NEI CAPITOLI PRECEDENTI:
“Secondo i rapporti ufficiali, il nostro
“nuovo” acquisto” Patricia fece una
pausa, calcando sulle sue ultime parole con disprezzo “ha
continuato a parlare di una misteriosa “telefonata”
che avrebbe rivelato la sua copertura. Ma nessuno ha telefonato a
quell’ora.”
“Io e te sappiamo bene quanto i rapporti ufficiali siano
spesso…imprecisi…” commentò
Dan.
***********
Mentre il video le scorreva sotto gli occhi, e l’audio (un
lungo concerto di spari e urla, seguito da un mormorio quasi
impercettibile) rimbombava nella stanza, il volto di Patricia si
trasformò in una maschera di orrore “Oh mio
Dio” commentò sconvolta “Oh mio
Dio”.
*********
“Scoprirò ogni cosa sul conto di chi è
responsabile di tutto questo. E il giorno in cui sarà in
mano nostra…farò in modo che se ne ricordi per
sempre” concluse Steven a bassa voce, fissando il suo sguardo
sul sole che stava tramontando nel Lago Michigan.
**********
Il suo volto uscì dalle tenebre. Si trattava del terzo uomo
nella fotografia di Dan.
**********
Con un sorriso soddisfatto, Kerman strappò
l’indumento dal corpo, recuperando un mazzo di chiavi
nascosto al suo interno. Il mazzo era attaccato a un portachiavi
etichettato come “PAULA CANTRELL-LOFT”.
**********
“Il tuo collega è la chiave per arrivare alla tua
libertà. Tu continua ad informarmi su di lui, e un giorno,
quando te lo sarai meritato, l’originale di quella cassetta
sarà tuo.” concluse il messicano, Patricia si
tolse gli occhiali scuri, rimanendo per alcuni secondi a fissare la
schiena dell’uomo che si allontanava lentamente.
************
L‘uomo, quando fu chiaro che Jane non lo poteva
più sentire, prese il suo telefonino e compose un numero.
“Sono Parker. Il primo contatto con la seconda potenziale
talpa è stato effettuato” comunicò
freddamente.
************
“Si chiama Zoe qualche cosa. Vive a Delavan, vicino al lago.
Andavamo da lei qualche volta…ha un loft e dava le chiavi a
Paula”
************
“Un collasso? Quanto grave?” si informò
nervosamente Dan. L’infermiere sospirò
“Signor Weissman, Ginevra Shelby è
morta.”
CAPITOLO III: La casa sul lago
SEARS TOWER, PIANO
42-INTERNO 8
QUATTRO
ANNI FA
L’ufficio, perfettamente arredato, era completamente vuoto.
La scrivania, di mogano purissimo, era stata girata in modo da godere
al meglio della splendida vista sul lago Michigan. Nonostante fosse
tarda notte, le luci della città garantivano una luce
discreta, che illuminava la sedia in pelle e gli scaffali di legno
pregiato, conferendo alla stanza un aspetto crepuscolare.
All’improvviso la porta dell’ufficio si
aprì di scatto, permettendo a due uomini di entrare. Il
più alto dei due era l’uomo della fotografia di
Dan, l’uomo che, molti anni dopo, avrebbe incastrato Steven.
L’altro era Dan in persona.
I due si fermarono vicino alla scrivania. Dan appoggiò i
gomiti sul mobile, sospirando profondamente. Il suo compagno,
decisamente più rilassato, si accese una sigaretta ed
inspirò lentamente il fumo, quasi assaporandolo.
“Non c’è niente di meglio di questa
sera” sentenziò “Una notte serena, un
amico con cui discutere, un pacchetto di sigarette.
Felicità, perfezione e pienezza di vita”.
Inspirò di nuovo. “Non sei d’accordo,
Dan?” Dan non rispose se non con una smorfia di scarsa
convinzione. “Potrei fare degli esempi diversi di quello che
intendo come felicità, ma sarebbero fuori luogo,
Virgil” commentò .
Virgil annuì lentamente, appoggiandosi alla finestra.
“Eppure è uno spettacolo magnifico. Mi ricordo
ancora di quando lo vidi per la prima volta: non riuscivo a credere ai
miei occhi” continuò, quasi estasiato
“Milioni di persone sotto di te, ignare, che vivono la loro
vita… Chi arriva qui è sopra ogni giudizio, al di
là di ogni possibile vendetta, o meschina ritorsione.
E’ così che si sente Dio, quando ci
osserva” concluse. Dan non obiettò: sembrava
nervoso e vagamente a disagio.
“La tua pistola, Dan” ordinò Virgil in
tono secco. “Prendila dalla tasca destra e appoggiala sulla
scrivania”. Stupefatto, Dan si bloccò per un
attimo. “Come hai fatto ad indovinare?”
mormorò. “Andiamo…”
obiettò Virgil, sorridendo. “Sapevo me la avresti
portata…lo fai sempre” Dan non rispose:
semplicemente, frugò nella sua tasca destra e
appoggiò una automatica sulla scrivania, togliendo il
caricatore che si infilò in tasca. Virgil premette un
pulsante e le luci dell’ufficio si accesero. La luce
improvvisa quasi accecò Dan, che si dovette riparare gli
occhi con una mano.
“Da quanto tempo ci conosciamo, Dan?”
domandò Virgil. “Dieci anni” rispose
Dan, senza riuscire a guardare negli occhi l'uomo a cui aveva risposto.
“E siamo amici, non è vero?”
continuò Virgil. Dan non rispose. “Dan, capisco
come ti senti. Mi sentivo anche io come te, due anni fa. Avrei voluto
piantare una pallottola in testa all'uomo che mi aveva introdotto nelle
Sequoie. Ma passerà, vedrai” concluse Virgil,
concedendosi una seconda sigaretta. “Quello che ti hanno
chiesto, ciò a cui hai rinunciato...non è nulla,
rispetto a ciò che riceverai” spiegò.
“Sei come un bruco che rimpiange il bozzolo che ha dovuto
abbandonare..ma non sa che diventerà una farfalla”.
“Voglio uscirne, Virgil. Lascio le Sequoie.”
rispose Dan, fissando il suo amico negli occhi per la prima volta
dall'inizio della conversazione. “Non si esce dalle Sequoie,
Dan” osservò Virgil, spegnendo la sua sigaretta in
un posacenere nero. “Non mi importa. Uccidetemi pure, se
volete” rispose Dan. “Non funziona
così.” obiettò Virgil “Non ci
sono punizioni per chi decide di abbandonarci...semplicemente, nessuno
può farlo. Te ne accorgerai”.
“E se domani mattina entrassi nel commissariato
più vicino, e rivelassi tutto ciò che so, Virgil?
Che cosa fareste?” chiese Dan, in tono provocatorio. Virgil
si limitò a scuotere la testa. “Chi ti
crederebbe?” si limitò a rispondere. Dan non
rispose. “Riposati, Dan” disse Virgil
“Hai già fatto abbastanza. Un giorno, quando
avremo bisogno di te, ti contatteremo di nuovo” concluse.
CASA DI DAN WEISSMAN
PRESENTE
“Signor Weissman, Ginevra Shelby è
morta.” Le parole dell'infermiere paralizzarono Dan, che si
riprese solo dopo alcuni secondi “Avverto subito la signorina
Shelby. Grazie per avermi chiamato” rispose Dan , in tono
meccanico, rimettendo la cornetta al suo posto.
Per alcuni secondi non reagì, rimanendo immobile, come se un
improvviso colpo alla testa lo avesse tramortito. All'improvviso
afferrò il telefono e compose un numero.
LUOGO SCONOSCIUTO
Virgil sedeva alla sua scrivania, osservando il suo portatile e
scuotendo la testa “Questo complica tutto”
mormorò fra sé e sé. Il suo telefonino
suonò le note dell'inno americano. Virgil lo prese in mano e
lo portò all'orecchio. “Hanno ucciso la madre
della mia segreteria” gli comunicò freddamente Dan
attraverso il cellulare.
Virgil aggrottò le sopracciglia “Strano, non
è nel loro stile” rispose. “Nel loro
stile?” urlò Dan, infuriato. “Una donna
innocente è morta, anche per colpa tua, e tu dici solo che
non è nel loro stile?” “Da quanto mi hai
detto, era una donna molto malata. Avrebbe potuto morire domani, o
dopodomani. E non l'ho uccisa io, Dan” obiettò
Virgil. “Così come non hai ucciso la partner del
mio nuovo detective, non è vero?”
ribatté Dan, urlando sempre di più.
“Lamentarsi non riporterà quelle due donne in
vita, Dan. Ovviamente non vorrei mai che queste cose accadessero, ma
quella che combattiamo è una guerra. I civili, purtroppo, a
volte rimangono uccisi.” spiegò Virgil, rimanendo
calmo. “Piuttosto, fossi in te licenzierei il tuo avvocato,
Patricia Lawford. Ha un passato..non proprio esemplare, diciamo...e
potrebbe essere facilmente ricattabile” Dan non rispose.
“Tu non lo sapevi, vero Dan?” insinuò
Virgil.
“Non sono cose che vi riguardano” rispose Dan in
tono brusco. “Hai un curioso senso della moralità,
Dan. Non accetti che degli innocenti muoiano, e assumi una donna come
Patricia Lawford pur sapendo ciò che ha fatto...”
osservò Virgil. . “Le consiglierò di
trovarsi un nuovo lavoro” rispose Dan dopo alcuni secondi.
“No, aspetta” lo interruppe Virgil “Se
lei sa che tu sai del suo passato, forse possiamo usarla”
“Le persone non sono manichini nelle nostre mani,
Virgil!” obiettò debolmente Dan. “Oh,
andiamo. So che tu preferisci chiamarlo un modo per rimediare ai tuoi
errori, ma tu manipoli le persone che ti circondano come e
più di me” concluse Virgil, leggermente divertito.
“Ecco cosa farai...” proseguì.
