gli occhi dei tre poliziotti “Il caso è stato classificato come estremamente grave e potenzialmente pericoloso per la sicurezza nazionale. Ciò vuol dire che posso trattenervi per ventiquattro ore senza formulare accuse”

White non riuscì a trattenersi e sputò a terra. “Sicurezza nazionale un corno” ribatté “Malley si è sparato, lo dice la scientifica e lo avevano confermato quei due che stavamo cercando di seguire..ma voi federali avete voluto pasticciare tutto..” Gall annuì. “E' vero, signor White” rispose, in tono serio “il signor Malley si è sparato...ma legga pure il documento “ concluse, adagiando il foglio davanti a White “ se non mi crede”. Harriet Hudson lanciò un 'occhiata gelida al suo sottoposto, suggerendogli di rimanere zitto. White obbedì, non senza squadrare Gall e la sua autorizzazione con profondo disgusto.

“Ora, questo spiacevole incidente si può chiudere qui...e personalmente me lo auguro...se mi comunicate tutto ciò che sapete su Campbell e Beaumont” incalzò Gall, scrutando attentamente i due uomini e la donna. White si limitò a ricambiarlo con uno sguardo truce, Harriet chiuse gli occhi e iniziò a scuotere la testa, ma Parrish, più nervoso dei suoi compagni, si leccò le labbra. “Li abbiamo trovati poco prima di lei, una donna ci aveva chiamato per l'omicidio di un nostro collega” sbottò all'improvviso. White e Harriet lo guardarono, sconcertati. Dopo un istante White sibilò “Razza di Giuda...”

“Continui, agente Parrish, la prego” insistette Gall. Parrish evitò di guardare i suoi colleghi e continuò “Siamo arrivati sul posto e abbiamo trovato un corpo a terra, Dopo alcuni secondi, l'ho riconosciuto: era Malley.” “Nessun altro dipartimento è stato avvisato?” chiese Gall “Il suicidio di Malley è noto solo a voi tre?” Parrish annuì. “Ottimo” proclamò Gall “L'ultima cosa di cui la polizia di Chicago ha bisogno è uno scandalo del genere..” White fissò Parrish con disgusto.

“Ora, se accettate di firmare questo documento..” disse Gall, porgendo ai tre poliziotti tre faldoni, mentre gli agenti FBI liberano i due uomini e la donna dalle manette. “Di che si tratta?” domandò Parrish, sempre più nervoso. “Vi impegnate a non rivelare nulla di questo caso, pena la reclusione in un carcere federale” spiegò Gall, posando tre penne a sfera sul tavolo. “Vai all'inferno” esclamò White “Non siamo in Cina” Harriet annuì “Lei può avere anche il Presidente dalla sua, per ciò che mi riguarda” annunciò a Gall “Non siamo obbligati a firmare” “Ovviamente no...era un favore nei vostri confronti” replicò Gall.

Parrish firmò immediatamente, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la porta. “Stia seduto” gli intimò Gall. Parrish scosse la testa “Ho firmato, posso andare, no?” chiese, pulendosi la fronte dal sudore. “Non prima che i suoi colleghi si decidano a firmare” ribatté Gall “ o che le mie ventiquattro ore scadano. Io non ho fretta. E voi?” concluse, fissando White e Harriet.

DELAVAN- IL “LOFT” DI ZOE

Harvey continuava a passeggiare avanti e indietro nella stanza, sempre più nervoso. “Ti vuoi dare una calmata?” lo rimproverò Frank. Harvey non lo ascoltò.

Zoe fumava una sigaretta, annuendo mentre Steven le finiva di raccontare gli avvenimenti che lo avevano condotto al “loft” “...e adesso siamo qui” concluse Steven. Zoe annuì di nuovo e spense la sigaretta in un posacenere di plastica nera. “Paula deve essere finita all'interno di qualcosa di molto grosso” commentò Zoe. Harvey all'improvviso uscì dal magazzino. “Dove vai?” gli domandò Frank. “Devo avvertire i miei professori... voglio farmi rimandare l'esame” si lamentò Harvey. “Beh, puoi farlo qui davanti a noi” propose Steven, scrutando attentamente Harvey. “A meno che tu non intenda chiamare la polizia...il che sarebbe una mossa davvero stupida, visto quello che ti è successo”

“Voglio andarmene!” protestò Harvey “Mi state tenendo qui contro la mia volontà...” “Contro la tua volontà?” sbottò Frank “Ti abbiamo salvato la vita!” “Non mi avrebbero ucciso..volevano solo parlarmi...dirò tutto e la faranno finita!” continuò a piagnucolare il ragazzo.

“Tutto cosa?” chiesero quasi contemporaneamente Steven e Zoe. Harvey si morse le labbra “Tutto quello che ho sentito...” mormorò. Steven scosse la testa. “Tutto cosa?” ripeté. Harvey mosse lo sguardo da Steven a Frank, a Zoe. Tutti e tre sembravano poco disposti a lasciarlo in pace.

CASA DI PATRICIA LAWFORD

Patricia non riusciva a dormire. Accoccolata sul divano davanti alla televisione spenta continuava fissare lo schermo vuoto, avvolgendosi nella sua camicia da notte e tentando disperatamente di calmarsi.

Lo squillo del telefono la fece sobbalzare. Patricia si lanciò sulla cornetta e la afferrò di scatto. “Pronto?” rispose in tono ansioso. “Ciao Pat! Che razza di voce, ti è morto il gatto?” le rispose in tono amichevole una voce femminile. “Mandy..è bello sentirti” rispose Patricia, asciugandosi il sudore dalla fronte con una manica della vestaglia. “Meno entusiasmo, o potrei pensare che non hai niente di meglio da fare che ascoltarmi” scherzò Mandy.

“Mi dispiace, non ho più pensato alla nostra cena” rispose Patricia “ “Non ti preoccupare, non fa niente” rispose Mandy “Però dì al tuo capo che se ti carica di lavoro domani sera, sarò costretta a rapirti. Ti serve un po' di divertimento, e se vuoi invitare qualche amico, non farti problemi!”. Patricia sorrise. “Non c'è il minimo rischio...”rispose. “Allora ne porterò uno io” replicò Mandy in tono scherzoso. “Ti serve un po' di compagnia maschile!”

“Uomini? Comincio a preferire i cani: puzzano di meno e non sanno mentire” ribatté Patricia. “OK, allora facciamo una bella serata solo per noi ragazze...a domani” concluse Mandy. “Aspetta, non so se-” iniziò Patricia. “Poche storie: domani davanti a casa tua. Passo e chiudo” la bloccò Mandy chiudendo la conversazione. Dopo pochi secondi il telefono squillò di nuovo. Patricia abbozzò un rapido sorriso e riprese in mano la cornetta.

“Volevo dirti che ho degli impegni extra, non se potremo cenare domani” disse immediatamente. “Beh, non ti avevo ancora invitato, ma grazie” rispose la voce del Messicano in tono canzonatorio. Patricia raggelò. “Stavi ascoltando la mia conversazione?” rispose in tono duro. “Domani mattina fatti trovare allo zoo” replicò il messicano senza rispondere. “Ci conto...” concluse. Patricia rimase con la cornetta in mano per qualche secondo.

