Natale2-Maura
Per Maura, aka izayoi007.
Perché sa
cosa significa NaruSaku,
e perché sa
cosa significa essere pendolari!
NaruSaku, AU.
Binario morto
Ormai
dovrei averci fatto l’abitudine,
pensa, mentre apre le porte del treno con uno sforzo inumano.
Dovrebbe essere cosa
di tutti giorni, una formalità... quella roba che chiamano
ruotina, o una
parola del genere!
A fatica, sale i gradini e si
appoggia alla parete
azzurrastra, riprendendo fiato.
«No, non mi
abituerò mai» sbuffa,
infilando un dito nel colletto della maglia e scuotendola per farsi
aria.
Lungo il vagone si diffonde un
trillo monotono, nella
tonalità più sgradevole che sia mai stata
concepita, e
le porte che ha aperto a fatica scorrono sui loro binari e si
richiudono con un tonfo. Le fissa torvo, mentre il treno si mette in
moto con uno scossone, e a quel punto si stacca dalla parete.
Ovviamente non c’è nemmeno la minima traccia di
aria
condizionata.
Si trova davanti
all’ennesima porta, ma questa volta
riesce ad aprirla con relativa facilità. Attraversa
l’intersezione tra i due vagoni, apre una nuova porta, e
finalmente
si trova tra i sedili sdruciti che conosce fino alla nausea –
e che
con la nausea hanno molto a che fare, in effetti, dato che il loro
colore non ispira esattamente poesia.
Il vagone è
semivuoto, i blocchi di sedili da
quattro sono quasi tutti occupati da un’unica persona, ma
ecco che
sul fondo, vicino alla prossima porta, ne trova alcuni liberi.
Sistema lo zaino sulle spalle e avanza con passo sicuro, bilanciando
i leggeri scossoni del treno e l’inclinazione dei binari,
finché
non raggiunge la postazione e sfila lo zaino, lasciandolo cadere sul
sedile di fronte a quello che lo accoglierà.
Si accomoda, lasciandosi
scivolare con le gambe lunghe e
la schiena quasi dritta, e punta gli occhi azzurri fuori dal
finestrino, dove la monotona campagna scorre sempre uguale. Di
lì
a dieci minuti ci sarà la prima fermata, un pugno di cascine
sconosciute nel mezzo del nulla, e poi campi e campi e campi, almeno
per mezzora, fino alla prima comparsa della città, e poi,
ancora oltre, la sua fermata.
Sbuffa, alla prospettiva di
quasi un’ora passata a
sonnecchiare in un vagone puzzolente, e per l’ennesima volta
si
trova ad augurare le peggiori cose al disgraziato che gli ha fregato
il lettore mp3.
Ma non sa che quel viaggio
è ben lungi
dall’essere noioso. Non lo immagina nemmeno quando vede la
ragazza
che avanza lungo il vagone con un I-pod nuovo fiammante nelle
orecchie, e l’unica cosa che pensa è che
è carina,
che le gambe che le spuntano dai pantaloncini sembrano proprio da
mordere, e che vorrebbe sapere cosa ascolta. E avere anche lui un
maledetto I-pod.
Poi, lei si ferma davanti a
lui, e si sfila una cuffia.
«Scusa, qui
c’ero io»
Lui la fissa, stranito.
«No. Erano quattro
posti vuoti» la
contraddice, tirandosi a sedere diritto.
«Mi spiace, ma
c’ero io» insiste lei con
un sorriso quasi minaccioso, e due minuscole rughe si formano attorno
ai suoi occhi verdi, mentre lo fa. «Sono stata in bagno per
un
istante, qualunque persona del vagone può dirtelo»
«Quando sono
arrivato i posti erano vuoti. Ed è
vietato usare i bagni durante le soste del treno» puntualizza
lui, con un filo di irritazione.
«Avevo bisogno dello
specchio, nel bagno» si
impunta lei, e quasi ad avvalorare la sua tesi si passa una mano tra
i capelli, di un rosa discutibile.
«Beh, ci sono tanti
altri altri posti»
sbuffa lui, tornando a fissare fuori dal finestrino.
