16 Dicembre 2009;
ore 10.27
L’orologio scandiva lentamente i secondi, i minuti, le ore.
Con quel ticchettio all’apparenza leggero e non poi così
fastidioso, permetteva il movimento delle lancette, e con quelle, lo scorrere
del tempo.
Il battito dell’orologio era coperto dallo scrosciare
impertinente del getto d’acqua, segno che dopo ancora numerosi minuti, la
doccia era ancora aperta. Aperta sì, ma senza nessuno dentro.
Sentì distintamente la stoffa della maglietta pizzicarle la
pelle, renderla un poco più arrossata di quanto già non fosse, giusto per
sottolineare quanto fosse fragile in quella situazione.
Afferrò con una precisione quasi maniacale i lembi della
maglia, sollevandola con lentezza e scoprendo il ventre piatto, sull’ombelico i
segni di una vita ormai passata, defunta, sepolta.
La buttò a terra con noncuranza, al contrario della
precisione usata per sfilarsela. L’osservò apaticamente cadere per terra con un
tonfo secco, e accasciarsi sul pavimento per poi rimanere ferma. Sorrise senza
divertimento. Come se quella maglia potesse muoversi, poi.
Quel capo non era particolarmente bello.
Era assolutamente semplice, di un colore totalmente rosso
spento. La verità era che aveva perso il senso della moda qualche tempo prima.
Non le interessava più così tanto, e tentava di giustificarsi in questo modo se
per caso si vestiva con abbigliamenti dagli abbinamenti completamente
sbagliati.
Non trovò ridicolo paragonarsi a quella maglietta senza vita
buttata là a casaccio sulle piastrelle di marmo del bagno. Anche lei, una
normalissima ragazza sulla ventina – anno più, anno meno. Non era mai stata
puntigliosa sulla sua età – non dimostrava nessuna caratteristica così
elettrizzante da poter risultare una persona minimamente interessante.
Stoffa che pizzica.
Sempre la stessa Sakura Haruno; ragazzina intelligente,
certo, ma fondamentalmente irritante. Glielo avevano detto in molti, chi con
ironia, chi con disprezzo. O chi con indifferenza.
Tinta unita.
Nella vita aveva ricevuto molte batoste. Oddio, forse non da
compiangere la sua esistenza come la più difficile e sbagliata in tutto il
mondo, ma il principio base era più o meno quello. Aveva avuto legami complessi
con la gente, dispiaceri fra gli amici, delusioni con i fidanzati.
Eppure era rimasta sempre la stessa, solita, assolutamente
non cambiata con il passare degli anni Sakura Haruno.
Accostamenti sbagliati.
Fisicamente non si era mai trovata un apogeo di bellezza.
Era piuttosto vanitosa, ma non poi così tanto come lo era, a quei tempi, la sua
migliore amica. I capelli corti le sfioravano a malapena le spalle,
solleticandole la nuca e le guance. Erano di un colore strano, e lei stessa
faticava a credere di poter essere così naturalmente: erano rossi, ma di un
rosso così chiaro e sfumato da sembrare rosa. E gli occhi, dal taglio
mediorientale, sfavillavano di un verde brillante. Questi colori su di lei
stavano bene; sembrava la primavera personificata. Ma a quei tempi era giunto
il momento in cui tutto ciò che riguardava la primavera, era ben lungi dal
riguardare lei.
Accasciata a terra.
Era ciò che avrebbe fatto anche in quel preciso istante, se
solo avesse potuto. Osservò il pavimento lucido del bagno, il tappeto bianco a
coprire le mattonelle che la distanziavano dalla doccia.
Aveva passato realmente troppo tempo a pensare, piangere e a
stremarsi sul pavimento.
Lo scrosciare dell’acqua non l’aiutava a concentrarsi e,
soprattutto, a pensare razionalmente. Molte volte aveva avuto quella voglia di
urlare, di rompere tutto ciò che la circondava, di distruggere quello che gli
altri avevano costruito proprio come era successo a lei.
Sentì gli occhi pizzicare, proprio come pizzicava la maglia
sulla sua pelle, ma non pianse.
Sentì uno strano gorgoglio in gola, pronto ad esplodere in
un urlo disperato, ma non urlò.
