La
gente del
paese aveva paura di quel bambino. Nonostante la pietà che
suscitava, perché
orfano dal terribile terremoto che aveva colpito il lato opposto della
Sicilia,
vi era in lui qualcosa che intimoriva. All’ombra di un
giovane albero dal
tronco attorcigliato, il piccolo osservava l’Etna, che si
ergeva all’orizzonte.
Da quando era stato portato in quel paesino sperduto, adottato da
un’amica di
famiglia, il suo unico desiderio era stato avvicinarsi il
più possibile a quel
vulcano. Ovviamente la madre affidataria non glielo concedeva.
“Vieni
dentro” chiamò una voce di donna “Fa
molto caldo, rischi di stare male”.
“Va
bene,
signora” rispose il bambino.
“Puoi
chiamarmi Mamma, sai?”.
“Non
sei la mia
mamma..” commentò lui, dopo qualche istante di
silenzio “..la mia mamma è morta
accanto a me, quando la casa è venuta giù. La sua
anima mi segue sempre”.
“Non
fare
questi discorsi. La sua anima è volata in cielo, in
paradiso. È divenuta un
angelo e ti proteggerà sempre”.
“No.
Non
credo”.
“Perché
non
credi?”.
“Perché
io
la vedo!”.
“Non
si
dicono le bugie! Lo sai che i bambini che dicono le bugie finiscono
all’inferno?”.
“Non
è una
bugia!”.
La
donna
sospirò. Forse doveva cercare di capire quello strano
orfano. Dopotutto, era
rimasto sepolto sotto le macerie per giorni, accanto alla madre morta.
Probabilmente quel che vedeva era una conseguenza del trauma subito.
Aveva
deciso di adottarlo, perché amica d’infanzia della
madre, e lo aveva condotto
lontano da quella valle, epicentro di quel terremoto disastroso. Erano
trascorsi
dei mesi ormai ma il piccolo si ostinava a dire che vedeva le anime dei
morti,
e non solo quelli della Valle del Belice.
“Forse
dovrei accompagnarti da un prete..” pensò lei ad
alta voce.
Il
bambino
inclinò leggermente la testa, senza capirne il motivo.
“Ma
cambiando argomento..tra poco sarà il tuo compleanno! Il 24
giugno compirai 6
anni! Che cosa vuoi che ti regali? Ti farò una torta gigante
con i gusti che
piacciono a te e, se ti va, possiamo chiamare qui i tuoi amichetti a
festeggiare. Che dici?”.
“Va
bene.
Però..mi porti a vedere il vulcano?”.
“L’Etna,
dici? Ma non è un posto per bambini!”.
“Per
favore!
Come regalo! Ti prego, ti prego, ti prego! Giuro che non chiedo
più niente,
sarò buono, non parlerò più delle
anime! Se vuoi ti chiamerò anche mamma! Ti
preeeeeeeego!”.
“Smettila!
Non è assillandomi che otterrai le cose!”.
Il
piccolo
si imbronciò. Poi sfoggiò il più
convincente sguardo lacrimevole possibile e
fissò la madre adottiva.
“Ci
tengo
tanto” piagnucolò “Cattiva..”.
“E
va bene!
Ti ci porto! Ma devi promettermi di fare il bravo, intesi?”.
“Sì!
Sarò il
bambino più buonissimissimo del mondo! Te lo
prometto!”.
“Va
bene.
Ora va a sederti, che ti porto la merenda”.
Il
giorno
della gita, il bambino era agitato. La madre adottiva lo teneva per
mano, per
non perderlo fra i gruppi di turisti. Lui, a sua volta, stringeva la
manina
della sorellina acquisita.
“Perché
la
montagna fuma, fratellone?” domandò la piccola.
“Perché
è un
vulcano. Dentro c’è il fuoco”.
“Voglio
vederlo!”.
“Non
si può!
Il fuoco brucia!”.
“Guardate!”
indicò la madre, quando si riuscì a vedere un
piccolo fiume di lava.
“Bello!”
esclamò il bambino, spalancando gli occhi “Andiamo
più vicino!”.
“No.
È
pericoloso”.
“Uffa..”.
“Non
sbuffare. Non sei mai contento..”.