«Scegline
uno e accomodati»
Gli
occhi di lei si assottigliano minacciosi. «Si dà
il caso
che questo fosse il mio
posto. Per questo motivo sarebbe molto più logico che fossi io
a consigliarti gentilmente di cercarne un altro»
Lui la guarda di nuovo,
voltando la testa lentamente.
«Senti, parliamoci chiaro. Fa caldo, sto andando a dare un
esame per il quale probabilmente verrò bocciato in tronco,
mi
sono dovuto alzare alle quattro per ripassare le ultime cose, e
l’ultima tentazione che potrei mai avere è di
litigare con
una squinternata sul treno»
«Squinternata?»
ripete lei, a voce
leggermente più alta, e qualche testa si volta nella loro
direzione. «L’educazione non cresce sugli alberi di
questi
tempi, ma tu sei largamente l’essere umano più
maleducato
che io abbia incontrato negli ultimi sei mesi!»
«Quando una si
presenta dicendo che un posto a
caso sul treno è suo, e lo fa con un colore di capelli
assurdo
quanto il tuo, è piuttosto naturale prenderla per una fuori
di
testa!» si giustifica lui, scaldandosi.
«Non ci
credo» lei ruota gli occhi,
sollevando le mani. «Sto davvero litigando su un treno con
uno
sconosciuto, e per una ragione idiota, oltretutto. Lo sapevo che non
sarei dovuta uscire di casa, l’oroscopo mi consigliava di
chiudermi
dentro!»
«Ci mancava solo
l’oroscopo!» grugnisce
lui, sarcastico, e lei lo fulmina con lo sguardo.
Ma prima che possa ribattere,
il treno ha un sussulto
improvviso e frena bruscamente, facendole perdere
l’equilibrio. Lui
si trova con una mano di lei su metà faccia e le cuffie
dell’I-pod che penzolano davanti al naso, ancora
perfettamente in
funzione, e non appena lei si stacca si piega su sé stesso,
gemendo con una mano sullo zigomo.
«Porca
vacca!» impreca, un occhio pieno di
lacrime. «Che male!»
«Tutto
bene?» chiede lei con una leggera
ansia, chinandosi su di lui. «Dove ti ho preso? Scusa, non ho
calcolato... Fa’ vedere»
«Col cavolo! Che
vuoi farmi ora?» si difende
lui, scostandosi.
«Niente»
sbuffa lei, prendendogli il mento a forza e voltandolo nella sua
direzione. «Sono una laureanda di medicina e un volontario
della Croce Rossa, oltre che una squinternata»
All’improvviso lui
se la trova vicina, troppo vicina,
e scopre che sotto i capelli rosa gli occhi sono verdi e
intelligenti. Senza una ragione precisa si trova ad arrossire, e
prega ardentemente che si confonda nel livido che sicuramente gli sta
crescendo sulla guancia.
«Niente di
rotto» decreta lei dopo averlo
tastato delicatamente. «E scusa ancora»
«Mh...»
mugugna lui, distogliendo lo sguardo
non appena è libero di muoversi.
La ragazza a questo punto
sembra incerta. Forse vorrebbe
insistere per avere indietro i suoi posti, ma a quel punto le sembra
discretamente sconveniente. E poi si accorge all’improvviso
del
mormorio che si diffonde lungo il vagone.
«Che è
successo?»
«Non lo so, dove
siamo?»
«Non
c’è una stazione, solo campi...»
«La prossima
è xxx, vero?»
«Sì, ma
qua non ci muoviamo...»
Corrucciata, si guarda attorno
per un lungo istante.
«Che
succede?» si azzarda a chiedere a voce
alta, e lui finalmente si riscuote dal suo torpore meditabondo e
riacquista contatto con la realtà.
«Siamo
fermi» dice, con aria smarrita.
«Ma dai?»
replica lei ironica. «Solo
che non sappiamo perché»
«Aspetta... Siamo
fermi? No, cazzo no! Io devo
darlo quel maledetto esame!» esclama lui tutto a un tratto,
balzando in piedi.
«Ma due minuti fa
non sostenevi che saresti stato
bocciato?»
«Sì,
ovvio! Ma bisogna sempre tentarla!
Dov’è il controllore?»
