La zanzara-colibrì
La
zanzara-colibrì
(e il
cetriolo-lumaca-tondo)
«Credi
che sia commestibile?»
Era
tondeggiante, verde acido, bitorzoluto e un po’ viscido. Dato che
giaceva ai piedi di un immenso tronco azzurro, era logico supporre
che fosse un frutto.
Ma
sulla rotta maggiore non c’era nulla di logico.
«Mettilo
giù»
Con
uno sbuffo, Nami fece ondeggiare il piede della gamba accavallata, e
scacciò un moscerino con la mano.
«Ma
io ho fame!» piagnucolò Rufy, occhieggiando avido il
cetriolo-lumaca-tondo che aveva appena ribattezzato.
«E
allora mangialo. Ma se muori ti uccido»
Con
un urletto di gioia, Rufy inghiottì il cetriolo-lumaca-tondo
in un’unica soluzione, e la sua gola si dilatò a dismisura
per lasciarlo passare. Nami lo fissò leggermente disgustata, e
alla fine brontolò tra sé, accomodandosi meglio sulla
grossa radice blu che la ospitava.
«Strozzatici»
mugugnò risentita, ignorando lo stomaco che gorgogliava sotto
il seno.
Un
uccello lanciò il suo richiamo stridulo, decine di metri più
su, perduto tra le fronde degli alti alberi che li circondavano. Ma,
a parte lui, non c’era traccia di altri esseri umani. Meno che mai
del resto della ciurma.
«Hai
finito?» irritata, Nami scoccò un’occhiataccia a Rufy
che tossicchiava poco più in là.
«Sì,
credo...» ansimò lui, con una strana smorfia. «Cavolo,
sapeva davvero di lumaca!»
«Ben
ti sta» commentò Nami, scendendo dalla radice.
«Riprendiamo a camminare»
«Tu
non ne vuoi un po’?»
«No,
aspetto di vedere se campi»
«Allora
ne raccolgo qualcuno come provvista?»
«Ah,
fai un po’ come ti pare. Tanto...»
Lasciando
in sospeso la frase, Nami levò gli occhi al soffitto di foglie
che li sovrastava, e che impediva al sole di illuminare il sottobosco
umido. L’aria era densa di umidità e zanzare grosse come
colibrì; la vegetazione, dai colori più improbabili,
sembrava cambiare di posto non appena distoglieva lo sguardo; di
sentieri non c’era nemmeno l’ombra, ma comunque la traccia era
obbligata, perché quasi tutto il suolo era reso impraticabile
dalle radici blu che spuntavano contorte dal terreno.
«Nami,
io ho sete!» chiamò Rufy dopo nemmeno cinque minuti di
cammino.
«Cammina
con la bocca aperta» sbuffò lei, scivolando tra una
felce violacea e una radice color cobalto.
Non
appena fu certa di aver oltrepassato l’ostacolo, sentì
qualcosa sfiorarle la cintura, e fu solo grazie all’istinto che
trovò la velocità per colpirlo.
«Ahia!»
piagnucolò Rufy, ritraendo la mano gommosa. «Dai, tu hai
la borraccia!»
«Sì
e no venti decilitri di acqua, che dovranno durarci per chissà
quanto!» ringhiò Nami possessiva. «Se tu tocchi le
nostre riserve restiamo subito a secco!»
«Daaaai,
per favore!» insisté lui, sfoderando la sua espressione
più supplichevole – molto rovinata dai sei
cetriolo-lumaca-tondi che sosteneva allargando un braccio come un
telo.
«No!
Prima renditi utile!»
«E
come?»
«Non
lo so!»
Il
grido vagamente isterico di Nami fece frusciare qualcosa tra gli
alberi, e la spinse a irrigidirsi bruscamente.
«Andiamo...»
mormorò con un leggero nervosismo. «Sbrighiamoci a
ritrovare gli altri, questo posto non mi piace per niente»
E
dire che neanche sei ore prima lo aveva trovato quanto mai
affascinante.
Erano
approdati su quell’isola dopo più di una settimana di
vagabondaggi senza terraferma, e alla prospettiva di raccogliere
frutta fresca e acqua dolce tutti erano andati in brodo di giuggiole.