PRIVATE LIES
Starring:
Skeet Ulrich as Steven
Campbell
Jennifer Morrison as
Patricia Lawford
Philip Baker Hall as Dan
Weissman
And
Rainn Wilson as Frank Lee
Beaumont
Guest stars:
Sophia Bush as Zoe
Joel Gretsch as Taggart
Karl Urban as Kerman
Jack Coleman as Agent Gall
David Gallagher as Harvey
Krakowski
Cheech Marin as The
Mexican
Jessy Schram as Jane
Shelby
DELAVAN. SULLA RIVA DEL
LAGO
L'automobile di Steven e Frank percorreva una strada che costeggiava il
lago di Delavan. I fari illuminavano le poche case nei dintorni, tutte
ville ben arredate, circondate da giardini perfettamente curati.
All'interno dell'automobile, Frank continuava a lanciare occhiate
glaciali ad Harvey, che si ostinava a sbuffare e a torcersi le mani.
“Ho un esame domani” mormorò
l'ex-fidanzato di Paula in tono petulante. “Davvero non
capisco cosa ha potuto trovare una ragazza come quella in una mezza
cartuccia come te” ribatté Frank. Steven,sibilando
fra i denti, sterzò leggermente, facendo cadere Frank
addosso ad Harvey. “Sei impazzito?” urlò
stupefatto Frank. “Se non la smetti, ti faccio cadere nel
lago” obiettò Steven “Finiscila di fare
l'idiota e stai zitto. Sei il peggior partner con cui ho
lavorato.”
“Ah, sì, sai che ti dico, Hollywood? Che senza di
me, tu non andresti da nessuna parte!” rispose Frank, offeso.
Steven scoppiò a ridere. Frank alzò le spalle,
mettendo il muso. “Non ti meriti un partner come me...sono
sprecato con un californiano” continuò, mentre
Steven tentava a fatica di rimanere serio. “E'
laggiù! Quel capannone, dopo il canneto” li
interruppe Harvey, indicando un magazzino grigio che spiccava fra le
foglie degli aceri che circondavano il lago. Steven annuì e
accelerò leggermente.
L'automobile si fermò in uno spiazzo invisibile dalla
strada, nascosto come era dal canneto. Steven uscì
immediatamente, mentre Frank si trascinò dietro Harvey, che
sembrava decisamente riluttante. “E se la polizia e quei tizi
sono anche qui?” borbottò. “Mi hai detto
tu che nessuno sapeva di Delavan a parte te e Paula...e se hanno
cercato di catturarti, evidentemente non lo sapevano nemmeno
“Loro”...” replicò Steven in
tono asciutto, chiudendo le porte dell'automobile. Harvey
annuì, non molto convinto.
“Da dove si entra?” chiese Frank, esaminando il
magazzino. Harvey deglutì e si avviò verso
destra, seguito subito da Steven e Frank. Arrivato davanti ad una porta
rossa Harvey iniziò a battere il pugno secondo un ritmo
preciso. “E' così che ci presentavamo, io e
Paula” spiegò “Era una specie di
gioco...” “Direi piuttosto un codice”
obiettò Steven.
All'improvviso la porta si aprì scricchiolando.
“Zoe? Sei in casa?” chiese Harvey, affacciandosi
all'interno. Il magazzino era completamente buio. “Non
c'è..strano..” mormorò Harvey. Due mani
femminili lo afferrano per il collo, trascinandolo all'interno. Frank e
Steven si precipitarono a loro volta nel magazzino. Le luci si accesero
di colpo, rivelando tre sedie disposte attorno a un tavolo sporco, e un
po' di mobilia in cattivo stato. Una bella ragazza dai capelli scuri
teneva un fucile a canne mozze puntato contro di loro. Harvey stava a
terra, le mani dietro la testa. “Posate le armi a terra o vi
uccido!” urlò la ragazza. Harvey urlò
“Sono con me, Zoe! Ti puoi fidare!” La ragazza
sembrò non ascoltarlo.
“Armi a terra, ho detto!” urlò di nuovo,
agitando il fucile. Steven alzò la sua pistola sopra la
testa e la lasciò cadere. “Harvey sta dicendo la
verità, Zoe” disse Steven “Non vogliamo
farti del male” “Zitto!” gli
ordinò Zoe. “E a terra!”
Steven fece finta di chinarsi e si avvicinò a Zoe,
strappandole il fucile di mano e puntandoglielo contro. “Se
volessi ucciderti, ora potrei farlo” le spiegò.
Zoe deglutì, impaurita. Senza aggiungere nulla, Steven
lasciò cadere il fucile a terra. “Ora mi
credi?” chiese. Zoe annuì, lasciandosi cadere su
di una sedia. Harvey si rialzò timidamente, mentre Frank
riprendeva la pistola di Steven. “Che cosa volete,
allora?” mormorò Zoe. “Notizie su Paula
Cantrell. E' scomparsa, e delle persone, persone che non si fanno
problemi ad ammazzare gente innocente, la stanno cercando. Credo che tu
sai di chi parliamo...” iniziò Steven. Zoe scosse
la testa. “Paula mi aveva solo detto che ci sarebbero stati
uomini pronti a uccidere, o a torturarmi, per sapere tutto su di lei da
me. Non mi ha mai detto perché o chi”.
Steven si morse la labbra. “Non ti hai detto chi? E tu le hai
creduto?”chiese, in tono scettico. “Era la mia
migliore amica” rispose Zoe, aggressiva. “Non le ho
chiesto nulla, degli amici ci si fida e basta.” Frank
annuì, ma un'occhiataccia di Steven gli fece tornare il
muso. “Da quanto tempo la conoscevi?”
iniziò Steven sedendosi di fronte a Zoe. “Chi sei,
un poliziotto?” chiese Zoe, in tono di sfida. “Una
specie” rispose Steven “Ma siamo tutti nella stessa
barca. Gli uomini di cui hai paura hanno quasi ucciso me, il mio
collega e Harvey. Paula è scomparsa, noi vogliamo solo
ritrovarla e rimanere vivi, potendo”. Zoe annuì di
nuovo. Harvey tentò di sedersi sulla terza sedia, ma fa
preceduto da Frank, e fu costretto a sedersi per terra.
“La conoscevo da tre anni, ma avevamo legato come
sorelle” rispose Zoe, aggiustandosi i capelli e rivelando una
brutta cicatrice sopra l'orecchio destro. “Vedete questa? Me
l'ha fatta un porco a Chicago tre anni fa. Paula è
l'infermiera che mi ha curato, e che mi ha aiutato a denunciare quel
maiale, senza impicciarsi degli affari miei, o di come lo avessi
conosciuto, o del mestiere che facevo.” Harvey
spalancò la bocca, inebetito. “Il mestiere...tu
eri una prostituta?” biascicò sorpreso.
“Complimenti, Sherlock!” rispose Zoe, applaudendo
sarcasticamente. “A volte mi chiedo che cosa ci trovasse
Paula in te!” “Ce lo chiediamo tutti!”
aggiunse Frank, sorridendo. Steven incalzò “Paula
era un'infermiera, dunque? In che ospedale lavorava?”
“Prima al Memorial, quando mi ha aiutato, poi al Saint James.
Ma il Saint non le piaceva, così aveva smesso...poco prima
di incontrare quell'idiota.” concluse Zoe, indicando Harvey,
che non rispose. “Dove lavorava prima di
scomparire?” continuò Steven.
“Non lavorava” rispose Harvey all'improvviso
“Era tornata all'università, studiava nel mio
corso...” Zoe alzò gli occhi cielo, ma
annuì. “Aveva stoffa come segaossa e ci sapeva
fare con la gente. Mi aveva persino chiesto di venire a studiare con
lei” concluse, sorridendo all'idea. “Ma non si
diventa una dottoressa lasciando il marciapiede, succede solo nelle
favole. No, io ora vivo e lavoro qui, ho trovato un posto in un
negozio, mi aiutato Paula”
Steven annuì. “Sapevi nulla delle due ore che
Paula trascorreva da sola ogni settimana?” Zoe scosse la
testa. “La regola era nessuna domanda., lei non me ne aveva
mai fatte. Ma da quello che ho capito aveva per le mani qualcosa di
grosso.. da quando aveva mollato questo pollastro, mi diceva
continuamente di non aprire agli sconosciuti e di tenere delle armi a
portata di mano.”
Harvey si alzò in piedi. “Mi riportate a casa
ora?” si lagnò, ma nessuno gli rispose.
“Avevi dato delle chiavi di questo loft a Paula?”
chiese Steven. Zoe rise. “Sì, lei lo chiamava
“il loft”. Avevamo fatto delle chiavi gemelle, un
mazzo per me e uno per lei, e avevamo persino scritto i nostri nomi
sulle etichette. Paula adorava l'ordine, io invece sono una
sciattona”
“Sai nulla sulla sua sparizione?”
domandò ancora Steven. “Niente di niente..mi
piacerebbe...ma Paula è svanita dalla sera alla
mattina...gli sbirri sono persino venuti a parlarmi, li ha mandati qui
quel genio del suo fidanzato. A loro non ho detto nulla, ma tu potevi
farmi fuori e non lo hai fatto..e non sei uno sbirro, altrimenti mi
avresti mostrato un distintivo o roba del genere” concluse
Zoe, accavallando le gambe. Steven annuì, guardandosi
attorno. “Paula potrebbe essere rimasta qui da
te...” iniziò. “E' quello che pensano
anche gli sbirri, mi hanno perquisito la casa. Purtroppo non
è così, non so dove sia, ma sono sicura che
è ancora viva.” “Come fai a
dirlo?” domandò Frank.
“La stanno ancora cercando, no?” rispose con aria
tranquilla Zoe. “Volete un tè?” aggiunse
all'improvviso. “Di sicuro ci sono molte altre domande che
volete farmi..” Steven annuì, mentre Harvey
iniziava a mordicchiarsi le unghie.
MAGAZZINO
Parker attendeva impazientemente, tamburellando con le dita sul volante
della sua automobile, parcheggiata all'interno dell'edificio illuminato
solo da pochi tubi al neon. Un uomo gli si avvicinò: nella
penombra del magazzino i suoi tratti divennero gradualmente sempre
più chiari. Era Taggart.
“Hai portato a termine il tuo compito?”
domandò in tono asciutto a Parker, che scosse la testa a
malincuore. “Ho dovuto ucciderla...lo ho iniettato una
siringa intera: mi aveva visto far fuori un'infermiera pagata da
Weissman per sorvegliarla”. Taggart lo scrutò
attentamente. “Non mi piacciono le brutte notizie”
proclamò. Parker deglutì, terrorizzato.
