Capitava ancora
che, certe notti, June venisse assalita dalla malinconia, dal ricordo e
dal dolore dell’addio, nonostante fossero già
passati tre anni dalla partenza di Day.
Non c’era giorno in cui non si pentiva di averlo lasciato
andare senza fargli ricordare di lei e di tutti i momenti passati
insieme, ma ogni volta si ripeteva che forse era meglio
così, che lei era stata la causa prima di tutte le sue
sofferenze e non lo meritava.
Per l’ennesima volta si era svegliata da un incubo in cui lui
la abbandonava di nuovo, incolpandola di averlo fatto soffrire troppo.
Talmente vivido fu l’incubo che si sentiva ancora dentro di
esso. E, di nuovo, per l’ennesima volta, aveva avuto una
fitta fortissima.
Portò una mano sull’anulare dell’altra,
a toccare il sottile anellino che ancora indossava: ripassò
più volte le dita sulle pieghe, uniche testimoni
dell’amore che c’era stato fra lei e Day. Non era
stata capace di toglierlo, non aveva voluto toglierlo e non lo avrebbe
tolto, di questo era sicura, perché era l’unica
cosa che di lui le rimaneva.
E mentre la notte scorreva, inesorabile ed inarrestabile, i suoi
pensieri vagavano, persi nei ricordi ancora troppo freschi per non far
più male; la luce del giorno spuntava piano piano, e
finalmente June riuscì ad addormentarsi, con le guance
ancora rigate ma già asciutte.
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