Safety Net
“Ever heard of the
rule of three?” he shouts as we run.
“No” I say.
“If you save
someone's life three times, their life belongs to you, You saved my
life today, that makes once. Save it twice more and I'm all
yours”
-Unknown
|
|
“Ho letto la
solitudine nei tuoi occhi e vi ho riconosciuto la mia.
Hai sorriso
varcando la soglia e hai preso a calci la mia malinconia.
Mi hai salvato la
vita e, in qualche modo, io ho salvato la tua.”
- Unknown
|
«Adesso
dipende tutto da lei. Noi abbiamo fatto il possibile, possiamo solo
sperare nella sua voglia di vivere e nel Signore.»
spiegò la donna e altre lacrime e singhiozzi riempirono la
stanza.
Appariva
come un sogno il buio attorno a me.
Mi trovavo in un'ampia stanza
dalle pareti scure. Non avrei saputo dire quanto ampia, gli angoli
nei quali si univano il pavimento e i muri non esistevano; apparivano
sfocati, indefiniti ai lati del mio campo visivo.
L'intera stanza
era nera e sfumava nei toni del grigio, verso il centro.
Non vi
erano luci né sulle pareti né fuori dalla stanza.
Ve n'era una
soltanto che dall'alto illuminava il punto nel quale sostavo.
Provai
un vago senso di confusione guardandomi attorno. Non sapevo
perché
ero lì, ma sapevo di essere nel luogo giusto.
Poi,
come in un sogno, milioni di fotografie apparvero attorno a me.
Istantanee
della mia breve esistenza calarono dal soffitto fermandosi a formare
un cerchio disordinato attorno alla mia figura. Alcune di esse
iniziarono a muoversi, proiettando degli infiniti filmati provenienti
dal passato.
Ancora una volta mi fermai a domandare a me stessa la
ragione per la quale mi trovassi in quel luogo e per la seconda volta
la consapevolezza di trovarmi nel luogo giusto al momento giusto, mi
colmò.
Meravigliata,
mi presi qualche istante per ammirare il buio attorno a me, dipinto
di mille colori dai ricordi della mia vita.
Non lo vidi né lo
sentii arrivare; apparve dal nulla come il resto delle cose che mi
avevano accolta in quel luogo indefinito.
Non
impiegai molto a riconoscerlo, anche se la ragione della sua presenza
non mi fu subito chiara.
Sorrisi,
osservando quel volto familiare.
Riconobbi il dolore, l'amore e la
confusione nel profondo dei suoi occhi, accentuata da quelle lievi
increspature che ero solita vedergli tra le sopracciglia, attraverso
lo schermo della TV.
Lo
vidi cercare disperatamente qualcosa nelle tasche della giacca e dei
pantaloni, ma non trovò niente.
Si
mise sulla difensiva tenendosi a qualche passo di distanza da me.
Un
altro fascio di luce, adesso, scendeva dal soffitto per illuminarlo.
«Chi
sei?» domandò.
«Mi
chiamo Chris, Dean»
«Dove
siamo? E come fai a conoscere il mio nome?»
«Non
so darti una risposta. Non so dove siamo né
perché siamo qui, so
solo che è il luogo giusto nel quale essere. Quanto alla
seconda
domanda, conosco tutto ciò che si deve sapere su di
te»
Sapevo
che c'era qualche dettaglio archiviato nell'angolo più
remoto della
mia mente che dovevo recuperare. C'era qualcosa di strano in quel
luogo, in tutte quelle sensazioni, ma non riuscivo ad afferrarlo. Era
come cercare di trasportare dell'acqua con una rete, inutile e
faticoso.
Sapevo
di non essere in pericolo, perciò avevo deciso da tempo di
lasciar
perdere. In fondo all'anima ero convinta che i ricordi sarebbero
tornati, in un modo o nell'altro.
«Cosa
significa che è il luogo giusto? E come diavolo fai a sapere
tutto
di me?» la sua confusione permaneva nell'aria come l'odore
del pane
dopo aver cotto in forno una pizza.
«Vorrei
riuscire a spiegarmi meglio, credimi, ma non so come. È una
sensazione, tutto qua. Sento che tutto questo non è altro
che un
modo per trovare la via. È come se mi fossi persa e questo
fosse il
luogo da attraversare per tornare a casa. Non posso che chiederti di
fidarti di me.»
Non
era convinto, glielo si leggeva in faccia, ciò nonostante
sembrò
concedermi il beneficio del dubbio. Il suo sguardo si
rilassò, anche
se di poco.
«Non hai ancora risposto alla mia seconda domanda.»
«Ricordi
i Vangeli dei Winchester? Nella mia realtà ne hanno fatto
una serie
tv, ma non si sono fermati alla tua morte, Dean. Hanno continuato a
narrare la vostra storia giorno dopo giorno e temo che il tutto
accada esattamente nello stesso momento. Un po' come se stessimo
guardando un reality show sulla vostra vita, capisci. E non potrebbe
essere altrimenti.»
La
mia rivelazione lo colse impreparato.
Era
come se le mie parole lo avessero spogliato di ogni maschera. Nei
suoi occhi lessi la consapevolezza di trovarsi di fronte un individuo
conscio di ogni sua forza o debolezza. Era spaventato all'idea di non
aver nessun segreto, nessuna carta da giocare nel caso in cui le cose
si fossero messe male. E improvvisamente rividi in lui il sedicenne
confuso e spaventato scortato dai due agenti di polizia alla volta
della 'Boys Home'.