“Possiamo ancora usare Jane Shelby” si
scusò. “Possiamo farlo, è
vero” commentò Taggart. Parker tirò un
sospiro di sollievo. “..ma tu, ora, sei inutile...”
concluse l'assassino. Il viso di Parker si trasformò in una
maschera di terrore: Taggart aveva acceso un fiammifero e nello
specchietto retrovisore l'uomo vide Kerman, che trasportava una carica
di benzina.
Disperato, Parker si tuffò fuori dall'automobile, ma fu
fulminato dai colpi delle pistole di Taggart e Kerman. “Ci
cascano sempre...hanno sempre paura di morire bruciati”
proclamò Kerman, soddisfatto. Taggart annuì.
Kerman trascinò il corpo morto di Parker in un angolo.
Aprì un portellone, rivelando una fornace all'interno del
piccolo spazio. Senza fretta infilò il corpo di Parker nella
fornace e richiuse il portellone.
Taggart, nel frattempo, ispezionava l'automobile. “Quel fesso
aveva un cadavere nel portabagagli. E' una donna, probabilmente
l'infermiera di cui ci aveva parlato” annunciò.
“Portala qui” ordinò Kerman.
“Gall ci ha assicurato che quei poliziotti non sono
più un problema, nemmeno quello che abbiamo catturato e
spedito noi da lui, ma è sempre meglio far sparire tutte le
prove al più presto”.
CASA DI JANE SHELBY
Le note di “Arms of an Angel” di Sarah Mclachlan
riempivano la piccola stanza da letto di Jane, che, vestita con un
pigiama rosa ,faceva zapping sdraiata sul letto, tentando di distrarsi.
Un'occhiata all'orologio alle sue spalle le rivelò che ormai
erano le due di notte.
Proprio in quel momento il telefono squillò. Jane
alzò il volume della sua radio, ignorando la telefonata. Il
telefono continuò a squillare. Spazientita, Jane
afferrò la cornetta e urlò: “Qui casa
Shelby. Attualmente siamo fuori servizio e molto nervose. Non rompete
più.” “Jane, sono io.” le
rispose la voce di Dan. La ragazza fece una smorfia di irritazione.
“Non mi importa delle sue antipatie in fatto di ospedali,
capo. Mia madre andrà al Saint James. E se questo vuol dire
che sono licenziata, beh, allora ritirerò la mia
liquidazione domani”.
“Jane, ti devo parlare proprio di tua madre”
continuò Dan, sospirando. “Devi venire subito
all'ospedale.” La ragazza si bloccò, stupefatta.
“Oh mio Dio...” mormorò. “Sono
in macchina e vicino a casa tua. Ti ci porterò io”
le annunciò Dan. Senza perdere altro tempo Jane rimise a
posto la cornetta e afferrò un cappotto. Si
lanciò fuori dalla porta, mentre le note della canzone
svanivano in un mormorio confuso.
CENTRALE DI POLIZIA-SALA
INTERROGATORI
L'agente Gall e i suoi due sottoposti dell'FBI controllavano Parrish,
White il capitano Harriet Hudson, tutti e tre ammanettati a delle
sedie, come dei criminali. “Non dovrebbe tardare
molto...” mormorò fra sé e
sé Gall, attendendo vicino a un fax. Dopo alcuni secondi un
rumore meccanico lo fece sorridere: “Dipartimento di
Stato” iniziò a leggere ad alta voce, quando
l'apparecchio stampò la prima pagina. “Brutte
notizie per voi” commentò, squadrando i suoi tre
prigionieri. “Mi è arrivata l'autorizzazione a
effettuare le indagine sulla morte dell'agente Malley, firmata da Eamon
Scott , capo dell'FBI di Chicago” proseguì,
sventolando il foglio sotto gli occhi dei tre poliziotti “Il
caso è stato classificato come estremamente grave e
potenzialmente pericoloso per la sicurezza nazionale. Ciò
vuol dire che posso trattenervi per ventiquattro ore senza formulare
accuse”
White non riuscì a trattenersi e sputò a terra.
“Sicurezza nazionale un corno” ribatté
“Malley si è sparato, lo dice la scientifica e lo
avevano confermato quei due che stavamo cercando di seguire..ma voi
federali avete voluto pasticciare tutto..” Gall
annuì. “E' vero, signor White” rispose,
in tono serio “il signor Malley si è sparato...ma
legga pure il documento “ concluse, adagiando il foglio
davanti a White “ se non mi crede”. Harriet Hudson
lanciò un 'occhiata gelida al suo sottoposto, suggerendogli
di rimanere zitto. White obbedì, non senza squadrare Gall e
la sua autorizzazione con profondo disgusto.
“Ora, questo spiacevole incidente si può chiudere
qui...e personalmente me lo auguro...se mi comunicate tutto
ciò che sapete su Campbell e Beaumont”
incalzò Gall, scrutando attentamente i due uomini e la
donna. White si limitò a ricambiarlo con uno sguardo truce,
Harriet chiuse gli occhi e iniziò a scuotere la testa, ma
Parrish, più nervoso dei suoi compagni, si leccò
le labbra. “Li abbiamo trovati poco prima di lei, una donna
ci aveva chiamato per l'omicidio di un nostro collega”
sbottò all'improvviso. White e Harriet lo guardarono,
sconcertati. Dopo un istante White sibilò “Razza
di Giuda...”
“Continui, agente Parrish, la prego” insistette
Gall. Parrish evitò di guardare i suoi colleghi e
continuò “Siamo arrivati sul posto e abbiamo
trovato un corpo a terra, Dopo alcuni secondi, l'ho riconosciuto: era
Malley.” “Nessun altro dipartimento è
stato avvisato?” chiese Gall “Il suicidio di Malley
è noto solo a voi tre?” Parrish annuì.
“Ottimo” proclamò Gall
“L'ultima cosa di cui la polizia di Chicago ha bisogno
è uno scandalo del genere..” White
fissò Parrish con disgusto.
“Ora, se accettate di firmare questo documento..”
disse Gall, porgendo ai tre poliziotti tre faldoni, mentre gli agenti
FBI liberano i due uomini e la donna dalle manette. “Di che
si tratta?” domandò Parrish, sempre più
nervoso. “Vi impegnate a non rivelare nulla di questo caso,
pena la reclusione in un carcere federale” spiegò
Gall, posando tre penne a sfera sul tavolo. “Vai
all'inferno” esclamò White “Non siamo in
Cina” Harriet annuì “Lei può
avere anche il Presidente dalla sua, per ciò che mi
riguarda” annunciò a Gall “Non siamo
obbligati a firmare” “Ovviamente no...era un favore
nei vostri confronti” replicò Gall.
Parrish firmò immediatamente, alzandosi in piedi e
dirigendosi verso la porta. “Stia seduto” gli
intimò Gall. Parrish scosse la testa “Ho firmato,
posso andare, no?” chiese, pulendosi la fronte dal sudore.
“Non prima che i suoi colleghi si decidano a
firmare” ribatté Gall “ o che le mie
ventiquattro ore scadano. Io non ho fretta. E voi?” concluse,
fissando White e Harriet.
DELAVAN- IL
“LOFT” DI ZOE
Harvey continuava a passeggiare avanti e indietro nella stanza, sempre
più nervoso. “Ti vuoi dare una calmata?”
lo rimproverò Frank. Harvey non lo ascoltò.
Zoe fumava una sigaretta, annuendo mentre Steven le finiva di
raccontare gli avvenimenti che lo avevano condotto al
“loft” “...e adesso siamo qui”
concluse Steven. Zoe annuì di nuovo e spense la sigaretta in
un posacenere di plastica nera. “Paula deve essere finita
all'interno di qualcosa di molto grosso” commentò
Zoe. Harvey all'improvviso uscì dal magazzino.
“Dove vai?” gli domandò Frank.
“Devo avvertire i miei professori... voglio farmi rimandare
l'esame” si lamentò Harvey. “Beh, puoi
farlo qui davanti a noi” propose Steven, scrutando
attentamente Harvey. “A meno che tu non intenda chiamare la
polizia...il che sarebbe una mossa davvero stupida, visto quello che ti
è successo”
“Voglio andarmene!” protestò Harvey
“Mi state tenendo qui contro la mia
volontà...” “Contro la tua
volontà?” sbottò Frank “Ti
abbiamo salvato la vita!” “Non mi avrebbero
ucciso..volevano solo parlarmi...dirò tutto e la faranno
finita!” continuò a piagnucolare il ragazzo.
“Tutto cosa?” chiesero quasi contemporaneamente
Steven e Zoe. Harvey si morse le labbra “Tutto quello che ho
sentito...” mormorò. Steven scosse la testa.
“Tutto cosa?” ripeté. Harvey mosse lo
sguardo da Steven a Frank, a Zoe. Tutti e tre sembravano poco disposti
a lasciarlo in pace.
CASA DI PATRICIA LAWFORD
Patricia non riusciva a dormire. Accoccolata sul divano davanti alla
televisione spenta continuava fissare lo schermo vuoto, avvolgendosi
nella sua camicia da notte e tentando disperatamente di calmarsi.
Lo squillo del telefono la fece sobbalzare. Patricia si
lanciò sulla cornetta e la afferrò di scatto.
“Pronto?” rispose in tono ansioso. “Ciao
Pat! Che razza di voce, ti è morto il gatto?” le
rispose in tono amichevole una voce femminile.
“Mandy..è bello sentirti” rispose
Patricia, asciugandosi il sudore dalla fronte con una manica della
vestaglia. “Meno entusiasmo, o potrei pensare che non hai
niente di meglio da fare che ascoltarmi” scherzò
Mandy.
“Mi dispiace, non ho più pensato alla nostra
cena” rispose Patricia “ “Non ti
preoccupare, non fa niente” rispose Mandy
“Però dì al tuo capo che se ti carica
di lavoro domani sera, sarò costretta a rapirti. Ti serve un
po' di divertimento, e se vuoi invitare qualche amico, non farti
problemi!”. Patricia sorrise. “Non c'è
il minimo rischio...”rispose. “Allora ne
porterò uno io” replicò Mandy in tono
scherzoso. “Ti serve un po' di compagnia maschile!”