Una
folata
improvvisa di vento li avvolse ed al bambino parve di sentire una voce.
Si girò
verso la madre, che però non aveva parlato. Storse il naso,
perplesso. Poi la
sorellina si lagnò, perché il cappellino le era
volato via. Il fratello
acquisito non esitò un attimo e corse per riprenderlo,
nonostante le grida di
rimprovero della madre. Afferrò il capello, poco distante,
ma quella voce..
“Mamma?”
domandò il piccolo, notando un bagliore azzurro fra le rocce.
“Torna
qui!”
lo richiamò la madre adottiva “Obbedisci!
È pericoloso!”.
Il
bambino
continuò a camminare. Si fermò, atterrito. Udiva
chiaramente delle urla. Erano
gemiti, suppliche e pianti. Riprovava le sensazioni sperimentate fra le
macerie
sotto cui era rimasto sepolto, in cui aveva percepito le vite di chi
aveva attorno
spegnersi.
“C’è
qualcuno qua sotto!” gridò.
“Non
c’è
nessuno qua sotto, piccolo. Cosa dici?” tentò di
rassicurarlo la madre adottiva
ma il bambino non le credette ed iniziò a correre,
avvicinandosi al punto da
cui credeva provenissero quei gemiti.
Non
facendo molto
caso a dove poggiava i piedi, inciampò e sotto di
sé il terreno cedette. Il
caldo era insopportabile ed il fumo denso ma, nonostante tutto,
riuscì ad
intravedere una figura.
“Mamma?”
chiamò il bambino.
“No
di
certo” rispose la figura, con profonda voce da uomo.
“Hai
visto
la mia mamma?”.
“No.
E tu
non dovresti essere qui”.
“Ma
io..”.
Il
piccolo
ammutolì. Accanto alla figura che gli parlava, vedeva molte
anime.
“Quelle
persone! Le hai uccise tu?” domandò.
“Quali
persone?”.
“Ah,
capisco. Non le vedi nemmeno tu..”.
“Parli
delle
anime che stanno qui, marmocchio?”.
“Sì.
Le
vedi?”.
“Ovvio.
Sei
tu, piuttosto, che non dovresti vederle”.
“Da
quando
c’è stato il terremoto, le vedo. E per questo in
molti hanno paura di me”.
“Mi
pare più
che normale. Quanti anni hai, moccioso? Dov’è tua
madre?”.
“Mia
madre è
morta. Ed oggi è il mio compleanno. Faccio sei
anni”.
“Oggi?
Sei
nato la notte di San Giovanni? Lo sai cosa si dice di quella notte? Che
sia
maledetta. Che le streghe danzino con il diavolo e che..”.
“Non
credo a
certe cose. E non mi fanno paura”.
“Nemmeno
le
anime che vedi ti fanno paura?”.
“No.
Ma tu
chi sei? Cosa ci fai qui?”.
“Non
sono
cose per bambini..”.
“Adranos!
Chi è?” tuonò una voce profonda ed
un’ombra si mosse.
“Solo
un
bambino..”.
“Cosa
c’è in
quella scatola?” domandò il piccolo, indicando una
Pandora Box color oro.
“Nulla
che
ti riguardi!” sbottò l’ombra.
“Signore..”
interruppe Adranos “..quel bambino vede le anime!”.
“Interessante!”
ghignò l’ombra “Allora, mio caro piccolo
ficcanaso, ti dirò solo questo:
scoprilo. Non provi timore alcuno nello stare qui, segno di indomabile
coraggio. O infinità stupidità. Chi
può saperlo..”.
“Come
lo
scopro?”.
“Torna
qui,
la prossima notte di luna, e vedremo se il tuo è coraggio o
stupidità!”.
“Ma..come
faccio a venire qui di notte?!”.
“Hai
paura
del buio?”.
“No
ma..non
posso uscire di notte!”.
“Peccato.
Allora cosa c’è in quella scatola non lo scoprirai
mai!”.
Entrambe
le
creature risero ed il fumo si fece più fitto. Il bambino
tossì e chiuse gli
occhi, infastidito. Quando li riaprì, la madre adottiva lo
stava guardando,
terrorizzata. Il piccolo era steso in terra ed una piccola folla gli
sta
intorno.