La spiaggia su cui si erano fermati era bianca e sassosa, il mare
limpido, le prime palme terribilmente invitanti. Non avevano fatto
molto caso ai tre relitti che giacevano tra gli scogli circostanti,
ma d’altronde non facevano mai molto caso a inezie simili – anche
se Usop ci aveva provato, a farle notare.
Attraccare
sui sassi lisci fu un gioco da ragazzi, e tutti scesero con una buona
dose di entusiasmo. Sanji si catapultò immediatamente sulle
palme, alla ricerca di cocco et similia, e gli altri spesero qualche
minuto a fare il punto della situazione. Finché Rufy non se ne
uscì con la solita, prevedibile proposta.
«Andiamo
a esplorare l’isola?» esclamò tutto allegro.
«E
se invece ci fermassimo a prendere il sole?» si lamentò
Usop, sventolandosi stancamente. «Ci saranno due milioni di
gradi, come quella volta in cui mi sono arrampicato dentro un
vulcano, e...»
Mentre
Chopper, povera bestia, gli dava corda ad occhi sgranati, gli altri
smisero di ascoltarlo. Ma Sanji, già carico di noci brune, non
si fece scappare l’occasione.
«Nami,
Robin, mes
amours,
non è una splendida occasione per provare quegli adorabili
bikini che vi ho visto mettere nel baule?» propose solerte.
«Forse, forse»
gli concesse Robin. E poi, non sentendo la replica di Nami, la cercò
con lo sguardo, trovandola a fissare il mare. «Che c’è?»
le domandò.
«Pensavo a quei
tre relitti» mormorò lei. «Sembrano marciti, più
che colati a picco. Come se qualcuno li avesse ormeggiati e poi non
fosse più tornato»
«Ah, sicuro»
confermò Franky con occhio esperto. «Per la precisione,
quello al centro è il più vecchio, e quello a destra il
più recente»
«E quindi, in via
del tutto ipotetica, ma con una probabilità del 94,6%, credo
di poter dire che a bordo devono conservare ancora i loro tesori!»
concluse Nami, raggiante.
«Ti pareva»
bofonchiò Zoro.
«Chi mi
accompagna a bordo?»
«Ovviamente io!»
cinguettò Sanji, lasciando cadere a terra le noci.
«Io, io, io!»
si aggiunse Rufy. «Ma poi andiamo a esplorare l’isola?»
«Se sarò
soddisfatta del bottino, forse»
Presero la scialuppa
con cui avevano raggiunto la spiaggia, e, con l’aggiunta di Franky
a bordo, raggiunsero il relitto più giovane. Penetrare
sottocoperta fu un’impresa, perché il legno marcio cedeva ad
ogni passo, ma con l’aiuto di Franky riuscirono a scendere fino
alla stanza più nascosta. Lì, per la gioia di Nami,
c’erano un paio di forzieri e qualche chilo d’oro, che furono
premurosamente raccolti e ficcati nei sacchi che aveva Rufy. Il
secondo relitto, quello più vecchio, fu un buco nell’acqua:
la parte pesante della chiglia era sprofondata in mare, e lì
il moto delle onde aveva sommerso di sabbia tutto quello che c’era.
Nami decretò che disseppellirlo era troppo faticoso, e allora
si avventurarono sulla terza nave, scoprendola vuota.
«Probabilmente
gli ultimi arrivati hanno fatto come noi» sbuffò
contrariata. «Che seccatura! Passiamo dalla Thousand Sunny, e
poi torniamo alla spiaggia»
Quando rimisero piede
sui sassi bianchi della rena, Rufy si avventò sul cocco
raccolto da Sanji, e Nami sperò che si fosse scordato
dell’idea di esplorare l’isola. Invano, ovviamente. Nell’arco
di dieci minuti, il tempo di riempire un po’ lo stomaco, lo
trovarono scalpitante davanti ai primi alberi.
«Allora? Andiamo?
Andiamo? Andiamo?» chiese, felice come una pasqua. «Nami,
lo avevi promesso!»
Nami sbuffò,
guardando con rimpianto Chopper che prendeva il sole.