Sentì il corpo essere invaso da uno strano impeto di furore,
ma non si mosse.
L’orologio scandiva i secondi, i minuti, le ore.
Ancora c’era tempo.
E lo maledisse.
L’Urlo
e il Furore
8 Novembre 2008; ore 9.18
Fece scorrere con accorta delicatezza il pollice fasciato
dal guanto sull’iPod, scorrendo le numerose canzoni contenute in esso. Sul viso
era dipinta un’espressione insoddisfatta ed infreddolita, chiaro segno di non
aver trovato ancora una canzone che riuscisse a riscaldarla a dovere.
Realisticamente parlando, il tempo non era dei migliori.
Nella stagione invernale quel piccolo quanto piacevole e
discreto paesino assumeva colorazioni chiare e pallide, quasi sempre ricoperto
da sottili coltri di neve e brina. Nel cielo splendeva per quanto riuscisse a
splendere un sole pallido, quasi stanco di illuminare le strade della città e
intento con decisamente molta pigrizia a calare oltre l’orizzonte, per dare il
cambio alla luna.
Ad ogni suo respiro, dalle labbra fuoriusciva una
consistente nuvoletta di vapore, che si andava a disperdere qualche secondo
dopo nell’aria satura di umidità.
«Cristo santo, che freddo…» balbettò innervosita, sorridendo
appena e – finalmente – schiacciando soddisfatta l’Ok sull’iPod, infilandosi
con apparente grazia le cuffiette nelle orecchie, semi nascoste dal cappellino
di lana. Rimise l’aggeggio nelle tasche, alzando lo sguardo di smeraldo sulla
casa relativamente centenaria che si ritrovava di fronte.
Volse un ultimo sguardo indietro, in direzione della
panchina coperta da una piccola cupola che fungeva da fermata del pullman, e
sorrise quasi con nostalgia, ritornando a fissare la casa.
Quel piccolo paese nei pressi di Monza le sarebbe mancato,
poco ma sicuro.
Non era di certo una metropoli frequentata da milioni di
persone, piuttosto era una cittadinella anonima, colma di abitanti discreti e
gentili, provvista di quei pochi elementi tecnologici e, se così poteva
definirli, futuristici per permetterle di andarsene con un sorriso sulle
labbra, una promessa strappata al cuore di ritornarci.
Batté ciglio, scotendo lievemente la testa al ritmo della
musica che l’iPod le trasmetteva nelle orecchie, adocchiando con la coda
dell’occhio un enorme muso arancione che non era altro che il pullman in
arrivo. In ritardo come al solito, si sentì di aggiungere.
Con uno sbuffo attutito dal gas scuro che fuoriusciva dal
tubo di scarico posto sopra al tettuccio, il pullman arrestò la sua corsa a
pochi metri di distanza da lei, costringendola così ad una breve corsa per
entrare prima che l’autista chiudesse le porte.
Appena salita si tolse il cappellino, rivelando la chioma
rosata che si celava sotto di questo, vagamente arricciata e increspata a causa
dell’umidità. Nonostante ciò i capelli sembravano a posto, quei boccoli leggeri
le scivolavano fino alla vita ora che non erano più costretti nel cappellino.
Timbrò l’ultimo biglietto che avrebbe preso in quel paese, e
si andò a sedere tranquillamente sul sedile infondo all’autobus, il suo
preferito.
Costretta per un breve periodo di tempo di praticantato
nella città di Milano, in quanto neolaureata in medicina, non aveva trovato
alcun alloggio se non in quel paese di pochi abitanti, bensì lontano dal grande
capoluogo lombardo, ma relativamente comodo in quanto a prezzi e mezzi.
Andando ogni giorno a farsi un’esperienza nell’enorme
policlinico milanese, era ovviamente costretta ad usufruire di una quantità per
nulla proporzionata alle sue ore di lavoro di mezzi pubblici. Perciò aveva
avuto abbastanza tempo da adottare come suo preferito quel sedile nel fondo del
pullman, proprio quello sotto o accanto (non era un’esperta di queste cose,
francamente) al motore che surriscaldava il posto, regalandogli un lieve
calore.