“Uomini? Comincio a preferire i cani: puzzano di meno e non
sanno mentire” ribatté Patricia. “OK,
allora facciamo una bella serata solo per noi ragazze...a
domani” concluse Mandy. “Aspetta, non so
se-” iniziò Patricia. “Poche storie:
domani davanti a casa tua. Passo e chiudo” la
bloccò Mandy chiudendo la conversazione. Dopo pochi secondi
il telefono squillò di nuovo. Patricia abbozzò un
rapido sorriso e riprese in mano la cornetta.
“Volevo dirti che ho degli impegni extra, non se potremo
cenare domani” disse immediatamente. “Beh, non ti
avevo ancora invitato, ma grazie” rispose la voce del
Messicano in tono canzonatorio. Patricia raggelò.
“Stavi ascoltando la mia conversazione?” rispose in
tono duro. “Domani mattina fatti trovare allo zoo”
replicò il messicano senza rispondere. “Ci
conto...” concluse. Patricia rimase con la cornetta in mano
per qualche secondo.
NORTHWESTERN HOSPITAL
L'automobile di Dan si fermò all'improvviso nel parcheggio.
Jane si precipitò fuori dalla macchina, tuffandosi nella
reception senza nemmeno aspettare che Dan la seguisse. “Dove
è?” urlò ad una sconvolta infermiera.
“Signorina, mi scusi ma..” rispose la donna,
avvicinando una mano ad un segnale di allarme. Jane inspiro
profondamente. “Sto cercando mia madre. Ginevra Shelby.
Oncologia. Mi hanno parlato di un collasso, voglio sapere dove
è e cosa è successo, subito”
ordinò. L'infermiera si morse il labbro inferiore.
“Non è più in oncologia”
rispose. “In rianimazione, allora.”
esclamò Jane, mentre Dan entrava dalla porta alle sue spalle.
“Jane...” sussurrò l'uomo. La segretaria
si voltò verso di lui. “Mi hanno detto dove
trovare tua madre..ti ci accompagnerò io”
concluse, rivolgendo un'occhiata significativa all'infermiera, che
annuì. Jane, relativamente più calma,
seguì Dan. L'uomo premette il pulsante dell'ascensore ed
entrò, seguito dalla ragazza. All'interno della cabina Dan
premette il pulsante che conduceva al primo piano. Jane si morse le
labbra, impaziente. Le porte dell'ascensore si aprirono pochi istanti
dopo, e Jane e Dan si precipitarono verso il reparto di rianimazione.
Un medico sulla quarantina notò Dan e gli rivolse un cenno.
Dan annuì, fermandosi e lasciando avvicinare il medico.
“Signorina Shelby, signor Weissman” li
salutò “Sono il dottor. Hart. “
“Come sta mia madre?” chiese immediatamente Jane.
Il dottore si schiarì la voce e scambiò un rapido
sguardo a Dan. “Il cuore di sua madre, signorina Shelby, era
diventato molto fragile. Le condizioni di sua madre erano
già compromesse dalla malattia...non è riuscita a
superare il collasso, mi spiace” concluse.
Jane si lasciò cadere su una sedia, stordita dalla
rivelazione. “Non è vero” rispose Jane
all'improvviso. “Non è vero, vi siete
sbagliati” continuò “Non è
mia madre, mia madre non è morta...”
“Jane...” le disse Dan, in tono triste, ma
estremamente calmo “purtroppo è così.
Mi hanno avvertito per telefono, non sono riusciti a
trovarti” Jane scosse la testa, trattenendo a stento le
lacrime. “Non è vero, voglio vederla. So che non
è lei” Dan e il dottor Hart si scambiarono
un'occhiata. “Non so se-” iniziò Hart.
“La accompagno io” tagliò corto Dan.
Il dottor Hart annuì e condusse Jane e Dan verso le scale,
accompagnandoli fino alla camera mortuaria. Jane continuava scuotere la
testa, senza parlare. Il dottor Hart aprì la porta, e Dan e
Jane si trovarono di fronte al corpo di Ginevra. La morte aveva
rilassato i muscoli facciali di Ginevra: la donna aveva un aspetto
calmo, e in qualche modo la sua bellezza sembrava rifiorita. Jane
lanciò un urlo e si avvinghiò a Dan, iniziando a
piangere. L'uomo strinse la ragazza in un abbraccio paterno, mentre il
dottor Hart si allontanava senza fare rumore.
“E' colpa tua” annunciò all'improvviso ,
staccandosi da Dan. “Tu non hai voluto che fosse ricoverata
al Saint James. Tu l'hai uccisa!” urlò. Dan non
rispose, limitandosi a chinare la testa. Jane rivolse un'occhiata al
corpo della madre. “Tu l'hai uccisa”
mormorò. “Lasciami sola”
“Jane..” iniziò Dan. “Ti ho
detto di lasciarmi sola!” urlò di nuovo Jane. Dan
uscì silenziosamente dalla stanza , non senza rivolgere un
ultimo sguardo alla sua segretaria.
DELAVAN- IL
“LOFT” DI ZOE
La fronte di Harvey si riempì di gocce di sudore.
“Stiamo calmi, no?” propose. “Noi siamo
calmissimi. Sei tu ad essere nervoso” gli fece notare Steven.
Zoe scosse la testa e allungò la mano destra verso il suo
fucile. Steven la bloccò, scuotendo a sua volta la testa.
“Non serve” spiegò “Ora Harvey
ci dirà tutto..vero Harvey?” concluse fissando
l'ex-ragazzo di Paula con attenzione. Frank sbuffò
“Per me il fucile è una buona idea”
commentò.
Harvey aprì la bocca per un istante prima di tuffarsi
all'improvviso verso la porta. Steven si alzò in piedi e
riuscì ad atterrarlo con un calcio alle gambe. Harvey
ululò per il dolore, ma si sollevò subito,
aprendo la porta del magazzino e mettendosi ad urlare. Steven lo
afferrò di nuovo, ma era troppo tardi: due pescatori avevano
assistito alla scena e uno di loro aveva già estratto il
telefonino.
“Dobbiamo andarcene subito” annunciò,
ritornando nel magazzino e trascinandosi dietro Harvey, che farfugliava
parole incomprensibile “La polizia sarà qui fra
poco, grazie a questo imbecille. Hai un'automobile?'” chiese
Steven a Zoe, che annuì. “Allora useremo la tua.
La nostra è stata di sicuro segnalata”
spiegò.
“Frank, aiutami a salvare la vita a questo stupido”
aggiunse. Frank annuì, e i due imbavagliarono Harvey con un
fazzoletto, afferrandolo per le mani e le caviglie. Zoe
afferrò delle chiavi “Usciremo dal
retro” annunciò. “La mia automobile
è a cento metri.” Steven annuì, mentre
lui e Frank sollevavano Harvey, che tentava debolmente di divincolarsi.
I tre uomini e la donna uscirono dal magazzino, tentando i correre nel
canneto che circondava la costruzione. I due pescatori li notarono
subito ed iniziarono a sbraitare. Uno di loro afferrò
addirittura la canna da pesca, sventolandola come una clava. Zoe si
tuffò in mezzo alle canne con agilità, ma Frank e
Steven erano impacciati da Harvey che si contorceva nel tentativo di
liberarsi e vennero raggiunti dai due pescatori.
“Lasciatelo andare” urlò il
più alto, un uomo calvo vestito di verde. Harvey
iniziò ad urlare attraverso il bavaglio. Steven fece cadere
Harvey a terra e il ragazzo trascinò con sé anche
Frank, che iniziò ad imprecare. Steven approfittò
di un attimo di distrazione dei pescatori per estrarre la pistola.
Stupefatti, i due uomini fecero cadere a terra le loro canne da pesca.
“Filate via” ordinò in tono calmo. I due
pescatori non se lo fecero ripetere due volte. Zoe uscì dal
canneto e aiutò Frank a tornare in piedi. “Di
là!” urlò. Steven annuì e,
con l'aiuto di Frank, spinse Harvey davanti a sé.
I quattro raggiunsero una vecchia Ford parcheggiata vicino ad una
sterrata. Zoe aprì rapidamente la portiera anteriore e
accese il motore. Steven e Frank aprirono le portiere posteriori e
scaraventarono Harvey sul sedile dei passeggeri. Frank si
accomodò vicino ad Harvey, mentre Steven prese posto di
fianco a Zoe. La ragazza chiuse le portiere e mise in moto
l'automobile, che si allontanò rapidamente dal parcheggio.
“Mi sono sporcato i vestiti,
dannazione!”imprecò Frank, cercandosi di ripulire
la sua giacca dalle macchie di fango che la ricoprivano. Né
Steven né Zoe lo degnarono di una risposta.
“Dobbiamo decidere dove andare subito. Gli sbirri di Delavan
sono lenti, ma abbiamo perso tempo.” spiegò Zoe.
“Lo so” rispose Steven. “Per questo
motivo ritorneremo subito a Chicago.” Zoe fece una smorfia,
ma non rispose, concentrandosi sulla strada.
Il suono di una sirena fece trasalire Steven e Zoe. “La
stradale” annunciò Frank, voltandosi a destra.
“Ci fanno segno di accostare...”
“Accelera” ordinò Steven a Zoe, che
annuì, premendo sempre di più il pedale
dell'acceleratore e distanziando l'automobile della polizia.
“Cosa state facendo?” domandò Frank,
spostando Harvey a sinistra. “Dobbiamo fermarci e raccontare
tutto! Questi sono poliziotti locali, non possono avere i loro uomini
in ogni corpo di polizia del paese!” esclamò.
“No, grazie, non voglio essere arrestato per
“errore” un'altra volta”
replicò Steven.
L'automobile della polizia stradale di Delavan si fece più
vicina. Zoe diede un'occhiata nello specchietto retrovisore e
sterzò rapidamente a sinistra, facendo sbattere Frank contro
il finestrino. Harvey approfittò della caduta per liberarsi
del bavaglio e mettersi ad urlare. Frank gli rifilò una
gomitata nello stomaco, mentre Zoe sterzava rapidamente a destra.
L'automobile della polizia fu affiancata da un'altra volante. Un agente
corpulento afferrò un megafono e annunciò a voce
alta “Qui è il Dipartimento di polizia di Delavan.
