Il figlio delle Tenebre_Act 1
Titolo: Il figlio
delle tenebre
Autore: My
Pride
Fandom: FullMetal
Alchemist
Tipologia: Long
fiction
Personaggi: Un
po' tutti
Genere: Drammatico,
Malinconico, Sovrannaturale
Rating: Arancione
Avvertimenti: AU,
Non per stomaci delicati, OOC, Shounen ai
FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All
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ATTO PRIMO. IL PASSATO CHE RITORNA
Sheerness, 1889
«Vieni
qua, razza di ladruncolo!»
Richard Hughes si
voltò incuriosito verso il grido che aveva udito provenire
dalle bancarelle, e vide uno dei venditori afferrare per
il polso un bambino dai capelli
d'ebano, di forse quattro, cinque anni; teneva in entrambe le mani
delle mele e cercava in tutti i
modi di divincolarsi, strillando
probabilmente insulti al suo indirizzo
in una strana lingua.
Quando l'occhio color smeraldo si
posò sul viso
del
piccolo, Richard sbiancò, spalancando le palpebre
come se avesse
visto
un fantasma. Si avvicinò svelto al venditore e, poggiando
una mano
sulla
sua che teneva stretta il polso del bambino, ricevette da lui uno
sguardo interrogativo.
«Non
credo sia il caso di prendersela così tanto,
signore»,
disse pacato, ignorando l'occhiata che lo squadrava dall'alto in basso
come per
valutarlo.
«E' solo un bambino, in fondo».
L'altro mollò il polso,
osservando il ragazzino con astio
prima di massaggiarsi la folta barba nera, le sopracciglia
corrugate in un'espressione minacciosa. «Non
è la prima volta che tenta di
rubare», gli tenne presente, incrociando le braccia muscolose
al petto.
«Questo bambino è una vera spina nel
fianco».
«Ma
questo non toglie il fatto che sia comunque un bambino»,
rispose Hughes, sollevando appena un angolo della bocca
come a voler dar vita ad un sorriso privo d'entusiasmo; distolse
poi lo sguardo per adocchiare il piccolo, che fissava ostinatamente
e con finto
interesse il terreno lastricato ai loro piedi. Si accovacciò
accanto a lui e, puntellandosi sulle
ginocchia,
inclinò la testa di lato. «Dove
sono la tua mamma e il tuo papà?» gli chiese piano
per non spaventarlo ulteriormente, e il bambino
alzò di scatto la testa prima di scuoterla energicamente per
un
qualche strano motivo.
«Chan eil
pàrantan agam [1]»,
mormorò poi in una lingua che lui aveva
già sentito
nei racconti di suo padre quand'era piccolo, ma che non conosceva
appieno. Era la lingua delle Highland. Hughes si voltò
quindi verso il venditore, ancora a braccia
conserte.
«Che
cos'ha
detto?» domandò con una strana inquietudine nella
voce calma, ma lui si limitò a fare spallucce.
«Nessuno
lo capisce», fece semplicemente. «E'
orfano, gironzola sempre qui in giro e raramente parla
la nostra lingua. Più di questo non so dirvi».
L'uomo
stranamente annuì.
«Me
ne prenderò cura io, allora», disse, ricevendo dal
venditore un'occhiata stranita. «E
pagherò anche ciò che vi ha rubato, non si
preoccupi», soggiunse, e a quelle parole lo sguardo del
commerciante si fece interessato, tanto che non
obbiettò minimamente quando l'uomo gli sventolò
davanti
delle banconote nuove di zecca prima di prendergli una delle mani
possenti e
posandogliele nel palmo.
«Credo che questi bastino, vero, signore?» disse
affabile, sorridendo al di sotto dei grandi baffi neri.
Il venditore cominciò a
contare i soldi, annuendo tra
sé e sé; se li infilò poi in tasca
senza commentare ulteriormente,
dandogli un sacchetto con le mele.
Fece poi loro cenno di andarsene mentre si premurava di andare da una
donna che lo stava chiamando per comprare della frutta.
Hughes sorrise maggiormente, abbassando
lo sguardo verso il bambino
che lo guardava con i suoi occhi color pece grandi e innocenti; lo
prese per mano senza che lui facesse storie, portandolo con
sé lontano dal mercato, e, mentre camminavano, non poteva
non pensare che quel bambino
così piccolo, un giorno, sarebbe diventato la rovina o la
possibile soluzione a tutti i problemi della sua famiglia. Quegli
occhi, quel viso. Non poteva sbagliarsi minimamente.