Lì si sedette, accavallando con cautela le gambe ed
appoggiando il gomito al bordo del finestrino. Per quanto le piacessero i
pullman era ben consapevole della buona quanto cattiva gente ci poteva trovare
sopra, perciò s’isolò così, rivolgendo la sua totale attenzione alle strade del
paese che l’autobus percorreva, delle mura che racchiudevano quei simpatici
cittadini che scorrevano dalla parte opposta alla sua e di quanto lì a Parigi,
dove si stava dirigendo, le sarebbe tutto mancato.
Un lieve torpore s’impossessò del suo corpo, rendendolo più
rilassato di quanto avrebbe dovuto essere. Fece un veloce mente locale,
ricordandosi che doveva scendere alla tredicesima fermata, attraversare la
strada per arrivare a quella dell’altro pullman, salire su di questo e
attendere un altro quarto d’ora per arrivare alla stazione di Sesto San
Giovanni, dove lì avrebbe preso la metropolitana per una buona mezz’ora fino ad
arrivare alla stazione centrale di Milano.
Da lì avrebbe visto la libertà per Parigi, dove avrebbe
iniziato un ulteriore periodo di praticantato nell’ospedale della capitale
francese, un’ottima occasione per migliorare anche la lingua parlata.
Sorrise, negli occhi una nota impaziente di intraprendere
quella nuova “avventura” che i suoi studi le avevano proposto. Si morse le
labbra a fatica per non urlare cantando le parole della canzone che stava
ascoltando in quel momento, sentendosi invadere di una cieca euforia che le
attanagliava di felicità il cuore e la mente. Due elementi che per la prima
volta, in lei, si trovavano d’accordo.
S&S
9 Dicembre 2008; ore
18.37
Si guardò intorno con aria spaesata, i grandi quanto
luccicanti di curiosità occhi verdi spalancati davanti a tale maestosità. Non
aveva mai pensato a Parigi come una città così grande, imponente e dispersiva.
Certo, aveva letto molto a riguardo, sapeva bene quali monumenti e musei
visitare per l’occasione, ma vivere tutto dal vivo era completamente diverso.
La gente passava velocemente accanto a lei, sorpassandola con noncuranza e
sfiorandole più volte e senza alcun timore le spalle, spingendola alle volte in
avanti e alle volte indietro. Sakura non ci fece caso: era troppo impegnata a
guardarsi intorno e a connettere il cervello per intraprendere una ricerca di
qualcuno o qualcosa di familiare per prestare attenzione alle persone accanto a
lei.
Il viaggio era durato molto. Dopotutto sapeva che era
partita da “casa” molto presto, ma senza alcun biglietto e mezzo di trasporto
sicuro e perfettamente in orario era stato meglio essere prudenti. Da Milano
era partita intorno alle 19, ed il treno in arrivo a Parigi aveva ritardato –
sarebbe stato davvero troppo bello essere puntuali – per quasi un’ora e mezza.
«ehi, tu! Tu col cappellino!». Sentì una voce forte e sicura
provenire dalla sua sinistra e, buttando la mano destra sulla valigia piuttosto
grande per una sola persona, si voltò in quella direzione cercando di capire
chi la stesse chiamando e se, effettivamente, stessero chiamando lei.
Corrugò le sopracciglia chiare, incontrando con i suoi un
paio d’occhi del suo stesso colore, forse un poco più scuri e dall’aria
dannatamente profonda e matura. Quella donna doveva essere più grande di lei,
quasi sicuramente. Lasciò scivolare lo sguardo sui capelli di grano scuro
forzati in quattro code ai lati della testa, sulle sopracciglia dorate
rilassate sul viso sopra agli occhi di smeraldo grezzo – più sporchi e magari
più peccaminosi dei suoi – fino ad osservare il naso dritto e lievemente
all’insù precedere la bocca carnosa e colorata di un rosso scuro.
Un tailleur dalle colorazioni scure le fasciava morbidamente
il corpo, mettendo in risalto le generose quanto rotonde curve. Sakura avrebbe
sicuramente affermato che quel corpo fosse troppo rotondo, troppo pieno di
curve, troppo robusto. Ma il viso dai lineamenti duri e così femminili insieme
non gliene diedero l’opportunità: quella ragazza era davvero uno schianto.