NORTHWESTERN HOSPITAL

L'automobile di Dan si fermò all'improvviso nel parcheggio. Jane si precipitò fuori dalla macchina, tuffandosi nella reception senza nemmeno aspettare che Dan la seguisse. “Dove è?” urlò ad una sconvolta infermiera. “Signorina, mi scusi ma..” rispose la donna, avvicinando una mano ad un segnale di allarme. Jane inspiro profondamente. “Sto cercando mia madre. Ginevra Shelby. Oncologia. Mi hanno parlato di un collasso, voglio sapere dove è e cosa è successo, subito” ordinò. L'infermiera si morse il labbro inferiore. “Non è più in oncologia” rispose. “In rianimazione, allora.” esclamò Jane, mentre Dan entrava dalla porta alle sue spalle.

“Jane...” sussurrò l'uomo. La segretaria si voltò verso di lui. “Mi hanno detto dove trovare tua madre..ti ci accompagnerò io” concluse, rivolgendo un'occhiata significativa all'infermiera, che annuì. Jane, relativamente più calma, seguì Dan. L'uomo premette il pulsante dell'ascensore ed entrò, seguito dalla ragazza. All'interno della cabina Dan premette il pulsante che conduceva al primo piano. Jane si morse le labbra, impaziente. Le porte dell'ascensore si aprirono pochi istanti dopo, e Jane e Dan si precipitarono verso il reparto di rianimazione. Un medico sulla quarantina notò Dan e gli rivolse un cenno. Dan annuì, fermandosi e lasciando avvicinare il medico. “Signorina Shelby, signor Weissman” li salutò “Sono il dottor. Hart. “ “Come sta mia madre?” chiese immediatamente Jane. Il dottore si schiarì la voce e scambiò un rapido sguardo a Dan. “Il cuore di sua madre, signorina Shelby, era diventato molto fragile. Le condizioni di sua madre erano già compromesse dalla malattia...non è riuscita a superare il collasso, mi spiace” concluse.

Jane si lasciò cadere su una sedia, stordita dalla rivelazione. “Non è vero” rispose Jane all'improvviso. “Non è vero, vi siete sbagliati” continuò “Non è mia madre, mia madre non è morta...” “Jane...” le disse Dan, in tono triste, ma estremamente calmo “purtroppo è così. Mi hanno avvertito per telefono, non sono riusciti a trovarti” Jane scosse la testa, trattenendo a stento le lacrime. “Non è vero, voglio vederla. So che non è lei” Dan e il dottor Hart si scambiarono un'occhiata. “Non so se-” iniziò Hart. “La accompagno io” tagliò corto Dan.

Il dottor Hart annuì e condusse Jane e Dan verso le scale, accompagnandoli fino alla camera mortuaria. Jane continuava scuotere la testa, senza parlare. Il dottor Hart aprì la porta, e Dan e Jane si trovarono di fronte al corpo di Ginevra. La morte aveva rilassato i muscoli facciali di Ginevra: la donna aveva un aspetto calmo, e in qualche modo la sua bellezza sembrava rifiorita. Jane lanciò un urlo e si avvinghiò a Dan, iniziando a piangere. L'uomo strinse la ragazza in un abbraccio paterno, mentre il dottor Hart si allontanava senza fare rumore.

“E' colpa tua” annunciò all'improvviso , staccandosi da Dan. “Tu non hai voluto che fosse ricoverata al Saint James. Tu l'hai uccisa!” urlò. Dan non rispose, limitandosi a chinare la testa. Jane rivolse un'occhiata al corpo della madre. “Tu l'hai uccisa” mormorò. “Lasciami sola” “Jane..” iniziò Dan. “Ti ho detto di lasciarmi sola!” urlò di nuovo Jane. Dan uscì silenziosamente dalla stanza , non senza rivolgere un ultimo sguardo alla sua segretaria.

DELAVAN- IL “LOFT” DI ZOE

La fronte di Harvey si riempì di gocce di sudore. “Stiamo calmi, no?” propose. “Noi siamo calmissimi. Sei tu ad essere nervoso” gli fece notare Steven. Zoe scosse la testa e allungò la mano destra verso il suo fucile. Steven la bloccò, scuotendo a sua volta la testa. “Non serve” spiegò “Ora Harvey ci dirà tutto..vero Harvey?” concluse fissando l'ex-ragazzo di Paula con attenzione. Frank sbuffò “Per me il fucile è una buona idea” commentò.

Harvey aprì la bocca per un istante prima di tuffarsi all'improvviso verso la porta. Steven si alzò in piedi e riuscì ad atterrarlo con un calcio alle gambe. Harvey ululò per il dolore, ma si sollevò subito, aprendo la porta del magazzino e mettendosi ad urlare. Steven lo afferrò di nuovo, ma era troppo tardi: due pescatori avevano assistito alla scena e uno di loro aveva già estratto il telefonino.

“Dobbiamo andarcene subito” annunciò, ritornando nel magazzino e trascinandosi dietro Harvey, che farfugliava parole incomprensibile “La polizia sarà qui fra poco, grazie a questo imbecille. Hai un'automobile?'” chiese Steven a Zoe, che annuì. “Allora useremo la tua. La nostra è stata di sicuro segnalata” spiegò.

“Frank, aiutami a salvare la vita a questo stupido” aggiunse. Frank annuì, e i due imbavagliarono Harvey con un fazzoletto, afferrandolo per le mani e le caviglie. Zoe afferrò delle chiavi “Usciremo dal retro” annunciò. “La mia automobile è a cento metri.” Steven annuì, mentre lui e Frank sollevavano Harvey, che tentava debolmente di divincolarsi.
I tre uomini e la donna uscirono dal magazzino, tentando i correre nel canneto che circondava la costruzione. I due pescatori li notarono subito ed iniziarono a sbraitare. Uno di loro afferrò addirittura la canna da pesca, sventolandola come una clava. Zoe si tuffò in mezzo alle canne con agilità, ma Frank e Steven erano impacciati da Harvey che si contorceva nel tentativo di liberarsi e vennero raggiunti dai due pescatori.

“Lasciatelo andare” urlò il più alto, un uomo calvo vestito di verde. Harvey iniziò ad urlare attraverso il bavaglio. Steven fece cadere Harvey a terra e il ragazzo trascinò con sé anche Frank, che iniziò ad imprecare. Steven approfittò di un attimo di distrazione dei pescatori per estrarre la pistola. Stupefatti, i due uomini fecero cadere a terra le loro canne da pesca. “Filate via” ordinò in tono calmo. I due pescatori non se lo fecero ripetere due volte. Zoe uscì dal canneto e aiutò Frank a tornare in piedi. “Di là!” urlò. Steven annuì e, con l'aiuto di Frank, spinse Harvey davanti a sé.