Accostate immediatamente!” Zoe si voltò verso
Steven. “Dì al tuo amico di reggersi
forte” annunciò. Steven annuì
“Allacciati la cintura e cerca di allacciarla anche a
lui” spiegò a Frank. Il poliziotto, sbuffando,
immobilizzò Harvey, che continuava a lamentarsi, e
riuscì ad allacciargli la cintura.
Zoe inspirò profondamente e accelerò, ruotando
completamente il volante. La Ford si girò di 180 gradi e
passò esattamente fra le due automobili della polizia.
Harvey urlò. Zoe accelerò di nuovo, distanziando
di molto i poliziotti che non erano ancora riusciti ad invertire la
marcia. “Siamo contromano!” urlò Frank.
Zoe alzò le spalle. “Non passa mai nessuno in
queste strade” spiegò, imboccando, sempre
contromano, una sterrata sulla destra.
Un trattore si muoveva lentamente nella sterrata. Mordendosi le labbra,
Zoe fece fare alla Ford un altro rapido testacoda, passando a pochi
centimetri dal trattore e spaventando a morte il contadino alla guida,
che le rivolse una serie di imprecazioni.
L'imprevisto aveva fatto avvicinare le automobili della polizia, che
ora proseguivano affiancate. Zoe fu costretta a rallentare fino quasi a
fermarsi per evitare uno scontro frontale. I poliziotti fermarono le
volanti, facendole segno di accostare. Zoe fermò
l'automobile, ma non uscì.
“Abbiamo un'ultima possibilità”
esclamò girandosi verso Steven. “Tagliamo per i
campi”annunciò. Frank aprì la bocca per
obiettare, ma Zoe stava già ricominciando ad accelerare,
sollevando una nuvola di polvere che ricoprì un agente che
si stava avvicinando alla Ford e svoltando in un campo arato da poco,
per poi ritornare sulla strada principale, lontano dai poliziotti. Zoe
guardò lo specchietto retrovisore e sorrise.
CENTRALE DI POLIZIA
L'agente Gall diede un'occhiata soddisfatta agli agenti di polizia che
vagano per i corridoi, gestivano i fermi e scrivevano i rapporti. Nulla
indicava la presenza dei suoi uomini nella centrale, o l'assenza del
captano Harriet Hudson e dei suoi sottoposti. “Tutto procede
alla perfezione, signore” gli annunciò un agente
FBI basso e dai capelli a spazzola. “Eccellente”
commentò Gall. “Quando la Hudson e White si
saranno decisi a firmare li faccia portare davanti alla Commissione
Disciplinare. Si assicuri che vengano licenziati e li tenga sotto
controllo” “E Parrish, signore?” chiese
l'agente. “Ha collaborato”.
Gall alzò le spalle “Faccia licenziare anche lui,
non sa nulla di realmente utile” concluse. L'agente si
allontanò con un mezzo inchino. Gall afferrò il
suo telefonino e iniziò a comporre un numero. Prima che
potesse terminarlo, tuttavia, un altro agente gli passò un
foglio. “Signore, credo che li abbiamo trovati”
annunciò “La polizia di Delavan sta cercando
quattro fuggitivi su una Ford. Le descrizioni di tre dei fuggitivi
corrispondono a quelle di Campbell, Beaumont e Krakowski”
Il volto di Gall si illuminò. “Mi faccia preparare
subito un'automobile” ordinò “ Non
dobbiamo assolutamente lasciarli fuggire”.
MAGAZZINO
Il telefono del magazzino si mise improvvisamente a squillare. Kerman
stava sorvegliando la fornace e invitò Taggart a rispondere.
“Taggart” si identificò quest'ultimo,
alzando la cornetta. “Andate subito a Delavan”
ordinò la voce di Gall. “Campbell è a
bordo di una Ford con due uomini e una donna. Ricordate che voglio
Campbell vivo- e possibilmente, nessun altro in quella automobile deve
morire.” “Ricevuto” confermò
Taggart, chiudendo la conversazione.
“Si va a Delavan” annunciò Taggart a
Kerman, che si mise a sbuffare. “Detesto i lavori lasciati a
metà” spiegò. Taggart alzò
le spalle ed aprì la portiera anteriore dell'automobile di
Parker. “Potrai continuare a distruggere le prove
più tardi” suggerì Taggart.
“Ora dobbiamo catturare Campbell” Kerman
annuì e girò una manopola, spegnendo la fornace.
WEISSMAN INVESTIGATIONS
Dan sedeva dietro alla sua scrivania, immobile. La sua mano destra era
appoggiata sul tavolo, mentre la sinistra giocherellava con la maniglia
di un cassetto. La porta dell'ufficio si aprì, facendo
entrare Patricia. Dan si rilassò.
“Ho dato tre settimane di riposo assoluto a Jane”
annunciò Dan. Patricia annuì debolmente.
“La perdita di un genitore è difficile da
sopportare” continuò Dan. Patricia
fissò il muro senza rispondere. Dan sospirò e
incrociò le dita. Patricia aspettò dell'attimo di
distrazione di Dan e appoggiò le mani sulla scrivania del
capo, afferrando le chiavi del cassetto. “Signore, purtroppo
devo darle una brutta notizia” iniziò. Dan
sollevò la testa e le rivolse un'occhiata interrogativa.
“Il caso Waldheim occuperà tutte le mie energie
per diversi giorni. Con Jane a casa e il nostro
investigatore” Patricia fece una breve pausa, dando alla
parola “investigatore” una sfumatura di disprezzo
“ attualmente irreperibile, l'agenzia rimarrà a
corto di impiegati...” Dan annuì. “Le
suggerirei di contattare il signor Campbell al più
presto.” continuò Patricia in tono sostenuto.
“Da quanto tempo ci conosciamo, Patricia?” rispose
Dan, fissando la donna negli occhi. Patricia rimase interdetta e
riuscì solo a mormorare “Signore?” Dan
scosse la testa. “Nessuno ti conosce meglio di me. Eppure tu
insisti a darmi del lei e a chiamarmi “Signore”.
“ Patricia si morse la labbra. “Rispetto la tua
decisione” continuò Dan “ E credo di
averne capito i motivi...ma questo non vuol dire che tu non possa
confidarmi i tuoi problemi. Posso aiutarti...” concluse Dan.
“Nessuno può” rispose in tono secco
Patricia, alzandosi in piedi.
Sospirando, Dan annuì “Vai pure,
chiuderò io” dichiarò. Senza
rispondere, Patricia uscì dalla porta principale. Dan attese
un attimo e diede un'occhiata al cassetto. Il suo telefonino
squillò. “E' andata tutto bene.” rispose
Dan, afferrando il cellulare. “Come avevi previsto, mi ha
chiesto un permesso e mi ha rubato le chiavi. Ho fatto in modo che
passi a Loro le informazioni false che abbiamo preparato”
“Ottimo” replicò la voce di Virgil. Dan
si alzò in piedi, specchiandosi nel vetro di uno dei suoi
quadri. “Il bruco è diventato una farfalla, come
dicevi tu, Virgil...ma è una farfalla vecchia e stanca di
mentire.” Virgil non rispose: la conversazione era stata
interrotta. Sospirando, Dan uscì dal suo ufficio chiudendolo
a chiave.
FUORI DALLA WEISSMAN
INVESTIGATIONS
“Ho recuperato le chiavi, ti consegnerò tutto al
più presto” disse Patricia al telefono.
“Brava, Pat. Hai appena fatto un altro passo verso quella
cassetta...e verso la tua libertà” le rispose la
voce del Messicano. “Ora vai: anche io ti do una giornata
libera” concluse il messicano, in tono canzonatorio
“Oggi è tempo di caccia” concluse
ridacchiando. La conversazione finì. Patricia trattenne a
stento le lacrime.
Un rumore la informò di un messaggio ricevuto. Patricia
riprese in mano il cellulare e lo lesse: proveniva da
“Corjeag”, e diceva “Il dibattimento
è fra mezz'ora. Cerca di esserci.”Patricia si
asciugò gli occhi ed entrò in macchina.
OTTAVO DIPARTIMENTO DI
POLIZIA DI CHICAGO
“Dove diavolo è Beaumont?” si
informò Davis, sbuffando. Nessuno gli rispose, a parte
un'agente donna che si limitò ad alzare le spalle.
“Dovevamo lavorare sul caso Cantrell, ed invece ha pensato
bene di sparire” continuò a lamentarsi.
Proprio in quel momento il Luogotenente Bronson fece il suo ingresso
nel dipartimento. “Dove è Beaumont?”
chiese rapidamente a Davis. “Non lo so, signore, lo stavo
cercando anche io, ma a quanto pare oggi non si è
presentato” Bronson alzò gli occhi al cielo.
“Deve solo pregare di essere qui entro tre ore, altrimenti
è licenziato” esclamò Bronson. Davis
annuì, leggermente soddisfatto.
A VENTI CHILOMETRI DA
DELAVAN
L'automobile di Gall sfrecciava sulla corsia di sorpasso.
“Dove avete detto che vi trovate?” chiese Gall al
cellulare, mentre ordinava a gesti all'autista di non rallentare.
DELAVAN
Il poliziotto corpulento conversava con Gall mentre il suo compagno
teneva gli occhi fissi sulla strada “A due miglia sud della
città, signor Gall” spiegò.
“Li abbiamo intercettati seguendo una segnalazione: due
pescatori avevano assistito a un probabile rapimento. Siamo intervenuti
al più presto.”
A VENTI CHILOMETRI DA
DELAVAN
Gall si fece passare una cartina geografica da uno dei suoi uomini
seduto sul sedile posteriore e iniziò a tracciare dei
piccoli cerchi sulle strade che dirigevano verso Chicago.
“Avete detto che li avete persi in un campo ad est della
statale...” “Esatto, signor Gall” gli
rispose la voce dell'agente di Delavan. “Benissimo. Voglio un
blocco stradale sulla statale, sull'Interstate e sulle due strade
locali ad est di Delavan” ordinò Gall.
“Ma, signor Gall.. in questo modo lasceremo a quei
delinquenti la possibilità di entrare a Chicago da
nord...” si lamentò l'agente.
“Mi occuperò io di quella via di fuga,
agente” spiegò Gall. “Grazie per la
collaborazione” concluse, chiudendo la conversazione e
digitando un nuovo numero. Sono Gall. Dirigetevi immediatamente sulla
diciottesima” annunciò.