«Ehm…io?» domandò ingenuamente, puntandosi involontariamente
l’indice contro. La giovane avanzò verso di lei con passo sicuro, facendo
riecheggiare prepotentemente il rumore dei tacchi ai suoi piedi. Si fermò a
pochi centimetri da lei, scrutandola con cipiglio superiore.
«Sakura Haruno?» chiese a bruciapelo, le sopracciglia
arcuate corrugate in un’espressione di compunta concentrazione. Sakura strinse
le labbra, facendole impallidire sotto quella pressione.
«sono io».
La donna batté ciglio, scrutandola da testa a piedi e
mettendola lievemente in soggezione. Quando notò come colei che le stava di
fronte stesse per aprire bocca, la fermò con un vago gesto della mano, a metà
fra lo stizzito e lo scocciato.
«so cosa stai per chiedermi. Conosco il tuo nome perché
Tsunade mi ha avvertita del tuo arrivo. Sei italiana, giusto?» spiegò con
apparente calma la bionda, gli occhi pacatamente socchiusi.
«ehm, sì. Tsunade ti ha avvisata…?».
«lavoro all’ospedale parigino, sono un chirurgo. Tsunade mi
ha detto che uno specializzando di nome Sakura Haruno proveniente dall’Italia
sarebbe arrivato in serata qui in Francia per usufruire degli insegnamenti dei
dottori francesi e per migliorare la lingua nazionale. Perciò sono venuta a
prenderti, altrimenti come avresti fatto a raggiungerci?» concluse la donna,
abbandonando improvvisamente l’espressione seria e superiore, sostituendola con
una pressoché divertita.
Sakura si tirò indietro, vagamente perplessa da quella
strana spiegazione.
«Ehm… e come sai che Sakura sono io? Cioè, insomma… raggiungerci?».
Era evidente quanto l’Haruno fosse spaesata da quelle parole
e la ragazza scrollò le spalle, come se la cosa non la riguardasse minimamente.
«Tsunade mi ha mandato il tuo curriculum, e lì c’è anche la
tua foto. E andiamo, non penserai che di dottore ci sono solo io qui, no? Ah,
comunque io sono Sabaku No Temari. Ma chiamami semplicemente Temari, odio le
formalità. E poi vivremo nello stesso posto, un po’ di confidenza ci vuole!»
esclamò con tono leggero la dottoressa, invitandola con il solo sguardo a
prendere la valigia e a seguirla verso l’uscita della stazione.
Inizialmente Sakura rimase leggermente perplessa, se non
completamente incapace di capire cosa le stesse succedendo. In una sola serata
aveva appreso che la primaria del reparto psicologico del policlinico milanese
Tsunade aveva inviato il suo curriculum all’ospedale francese, che una chirurga
era appena venuta a prenderla e che avrebbe vissuto con lei insieme ad altri
medici. Ed ovviamente lei non ne sapeva nulla.
- È normale che io non sia mai sulla stessa lunghezza
d’onda degli altri, no? –
«Ehm… Temari!» prese in fretta e furia la valigia,
affondando l’altra mano nella tasca e accelerando il passo per raggiungere la
bionda, l’aria gelida di Parigi le distruggeva lentamente i polmoni, causandole
un leggero affanno.
«grazie di tutto. – arrossì appena, dopo quelle parole – Qui
a Parigi fa sempre così freddo?».
«Uhm, solo di questa stagione. Ma ti sei beccata un periodo
di vero gelo polare cara mia. E adesso muoviti che gli altri ti aspettano. Sono
tutti impazienti di vederti… sai, le novità eccitano sempre chiunque» concluse
con tono vago, camminando composta sul marciapiede al di fuori della stazione,
alla ricerca dell’auto che aveva parcheggiato lì in quel mare di macchine
colorate.
«… capisco. Sono… simpatici?» domandò flebilmente,
affondando il mento e di conseguenza le labbra nella sciarpa di lana pesante,
quasi nascondendosi sotto di questa.