«Avanti»
pronta, la ragazza addita la porta
che separa il vagone da quello successivo, e il ragazzo afferra lo
zaino con l’angoscia dipinta sul volto.
«Ciao»
bofonchia in fretta, senza nemmeno
guardarla, e un attimo dopo sforza i muscoli per aprire la porta,
quello successivo è tra i vagoni, e quello dopo ancora
è
scomparso.
La ragazza sbuffa, guardandosi
attorno nel vagone
tranquillo, e poi riprende finalmente possesso dei posti che erano
suoi di diritto, e stende le gambe nude fino all’altro
sedile. Con
un minuscolo sorriso, allora, sfila dallo zaino un libro voluminoso e
comincia a sfogliarlo.
Il treno resta fermo per
qualche minuto, forse una
decina. Fuori dai finestrini la campagna si stende immobile, e di
tanto in tanto gli intercity sfrecciano sul binario accanto, spavaldi
sbeffeggiatori dei più modesti regionali. Poi,
all’improvviso,
il treno riparte con uno scossone, e dall’altoparlante si
diffonde
un messaggio.
«Informiamo i
signori passeggeri che a causa di un
problema tecnico, il treno dovrà effettuare una sosta
forzata
nella stazione di xxx. Ci scusiamo per il disagio»
La reazione di disappunto
è pressoché
immediata. I bisbigli ricominciano, le domande si susseguono
irritate, e la ragazza alza gli occhi dal manuale di anatomia e
corruga leggermente la fronte. Naturalmente non hanno detto per
quanto resteranno fermi.
D’istinto, senza
ragioni particolari, il suo pensiero
corre al maleducato che pretendeva di rubarle il posto, e si trova a
chiedersi come farà con l’esame. Un po’
gli fa pena,
realizza, e intanto mette via il libro, perché sa
già
che alla stazione di xxx scenderà per chiedere delucidazioni
al capotreno.
Di lì a poco i
sussulti dei binari si fanno meno
frequenti, e il treno perde velocità. Ai lati della linea si
snodano le prime case, cascine fatiscenti circondate da magri orti, e
poi, ben prima del previsto, la stazione cadente.
Il treno si arresta
fischiando, e con un ultimo scossone
è immobile. La ragazza si assicura che lo zaino sia ben
chiuso, e solo allora si alza, sulla scia dei passeggeri che
già
hanno deciso di cercare il capotreno.
Si mette pazientemente in
colonna, aspetta di
raggiungere l’uscita, e balza a terra con un piccolo salto.
Una
volta lì, perde un istante a guardarsi attorno:
nient’altro
che campi e cascine a perdita d’occhio. Un paese grande come
lo
sputo di un gigante, e con la vita notturna di un ospizio. Splendido.
Sbuffando, cerca il capotreno
con lo sguardo e incrocia
il controllore alla fine del treno, circondato da un paio di
vecchiette mezze sorde. Con passo marziale lo avvicina, si fa largo
tra la folla, e sfoggia il suo sorriso semi-professionale da
volontaria della Croce Rossa.
«Salve, mi scusi,
che succede?» domanda con
cortesia esasperata.
Il controllore, un ragazzo
dall’aria annoiata che avrà
sì e no tre anni più di lei, le scocca
un’occhiata
irritata e sbuffa.
«C’è
un gregge di pecore sul binario»
annuncia atono. «Siamo a malapena riusciti ad allontanarle da
una linea, passano solo i treni veloci»
«Un cosa?»
allibisce la ragazza, spalancando
la bocca.
«Gregge-di-pecore»
sillaba il controllore,
sotto occhi di un nero assolutamente inespressivo. «Sono
bianche e puzzano»
«So
cos’è una pecora! M-Ma perché
sono sui binari?»
«In tutta
franchezza, penso che dovrebbe chiederlo
al pastore»
«Non ci credo! Ma
che idiozia!» sbotta il
ragazzo, scompigliandosi furiosamente i capelli.
Accucciato su un pavimento
polveroso, accanto a una
biglietteria chiusa e deserta, si lascia andare a un grido che sembra
quasi un ringhio, e poi alza uno sguardo frustrato sul foglio bianco
che campeggia un metro più su della sua testa.