I quattro raggiunsero una vecchia Ford parcheggiata vicino ad una sterrata. Zoe aprì rapidamente la portiera anteriore e accese il motore. Steven e Frank aprirono le portiere posteriori e scaraventarono Harvey sul sedile dei passeggeri. Frank si accomodò vicino ad Harvey, mentre Steven prese posto di fianco a Zoe. La ragazza chiuse le portiere e mise in moto l'automobile, che si allontanò rapidamente dal parcheggio.

“Mi sono sporcato i vestiti, dannazione!”imprecò Frank, cercandosi di ripulire la sua giacca dalle macchie di fango che la ricoprivano. Né Steven né Zoe lo degnarono di una risposta. “Dobbiamo decidere dove andare subito. Gli sbirri di Delavan sono lenti, ma abbiamo perso tempo.” spiegò Zoe. “Lo so” rispose Steven. “Per questo motivo ritorneremo subito a Chicago.” Zoe fece una smorfia, ma non rispose, concentrandosi sulla strada.

Il suono di una sirena fece trasalire Steven e Zoe. “La stradale” annunciò Frank, voltandosi a destra. “Ci fanno segno di accostare...” “Accelera” ordinò Steven a Zoe, che annuì, premendo sempre di più il pedale dell'acceleratore e distanziando l'automobile della polizia. “Cosa state facendo?” domandò Frank, spostando Harvey a sinistra. “Dobbiamo fermarci e raccontare tutto! Questi sono poliziotti locali, non possono avere i loro uomini in ogni corpo di polizia del paese!” esclamò. “No, grazie, non voglio essere arrestato per “errore” un'altra volta” replicò Steven.

L'automobile della polizia stradale di Delavan si fece più vicina. Zoe diede un'occhiata nello specchietto retrovisore e sterzò rapidamente a sinistra, facendo sbattere Frank contro il finestrino. Harvey approfittò della caduta per liberarsi del bavaglio e mettersi ad urlare. Frank gli rifilò una gomitata nello stomaco, mentre Zoe sterzava rapidamente a destra.

L'automobile della polizia fu affiancata da un'altra volante. Un agente corpulento afferrò un megafono e annunciò a voce alta “Qui è il Dipartimento di polizia di Delavan. Accostate immediatamente!” Zoe si voltò verso Steven. “Dì al tuo amico di reggersi forte” annunciò. Steven annuì “Allacciati la cintura e cerca di allacciarla anche a lui” spiegò a Frank. Il poliziotto, sbuffando, immobilizzò Harvey, che continuava a lamentarsi, e riuscì ad allacciargli la cintura.

Zoe inspirò profondamente e accelerò, ruotando completamente il volante. La Ford si girò di 180 gradi e passò esattamente fra le due automobili della polizia. Harvey urlò. Zoe accelerò di nuovo, distanziando di molto i poliziotti che non erano ancora riusciti ad invertire la marcia. “Siamo contromano!” urlò Frank. Zoe alzò le spalle. “Non passa mai nessuno in queste strade” spiegò, imboccando, sempre contromano, una sterrata sulla destra.

Un trattore si muoveva lentamente nella sterrata. Mordendosi le labbra, Zoe fece fare alla Ford un altro rapido testacoda, passando a pochi centimetri dal trattore e spaventando a morte il contadino alla guida, che le rivolse una serie di imprecazioni.

L'imprevisto aveva fatto avvicinare le automobili della polizia, che ora proseguivano affiancate. Zoe fu costretta a rallentare fino quasi a fermarsi per evitare uno scontro frontale. I poliziotti fermarono le volanti, facendole segno di accostare. Zoe fermò l'automobile, ma non uscì.

“Abbiamo un'ultima possibilità” esclamò girandosi verso Steven. “Tagliamo per i campi”annunciò. Frank aprì la bocca per obiettare, ma Zoe stava già ricominciando ad accelerare, sollevando una nuvola di polvere che ricoprì un agente che si stava avvicinando alla Ford e svoltando in un campo arato da poco, per poi ritornare sulla strada principale, lontano dai poliziotti. Zoe guardò lo specchietto retrovisore e sorrise.

CENTRALE DI POLIZIA

L'agente Gall diede un'occhiata soddisfatta agli agenti di polizia che vagano per i corridoi, gestivano i fermi e scrivevano i rapporti. Nulla indicava la presenza dei suoi uomini nella centrale, o l'assenza del captano Harriet Hudson e dei suoi sottoposti. “Tutto procede alla perfezione, signore” gli annunciò un agente FBI basso e dai capelli a spazzola. “Eccellente” commentò Gall. “Quando la Hudson e White si saranno decisi a firmare li faccia portare davanti alla Commissione Disciplinare. Si assicuri che vengano licenziati e li tenga sotto controllo” “E Parrish, signore?” chiese l'agente. “Ha collaborato”.

Gall alzò le spalle “Faccia licenziare anche lui, non sa nulla di realmente utile” concluse. L'agente si allontanò con un mezzo inchino. Gall afferrò il suo telefonino e iniziò a comporre un numero. Prima che potesse terminarlo, tuttavia, un altro agente gli passò un foglio. “Signore, credo che li abbiamo trovati” annunciò “La polizia di Delavan sta cercando quattro fuggitivi su una Ford. Le descrizioni di tre dei fuggitivi corrispondono a quelle di Campbell, Beaumont e Krakowski”
Il volto di Gall si illuminò. “Mi faccia preparare subito un'automobile” ordinò “ Non dobbiamo assolutamente lasciarli fuggire”.

MAGAZZINO

Il telefono del magazzino si mise improvvisamente a squillare. Kerman stava sorvegliando la fornace e invitò Taggart a rispondere. “Taggart” si identificò quest'ultimo, alzando la cornetta. “Andate subito a Delavan” ordinò la voce di Gall. “Campbell è a bordo di una Ford con due uomini e una donna. Ricordate che voglio Campbell vivo- e possibilmente, nessun altro in quella automobile deve morire.” “Ricevuto” confermò Taggart, chiudendo la conversazione.

“Si va a Delavan” annunciò Taggart a Kerman, che si mise a sbuffare. “Detesto i lavori lasciati a metà” spiegò. Taggart alzò le spalle ed aprì la portiera anteriore dell'automobile di Parker. “Potrai continuare a distruggere le prove più tardi” suggerì Taggart. “Ora dobbiamo catturare Campbell” Kerman annuì e girò una manopola, spegnendo la fornace.

WEISSMAN INVESTIGATIONS

Dan sedeva dietro alla sua scrivania, immobile. La sua mano destra era appoggiata sul tavolo, mentre la sinistra giocherellava con la maniglia di un cassetto. La porta dell'ufficio si aprì, facendo entrare Patricia. Dan si rilassò.

“Ho dato tre settimane di riposo assoluto a Jane” annunciò Dan. Patricia annuì debolmente. “La perdita di un genitore è difficile da sopportare” continuò Dan. Patricia fissò il muro senza rispondere. Dan sospirò e incrociò le dita. Patricia aspettò dell'attimo di distrazione di Dan e appoggiò le mani sulla scrivania del capo, afferrando le chiavi del cassetto. “Signore, purtroppo devo darle una brutta notizia” iniziò. Dan sollevò la testa e le rivolse un'occhiata interrogativa.