POCO FUORI CHICAGO
“Ricevuto” confermò Kerman.
“Diciottesima” ordinò a Taggart, che
annuì e iniziò ad accelerare.
NORTHWESTERN HOSPITAL
Jane attendeva nella camera mortuaria , senza riuscire a staccare gli
occhi dal cadavere della madre.
Una infermiera le si avvicinò, portandole una tazza di
caffè. “Grazie” le disse meccanicamente
Jane. “Si figuri” si schermì
l'infermiera. “Sta aspettando altri familiari?”
“No” rispose Jane “Non ho fratelli, e mio
padre è morto anni fa, prima che io nascessi”
“Mi dispiace” si scusò l'infermiera.
Jane non rispose.
“Quando potrò portarla a casa?” chiese
all'improvviso. L'infermiera si morse le labbra. “Se firma i
documenti per il rilascio, può portarla via fra sette
ore” Jane annuì di nuovo. “Mi porti quei
documenti” ordinò, sempre senza smettere di
fissare il cadavere della madre.
TRIBUNALE
Patricia scese rapidamente dall'automobile, chiuse la portiera si mise
a salire di corsa i gradini davanti al Tribunale. Una donna bionda
sulla quarantina la attendeva vicino alla porta, controllando il suo
orologio. “Per tua fortuna non sei in ritardo,
Lawford” la accolse. “Non lo sono mai,
Corjeag” replicò Patricia. “Credi di
potere dimostrare l'infedeltà del marito?” chiese
Corjeag, con una punta di scetticismo.
Patricia le rispose presentandole un faldone di fotografie
“L'abbiamo in pugno” annunciò
“Noi della Weissman non affrontiamo mai una causa se non
siamo sicuri di vincerla” Corjeag annuì.
“Belle, queste foto..chi le ha fatte?”
commentò. “Non lavora più per
noi” si limitò a rispondere Patricia.
“Ci serviranno molto” commentò Corjeag.
“Oggi è Batman a presenziare”.
Patricia alzò gli occhi al cielo: il giudice Wayne, noto fra
gli avvocati come “Batman”, era famoso come il
più puntiglioso giudice civile del Tribunale.
“Andiamo ora. La mia cliente ci aspetta
all'interno” concluse Corjeag. Patricia annuì e le
due donne entrarono nel tribunale.
DELAVAN
L'agente di polizia corpulento ordinò al suo compagno di
fermare l'automobile. “Sono loro!”
annunciò trionfante, indicando la Ford di Zoe,
apparentemente finita contro un guardrail. L'automobile della polizia
si avvicinò e i due agenti scesero impugnando le loro
pistole. “Non c'è nessuno!”
annunciò l'agente alla guida al suo collega corpulento, dopo
aver controllato l'automobile. “Non è
possibile..fatti da parte” gli ordinò il collega,
spalancando la portiera destra della Ford.
L'automobile era effettivamente vuota. I due agenti si fissarono a
vicenda, stupefatti. “Dove sono finiti?” chiese
l'agente magro all'altro. “Che io sia dannato se lo
so...” rispose quest'ultimo.
Proprio in quel momento l'automobile della polizia si rimise in moto,
lasciando i due agenti a piedi. “Fermatevi!” si
misero ad urlare i due, senza successo.
Nell'automobile della polizia Zoe si mise a ridere, osservando lo
specchietto retrovisore. Era l'unica persona a bordo, ma tre cappelli,
recuperati dal suo portabagagli e appoggiati su dei bastoni, davano
l'impressione che Steven, Frank e Harvey fossero assieme a lei. Dopo un
paio di chilometri si fermò accanto ad un fosso, scese
rapidamente dall'automobile della polizia e, inserendo la prima la
spinse nel canale. Dalla strada ora l'automobile si notava con
difficoltà.
I due agenti rimasti a piedi si misero a correre verso il telefono
più vicino. Steven, Frank e Harvey, ancora imbavagliato,
sbucarono dai cespugli vicini al guardrail. “Possiamo
andare” annunciò Steven.”La stazione
è a mezzo chilometro, Zoe ci raggiungerà fra
poco. Il furto di un automobile della polizia dovrebbe confonderli
quanto basta”. Frank annuì e diede una spinta ad
Harvey, costringendolo a cominciare a correre.
AUTOMOBILE DELL'AGENTE
GALL
“Vi hanno che cosa?” urlò Gall nel
telefonino. “Ci spiace, signor Gall, siamo stati
lenti” rispose la voce dell'agente corpulento. “Ora
sono in viaggio sulla nostra automobile, la numero
ventisette” continuò. “Va bene..va
bene” concesse Gall, calmandosi. “Farò
circolare immediatamente l'allarme. Restate dove siete.” li
ammonì, concludendo la conversazione.
“Sono su un automobile della polizia, la numero
ventisette” annunciò pochi secondi più
tardi, informando telegraficamente Taggart e Kerman. Uno degli agenti
di Gall, incuriosito, chiese timidamente “Con chi stava
parlando, signore?” “Servizi speciali
FBI” rispose Gall, leggermente infastidito. “Non
informa gli agenti locali?” chiese ancora l'uomo, stupito.
“Non sono tenuto a giustificare le mie azioni con
lei” annunciò gelidamente Gall.
“Acceleri, dannazione!” concluse, esortando
l'autista. Accorgendosi di non avere concluso la conversazione Gall
premette un pulsante, mordendosi le labbra.
AUTOMOBILE DI KERMAN E
TAGGART
“Sentito? Siamo dei servizi speciali dell'FBI ora”
commentò Kerman, sogghignando. Taggart abbozzò un
sorriso. “Se sono su una automobile della polizia li
individueremo subito” rispose dopo qualche secondo di
riflessione. “Hanno fatto una pessima mossa”
concordò Kerman “Quindi probabilmente si
fermeranno e proseguiranno a piedi, cercando di seminarci per i
campi”. Taggart annuì.
“Richiamalo” ordinò a Kerman.
“Lo sto già facendo” commentò
quest'ultimo.
VICINO ALLA STAZIONE DI
DELAVAN
Frank ansimava pesantemente, tenendosi le mani sulle ginocchia.
“Mai più” sentenziò.
“Sto morendo...” Steven scosse la testa, allungando
uno schiaffo ad Harvey, che si stava per sdraiare a terra.
“Ti toglierò il bavaglio, ora” lo
informò. “Ma se provi ad urlare, ti
spezzerò un braccio, visto che sei tanto stupido da non
capire quando devi salvarti la pelle”. Harvey
annuì.
“Non andiamo?” domandò Frank, tirando un
paio di sospiri profondi e guardandosi attorno. “Aspettiamo
Zoe” gli ricordò Steven. “Non a
lungo” precisò Zoe, uscendo dai cespugli dietro a
Steven, Non sembrava affaticata. “Come diavolo hai fatto? Non
sei nemmeno sudata” domandò Frank, pulendosi la
fronte con la manica destra. “Merito di una vita sana e di
molto esercizio” scherzò Zoe, squadrando Harvey.
“Credi sia prudente?” chiese a Steven, che stava
togliendo il bavaglio al ragazzo. “Ha già capito
che è nel suo interesse..vero Harvey?” chiese
Steven.
Zoe fece una smorfia di scetticismo.
AUTOMOBILE DELL'AGENTE
GALL
Gall annuì, tenendo il telefonino accanto all'orecchio
destro. “Ci avevo già pensato..”
mormorò, fermandosi all'improvviso. “Dove
è stata trovata la Ford?” chiese all'agente che
sedeva dietro di lui. “Qui, signore” rispose
quest'ultimo, evidenziando una curva su una strada secondaria.
Gall schioccò le dita. “Avverti la polizia
ferroviaria di Delavan” ordinò al suo sottoposto.
“Cercheranno di scappare in treno”
STAZIONE DI DELAVAN
“Quattro biglietti per Chicago” chiese Steven alla
donna nella biglietteria, un'afroamericana sulla quarantina. Dietro di
lui Harvey rivolgeva occhiate preoccupate a Zoe e a Frank, che lo
sorvegliavano attentamente. La donna contò lentamente i
biglietti, facendo infuriare Steven.
“Non si preoccupi, possiamo rimanere qui anche fino a domani
mattina” commentò l'investigatore, con un sarcasmo
che andò completamente perso. “Diciotto
dollari” annunciò la donna. Steven
infilò una banconota da venti dollari nell'apertura della
biglietteria e ritirò rapidamente i biglietti.
“Il suo resto” lo avvertì la donna,
spingendo due banconote da un dollaro attraverso l'apertura. Steven le
rivolse una smorfia di impazienza e afferrò i due dollari,.
“Arriva fra tre minuti” lo informò Zoe,
che aveva dato un'occhiata alla tabella dei treni. Steven si
rilassò leggermente.
UFFICIO DELLA POLIZIA
FERROVIARIA-STAZIONE DI DELAVAN
Un agente afroamericano stava bevendo una tazza di caffè,
fermandosi di tanto in tanto per osservare gli schermi su cui si
controllavano le attività della stazione. Il telefono
dell'ufficio si mise a squillare. “Ufficio polizia
ferroviaria di Delavan, desidera?” domandò con
voce affaticata. “Parla l'agente Gall, FBI. Deve bloccare
immediatamente tre uomini e una donna, stanno per fuggire dalla sua
stazione. Uno degli uomini è sulla trentina, piuttosto alto
e bruno, un altro è basso e porta gli occhiali, e il terzo
è biondo e giovane. Sono pericolosi, li fermi
immediatamente.”
L'agente iniziò a scrutare i monitor. “Li ho
trovati! Stanno per salire sul treno per Chicago. Li blocco
subito!” “Aspetti!” gli ordinò
Gall. “E' sicuro che stiano aspettando il treno per
Chicago?” “Ci stanno salendo proprio ora...lo
faccio fermare immediatamente” annunciò l'agente.
“Li lasci salire. Se il treno si ferma potrebbero
insospettirsi. Li bloccheremo noi a Chicago”
suggerì Gall, soddisfatto.
