'Cause we
could be immortals
just not for long
{Quello che siamo non può
imporci limiti
Per
trasgredire non ci servono permessi}
Era l'estate
più calda degli ultimi vent'anni. O giù di
lì.
I telegiornali
lo ripetevano ogni anno, questo è vero, ma pareva proprio
che questa volta c'avessero azzeccato.
L'aria
rimaneva torrida anche quando il sole veniva coperto da una nuvola di
passaggio e neppure stare all'ombra degli alberi che circondavano il
campetto da basket sembrava servire a qualcosa contro la calura
insopportabile.
Mi sembrava
quasi di avere le allucinazioni quelle poche volte in cui mi azzardavo
ad aprire gli occhi e guardarmi attorno, preferendo poi tornare a far
ricascare il capo sull'asciugamano che avevo ripiegato più
volte a mo di cuscino.
«Fa
caaaldo»
Svaccato al
lato opposto, rispetto a dove avevo deciso di lasciarmi svenire io, con
la testa poggiata sul consunto pallone da basket, il mio compagno
aprì pigramente un occhio per scoccarmi un'occhiataccia.
Peccato che la calura rendesse difficile persino sembrare minacciosi e
così ottenne soltanto il poco lusinghiero effetto di
sembrare mezzo addormentato.
«Non
lo avevo notato, Kise. Grazie per avermi avvisato.»
«Ma-»
«Per
la ventesima volta»
«Però-»
«Nel
giro di dieci minuti»
Diedi in uno
sbuffo offeso, decisamente infantile, coprendomi il viso con entrambe
le braccia e rinunciando a dire qualcosa in mia difesa. Faceva davvero
troppo caldo per sopportare uno dei nostri soliti battibecchi.
«Sei
antipatico Aominecchi» biascicai comunque, dopo qualche
istante di pacifico silenzio, facendo alzare gli occhi al cielo in un
moto di esasperazione al chiamato in causa.
Eravamo reduci
da un one on one
- che ovviamente aveva vinto lui - c'erano circa quaranta gradi
all'ombra e sentivamo - o, almeno, lo sentivo io - ogni
centimetro di stoffa indossata appiccicata in modo fastidioso alla
pelle, anche in posti in cui la stoffa non avrebbe proprio dovuto
stare. Rimanere ad ascoltare anche le mie lagne doveva essere
davvero troppo per i suoi nervi. Del resto Daiki non era certo rinomato
per la sua pazienza.
Non mi
sorpresi quindi di vederlo mettersi seduto di scatto, all'improvviso,
anche se rimasi un attimo perplesso quando lo vidi afferrare l'ultima
bottiglietta d'acqua e, in barba al mio lamento di protesta,
svuotarsela in testa con un'espressione di goduria che ebbe
però vita breve.
«Hm?
Che c'è Aominecchi?» aveva uno sguardo strano,
anche se dovetti trattenermi dallo scoppiargli a ridere in faccia
perché i capelli si erano appiattiti a causa dell'acqua e
gocciolavano. Sembrava un pulcino bagnato.
Un pulcino
bagnato con le sembianze di un diciassettenne grosso quanto un armadio,
certo, ma erano dettagli perfettamente trascurabili.
Il sorriso
divertito mi morì sulle labbra quando mi ritrovai a
contemplare una delle gocce scivolare lungo la tempia ed accarezzare
una gota, rimanendo in bilico sul mento per poi decidere di andare a
morire sulla canotta aderente.
Deglutii,
sforzandomi di non essere troppo rumoroso e farmi notare. Ok, forse non
assomigliava esattamente
ad un pulcino bagnato.
«Ohi,
Kise, ma mi stai ascoltando?»
Sbatacchiai un
paio di volte le palpebre, intontito, alzando lo sguardo sul viso di
quello che sarebbe stato l'asso della Touou ancora per poco. Sembrava
accigliato, una ruga d'inofferenza rovinava il suo bel viso e gli dava
più anni di quanti ne avesse realmente. Gli ripetevo sempre
che, di quel passo, sarebbe diventato vecchio prima dei quaranta ma lui
si limitava a sbuffare forte e spintonarmi o, nel migliore dei casi,
borbottarmi contro parole poco carine.