«Mah, forse un
po’ di moto ci farà bene» commentò Zoro,
studiando il riflesso del sole sulla lama di una spada.
«Io voglio
venire!» cinguettò Chopper, tirandosi su con aria beata.
«Credo che avrete
tutti bisogno della mia protezione» affermò Usop con
aria seria.
E quando anche Franky e
Robin accettarono, Nami capì che Sanji li avrebbe seguiti e
lei con loro, per non restare sola – anche se Sanji aveva proposto
di restare con lei... La qual cosa era assai inquietante, in effetti.
Così, in gruppo
compatto, si avventurarono all’interno della foresta, sfidando
zanzare, vegetazione selvaggia, e sentieri inesistenti.
«Nami...
Naaaami... Nami, ti prego... Solo un goccio...»
Ansante, Rufy
strisciava una lingua straordinariamente lunga sul terreno.
«Ho tanta, tanta,
tanta, tanta sete!»
«Se hai sete,
chiudi la bocca!» lo zittì lei, passandosi la mano sulla
fronte sudata. «Maledizione!» sbottò poi, girando
su sé stessa frustrata. «Come abbiamo fatto a
perderci?!»
Erano bastati pochi
minuti nella foresta. Quando gli alberi più comuni avevano
lasciato spazio alle prime felci viola, lei e Rufy si erano accorti
di essere rimasti inspiegabilmente soli.
Naturalmente il
capitano della Thousand Sunny non si era affatto allarmato,
sostenendo che prima o poi si sarebbero ritrovati, ma il suo
navigatore non era dello stesso avviso. Dopo averlo malmenato una
decina di minuti per convincerlo della bontà del suo pensiero,
lo aveva costretto a cercare gli altri. Il tutto per scoprire che
all’improvviso la geografia dell’isola era cambiata. Tornare alla
spiaggia si era rivelato impossibile. Attorno a loro solo felci viola
e alberi azzurri, non il suono del mare, non una voce umana, nulla di
nulla. Come se l’isola, animata di volontà propria, li
avesse inghiottiti nel suo stomaco.
E Rufy continuava a
fare l’imbecille.
«Sono troppo
giovane per morire qui»
Con aria teatrale, Nami
si asciugò una lacrimuccia.
«Rufy!
Arrampicati su un albero e trova il mare!»
«Cooooshaaa...?»
fece lui, steso su una radice.
«Che
diavolo hai combinato?» sbottò lei, accorgendosi
all’improvviso di quanto sembrasse prosciugato.
«Non lo sho...
Sete... tanta sete...»
«Sono i
cetriolo-lumaca-tondi!» realizzò lei, e quando lo vide
che ne addentava un altro, lo allontanò con un calcio.
«Imbecille! Hai preso l’unico frutto disidratante sulla
faccia della terra! Ahh, che piaga! Ci farai ammazzare!»
Ringhiando insulti a
mezza bocca, si sedette sulla radice su cui lui era accasciato e gli
tese la borraccia. Rufy ci si attaccò come un morto di sete, e
in meno di un istante la svuotò tutta.
«Ahh, meno male!
Ci voleva proprio!» commentò tutto felice, non appena
l’ebbe finita.
Nami la inclinò,
e vide l’ultima, misera goccia cadere al suolo.
«Siamo morti»
fu il suo funebre commento.
«Macché!
Siamo vivi e vegeti!» esultò Rufy. «Mi arrampico
su un albero e cerco il mare!»
Nami si lasciò
andare sulla radice, arrendendosi anche alle zanzare, e con la coda
dell’occhio lo guardò salire su uno dei grossi alberi
azzurri che li circondavano. Aveva l’agilità di una scimmia,
si trovò banalmente a pensare.
Rufy tornò a
terra dopo una decina di minuti, ma, contrariamente al previsto, non
aveva un’espressione esultante.
«Ehm, Nami... Mi
sa che abbiamo un problema» esordì.
«Cosa?»
gemette lei, vinta dall’afa.
«Il
mare è tutt’attorno.
E da lassù non vedo la Thousand Sunny»
«Oh, perfetto»
Nami chiuse gli occhi. «E’ così che moriremo?»