Siamo
al lavoro per fornirvi un servizio ancora migliore,
ci
scusiamo per il disagio.
La
biglietteria riaprirà il 12 gennaio.
La polvere di luglio si
è posata su tutti gli
angoli della stazione, ricoprendo ogni superficie piana e non, e il
nastro adesivo che sorregge il messaggio ha perso aderenza da molto
tempo.
Il ragazzo sbuffa furioso e si
tira su, pensando che ci
sarà sicuramente un servizio sostitutivo. Deve solo prendere
per il collo un controllore, o un capotreno, o qualcosa di simile, e
potrà andare a dare il suo maledetto esame. E’ un
pensiero
abbastanza concreto da fargli scrocchiare le nocche delle mani, e
quando si volta di scatto è così battagliero che
solo
per un soffio non finisce addosso alla ragazza alle sue spalle.
«Piano» lo
ammonisce lei, scoccandogli
un’occhiataccia.
«Oh, sei
tu» fa lui, riconoscendo
immediatamente il ciuffo rosa sulla sua testa. «E’
chiuso»
aggiunge poi, additando la biglietteria alle sue spalle.
«Niente
biglietti, niente informazioni»
«Cosa?»
esclama lei, strappando l’avviso
sulla porta polverosa. «Non ci credo!»
«Sì
invece. E infatti volevo andare a
cercare un controllore...»
«Lascia perdere. Ci
ho già provato io, e
sono stata a tanto così dal prenderlo a schiaffi. Non sanno
niente neanche loro, a parte che c’è un gregge di
pecore sui
binari»
«Un cosa?»
«Gregge di pecore.
Lo so, sembra assurdo, ma
dicono che dobbiamo solo aspettare»
«Aspettare
quanto?» chiede il ragazzo
nervosamente.
«Ovviamente non lo
sanno» sbuffa lei. «A
che ora è il tuo esame?»
«Tra due ore. Dio,
dio, dio, non posso
crederci...» mormora, passandosi una mano tra i capelli
biondi
scompigliati. «Ma porca vacca, proprio oggi!»
«Già,
proprio oggi» concorda la
ragazza, incrociando le braccia. «Non
c’è neanche un
bus?»
«E a chi lo
chiediamo?» si lamenta lui,
alzando le mani impotente. «Non c’è
un’anima»
«Beh, ci
sarà un bar aperto di fronte alla
stazione... C’è sempre» risponde lei
accigliandosi.
«Io non mi muovo da
qui» borbotta lui, sulla
difensiva. Se il treno riparte senza di me sono fottuto. Qui non si
fermano neanche i carri del bestiame»
«E allora stai
fermo» la ragazza rotea gli
occhi e sistema meglio lo zainetto su una spalla, poi, scuotendo i
capelli con stizza, oltrepassa il ragazzo e si dirige in fondo al
binario, verso il cartello arrugginito che segna l’uscita.
Lui rimane lì, a
fissarla con un filo di
irritazione, e sposta lo sguardo alternativamente dal cartello al
treno. No, no e poi no. Non si muoverà di lì. Non
può
perdere il treno, se riparte senza di lui è morto. E non
gliene frega niente se la ragazza è stronza ma carina!
Insomma, nella vita di un uomo ci sono cose più importanti
di
un bel paio di gambe e un I-pod, e poi non la vedrà mai
più,
e in fondo un po’ per quell’esame ha studiato, e
certo che la
piazzola di quel buco di posto è ancora più
squallida
della stazione, ora che la vede bene. E perché diavolo
è
arrivato fin lì?
Mentre ancora se lo chiede,
vede la ragazza avviarsi
verso l’unico bar – polveroso come tutto il resto
– e spingere
la porta per entrare.
Resta un po’ fermo
dove si trova, giocherella con un
sasso ai suoi piedi, e poi sbuffa, maledice sé, lei e le sue
gambe, e si affretta a seguirla.
Il
bar all’interno è, se possibile, ancora
più
squallido. Il bancone è di legno rigato e macchiato, gli
espositori sono quasi vuoti, fatta eccezione per un paio di
confezioni scadute di caramelle, e il pavimento si rivela
appiccicoso.