Osservando il
gioco di luci sul suo volto, scherzo dei raggi che riuscivano a
filtrare tra le fronde del nostro riparo, riflettei distrattamente su
come le vacanze estive sarebbero durante ancora per poco e me ne
scoprii rattristato. Era come un peso all'altezza dello stomaco che
forse lì c'era sempre stato, ma di cui mi ero accorto
davvero solo in quel momento.
Sforzai un
sorriso, consapevole che quella testa calda si sarebbe spazientito
prima e preoccupato poi di un silenzio così lungo da parte
mia «Scusa, mi sono distratto. Dicevi?»
Come previsto
Daiki sfiatò rumorosamente, assottigliando lo sguardo, e poi
voltò il viso nella direzione opposta alla mia.
Lì per lì pensai che si fosse offeso, poi mi resi
conto che stava guardando qualcosa.
«Si
fotte di caldo e di questo passo qui ci squagliamo. Quindi»
disse, sollevando la bottiglietta vuota ad indicare qualcosa che non
riuscivo a notare «andiamo a farci un bagno.»
Approfittando
della sua distrazione avevo gattonato fino a dove si trovava lui,
sporgendomi oltre la sua spalla per guardare meglio, così
quando si voltò finii per cadere in maniera decisamente poco
virile culo a terra.
«Ma
che cazzo...» bofonchiò, rivolgendomi un'occhiata
perplessa che ignorai, troppo preso ad acquistare una posizione decente
e massaggiarmi il fondoschiena.
«Ahi...
ma dove lo vuoi fare il bagno, Aominecchi? Scendere in spiaggia a
quest'ora sarebbe un suicidio e non sono del tutto sicuro che l'autobus
ci sia. E poi torneremmo a casa troppo tardi-»
La
bottiglietta che mi arrivò in testa riuscii a farmi zittire
e rivolgere un'occhiata offesa ed un broncio a quello, che stava invece
sghignazzando. Lo vidi chiaramente sillabare un ''tre punti'' ma non
gli restituii il favore limitandomi ad un ''molto maturo'' di rimando,
a fior di labbra.
«Chi
ha parlato di spiaggia, idiota?»
«Ma...»
ero onestamente confuso e lo rimasi anche mentre si tirò su
e si stiracchiò, tendendosi tutto, nemmeno fosse stato un
pigro felino appena ridestatosi dalla pennichella.
Gli occhi di
quel particolare blu, simile a fiamma, mi ammiccarono dall'ombra. E
seppi che stava per propormi qualcosa di stupido e potenzialmente
pericoloso prima ancora che aprisse bocca. Ma, soprattuto, che avrei
accettato senza farmi problemi.
«La
piscina dei tuoi vicini di casa. Sono in vacanza adesso, no?»
Ok, senza
farmi troppi
problemi.
«E'
violazione di domicilio.»
«E
allora? Non rubiamo mica niente.»
«Ma
non volevi fare il poliziotto, tu?»
Sostenni il
suo sguardo solo per qualche altro secondo, giusto per non dargliela
vinta subito, poi sospirai e chiusi gli occhi. Anche senza vederlo
potevo immaginare il ghigno supponente di esultanza che si era
sicuramente allargato sul suo viso.
Ma, del resto,
della Generazione dei Miracoli ero sempre stato quello che lo conosceva
meglio.
{Sono
il custode
di quella
fiamma che
brucia in
eterno e accende gli incubi}
La parte
più difficile fu scavalcare.