“Dove
sono
Adranos e quell’altro strano tizio?”
domandò, mettendosi a sedere.
“Adranos?
Strano tizio? Cucciolo mio..sei caduto ed hai battuto la testa. Devi
essertelo
immaginato. Ma grazie a Dio stai bene”.
“Immaginato?
Ma no, io..”.
“Andiamo
a
casa. Povero caro..”.
Prendendolo
in braccio, la madre non ascoltò le proteste del bambino,
che si guardò
attorno. Non poteva essere stato tutto un sogno! E vide una luce
azzurra...
La
notte di
luna illuminava l’aranceto. Il piccolo non poteva credere di
essere uscito di
casa di nascosto, al buio, per raggiungere il vulcano e seguire le
parole di
uno sconosciuto che forse si era sognato. La vegetazione si stava
diradando,
segno che il cratere attivo si stava avvicinando.
“Sei
tornato”
parlò una voce alle sue spalle.
Il
bambino
si girò e riconobbe l’ombra che aveva visto
qualche giorno prima.
“Vieni
con
me” lo invitò ed il piccolo lo seguì
“Spero per te che non mi stia prendendo in
giro, e che le anime che dici di vedere non siano tutte una tua
invenzione”.
“Se
vuoi te
le descrivo”.
“Buona
idea.
Ma prima vieni con me”.
I
due camminarono
fra le rocce nere finché dinnanzi a loro si
mostrò un passaggio, celato agli
occhi dei turisti e uomini comuni.
“Come
mai
qui ci sono tante anime?” domandò il bambino,
seguendo l’ombra giù per le
ripide scale, all’interno del vulcano.
“Hai
mai
sentito parlare dell’Oltretomba?”.
“Inferno
e
paradiso? Me ne parlano spesso..”.
“No,
niente
inferno e paradiso. Parlo di un regno antico esistente da ben prima che
nascessero
simili leggende cristiane”.
“Leggende?”.
“Sei
piccolo. Immagino che di mitologia tu sappia ben poco..”.
“Cos’è
la
mitogia?”.
“Mitologia!
Te
lo insegnerò. Ora però dimmi: che cosa
vedi?”.
Il
bambino
si guardò attorno. Faceva caldo e molte anime marciavano,
una dietro l’altra,
dirette verso un unico punto buio. Descrisse quanto visto e
l’ombra sorrise.
“Lo
sapevo
che saresti venuto!” sorrise Adranos, avvolto dalle fiamme
“Anche se non è
normale che un bambino così piccolo disobbedisca alla
madre..”.
“Non
è mia
madre e poi non è nemmeno normale che qualcuno viva in un
vulcano. Chi siete? E
perché vedete le anime come le vedo io?”.
“Io
sono
Adranos, demone delle fiamme che Efesto, Dio fabbro, ha sottomesso per
creare
la sua fucina. E lui è Tifone, a guardia
dell’armatura d’oro e delle porte del
Tartaro, dove tutte le anime si stanno recando. Quello che vedi
è uno degli
ingressi che conducono al regno dei morti, dove Hades regna”.
“Hades?
Efesto?”.
“Imparerai
ogni cosa. Ora dimmi: hai mai sentito parlare del Meikai?”.
Essere
addestrato
da un demone e da un gigante non era facile, ma il bambino dagli occhi
color
del sangue ed i capelli argento si sentiva a suo agio. Probabilmente
chiunque
altro sarebbe fuggito, in preda al terrore, ma non lui. Lui era rimasto
e per
anni aveva appreso le tecniche di combattimento dei cavalieri.
Quella
mattina
stava rientrando da scuola, che trovava sempre più noiosa,
quando percepì una
lieve scossa. Il vulcano stava dando segni di imminente risveglio,
ormai ne
riconosceva gli avvisi. Ma capì che non per tutti era
così, perché un gruppetto
di turisti si era avventurato ben oltre il limite di sicurezza.
“Tornate
qui!” li chiamò, gridando “Il vulcano si
sveglia!”.
I
turisti lo
ignorarono, credendolo solo un moccioso impertinente.
“Beh..crepate,
allora” alzò le spalle il bambino, tornando sulla
sua strada “Minchia mi frega?”.