“Il caso Waldheim occuperà tutte le mie energie per diversi giorni. Con Jane a casa e il nostro investigatore” Patricia fece una breve pausa, dando alla parola “investigatore” una sfumatura di disprezzo “ attualmente irreperibile, l'agenzia rimarrà a corto di impiegati...” Dan annuì. “Le suggerirei di contattare il signor Campbell al più presto.” continuò Patricia in tono sostenuto.

“Da quanto tempo ci conosciamo, Patricia?” rispose Dan, fissando la donna negli occhi. Patricia rimase interdetta e riuscì solo a mormorare “Signore?” Dan scosse la testa. “Nessuno ti conosce meglio di me. Eppure tu insisti a darmi del lei e a chiamarmi “Signore”. “ Patricia si morse la labbra. “Rispetto la tua decisione” continuò Dan “ E credo di averne capito i motivi...ma questo non vuol dire che tu non possa confidarmi i tuoi problemi. Posso aiutarti...” concluse Dan. “Nessuno può” rispose in tono secco Patricia, alzandosi in piedi.

Sospirando, Dan annuì “Vai pure, chiuderò io” dichiarò. Senza rispondere, Patricia uscì dalla porta principale. Dan attese un attimo e diede un'occhiata al cassetto. Il suo telefonino squillò. “E' andata tutto bene.” rispose Dan, afferrando il cellulare. “Come avevi previsto, mi ha chiesto un permesso e mi ha rubato le chiavi. Ho fatto in modo che passi a Loro le informazioni false che abbiamo preparato” “Ottimo” replicò la voce di Virgil. Dan si alzò in piedi, specchiandosi nel vetro di uno dei suoi quadri. “Il bruco è diventato una farfalla, come dicevi tu, Virgil...ma è una farfalla vecchia e stanca di mentire.” Virgil non rispose: la conversazione era stata interrotta. Sospirando, Dan uscì dal suo ufficio chiudendolo a chiave.

FUORI DALLA WEISSMAN INVESTIGATIONS

“Ho recuperato le chiavi, ti consegnerò tutto al più presto” disse Patricia al telefono. “Brava, Pat. Hai appena fatto un altro passo verso quella cassetta...e verso la tua libertà” le rispose la voce del Messicano. “Ora vai: anche io ti do una giornata libera” concluse il messicano, in tono canzonatorio “Oggi è tempo di caccia” concluse ridacchiando. La conversazione finì. Patricia trattenne a stento le lacrime.

Un rumore la informò di un messaggio ricevuto. Patricia riprese in mano il cellulare e lo lesse: proveniva da “Corjeag”, e diceva “Il dibattimento è fra mezz'ora. Cerca di esserci.”Patricia si asciugò gli occhi ed entrò in macchina.

OTTAVO DIPARTIMENTO DI POLIZIA DI CHICAGO

“Dove diavolo è Beaumont?” si informò Davis, sbuffando. Nessuno gli rispose, a parte un'agente donna che si limitò ad alzare le spalle. “Dovevamo lavorare sul caso Cantrell, ed invece ha pensato bene di sparire” continuò a lamentarsi.

Proprio in quel momento il Luogotenente Bronson fece il suo ingresso nel dipartimento. “Dove è Beaumont?” chiese rapidamente a Davis. “Non lo so, signore, lo stavo cercando anche io, ma a quanto pare oggi non si è presentato” Bronson alzò gli occhi al cielo.

“Deve solo pregare di essere qui entro tre ore, altrimenti è licenziato” esclamò Bronson. Davis annuì, leggermente soddisfatto.

A VENTI CHILOMETRI DA DELAVAN

L'automobile di Gall sfrecciava sulla corsia di sorpasso. “Dove avete detto che vi trovate?” chiese Gall al cellulare, mentre ordinava a gesti all'autista di non rallentare.

DELAVAN

Il poliziotto corpulento conversava con Gall mentre il suo compagno teneva gli occhi fissi sulla strada “A due miglia sud della città, signor Gall” spiegò. “Li abbiamo intercettati seguendo una segnalazione: due pescatori avevano assistito a un probabile rapimento. Siamo intervenuti al più presto.”

A VENTI CHILOMETRI DA DELAVAN

Gall si fece passare una cartina geografica da uno dei suoi uomini seduto sul sedile posteriore e iniziò a tracciare dei piccoli cerchi sulle strade che dirigevano verso Chicago. “Avete detto che li avete persi in un campo ad est della statale...” “Esatto, signor Gall” gli rispose la voce dell'agente di Delavan. “Benissimo. Voglio un blocco stradale sulla statale, sull'Interstate e sulle due strade locali ad est di Delavan” ordinò Gall. “Ma, signor Gall.. in questo modo lasceremo a quei delinquenti la possibilità di entrare a Chicago da nord...” si lamentò l'agente.

“Mi occuperò io di quella via di fuga, agente” spiegò Gall. “Grazie per la collaborazione” concluse, chiudendo la conversazione e digitando un nuovo numero. Sono Gall. Dirigetevi immediatamente sulla diciottesima” annunciò.

POCO FUORI CHICAGO

“Ricevuto” confermò Kerman. “Diciottesima” ordinò a Taggart, che annuì e iniziò ad accelerare.

NORTHWESTERN HOSPITAL

Jane attendeva nella camera mortuaria , senza riuscire a staccare gli occhi dal cadavere della madre.
Una infermiera le si avvicinò, portandole una tazza di caffè. “Grazie” le disse meccanicamente Jane. “Si figuri” si schermì l'infermiera. “Sta aspettando altri familiari?” “No” rispose Jane “Non ho fratelli, e mio padre è morto anni fa, prima che io nascessi” “Mi dispiace” si scusò l'infermiera. Jane non rispose.

“Quando potrò portarla a casa?” chiese all'improvviso. L'infermiera si morse le labbra. “Se firma i documenti per il rilascio, può portarla via fra sette ore” Jane annuì di nuovo. “Mi porti quei documenti” ordinò, sempre senza smettere di fissare il cadavere della madre.

TRIBUNALE

Patricia scese rapidamente dall'automobile, chiuse la portiera si mise a salire di corsa i gradini davanti al Tribunale. Una donna bionda sulla quarantina la attendeva vicino alla porta, controllando il suo orologio. “Per tua fortuna non sei in ritardo, Lawford” la accolse. “Non lo sono mai, Corjeag” replicò Patricia. “Credi di potere dimostrare l'infedeltà del marito?” chiese Corjeag, con una punta di scetticismo.

Patricia le rispose presentandole un faldone di fotografie “L'abbiamo in pugno” annunciò “Noi della Weissman non affrontiamo mai una causa se non siamo sicuri di vincerla” Corjeag annuì. “Belle, queste foto..chi le ha fatte?” commentò. “Non lavora più per noi” si limitò a rispondere Patricia. “Ci serviranno molto” commentò Corjeag. “Oggi è Batman a presenziare”.