Il proprietario, poi, sembra uscito da Hazzard,
fasciato nella sua camicia a quadri e jeans anni settanta, e
probabilmente non ha ancora afferrato il concetto di rasoio,
perché
ha un paio di baffi neri assolutamente orribili, su un viso che
già
ha poco di bello. Se non altro guarda la ragazza con uno sguardo
così
apatico che è impossibile pensare a delle molestie.
«Non passano
bus?» sta chiedendo in quel
momento lei, sconvolta. «Neanche uno schifosissimo
bus?!»
«Hanno tolto la
fermata nel... uhm,
millenovecentosettanta... sette, se non sbaglio. O otto»
commenta l’uomo, sereno.
«Che schifo, schifo,
schifo di posto!»
esplode la ragazza, pestando un piede a terra.
«Nel
retro ho un telefono, se vuole chiamare un tassì»
«Come se avessi
abbastanza denaro!»
«Forse se dividiamo
per due...» interviene
il ragazzo, scrollando le spalle con leggero imbarazzo.
La ragazza finalmente si
accorge della sua presenza, e
gli lancia uno sguardo stralunato.
«Non dovevi restare
accanto al treno?»
chiede stupita.
«Sì, ehm,
ho cambiato idea» si
schiarisce la voce lui. «Comunque, quanto verrà un
taxi
fino a xxx?»
«Troppo, per
me» sospira lei, allontanandosi
dal banco fino a raggiungerlo. «Mi conviene aspettare che il
treno riparta...»
Con un cenno saluta il
barista, che ricambia laconico
buttandosi in bocca un chewing gum che sembra antico come lui, e
insieme escono sulla piazza assolata.
«E
quindi?» sospira lui, afflitto. «L’esame
salta»
«Orale?»
«Sì»
«Sei uno dei
primi?»
«Che? Scherzi?! No!
Ma l’appello lo fa
all’inizio»
«Oh. Mi spiace. Non
credi che ascolterebbe le tue
spiegazioni?»
Il ragazzo affonda le mani in
tasca e avanza, diretto
verso la stazione. «Sì, beh, non è che
sia un
esame poi così importante... Nel senso, sicuramente mi
boccerà. E poi dove sto io non si fa mai un cazzo,
è
normale che la gente non si presenti agli appelli»
«Dove stai
tu?»
«DAMS*, il paradiso
dei nullafacenti» Con un
ghigno sarcastico, lui la guarda. «Abbiamo un paio di lezioni
di fianco al dipartimento di Medicina, sai? Ma le cose in comune
finiscono qui»
«Ma no,
dai...» commenta lei, con un leggero
imbarazzo. «Non è la facoltà dei
nullafacenti, se
ti piace. Come tutte le cose, si può fare bene o
male»
«Ah, sì
sì. Ma io la faccio male,
fidati. Oh, quante palle! Niente esame, stop. La mia giornata
sarà
un po’ meno stressante! Anzi, ti offrirei volentieri un
gelato, se
non fossimo in questo buco di posto»
Silenzio.
Il ragazzo deglutisce, conscio
di aver fatto il passo
più lungo della gamba. Solo venti minuti prima la stava
insultando sul treno, e ora le propone un gelato. Mille a uno che si
è tirato la zappa sui piedi.
Con lentezza, estrema
lentezza, si azzarda a voltarsi
quel tanto che basta per spiarla con la coda dell’occhio. Se
il
silenzio si protrarrà ancora cinque secondi, la
butterà
sul ridere e cambierà argomento.
La vede che si guarda attorno,
ma non riesce a capire se
sia imbarazzata, lusingata o infastidita. Pensa che le donne sono
sempre creature maledettamente complesse, e quando già sta
per
fingere una risata asciutta, la vede fissarlo all’improvviso.
«Beh, se non dai
l’esame me lo puoi offrire
quando arriviamo» butta lì.
Il ragazzo si volta di scatto,
sorpreso, e finalmente la
vede arrossire.
«Sì, beh,
sempre se non dai l’esame,
cosa che comunque dovresti fare, almeno per
provare, no? Lo
hai detto tu» si affretta a spiegare lei, in tono sostenuto.
«Oh... Oh
sì, certo» annuisce lui,
con un mezzo sorriso. «Vediamo come è messo il
treno,
ok?»