«chi sì e chi no. Dipende» non si sbilanciò nella risposta
Temari, senza neanche voltarsi a guardarla negli occhi, troppo impegnata a
marciare sulla strada in direzione della macchina. Sakura annuì mesta, senza
che l’euforia provata il giorno prima però scemasse nel nulla.
Nonostante l’apparenza austera e fredda, Temari non doveva
essere male. Solo in quei pochi minuti passati insieme aveva capito ciò che
avrebbe potuto condividere con lei, e ciò che avrebbe dovuto tacere. Era chiaro
come il sole che la Sabaku doveva essere un tipo piuttosto pretenzioso,
schiavista e, perché no, femminista. Era una classica ragazza bella e dal carattere
forte, a conoscenza di entrambe le sue doti e avente a disposizione i mezzi
necessari per poterle sfruttare.
«Temari, quanti anni hai?» domandò Sakura incapace di
tacere, troppo curiosa per poter accontentarsi di quelle poche – a suo avviso –
informazioni.
«ventotto – come prima, la Sabaku non si voltò, ma sentì
distintamente il sospiro teso della giovane alle sue spalle e per quello,
forse, tentò di risultare un poco più cordiale – tu?».
«venticinque. Ho studiato medicina in Italia, e mi sto specializzando
nel ramo della psichiatria. Mi piacerebbe molto essere come Tsunade sai. Una
con… le palle, ecco». Alzò di poco il viso, giusto per misurare la reazione di
Temari a quelle parole.
«per essere un medico devi avere per forza le palle. E se
sei arrivata a questo punto, in un modo o nell’altro, ce le hai anche tu. Sta a
te decidere della tua vita, non agli altri. Ah, eccola finalmente!». Temari si
diresse spedita verso una Mercedes nera sfavillante, aprendola non appena fu
abbastanza vicina per aprirla automaticamente con la chiave.
«dammi la valigia, la metto del bagagliaio. Tu sali avanti,
intanto» ordinò pacata, tendendo entrambe le mani in direzione di Sakura, che
le porse senza troppi ripensamenti la valigia.
Salì in auto velocemente, richiudendo con un tonfo secco lo
sportello accanto a sé. Si sfregò rapidamente le mani arrossate dal freddo,
sentendo la sensibilità delle dita scemare con il passare del tempo. Respirò
rumorosamente, notando come anche all’interno dell’auto le nuvolette di vapore
si condensassero per poi sparire nel nulla. Sentì uno scatto al suo fianco, e
registrò come Temari entrasse in auto con un’eleganza naturale, poggiando la
mano destra sul volante e la sinistra sulla maniglia dello sportello,
chiudendolo.
«Dunque. Per arrivare al palazzo non ci vogliono nemmeno
otto minuti» cominciò con impeccabile precisione la bionda, mettendo in moto la
macchina che non esitò ad accendersi.
«non ci sono precise regole da seguire. Devi solo sapere che
l’appartamento in cui tutti viviamo è piuttosto enorme, ed è formato da una
sala comune nella quale si trovano molti scaffali pieni di libri. Lì di solito
studiamo o parliamo del più e del meno. È un po’ un punto di ritrovo…». Sakura
annuì diligentemente, osservando la strada scivolare sotto di loro ad una
velocità inaudita. Non distolse gli occhi color delle selve dal cruscotto in
pelle beige se non per dare un’occhiata alla strada di fronte a loro, le mani
fermamente appoggiate ai lati del sedile della pelle chiara.
«… dalla sala comune si può arrivare ad ogni stanza. Ognuno
ha una stanza per sé, con letto matrimoniale e bagno all’interno. E aggiungo
che ciò che fai lì dentro non è affare nostro, al contrario della stanza comune
in cui tutti abbiamo libero accesso. Non so se mi spiego» sottolineò Temari con
voce maliziosa, dipingendo sulle labbra carnose un sorriso di scherno.
L’Haruno masticò un “chiaro”, sentendo le guance
imporporarsi.
«per quanto riguarda la cucina è una sola, ci si arriva
dalla sala comune. Ti avviso che nei posti frequentati da tutti non si fuma e
non si beve. Salvo avvenimenti essenziali come feste di compleanno e di addio
al celibato o al nubilato» puntualizzò nuovamente, assumendo un’aria colpevole.