Il
tutto durò un momento soltanto. Annuì.
«Fantastico.
Hai almeno idea del perché io mi trovi qui?»
Nonostante prima
non avessi saputo dargli una risposta, quest'ultima apparve chiara
nell'attimo esatto nel quale aprii la bocca per parlare.
«Credo
di avere in qualche modo bisogno di te per tornare a casa. Credo che
sia tu la cura. Non so in che modo, né il perché,
ma so per certo
che senza di te non potrei tornare.»
«Perfetto»
borbottò con un accenno di sarcasmo.
Fu in quel momento che i
suoi occhi lasciarono il mio volto e si mossero lungo la fila di
fotografie. Sembrava non averle notate fino a quel momento.
Apparivano solamente adesso chiare di fronte a lui.
«Che cosa
sono?»
«È
la storia della mia vita.» risposi con semplicità.
«Ti
dispiace se..?» mi chiese, avvicinandosi all'istantanea nella
quale
era immortalata la mia nascita.
«No,
credo che tu sia qui proprio per questo.» replicai con un
sorriso.
In
risposta alle mie parole la fotografia si animò e
iniziò a
raccontargli i primi giorni della mia esistenza.
Quella prima
cornice lo accompagno attraverso i miei primi bagni, i miei primi
passi, le mie prime parole. Gli fece conoscere i miei genitori, i
miei zii e i numerosissimi cugini.
Io mi sedetti a terra nello
stesso momento della me del passato, decisa a godermi fino in fondo
il film della mia vita.
I
pensieri che mi avevano attraversato la mente apparivano come bolle
trasparenti vicino al mio volto o ai bordi delle inquadrature,
così
Dean poté vedere come giorno dopo giorno il rapporto che
avevo con
il più piccolo dei miei cugini mi aveva cambiata. Lessi nei
suoi
occhi un velo di rabbia nei suoi confronti e un accenno di orgoglio
per come ero riuscita a uscire da quella situazione.
Lo
vidi sorridere e mostrare il suo orgoglio quelle poche volte nelle
quali riuscivo a dimostrarmi migliore di Daniel. Sorrisi anche io, in
risposta, quando vidi il suo sguardo spostarsi sul mio volto.
«Inutile
dire che mi sta antipatico.» mormorò, mentre la
cornice veniva
spostata lontana da lui da una brezza leggera, e un'altra veniva
posta al suo posto.
E
così successe per tutti i frammenti di vita seguenti.
Il suo
sguardo mi accompagnò durante la mia infanzia, attraverso
l'asilo,
gli sport e i giochi. Lo vidi gioire per i miei successi, provare
rancore per i torti subiti e dolore per tutte le volte nelle quali
non mi ero sentita abbastanza.
Le medaglie di nuoto, le recite di
fine anno, le giornate al parco, le ginocchia sbucciate, le lacrime
versate, i capricci e la perenne competizione tra me e Daniel.
Mi
vide crescere fino al mio quinto compleanno.
Spegnendo
le candeline, quell'anno, pregai affinché la sorellina che
mia madre
aveva in grembo crescesse sana e forte. La desideravo con ogni fibra
del mio essere. Ne andavo orgogliosa e non vedevo l'ora di poterla
abbracciare.
Leggendo quella preghiera spontanea e profonda, gli
occhi di Dean si fecero lucidi. si voltò verso di me e sul
suo volto
comparve un sorriso appena accennato.
Aveva un anno in meno di me
all'epoca, quando Sam era nato.
Era
una delle tante cose che mi ero resa conto di avere in comune con
lui, col passare del tempo.
Altri
sei mesi passarono all'interno della cornice e mi venne quasi da
piangere rivedendo il mio volto il giorno nel quale potei finalmente
portare la mia sorellina a casa.
Il
tempo scorreva nei filmati del mio passato, ma restava immobile
all'interno della stanza.
Non avvertivo stanchezza né fame,
nonostante avessi visto passare di fronte a me cinque anni e mezzo
esatti.
In
seguito venne il periodo delle elementari, dei campeggi e delle
medaglie d'oro. Le gite, i primi veri amici, il primo fidanzatino e i
primi grossi errori. E sebbene fosse stato indefinibile all'epoca,
adesso riuscivo chiaramente a vedere il malessere crescere in me.
Lo
vide anche lui.
Ma non mi chiese il perché, come avrebbe fatto
qualunque altra persona. Conosceva nel profondo quelle sensazioni. Mi
vide urlare, nascondermi sotto i banchi di scuola, trattenere il
respiro e ringhiare fino a farmi diventare il volto completamente
rosso. Mi vide sbattere i piedi e gridare al mondo che volevo farla
finita.
Vide la mia famiglia voltarmi la spalle e continuare a
dire che ero solamente una bambina isterica e dispettosa. Vide gli
schiaffi, le punizioni e quel senso di inadeguatezza e insicurezza
farsi strada nel profondo della mia anima.
Vide
anche la maturità, la comprensione, l'empatia e la
gentilezza
colmare il mio sguardo e poi nascondersi dietro una spessa corazza di
apparente forza.
Poi
arrivò il periodo che cambiò la mia vita per
sempre. Il periodo
che, se avessi potuto, avrei volentieri dimenticato, cancellato dai
ricordi.
Yup, è autobiografica.
Confermato questo particolare scabroso, spero vogliate farmi sapere
come vi sembra...
Non prometto nulla, ma dovrei finire il secondo capitolo entro due
giorni. Badate bene, dovrei ;)
Buonanotte a tutti <3
Siria.
|