Con aria fintamente rilassata,
la ragazza scrolla le
spalle e insieme si avviano oltre l’arco della stazione,
verso i
binari roventi. Il treno è ancora fermo al secondo binario,
e
l’aria che lo sovrasta tremola nella calura di luglio.
«Ma tu hai ancora
lezioni?» chiede lui,
mentre si avviano verso il sottopassaggio più fresco.
«E’ un
seminario non obbligatorio... Colgo
l’occasione per fare una piccola ricerca in
biblioteca»
risponde lei, mentre l’eco dei loro passi risuona sulle
scale. «La
fregatura quando studi medicina è che non tutte le
informazioni si trovano sul web»
«Ah
beh, io posso solo immaginarlo... Non credo che avrò mai il
coraggio di mettere
piede a Medicina... Direi che non fa proprio per me!»
Il ragazzo ride, e la sua
risata si diffonde e rimbalza
lungo il cemento, insieme a un rombo lontano cui nessuno fa caso. I
due raggiungono il secondo binario, e salgono il primo gradino.
«In effetti sono
abbastanza delle iene»
sospira lei, passandosi una mano sulla fronte sudata. «Ma se
impari a mordere sei a posto»
«Ah, no grazie. Al
DAMS saremo cazzoni, ma almeno
ci diamo una mano a vicenda»
La ragazza sorride, e lui
ricambia.
E’ così
che sbucano sul binario, nel sole di
luglio, nell’afa già soffocante della mattinata.
Ed è
così che scoprono che il loro treno
sta trottando in fondo alla stazione, e lo sentono fischiare
nell’aria riarsa.
Il ragazzo spalanca la bocca.
La ragazza rimane immobile,
pietrificata.
«Non
ci credo...» mormora lui, con una mano sulla fronte.
«Cazzo,
cazzo, cazzo!»
esclama poi, facendo un giro su sé stesso e dando un pugno
all’aria. «Che coglione!»
«Oddio, mi
dispiace... Che idiota... Se non fossi
andata...» inizia lei, preoccupata, ma lui con un cenno la
zittisce.
«Lascia
perdere, per favore. Sono un imbecille integrale!» esclama,
accucciandosi e quasi strappandosi i capelli, da quanto li
scompiglia. «E quelle pecore! Ahh, io le odio
le pecore! Stupide, coglionissime pecore!»
Suo malgrado, la ragazza si
lascia scappare una
risatina. Poi esita un istante, e tira giù lo zaino,
iniziando
a frugarci dentro. Bastano pochi secondi perché trovi quello
che cerca, e quando lo fa si avvicina al ragazzo e si accuccia al suo
fianco.
«Ho controllato nel
portafoglio, forse ce la
facciamo a dividere un taxi» dice, sfoggiando con un sorriso
un
paio di banconote. «Ci stai?»
Il ragazzo la fissa stupito,
troppo sorpreso per
ricordarsi di essere furioso, e poi sbatte le palpebre.
«Magari passa un
altro treno...»
«Sì,
forse uno al giorno. E non d’estate»
«Ah, certo. Ma...
insomma, mi spiace farti
spendere tutti quei soldi... Poi magari non arriviamo in tempo
comunque»
«E se non arriviamo
in tempo, mi offri quel
gelato»
Il ragazzo esita, combattuto.
Ha davvero tutta questa
voglia di dare l’esame? Tanto da spenderci quei soldi?
E però in taxi
starebbero ancora vicini, magari
con l’aria condizionata, e avrebbero tutto il viaggio per
parlare,
e forse scambiarsi i numeri di telefono, e chissà che...
«Ok»
annuisce, improvvisamente
convintissimo. «Davvero, non so come ringraziarti... Ah, che
imbecille, tra una scemenza e l’altra non mi sono nemmeno
presentato»
Si alza, e lei con lui, e
finalmente si stringono la
mano, dopo essersi insultati, inseguiti e quasi picchiati.
«Naruto
Uzumaki»
«Sakura Haruno,
piacere»
* DAMS: discipline delle Arti,
della Musica e dello
Spettacolo. Non chiedetemi cosa si studi, sarebbe troppo lungo da
spiegare! XD
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