Di
per se non avevo mai trovato complicato arrampicarmi ed un cancello non
sarebbe stato un grosso problema, ma la mia gamba non si era ancora del
tutto ripresa e non lo avrebbe, con tutta probabilità, mai
fatto completamente. Pensarci proprio in quel momento non mi avrebbe
certo aiutato; ma Aomine che era atterrato con eleganza sul brecciolino
del vialetto e stava aspettando, mani ficcate nelle tasche dei
pantaloncini, che lo seguissi forse vide qualcosa sul mio viso quando
strinsi una mano sul metallo e incastrai un piede tra le sbarre per
provare ad issarmi su.
«Ohi,
ce la fai?»
Gli
sorrisi, facendo forza sul braccio.
«Certament-»
peccato che un muguno si mangiò la fine della parola, in
concomitanza con la fitta che mi prese al ginocchio quando sforzai la
gamba per guadagnare altezza. E quasi non mi fece cadere.
Sgranai
gli occhi, però, quando sentii un tocco saldo sulla mano
ancora stretta attorno alla sbarra. Daiki mi fissava serio, un accenno
di imbarazzo nascosto dall'incarnato olivastro, mentre avvolgeva la sua
mano grande sulla mia più minuta.
Non
mi propose di lasciar perdere e non mi incitò. Non disse
assolutamente nulla, ma lo vidi chiaramente riflesso nel suo sguardo;
avrebbe appoggiato qualsiasi cosa avessi deciso di fare, tornando
indietro se avessi rinunciato e pronto a prendermi se, invece, avessi
scelto di non arrendermi.
Sorrise
e sorrisi anch'io, guardandolo indietreggiare senza staccarmi lo
sguardo di dosso, quando ripresi ad arrampicarmi da dove mi ero
fermato.
Ci
misi più di quanto ci aveva messo lui, questo è
certo, e gli caracollai addosso senza molta eleganza quando venne il
momento di saltare giù, abbattendolo e facendo finire
entrambi per terra.
Daiki
sbuffò e mi spinse via dandomi dell'impiastro, senza per
altro curarsi di darmi una mano a rialzarmi, ma non mi tolsi lo stesso
il sorriso dalle labbra limitandomi a rincorrerlo lungo il vialetto.
«Aominecchi,
aspettami!»
Contro
ogni mia previsione mi ascoltò, bloccandosi a
metà strada. Aveva le spalle rigide e le braccia tese lungo
i fianchi, le mani strette in pugni così serrati che potevo
vederne i tendini in rilievo. Mi affrettai a raggiungerlo ed
affiancarlo, allungando timidamente una mano per cercare di sfiorargli
un braccio
«Aomi-»
«Perché
hai continuato a giocare?»
La
domanda arrivò improvvisa, inaspettata, simile ad un pugno
in pieno stomaco ed altrettanto capace di svuotarmi di tutta l'aria i
polmoni. Boccheggiai, improvvisamente in apnea, senza sapere cosa dire.
Cosa dirgli.
Non
ne avevamo mai parlato. Ogni tanto, nei mesi successivi la nostra
riconciliazione e il conseguente riavvicinamento, lo avevo
più volte trovato a guardarmi con aria concentrata e, forse
azzardando, dispiaciuta
la gamba. Ma nessuno dei due aveva mai osato iniziare qualsiasi
discussione sull'argomento, quasi lo considerassimo di tacito accordo
una sorta di
tabù.
Abbozzai
un sorriso incerto, pregando con tutto il cuore che non notasse la
confusione ed il timore che stava facendo tremare la mano con cui lo
sfioravo. Gli toccai appena il braccio con la punta delle dita e mi
sembrò di aver preso la scossa. Dovetti fare appello a tutto
il mio autocontrollo per non ritirarla di scatto ed indietreggiare.
«Lo
avresti fatto anche tu» ammisi, in un sussurro, e anche la
mia voce tremava. Quella non avrei potuto nasconderla, però.
Daiki
si irrigidì ancora di più, aveva un'espressione
tesa sul viso che rendeva ancora più animale la sua
espressione. Sembrava starsi sforzando immensamente, una silenziosa
lotta contro se stesso che non faticavo a scorgere sui suoi lineamenti
tirati ed il modo in cui digrignava piano i denti.