Patricia alzò gli occhi al cielo: il giudice Wayne, noto fra gli avvocati come “Batman”, era famoso come il più puntiglioso giudice civile del Tribunale. “Andiamo ora. La mia cliente ci aspetta all'interno” concluse Corjeag. Patricia annuì e le due donne entrarono nel tribunale.

DELAVAN

L'agente di polizia corpulento ordinò al suo compagno di fermare l'automobile. “Sono loro!” annunciò trionfante, indicando la Ford di Zoe, apparentemente finita contro un guardrail. L'automobile della polizia si avvicinò e i due agenti scesero impugnando le loro pistole. “Non c'è nessuno!” annunciò l'agente alla guida al suo collega corpulento, dopo aver controllato l'automobile. “Non è possibile..fatti da parte” gli ordinò il collega, spalancando la portiera destra della Ford.

L'automobile era effettivamente vuota. I due agenti si fissarono a vicenda, stupefatti. “Dove sono finiti?” chiese l'agente magro all'altro. “Che io sia dannato se lo so...” rispose quest'ultimo.
Proprio in quel momento l'automobile della polizia si rimise in moto, lasciando i due agenti a piedi. “Fermatevi!” si misero ad urlare i due, senza successo.

Nell'automobile della polizia Zoe si mise a ridere, osservando lo specchietto retrovisore. Era l'unica persona a bordo, ma tre cappelli, recuperati dal suo portabagagli e appoggiati su dei bastoni, davano l'impressione che Steven, Frank e Harvey fossero assieme a lei. Dopo un paio di chilometri si fermò accanto ad un fosso, scese rapidamente dall'automobile della polizia e, inserendo la prima la spinse nel canale. Dalla strada ora l'automobile si notava con difficoltà.

I due agenti rimasti a piedi si misero a correre verso il telefono più vicino. Steven, Frank e Harvey, ancora imbavagliato, sbucarono dai cespugli vicini al guardrail. “Possiamo andare” annunciò Steven.”La stazione è a mezzo chilometro, Zoe ci raggiungerà fra poco. Il furto di un automobile della polizia dovrebbe confonderli quanto basta”. Frank annuì e diede una spinta ad Harvey, costringendolo a cominciare a correre.

AUTOMOBILE DELL'AGENTE GALL

“Vi hanno che cosa?” urlò Gall nel telefonino. “Ci spiace, signor Gall, siamo stati lenti” rispose la voce dell'agente corpulento. “Ora sono in viaggio sulla nostra automobile, la numero ventisette” continuò. “Va bene..va bene” concesse Gall, calmandosi. “Farò circolare immediatamente l'allarme. Restate dove siete.” li ammonì, concludendo la conversazione.

“Sono su un automobile della polizia, la numero ventisette” annunciò pochi secondi più tardi, informando telegraficamente Taggart e Kerman. Uno degli agenti di Gall, incuriosito, chiese timidamente “Con chi stava parlando, signore?” “Servizi speciali FBI” rispose Gall, leggermente infastidito. “Non informa gli agenti locali?” chiese ancora l'uomo, stupito. “Non sono tenuto a giustificare le mie azioni con lei” annunciò gelidamente Gall. “Acceleri, dannazione!” concluse, esortando l'autista. Accorgendosi di non avere concluso la conversazione Gall premette un pulsante, mordendosi le labbra.

AUTOMOBILE DI KERMAN E TAGGART

“Sentito? Siamo dei servizi speciali dell'FBI ora” commentò Kerman, sogghignando. Taggart abbozzò un sorriso. “Se sono su una automobile della polizia li individueremo subito” rispose dopo qualche secondo di riflessione. “Hanno fatto una pessima mossa” concordò Kerman “Quindi probabilmente si fermeranno e proseguiranno a piedi, cercando di seminarci per i campi”. Taggart annuì. “Richiamalo” ordinò a Kerman. “Lo sto già facendo” commentò quest'ultimo.

VICINO ALLA STAZIONE DI DELAVAN

Frank ansimava pesantemente, tenendosi le mani sulle ginocchia. “Mai più” sentenziò. “Sto morendo...” Steven scosse la testa, allungando uno schiaffo ad Harvey, che si stava per sdraiare a terra. “Ti toglierò il bavaglio, ora” lo informò. “Ma se provi ad urlare, ti spezzerò un braccio, visto che sei tanto stupido da non capire quando devi salvarti la pelle”. Harvey annuì.

“Non andiamo?” domandò Frank, tirando un paio di sospiri profondi e guardandosi attorno. “Aspettiamo Zoe” gli ricordò Steven. “Non a lungo” precisò Zoe, uscendo dai cespugli dietro a Steven, Non sembrava affaticata. “Come diavolo hai fatto? Non sei nemmeno sudata” domandò Frank, pulendosi la fronte con la manica destra. “Merito di una vita sana e di molto esercizio” scherzò Zoe, squadrando Harvey. “Credi sia prudente?” chiese a Steven, che stava togliendo il bavaglio al ragazzo. “Ha già capito che è nel suo interesse..vero Harvey?” chiese Steven.
Zoe fece una smorfia di scetticismo.

AUTOMOBILE DELL'AGENTE GALL

Gall annuì, tenendo il telefonino accanto all'orecchio destro. “Ci avevo già pensato..” mormorò, fermandosi all'improvviso. “Dove è stata trovata la Ford?” chiese all'agente che sedeva dietro di lui. “Qui, signore” rispose quest'ultimo, evidenziando una curva su una strada secondaria.
Gall schioccò le dita. “Avverti la polizia ferroviaria di Delavan” ordinò al suo sottoposto. “Cercheranno di scappare in treno”

STAZIONE DI DELAVAN

“Quattro biglietti per Chicago” chiese Steven alla donna nella biglietteria, un'afroamericana sulla quarantina. Dietro di lui Harvey rivolgeva occhiate preoccupate a Zoe e a Frank, che lo sorvegliavano attentamente. La donna contò lentamente i biglietti, facendo infuriare Steven.
“Non si preoccupi, possiamo rimanere qui anche fino a domani mattina” commentò l'investigatore, con un sarcasmo che andò completamente perso. “Diciotto dollari” annunciò la donna. Steven infilò una banconota da venti dollari nell'apertura della biglietteria e ritirò rapidamente i biglietti.

“Il suo resto” lo avvertì la donna, spingendo due banconote da un dollaro attraverso l'apertura. Steven le rivolse una smorfia di impazienza e afferrò i due dollari,. “Arriva fra tre minuti” lo informò Zoe, che aveva dato un'occhiata alla tabella dei treni. Steven si rilassò leggermente.