Arrivati alla piazza, si sedettero
entrambi su una delle panchine lì
presenti; l'uomo aprì il sacchetto e gli porse una mela
che
lui, dopo aver guardato per un po', cominciò a
mangiare a
grandi morsi, affamato. Hughes sorrise, scompigliandogli i capelli.
«Quanti
anni hai?» gli chiese in tono dolce, e ricevette uno sguardo
curioso da quegli occhi scuri che splendevano
appena sul quel viso sporco, mentre teneva la mela stretta fra le
piccole mani. L'uomo sollevò le sopracciglia, accarezzandosi
l'occhio
cieco con fare distratto. «Capisci
la mia lingua?» domandò ancora, vedendolo annuire
piano. «Mi
dici allora quanti anni hai?» ripeté delicato, e
il
bambino corrugò appena le sopracciglia prima di voltare la
testa,
come se non
volesse rispondergli. Poi, dando un altro morso alla mela, lo
guardò nuovamente. Contò sulle dita,
mostrandogliene
quattro.
«Ceithir [2]»,
mormorò appena, e l'uomo
sorrise ancora di più per mostrarsi rassicurante,
prendendo dalla tasca un fazzoletto per pulirgli piano il volto.
«Anche
mio figlio ha più o meno la tua età,
sai?» gli
disse divertito, vedendolo storcere il naso quando vi passò
sopra il fazzoletto per togliergli lo sporco depositato.
Finito il suo lavoro rimise il fazzoletto in tasca,
inclinando la
testa di lato mentre lo osservava finire di mangiare con gusto quel
piccolo pasto
e posare poi il torso della mela sulla panchina di pietra.
«Vuoi bere qualcosa?» chiese ancora l'uomo.
Il bambino, che stava cominciando a
sentirsi a suo agio con lui da come
tentava di avvicinarsi, annuì, concedendogli un sorriso con
qualche dentino mancante. «Bainne [3]»,
fece, e l'uomo sollevò ancora una volta un sopracciglio. Gli
diede un buffetto sul naso, passandogli un braccio dietro alle
spalle per attirarlo a sé. Non poteva ancora capacitarsi del
fatto che quel bambino
così
innocente
potesse essere realmente colui che avrebbe potuto causare danni ancor
peggiori in una faida lunga secoli.
«Non
ti capisco, purtroppo», gli disse in tono basso e misurato,
accarezzandogli delicato i capelli. «I
tuoi genitori erano delle Highland, per caso?» Era quasi
certo
che fosse così, ma si stupì quando il bambino
scosse la
testa e fece
spallucce. Non lo sapeva, quindi. E la cosa non fece altro che
accentuare la sua
ipotesi. Non aveva genitori, non conosceva le sue origini, era solo e
parlava
una lingua diversa dall'inglese. Purtroppo, una volta cresciuto, quel
bambino avrebbe avuto un futuro
avverso, ancor di più della sua infanzia non vissuta.
«Sai
parlare inglese?» gli domandò.
Il bambino aggrottò la
piccola fronte per la concentrazione,
come se stesse cercando di decifrare bene le sue parole. Poi, ancora
una volta, contò sulle dita, segnandogli il
numero sette ripetuto tre volte.
«Ventuno?»
fece l'uomo, senza capire. «Ventuno
parole, forse?» chiese a mo' di conferma, vedendolo annuire.
«Tha
mi duilich [4]»,
mormorò, e dal tono sembrava dispiaciuto. Almeno quello
riusciva a capirlo.
Hughes si limitò ad annuire,
stringendolo
ancora un
po' più a sé mentre osservava le
persone camminare
allegre, chiacchierare come se nulla fosse. L'unica cosa di cui lui non
si capacitava era perché il
bambino
parlasse quella lingua come se fosse sua, quando in realtà,
originariamente, avrebbe dovuto essere inglese antico. Che
fosse tutta opera Sua?
Di quel che gli aveva fatto? Non era da escludere.