TRIBUNALE
“Vostro Onore, chiedo di poter presentare il reperto
C” annunciò Corjeag. La signora Waldheim, una
donna sulla cinquantina seduta al suo fianco annuì,
sospirando. “Accordato, avvocato Corjeag” rispose
il giudice Wayne, un ometto basso e dal naso aquilino. “Ma
spero che in questo caso si tratti di più che di semplici
illazioni”
Corjeag sorrise, voltandosi verso Patricia, che le porse il faldone.
L'uomo seduto al banco della difesa scosse la testa. Era completamente
calvo e decisamente in sovrappeso, e alzò lo sguardo verso
il volto del suo avvocato, che si limitò ad alzare le
spalle. “Signor Waldheim, la prego di rimanere
fermo” annunciò il giudice Wayne. Waldheim
annuì, asciugandosi la fronte.
“Come può vedere, Vostro Onore, in queste
fotografie il signor Waldheim è colto in flagrante
adulterio” La signora Waldheim singhiozzò
leggermente. “Lo vedo benissimo, avvocato
Corjeag...” commentò Wayne, strizzando gli occhi.
“Avvocato Lawford” aggiunse, rivolgendosi a
Patricia “ è pronta a testimoniare sotto
giuramento che le fotografie in questione sono state scattate da un
dipendente autorizzato della sua agenzia?”
“Certamente, Vostro Onore” rispose Patricia,
alzandosi in piedi e dirigendosi verso il banco dei testimoni.
“Giuri di dire tutta la verità, tutta la
verità, nient'altro la verità. Dica lo
giuro” gli chiese un agente del tribunale, porgendole una
Bibbia. “Lo giuro” proclamò Patricia,
con aria sicura. “Avvocato Lawford, da chi sono state
scattate le fotografie?” chiese Corjeag.
Patricia rimase a bocca aperta: il Messicano era seduto nell'ultima
fila dell'aula, e le rivolgeva un sorriso sarcastico.
“Avvocato Lawford, stiamo aspettando...” insistette
il giudice Wayne. Corjeag sussurrò “Che diavolo
stai facendo, Patricia?” Patricia si schiarì la
gola e rispose “E' stato il signor Seth Weissman, all'epoca
un dipendente della agenzia “Weissman
Investigations””.
“All'epoca? Perché è stato
licenziato?” chiese il giudice aggrottando le sopracciglia.
“Si è dimesso, Vostro Onore. Motivi
personali” rispose Patricia, socchiudendo gli occhi e
cercando di non prestare attenzione al Messicano. “Ha
problemi di congiuntivite, avvocato Lawford?”
domandò in tono sarcastico Wayne. “No, Vostro
Onore” rispose Patricia, leggermente sorpresa.
“Allora apra gli occhi, prego” commentò
Wayne.“Il signor Seth Weissman possedeva una regolare
licenza?” continuò Corjeag, rivolgendo
un'occhiataccia a Patricia.
Il Messicano tossì ed indicò a Patricia la
cassetta che teneva nella mano destra. “Avvocato
Lawford?” chiese Wayne, in tono seccato.
“Sì, la possedeva” annunciò
Patricia. “Non ho altre domande” si
congedò Corjeag, rivolgendo a Patricia uno sguardo che
significava “Non fare altre stupidaggini”.
“Avvocato Lawford, che può dirmi sul signor
Weissman?” iniziò l'avvocato di Waldheim.
“Obiezione. Non pertinente” disse Corjeag.
“Accolta” dichiarò Wayne “Si
attenga ai fatti, avvocato Morris” “Mi scusi,
Vostro Onore. Come sono state ottenute le fotografie, avvocato
Lawford?” continuò Morris. Il Messicano
indicò il suo orologio. Patricia rabbrividì.
“Avvocato Lawford, risponda” ordinò
Wayne. “La signora Waldheim si rivolse alla
“Weissman Investigations” perché
sospettava che il marito la stesse tradendo. Il signor Dan Weissman
incaricò Seth, suo nipote, di controllare il signor
Waldheim, e ottenne un'autorizzazione a fotografarlo dalla
procura” spiegò Patricia. Il Messicano si
alzò in piedi e iniziò a parlare con una guardia
del tribunale. Patricia mormorò “Non mi sento
bene, scusatemi” “La seduta è interrotta
per dieci minuti”annunciò Wayne.
“Avvocato Lawford, si vada a lavare la faccia”
Patricia annuì, alzandosi in piedi. Morris sorrise a
Waldheim, che annuì soddisfatto. “Che accidenti ti
è preso?” domandò Corjeag a Patricia.
“Non lo so...vado in bagno” si scusò
Patricia, uscendo dall'aula. La signora Waldheim rivolse un'occhiata
preoccupata a Corjeag, che inspirò profondamente.
Appena uscita fuori dall'aula Patricia scosse la testa. “Sei
molto brava come avvocato” le sussurrò
all'orecchio il Messicano. Patricia si irrigidì
“Vattene” sussurrò a sua volta
“Avevi detto che mi lasciavi una giornata di
riposo” “Lo so” rispose il Messicano
“Purtroppo ci sono stati degli imprevisti. Mi servono le
chiavi dell'ufficio del tuo capo e del suo cassetto, e mi servono
ora”. Patricia si voltò verso il Messicano e gli
rivolse un sorriso sarcastico.
“Non le ho” proclamò “ e anche
se le avessi, non ho intenzione di dartele” Il Messicano
rimase interdetto per alcuni secondi. “Cosa
diavolo..” iniziò. “Ho riflettuto.. e ho
capito che non finirà mai. Continuerai a chiedermi
“favori” e non avrò mai quella cassetta.
“ annunciò Patricia. “Sai cosa
succederà. “ la minacciò il Messicano.
“Siamo in un tribunale.. mi basta consegnare la cassetta a un
qualsiasi poliziotto e non uscirai mai più di
prigione...” “Fallo, allora.” lo
sfidò Patricia. “Ora non me ne importa
più nulla. Mi hai costretto a mentire al mio capo, a spiare
i miei colleghi...”
“Andiamo, Patricia, non sei il tipo di donna che difende i
suoi colleghi...” la stuzzicò il Messicano.
“Non mi conosci abbastanza, allora” rispose
Patricia, inspirando per farsi forza. “Non vuoi nemmeno
sapere a chi ho rubato questa cassetta?” le chiese il
messicano. “No” rispose Patricia “So bene
che sei un ladro” “Peccato..pensavo ti potesse
interessare il fatto che questa cassetta era di Dan, il tuo capo. Ti
aveva detto di averla distrutta...e stava mentendo”
mormorò il Messicano. Patricia rimase a bocca aperta.
“Stai mentendo” mormorò Patricia.
“Sarebbe stupido farlo..sappiamo bene che lui era l'unico,
oltre a me e te, a sapere” rispose il Messicano.
“Ci sono sempre Jimenez e Starsky” gli
ricordò Patricia. “Sono morti tre mesi fa.
Incidente d'auto, una gran brutta morte. Controlla, se non mi
credi” replicò il Messicano “ e credimi,
non avrei aspettato tre mesi prima di incontrarti se avessi trovato la
cassetta a casa loro”. Patricia non riuscì a
rispondere: sembrava paralizzata. “Ritorna dentro. Pensaci
su. Vedi se è il caso di proteggere un uomo che ti inganna
da sei anni” concluse il Messicano, salutando Patricia con la
mano.
STAZIONE CENTRALE DI
CHICAGO
Tre agenti dell'FBI esaminavano la folla che scendeva dal treno
proveniente da Delavan. “Non ci sono”
esclamò uno, dopo avere controllato tutti i passeggeri.
“Come sarebbe a dire che non ci sono?” rispose la
voce di Gall nel suo auricolare. “Controllate
meglio!” ordinò.
“Abbiamo visto tutti i passeggeri, signore. Non li abbiamo
trovati.” “Salite sul treno. Frugatelo da cima a
fondo se necessario. Devono essere lì dentro, non sono scesi
in nessuna delle stazione precedenti!” urlò Gall,
furioso.
STAZIONE DI ROCKFORD
Zoe, Steven, Frank e Harvey scesero dal treno proveniente da Delavan,
avviandosi verso l'uscita della stazione. “Li abbiamo
fregati, vero?” disse Frank, sogghignando. “Un
trucco geniale, salire sul treno in testa e scendere in coda. A
quest'ora saranno alla stazione centrale di Chicago..” Steven
alzò gli occhi al cielo “Non sei capace di stare
zitto?” lo rimproverò.
“Oh, andiamo! Non ci hanno beccati, è tempo di
festeggiare” continuò Frank. Steven
inspirò “La parte difficile arriva
adesso” annunciò. Zoe fissò Harvey, che
scosse la testa, come se si stesse risvegliando dopo un lungo sonno.
“La parte difficile?” mormorò.
“Se per te è facile ritornare in città
senza essere catturati, vai pure” rispose Steven. Harvey fece
una smorfia, ma non rispose.
“Perché dobbiamo ritornare in
città?” chiese Zoe, aggrottando le sopracciglia.
“Perché la chiave del mistero di Paula
è a Chicago, ne sono sicuro... e poi perché il
nostro simpatico Harvey” rispose Steven, rivolgendo
all'ex-fidanzato di Paula uno sguardo ironico “deve dirci
molte cose, e mostrarci anche dei luoghi...non è
vero?” concluse. Harvey annuì debolmente.
SEDE DELL'FBI DI CHICAGO
“Lei mi delude, agente Gall! Le ho assegnato un'intera
squadra, più due freelancer che, in teoria, non dovrebbero
nemmeno esistere, e lei non è riuscito a catturare
Campbell...” iniziò Eamon Scott, fissando il suo
sottoposto negli occhi.
“E da quanto ci ha riferito il nostro contatto”
continuò Scott “Patricia Lawford sta rifiutando di
collaborare. Lo sa cosa vuol dire tutto ciò?” Gall
non rispose, accontentandosi di annuire leggermente.
“Dobbiamo fare nuovi piani, utilizzare la nuova talpa,
rischiare molto di più. E tutto per colpa sua”
concluse Scott. “Cosa ha dire in sua difesa?”
“Signore” iniziò Gall “non
voglio essere polemico, ma il piano mi è sempre sembrato
troppo complicato. Perché non arrestiamo Weissman, visto che
sappiamo che è lui a spingere Campbell a indagare sulla
Cantrell?”