«Che
cazzo di risposta è Ryota?! Merda. Se mi buttassi da un
ponte lo faresti anche tu?!»
Trasalii,
consapevole di averlo fatto arrabbiare con le mie parole. Alimentando
forse i sensi di colpa che erano cresciuti in lui. Fin dal termine di
quella partita o meno, questo non avrei saputo dirlo.
«Ovvio
che non lo farei, che cosa sciocca. Sembri mia madre.» provai
a smorzare la tensione, portandomi la mano libera dietro la nuca e
sforzando una smorfia.
Inutile
dire che non ottenne alcun risultato se non il farlo arrabbiare ancora
di più, muovendosi di scatto a bloccarmi in una stretta il
polso della mano che lo stava toccando.
Sgranai
gli occhi, fissi nei suoi, attirato a lui ed a un passo dal suo viso.
Sentivo il suo fiato sulle labbra e il battito furioso del suo cuore
contro il mio. Avevano ragione a definirlo una pantera. Quel ragazzo
era una belva, qualunque cosa facesse.
«Quell'animale
di Haizaki potrebbe averti rovinato per sempre, lo sai vero?»
soffiò «Ma tu hai voluto giocare per forza. E
anche dopo... per la tua squadra. Per i tuoi compagni.»
Pronunciò
quelle parole con un disprezzo tale che mi ferì. Sapevo o,
per meglio dire, avevo intuito come non gli andassero a genio i ragazzi
del Kaijou. Soprattutto Kasamatsu-senpai. Ma non avrei mai potuto
immaginare che sarebbe arrivato a dare loro la colpa per il mio
infortunio. O sminuire ciò che avevo fatto per la mia
squadra fino a rendere stupido il mio gesto ed il mio impegno.
Ma,
principalmente, fece male il rendermi conto di come lui non avesse
capito proprio niente. Non la parte più importante, almeno.
«Per te»
sussurrai. Vidi la confusione nel suo sguardo e non mi trattenni dal
tirargli un pugno contro il petto. Aomine incassò il colpo
senza fiatare «L'ho fatto anche per te. Sei stato il mio
idolo così a lungo... e non... non potevo sopportare quello
che eri diventato. ''L'unico
che può battermi sono io'', ricordi? Quanto ti
ho odiato in quel momento. Volevo dimostrarti che non era vero... che
avresti potuto ritrovare l'amore che avevi perduto per il basket. Non
potevo arrendermi. Per i miei compagni. Per te. E per me
stesso»
Mi
costò molto dire quelle parole, mettere insieme un discorso
che sapevo benissimo risultasse confusionario persino alle mie
orecchie, figurarsi all'attenzione di un tipo come il power forward.
Chiusi
gli occhi, in attesa, ma avvertii soltanto un tocco caldo e ruvido,
evidentemente non avvezzo a gesti gentili o d'affetto, sulla guancia.
«Non
potrai più diventare un professionista»
mormorò, con inusuale dolcezza.
Sorrisi
scuotendo appena il capo «Non lo farà nessuno di
noi due, Aominecchi. Va bene così.»
Rimasimo
in silenzio per quelli che potevano essere minuti. Il sole continuava a
battere, sebbene stesse calando la sera, e l'aria ad essere torrida.
Mi
allontanai per primo, strattonandolo con un grosso sorriso per
invogliarlo a seguirmi «Beh, non volevi fare un
bagno?»
{Nella
clessidra la nostra sabbia scivola via
via
Ma nel domani
voglio che anche tu ci sia}
Lo schizzo d'acqua mi
colpì in pieno e infradiciò la maglietta che non
avevo fatto in tempo a togliere.
«Uffa!
Insomma Aominecchi!» piagnucolai, liberandomi dall'indumento
che mi si era appiccicato addosso mentre l'altro ragazzo si appoggiava
con nonchalance al bordo della piscina, un ghigno divertito su quella
faccia da schiaffi abbronzata.