UFFICIO DELLA POLIZIA FERROVIARIA-STAZIONE DI DELAVAN

Un agente afroamericano stava bevendo una tazza di caffè, fermandosi di tanto in tanto per osservare gli schermi su cui si controllavano le attività della stazione. Il telefono dell'ufficio si mise a squillare. “Ufficio polizia ferroviaria di Delavan, desidera?” domandò con voce affaticata. “Parla l'agente Gall, FBI. Deve bloccare immediatamente tre uomini e una donna, stanno per fuggire dalla sua stazione. Uno degli uomini è sulla trentina, piuttosto alto e bruno, un altro è basso e porta gli occhiali, e il terzo è biondo e giovane. Sono pericolosi, li fermi immediatamente.”

L'agente iniziò a scrutare i monitor. “Li ho trovati! Stanno per salire sul treno per Chicago. Li blocco subito!” “Aspetti!” gli ordinò Gall. “E' sicuro che stiano aspettando il treno per Chicago?” “Ci stanno salendo proprio ora...lo faccio fermare immediatamente” annunciò l'agente.

“Li lasci salire. Se il treno si ferma potrebbero insospettirsi. Li bloccheremo noi a Chicago” suggerì Gall, soddisfatto.

TRIBUNALE

“Vostro Onore, chiedo di poter presentare il reperto C” annunciò Corjeag. La signora Waldheim, una donna sulla cinquantina seduta al suo fianco annuì, sospirando. “Accordato, avvocato Corjeag” rispose il giudice Wayne, un ometto basso e dal naso aquilino. “Ma spero che in questo caso si tratti di più che di semplici illazioni”

Corjeag sorrise, voltandosi verso Patricia, che le porse il faldone. L'uomo seduto al banco della difesa scosse la testa. Era completamente calvo e decisamente in sovrappeso, e alzò lo sguardo verso il volto del suo avvocato, che si limitò ad alzare le spalle. “Signor Waldheim, la prego di rimanere fermo” annunciò il giudice Wayne. Waldheim annuì, asciugandosi la fronte.

“Come può vedere, Vostro Onore, in queste fotografie il signor Waldheim è colto in flagrante adulterio” La signora Waldheim singhiozzò leggermente. “Lo vedo benissimo, avvocato Corjeag...” commentò Wayne, strizzando gli occhi. “Avvocato Lawford” aggiunse, rivolgendosi a Patricia “ è pronta a testimoniare sotto giuramento che le fotografie in questione sono state scattate da un dipendente autorizzato della sua agenzia?” “Certamente, Vostro Onore” rispose Patricia, alzandosi in piedi e dirigendosi verso il banco dei testimoni.

“Giuri di dire tutta la verità, tutta la verità, nient'altro la verità. Dica lo giuro” gli chiese un agente del tribunale, porgendole una Bibbia. “Lo giuro” proclamò Patricia, con aria sicura. “Avvocato Lawford, da chi sono state scattate le fotografie?” chiese Corjeag.

Patricia rimase a bocca aperta: il Messicano era seduto nell'ultima fila dell'aula, e le rivolgeva un sorriso sarcastico. “Avvocato Lawford, stiamo aspettando...” insistette il giudice Wayne. Corjeag sussurrò “Che diavolo stai facendo, Patricia?” Patricia si schiarì la gola e rispose “E' stato il signor Seth Weissman, all'epoca un dipendente della agenzia “Weissman Investigations””.
“All'epoca? Perché è stato licenziato?” chiese il giudice aggrottando le sopracciglia. “Si è dimesso, Vostro Onore. Motivi personali” rispose Patricia, socchiudendo gli occhi e cercando di non prestare attenzione al Messicano. “Ha problemi di congiuntivite, avvocato Lawford?” domandò in tono sarcastico Wayne. “No, Vostro Onore” rispose Patricia, leggermente sorpresa. “Allora apra gli occhi, prego” commentò Wayne.“Il signor Seth Weissman possedeva una regolare licenza?” continuò Corjeag, rivolgendo un'occhiataccia a Patricia.

Il Messicano tossì ed indicò a Patricia la cassetta che teneva nella mano destra. “Avvocato Lawford?” chiese Wayne, in tono seccato. “Sì, la possedeva” annunciò Patricia. “Non ho altre domande” si congedò Corjeag, rivolgendo a Patricia uno sguardo che significava “Non fare altre stupidaggini”.

“Avvocato Lawford, che può dirmi sul signor Weissman?” iniziò l'avvocato di Waldheim. “Obiezione. Non pertinente” disse Corjeag. “Accolta” dichiarò Wayne “Si attenga ai fatti, avvocato Morris” “Mi scusi, Vostro Onore. Come sono state ottenute le fotografie, avvocato Lawford?” continuò Morris. Il Messicano indicò il suo orologio. Patricia rabbrividì.

“Avvocato Lawford, risponda” ordinò Wayne. “La signora Waldheim si rivolse alla “Weissman Investigations” perché sospettava che il marito la stesse tradendo. Il signor Dan Weissman incaricò Seth, suo nipote, di controllare il signor Waldheim, e ottenne un'autorizzazione a fotografarlo dalla procura” spiegò Patricia. Il Messicano si alzò in piedi e iniziò a parlare con una guardia del tribunale. Patricia mormorò “Non mi sento bene, scusatemi” “La seduta è interrotta per dieci minuti”annunciò Wayne. “Avvocato Lawford, si vada a lavare la faccia”

Patricia annuì, alzandosi in piedi. Morris sorrise a Waldheim, che annuì soddisfatto. “Che accidenti ti è preso?” domandò Corjeag a Patricia. “Non lo so...vado in bagno” si scusò Patricia, uscendo dall'aula. La signora Waldheim rivolse un'occhiata preoccupata a Corjeag, che inspirò profondamente.

Appena uscita fuori dall'aula Patricia scosse la testa. “Sei molto brava come avvocato” le sussurrò all'orecchio il Messicano. Patricia si irrigidì “Vattene” sussurrò a sua volta “Avevi detto che mi lasciavi una giornata di riposo” “Lo so” rispose il Messicano “Purtroppo ci sono stati degli imprevisti. Mi servono le chiavi dell'ufficio del tuo capo e del suo cassetto, e mi servono ora”. Patricia si voltò verso il Messicano e gli rivolse un sorriso sarcastico.

“Non le ho” proclamò “ e anche se le avessi, non ho intenzione di dartele” Il Messicano rimase interdetto per alcuni secondi. “Cosa diavolo..” iniziò. “Ho riflettuto.. e ho capito che non finirà mai. Continuerai a chiedermi “favori” e non avrò mai quella cassetta. “ annunciò Patricia. “Sai cosa succederà. “ la minacciò il Messicano. “Siamo in un tribunale.. mi basta consegnare la cassetta a un qualsiasi poliziotto e non uscirai mai più di prigione...” “Fallo, allora.” lo sfidò Patricia. “Ora non me ne importa più nulla. Mi hai costretto a mentire al mio capo, a spiare i miei colleghi...”