Poi
però i
movimenti della terra si fecero più intensi e si
udì un boato. Il bambino,
accigliandosi, tentò con tutte le sue forze di ignorare quel
che accadeva, ma
qualcosa dentro di lui lo spingeva a fare il contrario. Qualcosa nel
suo cuore
fremeva e lo costringeva a reagire. Si voltò di scatto,
vedendo chiaramente
alcune rocce staccarsi dalla parete del vulcano. Non ci
pensò a lungo. Con un
singolo battito cardiaco era già sul posto, pronto ad agire.
Spaccò alcune
rocce a calci e saltò, con l’intento di fermarne
altre lanciando il colpo che
il suo cosmo era in grado di sprigionare. Qualcosa brillò
nel cielo e si
accorse che a proteggerlo era apparsa un’armatura color oro.
Non avendo ancora
il fisico adatto per indossarla, il bambino la vide ergersi davanti a
lui e
proteggerlo dal muro di roccia. I turisti, accecati dal bagliore
provocato dal
sole sul metallo, non capirono bene quel che stava accadendo e
fuggirono,
mettendosi in salvo. Adranos, sorridente fra la lava, aveva osservato
la scena
ed era fiero di quel piccolo allievo, che aveva appena superato
un’importante
prova.
“Ti
chiameranno Demonio, sappilo” spiegò il maestro
“Perché governi le anime e perché
puoi vagare a tuo piacimento fra i regni degli inferi. Ma io so che
demonio non
sei, perché nel tuo petto batte cuore di cavaliere, nobile e
buono”.
“Una
parte
di me non voleva salvare quelle persone..” ammise il bambino.
“Sei
un
bambino, hai solo nove anni. Hai ancora molta strada da fare ma non
qui, non
più al mio fianco. Il tuo posto ora è al tempio,
dove imparerai tutto quello
che io non sono in grado di insegnarti. Io, come demone, non conosco
molti dei
sentimenti che caratterizzano voi umani, come la compassione o
l’amore. Diverrai
un cavaliere nobile e valoroso”.
“E
chi mi
insegnerà ad essere nobile?”.
“Lo
scoprirai quando sarai là. Preparati a partire”.
“Ma..la
mia
mamma? E la mia sorellina?”.
“Non
sono la
tua vera madre e la tua vera sorella”.
“No,
ma..”.
“Ragazzo,
devi imparare una cosa molto importante: per il bene superiore, a volte
si è
costretti a sacrificare qualcosa. Perdere una vita, per salvarne cento,
o
mille, a volte è necessario. Distaccarti dalla tua famiglia
per poter
proteggere l’umanità, è un sacrificio
obbligato”.
“Ma
io non
voglio! Che si sacrifichi qualcun altro!”.
“Non
essere
ridicolo. Non sei più un poppante ormai”.
“Ma
io..”.
“Informerò
il grande tempio. vedremo quel che decideranno. Per ora, torna pure a
casa. Lascia
l’armatura qui, al sicuro da sguardi indiscreti”.
“Sì,
maestro..”.
Raramente
pioveva
da quelle parti eppure quel giorno pioveva. Già questo,
forse, doveva lasciar
presagire al piccolo che qualcosa non andava. Ma non ci
pensò. Era felice, perché
finalmente aveva ottenuto l’armatura. Camminò
soddisfatto verso casa, rubando
un frutto succoso da un albero in strada, e raggiunse la sua dimora
canticchiando canzoncine in dialetto. Si fermò, quando vide
un uomo uscirvi,
con un ghigno.
“Mamma?”
chiamò il bambino.
“Oh,
abiti
qui tu?” domandò l’uomo.
Il
piccolo
lo guardò meglio e sobbalzò: era nel gruppo di
persone che aveva salvato dal
risveglio del vulcano!
“Ti
ho
intravisto, sul vulcano. Sei fortunato..io non li ammazzo i
bambini” ghignò l’uomo.
“Ammazzo?”
ripeté il bambino, girando la testa di scatto verso casa.
“È
così che
va la vita, picciotto. Quando ci si mette contro le persone sbagliate,
si fa
una brutta fine. La tua mamma non doveva sfidare quelli come noi, con
il suo
animo nobile e lo spiffero facile agli sbirri”.