Abbassò lo sguardo verso il
bambino, che gli aveva stretto
fra
le manine la camicia e faceva scorrere il suo sguardo per tutta la
città, quasi fosse impaurito da tutto quel movimento. Si
soffermò ben poco sul suo abbigliamento così
leggero
nonostante il freddo che spesso si sentiva nella cittadina, trovandolo
consunto, stropicciato. Anche le braccia esili, intraviste attraverso i
fori della camicia fin
troppo grande che indossava, rendevano il suo aspetto ancor
più
sciupato. Sospirò tristemente a quella scena. Quel bambino
aveva bisogno dell'affetto di una famiglia, non poteva
assolutamente abbandonarlo al suo destino. Anche se sapeva che era la
cosa più giusta da fare.
Mordendosi il labbro inferiore, Richard
si portò una mano
alla
cintola e sfiorò la guaina in cui teneva il coltello, ma,
incontrando gli occhi
del bambino, così grandi e innocenti, si sentì un
emerito
verme. Con che coraggio avrebbe potuto... nay, non voleva pensarci.
Magari, allontanandolo da quel luogo, sarebbe riuscito in qualche modo
ad evitare che il suo fato si compisse, cambiando ciò che
era
già scritto. Forse, anche se non ci sperava pienamente.
Così, allontanando la mano dal coltello, gli
accarezzò i capelli, posandogli un bacio sul capo.
«Ti
va di venire con me?» gli domandò, in tono
dolce. «Ti
insegnerò a parlare inglese, avrai una casa e un pasto caldo
tutti i giorni... vuoi?»
Per qualche secondo il bambino si
limitò a guardarlo, come
se
stesse valutando quella proposta che gli aveva appena fatto l'uomo.
Tutti i suoni che si sentivano provenivano dalle persone che
attraversavano la piazza e dal mercato poco lontano da dove si
trovavano loro; poi il piccolo gli rivolse un enorme e sincero sorriso,
annuendo
energico.
L'uomo lo ricambiò,
accarezzandosi i baffi.
«Benissimo,
allora partiremo domani per il Nord di Sheerness», lo
informò, scompigliandogli ancora i capelli. «Poi
ce ne torniamo a casa». Pochi
secondi dopo, sbatté la palpebra, come per riflettere. «Ora
che ci penso, non so il tuo nome», soggiunse, sorridendo
divertito. Ancor più divertito gli tese la mano, stringendo
la piccola
e delicata del bimbo nella sua, grande e forte.
«Richard
Hughes», disse in tono spassoso, ridacchiando quando il
bambino
guardò quella mano così grande che stringeva la
sua.
Il piccolo si lasciò sfuggire
una risata quando la mano
lo
lasciò, e gettò le braccia al collo di
quell'uomo
guardandolo negli occhi, sorridente.
«Roy».
Dieci anni. Dieci lunghissimi anni dalla
morte di suo padre a
causa di quelle
creature. Del suo amico, poi, non c'era più traccia da
altrettanto
tempo. Ormai il Sindaco era diventato lui e, come ogni sera, teneva
sempre
d'occhio la situazione al villaggio. Ad una distanza di cinque o sette
anni, il clima era tornato normale e
le stagioni avevano ripreso a seguire il corso della natura, facendo
sì che la calma si riversasse ancora una volta nella
popolazione
e la vita riprendesse a scorrere ordinariamente come suo solito.
Adesso, però, com'era
successo dieci anni or sono, erano
ricominciate stranamente le piogge e le nevicate fuori stagione, e
l'atmosfera tetra e
malsana che si respirava metteva a disagio ogni membro della
comunità. La sensazione negativa che avvertiva ormai da
più di due
mesi si
era completamente impadronita di lui, mentre, vagando per le strade
deserte e per i vicoli, illuminava il suo cammino con una lanterna.
Aveva deciso di prendere a quattro mani il suo destino di cacciatore, e
ormai da parecchio si teneva sempre pronto ad ogni
eventualità. Di vampiri, però, non se ne vedevano
da
molto. Solitamente di creature del genere non se ne scorgevano,
riusciva a
cacciare solo qualche lupo mal cresciuto, più comunemente
chiamato licantropo, uomini condannati da una maledizione che ad ogni
plenilunio divenivano
lupi famelici, pericolosi e aggressivi. Da quel che aveva imparato, su
di loro le pallottole d'argento erano
più
che efficaci se si voleva mantenere una debita distanza, ma anche altre
armi costituite dallo stesso materiale erano ottime.