«Guarda, uno
scarabeo stercorario!» esclamò Rufy, distratto.
Nami si tirò su.
«No! Mi rifiuto!» ringhiò, inascoltata. «Rufy!
Portami su quell’albero!»
«Quale?»
«Uno qualunque!»
«Oh, capito»
Baldanzoso
e allegro, Rufy arrotolò un braccio gommoso attorno a Nami e
tornò ad arrampicarsi su uno degli alberi. Man mano che
salivano, Nami iniziò a pensare che il cielo fosse davvero,
davvero
distante. Con un certo senso di nausea guardò in basso, e si
rese conto che era il più grande errore che potesse fare.
Allora stritolò il braccio di Rufy e serrò
maniacalmente gli occhi. Dio, le idee stupide abbondavano di recente.
Quando finalmente
emersero dalla chioma – arancione – dell’albero, Nami sentì
una folata di piacevole aria fresca, e solo a quel punto si concesse
di dare una sbirciatina al mondo.
Il cielo al di sopra
dell’isola era sgombro da nubi, di un blu intenso; l’umidità
che regnava nella foresta non riusciva a oltrepassare il tetto degli
alberi, e la brezza portava l’odore salmastro del mare
tutt’attorno.
«Oh, che bello!»
si trovò a mormorare Nami, sognante.
«Mh, sì»
replicò Rufy, schermandosi dal sole. «Però non
vedo la Sunny»
«Guarda quel
gabbiano!» insisté Nami, additando un misterioso uccello
giallo che li sorvolava come un falco sulla preda. «Non è
così... così...»
Fissò Rufy, e
Rufy aggrottò le sopracciglia.
«Così
cosa?» chiese perplesso.
«Così...
romantico!»
«Veramente
pensavo che magari sa di pollo»
«No, no!
Guardalo! Volteggia a forma di cuore!»
Con una voce
stranamente flautata, premette la spalla contro quella di Rufy mentre
additava il cielo.
«A me sembra un
cerchio un po’ storto» commentò lui, sempre più
perplesso.
«Rufy» si
sentì chiamare all’improvviso.
Commise l’errore di
girarsi.
E Nami gli rifilò
la domanda più sconvolgente dell’intera epopea delle domande
sconvolgenti:
«Vuoi baciarmi?»
*
«Ti dico che il
filo si è indebolito, testa d’alga!»
Il calcio di Sanji
affondò nella sabbia bollente, mancando Zoro di almeno
quindici centimetri.
«Il filo delle
mie spade non si indebolisce neanche in un millennio, biondino»
ringhiò Zoro, serrando i denti sulla terza impugnatura.
«E allora perché
non le sento nemmeno, eh?»
«Sanji, la
grigliata va arrosto!» chiamò Usop dal fuoco.
«Mai quanto il
mio ardente spirito!» replicò lui, inspirando
violentemente dalla sigaretta.
«Imbecille»
fu il caustico commento di Zoro.
Nico Robin li guardò
con un sospiro, mentre Franky decideva che era il momento di
riportare l’ordine con brutale violenza, e poi abbassò lo
sguardo su Chopper, che in quel momento si occupava di Nami.
«Ecco fatto, si
riprenderà in un paio d’ore, credo» sorrise la piccola
alce, rimettendo nel kit medico le pomate e le bende.
«Oh, meno male»
commentò Rufy, con le sopracciglia corrugate. «E, ehm,
ricorderà tutto?»
«Tutto cosa?»
«Oh, ah, niente!»
esclamò Rufy, scoppiando in una risatina vuota.
Robin e Chopper lo
fissarono, e lui li fissò a sua volta.
«Grigliata!»
esclamò poi, all’improvviso. «Cibo!»
E di scatto li mollò
lì, all’ombra delle palme, e si fiondò sul fuoco
curato da Usop.
«Era un
pochettino strano, vero?» chiese Chopper, esitante.
«Mah...»
commentò Robin, scrollando le spalle. «Se vuoi unirti a
loro vai pure, resto io con Nami»
«No no,
tranquilla! Prima le signore»
Robin sorrise, e ne
approfittò senza insistere.