“Andiamo, Patricia, non sei il tipo di donna che difende i suoi colleghi...” la stuzzicò il Messicano. “Non mi conosci abbastanza, allora” rispose Patricia, inspirando per farsi forza. “Non vuoi nemmeno sapere a chi ho rubato questa cassetta?” le chiese il messicano. “No” rispose Patricia “So bene che sei un ladro” “Peccato..pensavo ti potesse interessare il fatto che questa cassetta era di Dan, il tuo capo. Ti aveva detto di averla distrutta...e stava mentendo” mormorò il Messicano. Patricia rimase a bocca aperta.

“Stai mentendo” mormorò Patricia. “Sarebbe stupido farlo..sappiamo bene che lui era l'unico, oltre a me e te, a sapere” rispose il Messicano. “Ci sono sempre Jimenez e Starsky” gli ricordò Patricia. “Sono morti tre mesi fa. Incidente d'auto, una gran brutta morte. Controlla, se non mi credi” replicò il Messicano “ e credimi, non avrei aspettato tre mesi prima di incontrarti se avessi trovato la cassetta a casa loro”. Patricia non riuscì a rispondere: sembrava paralizzata. “Ritorna dentro. Pensaci su. Vedi se è il caso di proteggere un uomo che ti inganna da sei anni” concluse il Messicano, salutando Patricia con la mano.

STAZIONE CENTRALE DI CHICAGO

Tre agenti dell'FBI esaminavano la folla che scendeva dal treno proveniente da Delavan. “Non ci sono” esclamò uno, dopo avere controllato tutti i passeggeri. “Come sarebbe a dire che non ci sono?” rispose la voce di Gall nel suo auricolare. “Controllate meglio!” ordinò.

“Abbiamo visto tutti i passeggeri, signore. Non li abbiamo trovati.” “Salite sul treno. Frugatelo da cima a fondo se necessario. Devono essere lì dentro, non sono scesi in nessuna delle stazione precedenti!” urlò Gall, furioso.

STAZIONE DI ROCKFORD

Zoe, Steven, Frank e Harvey scesero dal treno proveniente da Delavan, avviandosi verso l'uscita della stazione. “Li abbiamo fregati, vero?” disse Frank, sogghignando. “Un trucco geniale, salire sul treno in testa e scendere in coda. A quest'ora saranno alla stazione centrale di Chicago..” Steven alzò gli occhi al cielo “Non sei capace di stare zitto?” lo rimproverò.

“Oh, andiamo! Non ci hanno beccati, è tempo di festeggiare” continuò Frank. Steven inspirò “La parte difficile arriva adesso” annunciò. Zoe fissò Harvey, che scosse la testa, come se si stesse risvegliando dopo un lungo sonno. “La parte difficile?” mormorò. “Se per te è facile ritornare in città senza essere catturati, vai pure” rispose Steven. Harvey fece una smorfia, ma non rispose.

“Perché dobbiamo ritornare in città?” chiese Zoe, aggrottando le sopracciglia. “Perché la chiave del mistero di Paula è a Chicago, ne sono sicuro... e poi perché il nostro simpatico Harvey” rispose Steven, rivolgendo all'ex-fidanzato di Paula uno sguardo ironico “deve dirci molte cose, e mostrarci anche dei luoghi...non è vero?” concluse. Harvey annuì debolmente.

SEDE DELL'FBI DI CHICAGO

“Lei mi delude, agente Gall! Le ho assegnato un'intera squadra, più due freelancer che, in teoria, non dovrebbero nemmeno esistere, e lei non è riuscito a catturare Campbell...” iniziò Eamon Scott, fissando il suo sottoposto negli occhi.

“E da quanto ci ha riferito il nostro contatto” continuò Scott “Patricia Lawford sta rifiutando di collaborare. Lo sa cosa vuol dire tutto ciò?” Gall non rispose, accontentandosi di annuire leggermente. “Dobbiamo fare nuovi piani, utilizzare la nuova talpa, rischiare molto di più. E tutto per colpa sua” concluse Scott. “Cosa ha dire in sua difesa?” “Signore” iniziò Gall “non voglio essere polemico, ma il piano mi è sempre sembrato troppo complicato. Perché non arrestiamo Weissman, visto che sappiamo che è lui a spingere Campbell a indagare sulla Cantrell?”

Scott gli rivolse uno sguardo glaciale. “Non possiamo trattenerlo. Di cosa lo accusiamo, senza uno straccio di prova? Anche a questo serviva Patricia Lawford. Doveva avere accesso ai file segreti di Weissman...” ”Mi scusi ancora, signore” continuò Gall, deciso a non cedere “perché mi ha incaricato di catturare Campbell, allora? Anche su di lui non abbiamo nulla...”

Scott scosse la testa. “Trattenere Campbell non ci creerebbe troppi problemi: è solo un ex-poliziotto fallito. Ma arrestare Weissman senza prove sarebbe la rovina per i nostri piani. Le Sequoie userebbero il processo per dare pubblicità al caso Cantrell, e questo è proprio ciò che noi non vogliamo. Si ricordi per chi lavora” concluse Scott. Gall annuì, chinando la testa.

“Ecco i suoi nuovi incarichi” annunciò Scott, dopo un attimo di silenzio. “Sospenda la caccia a Campbell, è stata controproducente finora. Si occupi di eliminare ogni singola traccia su Paula Cantrell. Kerman e Taggart la aiuteranno, e, se avremo successo con la seconda talpa, forse riusciremo anche ad incastrare Weissman” Gall annuì di nuovo.

“Eliminare..fisicamente?” chiese poi “Devo far sparire tutti i testimoni sul caso Cantrell come i due “freelancer” hanno fatto con i Polk?” “Non necessariamente” rispose Scott. “Ma si assicuri che Campbell non li possa interrogare. Può andare ora” concluse Scott, congedandolo.

Gall chinò la testa e uscì dall'ufficio di Polk. Uno dei suoi sottoposti gli si avvicinò “Abbiamo ragione di credere che Campbell...” iniziò. Gall lo zittì con un cenno della mano. “Campbell non è più un nostro incarico” annunciò, massaggiandosi le tempie. “Siete tutti congedati” concluse.

CIMITERO DI MARYHILL

“Ginevra Shelby era una donna coraggiosa. Una donna che ha lottato contro un male oscuro e incomprensibile: il cancro. Una donna che non si è mai arresa, nemmeno quanto il male ha iniziato a divorare i suoi organi, ma ha continuato a confidare in quel Dio che è eterna salute ed eterna felicità. Una madre che cresciuto sua figlia senza il conforto del marito, scomparso anni prima...” Le parole del parroco della Chiesa Cattolica di Maryhill facevano da sottofondo al funerale di Ginevra.

Jane era davanti alla tomba appena scavata, vestita di nero. A parte lei e il sacerdote, c'erano solo alcuni amici della madre, fra cui Dan, vestito di nero e con la testa chinata. Jane fingeva di non vederlo, e cercava anche di evitare di osservare la corona di fiori che Dan aveva fatto comporre.