Scott gli rivolse uno sguardo glaciale. “Non possiamo
trattenerlo. Di cosa lo accusiamo, senza uno straccio di prova? Anche a
questo serviva Patricia Lawford. Doveva avere accesso ai file segreti
di Weissman...” ”Mi scusi ancora,
signore” continuò Gall, deciso a non cedere
“perché mi ha incaricato di catturare Campbell,
allora? Anche su di lui non abbiamo nulla...”
Scott scosse la testa. “Trattenere Campbell non ci creerebbe
troppi problemi: è solo un ex-poliziotto fallito. Ma
arrestare Weissman senza prove sarebbe la rovina per i nostri piani. Le
Sequoie userebbero il processo per dare pubblicità al caso
Cantrell, e questo è proprio ciò che noi non
vogliamo. Si ricordi per chi lavora” concluse Scott. Gall
annuì, chinando la testa.
“Ecco i suoi nuovi incarichi” annunciò
Scott, dopo un attimo di silenzio. “Sospenda la caccia a
Campbell, è stata controproducente finora. Si occupi di
eliminare ogni singola traccia su Paula Cantrell. Kerman e Taggart la
aiuteranno, e, se avremo successo con la seconda talpa, forse
riusciremo anche ad incastrare Weissman” Gall
annuì di nuovo.
“Eliminare..fisicamente?” chiese poi
“Devo far sparire tutti i testimoni sul caso Cantrell come i
due “freelancer” hanno fatto con i Polk?”
“Non necessariamente” rispose Scott. “Ma
si assicuri che Campbell non li possa interrogare. Può
andare ora” concluse Scott, congedandolo.
Gall chinò la testa e uscì dall'ufficio di Polk.
Uno dei suoi sottoposti gli si avvicinò “Abbiamo
ragione di credere che Campbell...” iniziò. Gall
lo zittì con un cenno della mano. “Campbell non
è più un nostro incarico”
annunciò, massaggiandosi le tempie. “Siete tutti
congedati” concluse.
CIMITERO DI MARYHILL
“Ginevra Shelby era una donna coraggiosa. Una donna che ha
lottato contro un male oscuro e incomprensibile: il cancro. Una donna
che non si è mai arresa, nemmeno quanto il male ha iniziato
a divorare i suoi organi, ma ha continuato a confidare in quel Dio che
è eterna salute ed eterna felicità. Una madre che
cresciuto sua figlia senza il conforto del marito, scomparso anni
prima...” Le parole del parroco della Chiesa Cattolica di
Maryhill facevano da sottofondo al funerale di Ginevra.
Jane era davanti alla tomba appena scavata, vestita di nero. A parte
lei e il sacerdote, c'erano solo alcuni amici della madre, fra cui Dan,
vestito di nero e con la testa chinata. Jane fingeva di non vederlo, e
cercava anche di evitare di osservare la corona di fiori che Dan aveva
fatto comporre.
“...perché la vita non ci è tolta, ma
trasformata. Riposa in pace, Ginevra Shelby” concluse il
sacerdote, mentre la bara veniva lentamente calata da due becchini.
Jane iniziò a piangere, nascondendo il suo volto in un
fazzoletto. I due operai del cimitero ricoprirono la bara di terra e
sistemarono la lapide. Si trattava di una semplice lapide di marmo, che
portava inciso il nome di Ginevra, la sua data di nascita, quella di
morte e nient'altro. I pochi partecipanti al funerale si avvicinarono a
Jane per porgere le loro condoglianze. Dan rimase in fondo alla fila e,
quando arrivò il suo turno, si limitò a fissare
Jane, che contraccambiò lo sguardo.
“Ho portato questa” si scusò, porgendo a
Jane una cassetta di mogano. “E' terra di Trieste, in Italia,
dove è nata tua madre. So che voleva portarsi una parte
della sua terra natale con sé” si
spiegò. Annuendo, Jane aprì la cassetta e sparse
il suo contenuto sulla tomba di Ginevra. “Perché
sei qui?” chiese Jane in tono gelido “Non ti ho
chiamato...” Dan sospirò profondamente.
“Glielo dovevo” spiegò. Jane
annuì di nuovo “Lei avrebbe voluto vederti
qui” ammise. “Ma questo non cancella il fatto che
non hai voluto aiutarla...” Dan scosse la testa.
“Jane...” iniziò
“C'è un motivo per cui non volevo che tua madre
fosse ricoverata al Saint James Hospital..e non è
perché non volevo aiutarla” “Allora
dimmelo”rispose Jane “Dammi una ragione, spiegami
perché non dovevo accettare quella cura...” Dan
sospirò di nuovo, trattenendo a stento le lacrime.
“E' complicato, Jane...” “Non mi
importa” insistette la segretaria “Abbiamo
tempo.”
“Diciamo che conosco quell'ospedale, e so che i suoi veri
proprietari sono persone malvagie, disoneste..ma non posso provarlo. Io
e un gruppo di miei..amici stiamo lavorando per trovare delle
prove” iniziò Dan “ma non è
facile.” concluse. Jane annuì. “Tutto
qui?” osservò. “Persone
malvagie?” “Non posso davvero dirti di
più, Jane” rispose Dan.,sconsolato.
“Non so se potrò fidarmi di te...ho bisogno di
tempo. ” accennò Jane. “Tutto il tempo
che vuoi” concesse Dan, allontanandosi “Ti prego
solo di riflettere” Jane annuì di nuovo, scrutando
Dan mentre si allontanava dal cimitero.
Il suo telefonino squillò. Jane lo portò
all'orecchio. “Sono nella cappella degli O'Donnell”
le rispose una voce. Jane annuì ed entrò
rapidamente nella cappella. “Ho riallacciato i contatti, come
mi hai detto tu” iniziò “Mi ha
raccontato la storia delle persone malvagie, proprio come avevi
previsto.” continuò, scrutando nella penombra
della cappella. “Vuole solo coprire le sue
responsabilità...” le rispose una voce maschile
“Ti ho fatto vedere i tabulati telefonici, ti ho fatto
sentire le registrazioni...tua madre era venuta a conoscenza di cose
che non avrebbe dovuto sapere, e lui non poteva rischiare che guarisse
e potesse denunciarlo..”
“Lo so...ma se non lo sapessi, gli avrei creduto”
esclamò Jane, scoppiando a piangere. “E' abile, ha
ingannato anche il governo, ha ingannato tutti” le rispose la
voce maschile. “Lo incastreremo. Vendicheremo tua madre
” promise. Jane continuò a piangere.
Uscendo dalla penombra, Taggart le porse un fazzoletto.
“Grazie” rispose Jane. “Di
niente” rispose Taggart. “Sei una ragazza molto
coraggiosa, Jane. Insieme, riusciremo a sconfiggere Dan
Weissman”.
CASA DI PATRICIA LAWFORD
Patricia passeggiava nel suo salone, scuotendo la testa. Corjeag le
aveva appena inviato un messaggio: “Abbiamo vinto, ma non
grazie a te. La prossima volta curati prima di venire in
tribunale”. Patricia lo aveva a malapena letto: la sua
attenzione era tutta rivolta al telefono e alle parole del Messicano.
All'improvviso l'apparecchio squillò
“Pronto?” chiese Patricia, afferrando la cornetta e
stringendola con forza. “Ma che vocione hai...” la
prese in giro la voce di Mandy. “Pronta per la grande serata
fra donne?” “Oh...” commentò
Patricia, stupita. “Te ne eri dimenticata, dì la
verità?” le chiese Mandy. “Non importa.
Tuffati dalla finestra e partiamo” “Non posso,
Mandy, sono in vestaglia..” rispose Patricia.
“Che problema c'è? Meglio, farai strage di
cuori..” replicò Mandy. “Avanti, posso
aspettarti...” Patricia scosse la testa. “Aspetto
una chiamata importante, mi dispiace..” “Allora
salgo io” annunciò Mandy, concludendo la
conversazione.
“Mandy, no!” rispose Patricia, accorgendosi
però di parlare al vuoto. Appoggiò delicatamente
la cornetta al ricevitore e si adagiò sul divano.
“Non dovevi venire..” sussurrò tra
sé e sé.
“Pizza a domicilio...doppia allegria al triplo
formaggio!” si annunciò Mandy poco dopo, bussando
alla porta di Patricia. “E' tutto in disordine...”
si lamentò Patricia. “Meglio, mi piace il
disordine” commentò Mandy. Sospirando, Patricia
aprì la porta. “Ciao, bellissima” la
salutò Mandy, una ragazza afroamericana piuttosto bassa e
dai tratti da diciottenne. “Ti serve una
ricarica...” commentò, scrutando l'aspetto di
Patricia e le borse sotto i suoi occhi.
“Mi dispiace, Mandy, ma te ne devi andare...Non posso farti
entrare, c'è questa telefonata...” Proprio in quel
momento il telefono squillò. Patricia si
precipitò a rispondere, mentre Mandy, approfittando
dell'imprevisto, si intrufolava in casa.
“Hai riflettuto su ciò che ti ho
chiesto?” chiese a Patricia la voce del Messicano.
“Sì” sussurrò quest'ultima.
“ E quale è la tua risposta?”
domandò ancora il Messicano. “Che puoi
and-” iniziò Patricia, interrompendosi quando vide
Mandy che la stava ascoltando. “E' no, come stamattina. Fai
come credi, io non ti aiuterò più”
concluse Patricia. “Peccato..” commentò
il Messicano. “Visto che ho sempre avuto un debole per te, ti
concedo altre ventiquattro ore...poi però tutti sapranno che
Patricia Lawford, quell'avvocatessa così distinta e capace,
in realtà è l'assassina del suo
patrigno.” concluse il Messicano.
Patricia rimase inebetita, senza rispondere. Mandy le si
avvicinò, posandole una mano sulla spalla “Va
tutto bene?” si preoccupò. “Erano brutte
notizie?” “No” riuscì a dire
Patricia. “Solo lavoro” Mandy annuì.
“Mi dispiace di essere stata di intralcio..”
“No, resta.” rispose Patricia. “Anzi,
visto che ci sei, perché non mi prepari un bel
tè?” concluse, con un sorriso forzato.
“Volo” rispose Mandy, ritornando allegra. Mentre
Mandy entrava in cucina, Patricia mormorò “Brutte
notizie, Mandy? Tu non sai quanto...non sai davvero quanto...”
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