“Ma..mamma!”.
“Non
guardarmi così. Sono certo tu sei un bravo
picciriddu!”.
Il
bambino
non ascoltò oltre e corse dentro casa. La madre adottiva era
in terra, morta e
ricoperta di sangue. Il primo pensiero del piccolo andò alla
sorellina, che
iniziò a chiamare a gran voce e cercare. Fortunatamente, la
bambina era al
piano superiore e si era nascosta, senza subire danni. La
abbracciò,
rassicurandola. Si sentiva in colpa. Era stato lui a salvare
quell’uomo dal
vulcano! Se non lo avesse fatto, sua madre si sarebbe salvata!
Scoppiò a
piangere e rimase in silenzio, non sapendo proprio che dire alla
sorella.
Il
funerale
fu qualcosa di molto semplice, dato che era una donna sola e senza
parenti. In molti
si mostrarono disponibili nei confronti dell’orfana ma in ben
altro modo si
comportarono con il bambino. Avevano sempre provato paura nei suoi
confronti. Era
strano, inquietante.
“Tieni”
parlò
una donna, porgendo all’orfano una maschera “Questa
è la maschera mortuaria di
tua madre. Ora sei tu l’uomo di casa. Prenditi cura di tua
sorella e proteggila”.
“Lo
farò”
annuì il bambino, prendendo la maschera e chinando il capo.
Accanto
a lui,
la sorellina gli stringeva la mano. Che regalo inquietante da dare ad
un
ragazzetto! Ma lui non sembrava farsi problemi.
“Ti
difenderò io, sorellina. Mi occuperò di te.
Nessuno ti farà male”.
Osservando
le
poche persone al funerale, il bambino notò subito quel
giovane. Se ne stava in
disparte, senza conoscere nessuno. Sospettoso, l’orfano lo
tenne d’occhio e
subito si parò davanti alla sorellina, quando lo sconosciuto
si avvicinò.
“Sei
tu che hai ottenuto
l’armatura d’oro del Cancro?”
domandò il ragazzo, con uno strano accento.
“Chi
lo
vuole sapere? Tu chi sei?” si irrigidì
l’orfano, accigliandosi.
“Un
amico. Sono
anch’io un cavaliere d’oro e sono venuto a
prenderti, per portarti al tempio”.
“Hai
un
accento orribile..”.
“Non
sono
italiano. Chiedo scusa”.
“Dimostramelo!”.
“Cosa?”.
“Che
sei un
cavaliere d’oro! Dimostramelo!”.
Il
giovane
si concentrò qualche istante, espandendo il suo cosmo. Il
bambino lo percepì e
spalancò gli occhi.
“Tutto
bene?”
domandò lo sconosciuto, che assieme all’accento
aveva pure un tono terrificante,
perché era un adolescente a cui stava cambiando la voce.
“Sì..ma..io
pensavo che il mio cosmo fosse potente mentre il tuo lo è di
più!”.
“Hai
ancora
qualche anno per raggiungermi. Ma devi venire con me”.
“Può
venire
anche la mia sorellina?”.
“Certo.
Troverò
un posto anche per lei, a Rodorio, il villaggio che sorge accanto al
tempio”.
“Va
bene..vengo
con te. Mi insegnerai tu ed essere più forte?”.
“Se
lo
desideri.. E ti insegnerò ad essere il difensore degli
innocenti”.
“Esistono
gli innocenti?”.
“Strana
domanda..”.
“Comunque..qual
è il tuo nome?”.
“Puoi
chiamarmi Saga. E tu? Come ti chiami?”.
“Io?”
mormorò il bambino, guardando la maschera della madre
acquisita. Rialzò lo
sguardo, che brillò di luce viva, e rispose: “Puoi
chiamarmi Deathmask”.
Primo capitolino di una serie. Ho
voluto iniziare con Deathmask perchè ho sempre desiderato
raccontare la sua storia da piccolino. Chiedo scusa, perchè
è un po' triste. Cercherò di rallegrare un po' i
capitoli successivi. P.S. se fra voi ci sono dei "fan" dell'Olympus
Chapter non preoccupatevi: sto lavorando al seguito ma al momento non
ho molto tempo per dedicarmi ad una storia lunga
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