Quante teste di quelle bestie aveva
dovuto tagliare, prima di
seppellirle? Quanti, ancora in forma umana, aveva dovuto bruciare con
il fuoco? Nemmeno se lo ricordava più, sebbene le orde di
quei
mostri
sembravano essere diminuite progressivamente, forse a causa del freddo.
O, forse, a causa del fiutato pericolo. Con i sensi molti
più
sviluppati degli esseri umani,
probabilmente, erano riusciti a capire che in quel paesino maledetto
c'era qualcosa che non quadrava affatto. Qualcosa da cui bisognava
assolutamente tenersi alla larga.
Il Sindaco stava per svoltare l'angolo
quando la luce
rischiarò il profilo
di una giovane ragazza dai capelli biondo pallido, il cui volto era
contratto in una smorfia di terrore mentre osservava, con gli occhi
sgranati e le braccia strette al petto, un'ombra che si muoveva fra
le ombre. «Winry!» esclamò scioccato,
correndole svelto in contro per poggiarle una mano sulla spalla,
sentendola rigida come un pezzo di ghiaccio. «Che succede,
cos'hai?»
Sopraffatta dalla paura, la ragazza non
proferì parola,
nascondendosi rapida dietro alle spalle del Sindaco e puntando un dito
verso il vicolo. L'uomo spostò immediatamente il fascio di
luce in quelle
tenebre, illuminando una
figura vestita con una semplice camicia bianca dal colletto di pizzo e
un pantalone nero; a quella vista il sangue, senza che ne sapesse il
perché,
gli si
gelò nelle vene. Non poteva crederci. Non era reale. I
capelli, molto più lunghi di quanto ricordasse, gli
cadevano
disordinatamente sulle spalle, mentre gli occhi, completamente
inespressivi, lo osservavano senza davvero farlo.
Con il cuore che batteva a mille Hughes
deglutì, forse nel
tentativo di inghiottire la strana inquietudine che si era impossessata
del suo animo. «Roy?» chiese in un
sussurro, sentendo la gola secca.
«Sei... sei davvero tu?»
Un basso ringhio si levò
dalla gola dell'ombra dai lunghi
capelli neri quando lo sentì, il
labbro superiore si ritrasse per scoprire i canini scintillanti che
palpitavano. D'istinto, sia il Sindaco che la ragazza indietreggiarono
sconvolti
quando
l'uomo, o meglio il giovane vampiro dalle fattezze del loro amato
prete, fece
appena un
passo avanti, nei meandri dei suoi occhi d'onice si riusciva a scorgere
un oscuro oblio iniettato di sangue.
«Roy»,
bisbigliò il Sindaco,
proteggendo la ragazza con il
suo corpo. «Oh, Signore... cosa ti hanno fatto, quei
bastardi». Si sentì tirare per la manica del
giaccone e, con la coda
dell'occhio, vide il viso spaventato di Winry, le cui polle cerulee
erano dilatate
dal terrore.
«Sindaco
Hughes, allontaniamoci da qui...» stava spasmodicamente
ripetendo, mentre cercava con tutte le sue forze di tirarlo via.
«...andiamocene». E, se non fosse stato
immobilizzato dal
terrore, Maes Hughes sarebbe
scappato. Con sé non aveva assolutamente nulla. Da quando i
lupi
mannari non si erano presentati così spesso,
portava con sé solo due pallottole
placcate in
argento nella pistola che aveva dovuto commissionare ad uno
degli
uomini che addestrava, ma che con le armi se la cavava meglio di lui. E
tre pallottole non sarebbero bastate. Ma, soprattutto, probabilmente
non sarebbe riuscito a sparare sapendo chi aveva di
fronte.
La mano sfiorò
automaticamente la pistola che portava
nella
fondina. Non doveva tentennare. Se il prete avesse fatto anche solo una
mossa azzardata, avrebbe
sparato. Non poteva rischiare che altri venissero ancora una volta
coinvolti
dopo anni, ma, prima ancora che potesse anche solo pensare di estrarre
l'arma, una bassa risata lo bloccò. Accanto a Roy, come
staccatasi dalla parete stessa, emerse dalle ombre una seconda figura
che, con le labbra
incurvate in un sorriso, si mosse, facendo frusciare appena il
mantello
scuro che indossava. Rivolgendo uno sguardo divertito ad entrambi,
abbracciò stretto da dietro il prete e gli tenne
il viso sollevato con una mano, mentre l'altra
vagava ad accarezzargli
l'addome, quasi verso il basso ventre. Non staccò quei suoi
occhi dorati dalla figura del Sindaco
nemmeno per un secondo, leccando appena il collo del suo prigioniero
sotto gli
sguardi atterriti e sconcertati delle loro due prede.