“...perché la vita non ci è tolta, ma trasformata. Riposa in pace, Ginevra Shelby” concluse il sacerdote, mentre la bara veniva lentamente calata da due becchini. Jane iniziò a piangere, nascondendo il suo volto in un fazzoletto. I due operai del cimitero ricoprirono la bara di terra e sistemarono la lapide. Si trattava di una semplice lapide di marmo, che portava inciso il nome di Ginevra, la sua data di nascita, quella di morte e nient'altro. I pochi partecipanti al funerale si avvicinarono a Jane per porgere le loro condoglianze. Dan rimase in fondo alla fila e, quando arrivò il suo turno, si limitò a fissare Jane, che contraccambiò lo sguardo.

“Ho portato questa” si scusò, porgendo a Jane una cassetta di mogano. “E' terra di Trieste, in Italia, dove è nata tua madre. So che voleva portarsi una parte della sua terra natale con sé” si spiegò. Annuendo, Jane aprì la cassetta e sparse il suo contenuto sulla tomba di Ginevra. “Perché sei qui?” chiese Jane in tono gelido “Non ti ho chiamato...” Dan sospirò profondamente. “Glielo dovevo” spiegò. Jane annuì di nuovo “Lei avrebbe voluto vederti qui” ammise. “Ma questo non cancella il fatto che non hai voluto aiutarla...” Dan scosse la testa.

“Jane...” iniziò “C'è un motivo per cui non volevo che tua madre fosse ricoverata al Saint James Hospital..e non è perché non volevo aiutarla” “Allora dimmelo”rispose Jane “Dammi una ragione, spiegami perché non dovevo accettare quella cura...” Dan sospirò di nuovo, trattenendo a stento le lacrime. “E' complicato, Jane...” “Non mi importa” insistette la segretaria “Abbiamo tempo.”

“Diciamo che conosco quell'ospedale, e so che i suoi veri proprietari sono persone malvagie, disoneste..ma non posso provarlo. Io e un gruppo di miei..amici stiamo lavorando per trovare delle prove” iniziò Dan “ma non è facile.” concluse. Jane annuì. “Tutto qui?” osservò. “Persone malvagie?” “Non posso davvero dirti di più, Jane” rispose Dan.,sconsolato.

“Non so se potrò fidarmi di te...ho bisogno di tempo. ” accennò Jane. “Tutto il tempo che vuoi” concesse Dan, allontanandosi “Ti prego solo di riflettere” Jane annuì di nuovo, scrutando Dan mentre si allontanava dal cimitero.

Il suo telefonino squillò. Jane lo portò all'orecchio. “Sono nella cappella degli O'Donnell” le rispose una voce. Jane annuì ed entrò rapidamente nella cappella. “Ho riallacciato i contatti, come mi hai detto tu” iniziò “Mi ha raccontato la storia delle persone malvagie, proprio come avevi previsto.” continuò, scrutando nella penombra della cappella. “Vuole solo coprire le sue responsabilità...” le rispose una voce maschile “Ti ho fatto vedere i tabulati telefonici, ti ho fatto sentire le registrazioni...tua madre era venuta a conoscenza di cose che non avrebbe dovuto sapere, e lui non poteva rischiare che guarisse e potesse denunciarlo..”

“Lo so...ma se non lo sapessi, gli avrei creduto” esclamò Jane, scoppiando a piangere. “E' abile, ha ingannato anche il governo, ha ingannato tutti” le rispose la voce maschile. “Lo incastreremo. Vendicheremo tua madre ” promise. Jane continuò a piangere.

Uscendo dalla penombra, Taggart le porse un fazzoletto. “Grazie” rispose Jane. “Di niente” rispose Taggart. “Sei una ragazza molto coraggiosa, Jane. Insieme, riusciremo a sconfiggere Dan Weissman”.

CASA DI PATRICIA LAWFORD

Patricia passeggiava nel suo salone, scuotendo la testa. Corjeag le aveva appena inviato un messaggio: “Abbiamo vinto, ma non grazie a te. La prossima volta curati prima di venire in tribunale”. Patricia lo aveva a malapena letto: la sua attenzione era tutta rivolta al telefono e alle parole del Messicano.

All'improvviso l'apparecchio squillò “Pronto?” chiese Patricia, afferrando la cornetta e stringendola con forza. “Ma che vocione hai...” la prese in giro la voce di Mandy. “Pronta per la grande serata fra donne?” “Oh...” commentò Patricia, stupita. “Te ne eri dimenticata, dì la verità?” le chiese Mandy. “Non importa. Tuffati dalla finestra e partiamo” “Non posso, Mandy, sono in vestaglia..” rispose Patricia.

“Che problema c'è? Meglio, farai strage di cuori..” replicò Mandy. “Avanti, posso aspettarti...” Patricia scosse la testa. “Aspetto una chiamata importante, mi dispiace..” “Allora salgo io” annunciò Mandy, concludendo la conversazione.

“Mandy, no!” rispose Patricia, accorgendosi però di parlare al vuoto. Appoggiò delicatamente la cornetta al ricevitore e si adagiò sul divano. “Non dovevi venire..” sussurrò tra sé e sé.

“Pizza a domicilio...doppia allegria al triplo formaggio!” si annunciò Mandy poco dopo, bussando alla porta di Patricia. “E' tutto in disordine...” si lamentò Patricia. “Meglio, mi piace il disordine” commentò Mandy. Sospirando, Patricia aprì la porta. “Ciao, bellissima” la salutò Mandy, una ragazza afroamericana piuttosto bassa e dai tratti da diciottenne. “Ti serve una ricarica...” commentò, scrutando l'aspetto di Patricia e le borse sotto i suoi occhi.

“Mi dispiace, Mandy, ma te ne devi andare...Non posso farti entrare, c'è questa telefonata...” Proprio in quel momento il telefono squillò. Patricia si precipitò a rispondere, mentre Mandy, approfittando dell'imprevisto, si intrufolava in casa.

“Hai riflettuto su ciò che ti ho chiesto?” chiese a Patricia la voce del Messicano. “Sì” sussurrò quest'ultima. “ E quale è la tua risposta?” domandò ancora il Messicano. “Che puoi and-” iniziò Patricia, interrompendosi quando vide Mandy che la stava ascoltando. “E' no, come stamattina. Fai come credi, io non ti aiuterò più” concluse Patricia. “Peccato..” commentò il Messicano. “Visto che ho sempre avuto un debole per te, ti concedo altre ventiquattro ore...poi però tutti sapranno che Patricia Lawford, quell'avvocatessa così distinta e capace, in realtà è l'assassina del suo patrigno.” concluse il Messicano.

Patricia rimase inebetita, senza rispondere. Mandy le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla “Va tutto bene?” si preoccupò. “Erano brutte notizie?” “No” riuscì a dire Patricia. “Solo lavoro” Mandy annuì. “Mi dispiace di essere stata di intralcio..” “No, resta.” rispose Patricia. “Anzi, visto che ci sei, perché non mi prepari un bel tè?” concluse, con un sorriso forzato. “Volo” rispose Mandy, ritornando allegra. Mentre Mandy entrava in cucina, Patricia mormorò “Brutte notizie, Mandy? Tu non sai quanto...non sai davvero quanto...”





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