Chopper rimase accanto
a Nami e le misurò la temperatura con uno zoccolo. La febbre
sembrava scesa, ma era meglio se riposava ancora un po’. Le grosse
zanzare che circolavano per la foresta dovevano iniettare qualche
tipo di veleno mordendo, ma nulla di più strano del solito.
Anche se, in effetti, quando erano riusciti a ritrovarsi Rufy era
sembrato un po’ agitato...
Si
erano ricongiunti al di sopra degli alberi, perché Zoro e
Sanji, capostipiti degli altri gruppi scomparsi, avevano avuto la
stessa idea di Nami. E poi Rufy aveva insistito per trovare Chopper
«Rufy!
Finalmente! Come avete fatto a perdervi?» gli aveva chiesto
lui, soffocando per l’afa.
«Chopper!
Nami! Le è successo qualcosa!» aveva esclamato il
capitano, tendendogliela come un fagotto inerte.
«Sintomi?»
aveva domandato Chopper, subito efficiente.
«Eh?»
«Cosa
le è successo!»
«Ah,
sì! E’... svenuta»
«E
basta?»
«Ehm,
sì. Prima era un po’ confusa, diciamo»
«Confusa?»
«Sì,
ehm. Ma si riprenderà?»
Chopper
l’aveva studiata per un istante, e aveva trovato un leggero
gonfiore sul retro del braccio.
«Credo
di sì, forse è solo la puntura di un insetto. Non
sembra grave, ma speriamo che non sia velenoso o allucinogeno»
«Alluci-che?»
«Che
non le causi allucinazioni. Se così fosse, potrebbe svegliarsi
e iniziare a dire le cose più strane, a vedere mostri marini e
cose simili»
«Oh»
Rufy
aveva annuito lentamente, molto lentamente. E Chopper aveva pensato
che semplicemente non capisse.
Per fortuna erano
riusciti a uscire dalla foresta abbastanza in fretta, quando Robin
aveva preso in mano la situazione. Erano tornati alla spiaggia,
giurando di passare i prossimi tre giorni a prendere il sole, e poi
si erano dati alle grigliate e alle solite scemenze, una volta che
Chopper aveva assicurato la salvezza di Nami.
Vicino al mare il caldo
si attenuava notevolmente, e l’ombra delle palme non era densa
d’umidità come nel folto. Chopper si occupò di
bagnare di tanto in tanto la fronte di Nami, mentre gli altri
facevano la spola per portargli qualcosa da mangiare ogni tanto,
finché la novella convalescente non riaprì gli occhi.
«Come ti senti?»
le chiese Chopper, sporgendosi su di lei.
«Uno schifo»
rispose Nami portando una mano alla testa. «Che è
successo? Mi sento stordita...»
«E’ stata la
puntura di un insetto. Credo siano moderatamente velenosi»
«Ah, che mal di
testa... Come ci siamo ritrovati?»
Con una certa fatica,
Nami si tirò su e riconobbe la spiaggia e la Thousand Sunny.
Chopper le raccontò sinteticamente quel che era successo, e
lei, con sguardo un po’ vuoto, annuì meccanicamente.
Poi, senza volerlo, si
trovò a fissare Rufy.
C’era qualcosa che
non le tornava. Qualcosa che non riusciva a capire, e che quindi la
irritava. Probabilmente riguardava Rufy, ma come? E di cosa si
trattava?
«Hai fame?»
chiese Chopper con cortesia. «O sete?»
Nami arrotolò la
lingua nella bocca riarsa, e Rufy scelse quel momento per girarsi a
guardarla.
Istintivamente entrambi
distolsero gli occhi.
«Sì,
grazie» si affrettò a garantire Nami. «Sto morendo
di sete, è come...» cercò le parole, stranamente
agitata. E le scelse senza quasi pensarci. «E’ come se avessi
mangiato una schifosissima lumaca»
Primo, orrido e probabilmente ultimo tentativo con One Piece! XD
Comunque
tanti auguri di buon compleanno Claudia!
Sembra
bimbominkioso, ma ti voglio un mare di bene!
Susy
01-01-2009
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