«È
ancora presto», sussurrò dolce e spietato
all'orecchio del vampiro moro,
divertito come suo solito dal sentore di terrore che avvertiva
nell'aria. I
lunghi capelli d'oro si scompigliarono appena ad una folata di vento,
ed entrambi scomparvero lasciando solo fumo e polvere sotto lo sguardo
basito
e sbarrato del Sindaco e della ragazza.
Hughes allontanò la mano
dalla pistola, fissando la leggera
nebbiolina che si erano lasciati dietro ad occhi sgranati.
«Non è possibile», la voce
incrinata era solo un mormorio sordo nella notte.
«L'hanno trasformato in uno di loro...» Si
accasciò a terra, in ginocchio, tenendosi la testa fra le
mani. Quella leggera e tremante della ragazza si posò su una
sua
spalla, e riuscì a sentire distintamente un suo singhiozzo
soffocato.
Il Sindaco poggiò a sua volta
la mano su quella della
ragazza, stringendola forte. Non aveva mai pensato che al suo fratello
adottivo potesse accadere una
cosa simile. Meglio morto, che vederlo trasformato in uno di loro. Che
vederlo
trasformato in uno di quei mostri.. Invece, adesso, uno dei loro nemici
era proprio il loro parroco,
l'uomo che li
aveva sostenuti con i suoi sermoni, l'uomo che quasi li conosceva
più di loro stessi... l'uomo che aveva lasciato andare
quella
notte di dieci anni prima,
senza fermarlo. Non ci sarebbe mai riuscito a far fuori lui. Nel diario
che gli aveva lasciato il padre aveva scoperto che la sua,
sin dai tempi antichi, era sempre stata una famiglia di cacciatori che
per sfuggire alla vendetta di un vampiro dell'alta aristocrazia era
stata costretta a cambiare
il proprio nome. Ed era per questo che il padre era morto. A causa di
quel vampiro che era ancora in vita e bramava tutt'ora,
dopo secoli, la vendetta contro la sua famiglia. Il prossimo sarebbe
stato lui, adesso che erano tornati ancora una
volta.
Maes si girò verso la
ragazza, rimettendosi in piedi e
abbracciandola per cercare di calmare i suoi singhiozzi isterici.
«Stai calma, Winry», mormorò,
accarezzandole la schiena. «Non
ti faranno del male, stai calma... va tutto bene».
Già
dieci anni prima, la giovane che adesso stringeva fra le
braccia aveva assistito alla tragica fine di sua madre per mano di
quegli esseri. Le aveva visto la morte dipinta in volto. Non avrebbe
mai potuto scordare i tragici eventi che si erano ritrovati
a vivere in quei mesi oscuri, con la paura nascosta dietro ogni angolo.
Ed ecco che, ad una distanza di dieci anni, quei mostri erano tornati a
completare la loro opera. «Winry». Le
alzò il viso per poterla
guardare negli occhi. «Torna
subito da tua zia, non guardarti mai alle spalle per nessun motivo...
chiudetevi dentro, capito?»
La ragazza, tremante, annuì.
Si asciugò distratta
le lacrime passando sul viso il dorso
della mano, tirando su con il naso; guardò poi Hughes con
un'espressione altamente impaurita. «E... e lei,
Sindaco?»
chiese titubante, quasi in
un
sussurro.
Pochi attimi di silenzio, poi lui trasse
un sospiro.
«Io ho un lavoro da fare», fu la sua sola risposta.
Detto questo, seguì per un piccolo tratto di strada la
ragazza,
controllando che arrivasse a casa da lontano per poi fare un
altro po' di strada ed entrare
nell'edificio alla sua destra, nella locanda in cui erano radunati gran
parte degli uomini della popolazione. Al suo ingresso, tutti si
voltarono, e lui li salutò con un
cenno del capo, facendo qualche passo avanti nell'ampia stanza del
locale mentre li squadrava ad uno ad uno.