«Non
è colpa mia se sei lento. Andiamo, muoviti a togliere quelle
mutande e buttati. L'acqua è fottutamente
fantastica!»
Sembrava un
bambino. Un bambino meravigliosamente e vergognosamente nudo e molto,
molto sboccato.Arrossii stringendo le mani sul bordo degli aderenti
boxer neri che indossavo, sentendo le guance bruciare per l'imbarazzo.
Ok, non era certo la prima volta che lo vedevo nudo. Però
eravamo nella piscina dei miei vicini di casa, insomma!
Daiki
sbuffò, segno che iniziava a spazientirsi, per poi dare una
manata all'acqua e schizzarmi un'altra volta.
«Ok
ok, quanto sei impaziente!» lo trovavo divertente,
più che altro, ma evitai accuratamente di farglielo sapere e
mi liberai invece dell'ultimo strato di stoffa, prendendo una piccola
rincorsa prima di tuffarmi.
Il contatto
con l'acqua, deliziosamente fresca contro la pelle accaldata, mi
procurò dei brividi piacevoli e mi fece desiderare di
rimanere immerso per più tempo. Soprattutto quando aprii gli
occhi, ritrovandomi a contemplare il corpo di Aomine dalla vita in
giù.
L'interessato
dovette accorgersene perché ampliò il ghigno e
divaricò un po' di più le gambe, attendendo che
riemergessi per afferrarmi per i capelli bagnati, dietro la nuca, ed
attirarmi a sé.
«Hai
visto qualcosa d'interessante lì sotto?»
Appiattii le
labbra per trattenere una risata, sfiorandogli il petto con una mano.
La sensazione della sua pelle umida contro la mia era strana, ma per
nulla spiacevole.
«Forse...»
mormorai, facendo il vago.
Non mi
sorpresi affatto quando si avventò sulla mia bocca,
mordendomi le labbra. Aspettavo quel bacio anch'io, del resto. Mi aveva
baciato di sfuggita quella mattina, quando era venuto a prendermi per
andare al campetto vicino casa mia, ma dopo eravamo stati troppo
impegnati con le partite prima e il lamentarci del caldo soffocante poi
per poter avere alcun contatto diverso dagli sporadici falli - abbiamo
sempre preso i nostri one on one molto sul serio.
Gemetti quando
mi spinse contro il bordo della piscina, avvertendo non molto
piacevolmente il bacio del marmo contro la mia povera schiena. Ma le
sue labbra ed il suo corpo premuto contro il mio, per fortuna, mi
distraevano molto di più.
«A-aominecchi»
ansimai ad un passo dalle sue labbra, quando ci staccammo per
riprendere fiato. Si strusciava lentamente contro di me e io non
riuscivo a riflettere. Sapevo che era sbagliato, insomma eravamo a casa
di altri e nella loro piscina!, ma era troppo piacevole per impedirmi
di andargli contro e seguire il suo ritmo, muovendo i fianchi per
procurargli lo stesso piacere che faceva tremare me ed accresceva il
desiderio facendomi sentire ancora più caldo nonostante
l'acqua fresca in cui eravamo immersi.
Contro ogni
mia previsione, però, Daiki si fermò. Mugulai di
protesta, non potei impedirmelo, ma rimasi sorpreso quando si
limitò semplicemente ad abbracciarmi e nascondere il viso
nell'incavo del mio collo. Anche questo era un gesto decisamente
inusuale per un tipo passionale ed istintivo come lui.
Chissà
quanto stava mettendo alla prova il suo autocontrollo?
«Che
c'è?»
Lo sussurrai
piano, dolcemente, avvolgendogli le spalle con un braccio e passando le
dita della mano libera fra i suoi capelli bagnati.
«L'estate
sta finendo. Presto inizierà l'ultimo semestre.»
Sgranai gli
occhi, sorpreso che anche lui ci stesse pensando. Non lo avrei detto
possibile, menefreghista com'era.