«Ho bisogno che almeno un di
voi mi segua», disse
pacato,
richiamando con un cenno della mano un ragazzo dai corti capelli
biondi che stava fumando.
«Tu te la senti, Havoc?»
Guardandosi ansioso intorno e vedendo
che anche gli uomini
lì
presenti avevano in volto la medesima espressione sconcertata e
incuriosita, lui annuì, spegnendo la sigaretta nel
posacenere e
alzandosi per raggiungere il Sindaco. Lo conosceva da molto tempo,
ormai, e sentiva subito
quando qualcosa non quadrava. Anche se, in quel momento, non capiva
esattamente cosa. Lui e pochi altri uomini erano i soli al corrente del
passato del loro
Sindaco, ma era il solo ad aver quasi appreso le tecniche dei
cacciatori. E, quando aveva quella faccia, qualcosa di oscuro si stava
parando
all'orizzonte.
Senza dire una parola, né
tanto meno spiegare la situazione,
i
due sparirono dalla locanda, uscendo svelti dal villaggio verso la
Chiesa ormai abbandonata. Havoc seguiva obbediente il Sindaco, senza
fiatare, mentre la notte
buia
si infittiva, oscurando loro stessi, tra le loro mani una piccola
lanterna a segnare il passaggio. Entrarono in essa attraversando in
fretta le panche impolverate per
immergersi in un sotterraneo dal quale si accedeva tramite una porta
segreta al di sotto dell'altare, e vide Maes prendere la sua pistola
d'argento dal tavolino poco distante per fargli subito dopo cenno di
uscire nuovamente. Si ritrovarono in breve nuovamente all'aria aperta,
nel più
completo silenzio della sera.
Solo quando i suoni notturni della
foresta cominciarono a farsi
sentire
fu sopraffatto da uno strano senso d'ansia. Si guardava furtivo
intorno, respirando l'aria fredda di quella strana
stagione. Sentiva come se ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato,
in tutta
quella dannata situazione che stavano affrontando ormai da molti mesi.
Spesso si recavano in quella Chiesa ormai in disuso, abbandonata dai
monaci
che la occupavano da quando il prete era scomparso, e al di sotto di
essa, frequentemente, svolgevano la loro funzione di protettori,
portando i corpi delle creature che uccidevano lì sotto. Non
aveva mai pensato che quella Chiesa fosse stata innalzata in
principio, non più di cinque o sei secoli or sono, proprio
per
quello scopo. Per esorcizzare creature come i licantropi. E,
all'occorrenza, i
vampiri.
«Hai con te
la tua pistola?» domandò la voce atona di
Hughes, ridestandolo dai pensieri.
Deglutendo e traendo un lungo sospiro, Havoc aumentò il
passo per affiancarsi a lui, annuendo. Intorno a loro non tirava un
alito di vento, non si sentivano nemmeno
i caratteristici richiami dei rapaci notturni, quasi come se la foresta
che stavano attraversando trattenesse il respiro. Era buio pesto e solo
la luce della lanterna illuminava i loro passi,
creando sinistre ombre che danzavano flebili nella densa
oscurità. Il suono d'un ramo spezzato risuonò
d'improvviso, facendo
sussultare i due uomini.
Havoc abbassò lo sguardo,
notando che era stato lui stesso
a provocare quel rumore. Traendo un lungo sospiro di sollievo, prese il
coraggio a quattro mani
e si avvicinò maggiormente al Sindaco, poggiandogli una mano
sulla spalla e arrestando la sua corsa. «Posso sapere dove
stiamo andando?» chiese, serio e
preoccupato.
Socchiudendo gli occhi e mordendosi il
labbro inferiore, Hughes si
voltò, nei suoi occhi verdi brillavano una svariata
gamma di
sensazioni contrastanti, e il suo basso sussurro si levò con
una
nota tremante e allarmante nel silenzio notturno.
«Al maniero».
ATTO PRIMO.
FINE
[1]
Non ho i genitori
[ Gaelico scozzese ]
[2]
Quattro [
Gaelico scozzese ]
[3]
Latte [ Gaelico scozzese
]
[4]
Mi dispiace [ Gaelico
scozzese ]
Messaggio No Profit
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Farai felice milioni di
scrittori.
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