«Già...
ci diplomeremo e lasciaremo le nostre squadre. Sarà strano.
Un po' triste.» mormorai, fissando le sdraio bianche dei miei
vicini.
Il mio ragazzo
sospirò contro la mia pelle, sfiorandola delicatamente con
le labbra. Rabbrividii piacevolmente e mi si strinse il cuore. Mi
pizzicavano gli occhi, ma diedi la colpa al cloro.
«E'
finito il tempo dei giochi, eh? Entrerò in accademia. E lo
farai anche tu.»
Annuii,
stringendolo un po' più forte. Il futuro faceva paura ma
eravamo destinati tutti a crescere. Non saremmo potuti rimanere ragazzi
del liceo per sempre, preoccupati soltanto di portare la nostra squadra
alla vittoria. Aomine sarebbe diventato un poliziotto e io un pilota di
linea, come desideravamo. Sarebbe per sempre rimasto in noi quel
piccolo, sciocco, desiderio infantile di diventare campioni del basket.
Ma non ne avremmo più avuto l'occasione. Forse era questo a
spaventare sia me che lui in questo modo, a destabilizzarci tanto.
Avremmo perso quello che ci aveva spinto a lottare e tenuti uniti fino
a quel giorno.
«Ti
chiederò ancora un one on one, quando non sarai in
servizio» lo presi in giro, tirandogli una ciocca di capelli.
Lo sentii
sorridere contro il mio collo «Ti attenderò per
stracciarti ancora, quando non sarai in volo per chissà
dove. A casa nostra.»
Il mio cuore
mancò un battito e lacrime si mescolarono all'acqua della
piscina, mentre tornavo a baciarlo. O forse lui baciò me.
Non che importasse molto.
Saremmo
rimasti insieme. Era quello che contava. Il futuro faceva un po' meno
paura, sotto questa prospettiva.
{C'è
un solo modo che hai
ci devi
credere in tutto quello che fai
senza mai
cedere
E se il futuro
per noi fa paura
ogni problema
ha la mia cura}
«A-aominecchi...
mi è sembrato di sentire...»
«Cazzo.
Sono tornati. Non dovevano stare via fino alla settimana
prossima?»
«Così
ha detto Asahina-san a mia madre! Oddio, che facciamo?!»
«Muoviti
a vestirti, idiota! Se ci beccano è soltanto colpa
tua!»
«Ma...
ma... sei stato tu ad avere l'idea Aominecchi!»
«Piantala
di strillare il mio nome e muovi il culo!»
Era l'estate
più calda degli ultimi vent'anni, o giù di
lì. Davvero non importava che i telegiornali avessero
ragione o meno.
Perché
era principalmente l'estate dei nostri diciotto anni, l'ultima prima
che il mondo degli adulti ci reclamasse. E fino a che quel giorno non
fosse arrivato, sarebbe durata per sempre.
{Saremo
immortali
eterni
ma solo per un
po'
Contro la
normalità
il tempo non
ci toccherà
Almeno per un
po'}
---------------
NdA. Sì
ho guardato Big Hero 6 finalmente. Sì ho pianto fiumi di
lacrime. Sì mi sono fissata con questa canzone, che
è ovviamente ''Immortals'' dei Fall Out Boy anche se nella
versione italiana (ugualmente splendida, devo dire, per quanto di
solito preferisca le versioni in lingua originale). E quindi ho deciso
di scrivere questa cosetta. Più che altro è nata
da sola, io mi sono limitata a battere su word. Ho qualche dubbio circa
l'IC di Aomine ma ho cercato di attenermi al suo carattere il
più possibile. Mi sono divertita con il pov di Kise e ho
calcato più del giusto sul suo infortunio, ma passatemela.
Che altro dire? Non mi viene in mente. Se volete voi dirmi qualcosa,
invece, accetto con piacere di leggere cosa ne avete pensato. In bene o
in male, come sempre.
Buona...
notte?
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