Probabilmente era la prima ad indire quelle festicciole. L’Haruno trattenne un
risolino sinceramente divertito dall’espressione di Temari, ritornò poi a
guardare la strada.
La Sabaku aveva svoltato a tutta velocità a sinistra e per
Sakura non fu difficile immaginare il prezzo salato di una multa se lì ci
fossero stati dei vigili.
«…un’ultima cosa. Lo vedi quello laggiù?» borbottò Temari,
allontanando una mano dal volante ed indicando con quella un ragazzo attraverso
il vetro. Arrestò la corsa della macchina, parcheggiando perfettamente affianco
al marciapiede libero. Sakura si sporse lievemente dal sedile per poter
osservare colui che la donna indicava, cercando di scorgere quella figura
nell’ombra della sera inoltrata. Finalmente vide un ragazzo, forse della sua
età, con dei lunghi capelli castani bizzarramente legati in una coda alta.
Storse le labbra, annuendo.
«ecco. Carino, vero?».
E Sakura se ne accorse.
Temari aveva scoccato la sua freccia, adesso stava a lei
riuscire a non farsi colpire. Capì che quella era una domanda che avrebbe
influito notevolmente nella sua futura vita a Parigi: se avesse risposto con le
parole giuste si sarebbe salvata, altrimenti… Milano l’aspettava con nostalgia.
Alzò gli occhi al cielo, crucciando le sopracciglia chiare e
sporgendo in avanti la mascella.
«Sì. Molto carino» azzardò infine, dedicando un’occhiata al
ragazzo che sembrava aspettare proprio loro al portone d’entrata di un palazzo
dalle sembianze piuttosto vecchie.
Temari gonfiò orgogliosamente il petto, distogliendo lo
sguardo da colui che l’aveva fatta arrossire sotto il lieve strato di
fondotinta. Sakura sorrise quasi intenerita da quella visione.
«bene. Se vuoi una vita felice e tranquilla ti conviene
lasciarlo perdere, quello è il mio uomo» rivelò nascondendo abilmente
una nota emozionata e fiera nella voce.
«Ma…» …stai tranquilla, non sarebbe comunque il mio tipo.
«Niente ma. Ho già detto abbastanza riguardo a Shikamaru, non
farmelo ripetere. Forza, andiamo» tagliò corto la Sabaku scendendo
agilmente dall’auto. Sakura sospirò pesantemente, rivolgendo lo sguardo verso la
ragazza che s’avventurava su quei tacchi vertiginosi verso colui che doveva
essere Shikamaru, appigliandosi al suo collo e nascondendo dietro il suo il
viso di lui.
Aprì con uno scatto roco lo sportello, allungando a fatica
la gamba e poggiando la sua scarpa da ginnastica sull’asfalto grigio. Sentì il
ginocchio indolenzito ma non vi fece caso, uscendo completamente dalla macchina
e assaporando l’aria pulita di quel quartiere.
Sebbene fossero quasi le sette, era tutto tranquillo.
La luna padroneggiava serena nel cielo, raccogliendo sotto
la sua lieve aurea argentata il brillio delle stelle che somigliavano a piccole
lampadine incastonate in un soffitto inesistente. Era un bel posto, dopotutto.
Forse le incuteva una strana nostalgia di casa, dei suoi genitori.
«Ehi Sakura! Lui è Shikamaru, Shikamaru lei è Sakura! È il
nuovo specializzando» presentò velocemente Temari dalla parte opposta della
strada, scostandosi dal corpo del giovane.
Quest’ultimo allungò un poco il collo per poterla osservare
meglio, fino a quando non alzò la mano in un gesto che aveva del seccato e del
sensuale insieme.
«Yo» salutò con voce roca, tenuta appositamente bassa e dal
cipiglio scocciato. Sakura sorrise cordiale, piegando lievemente la testa da un
lato, facendo ricadere i capelli increspati dall’umidità sulla spalla.
«ciao. Saliamo?» domandò sbrigativa e piuttosto
infreddolita, trattenendo fra le mani il bagaglio pesante. Shikamaru abbandonò
il fianco della sua ragazza, afferrando con ben poca galanteria la valigia di
Sakura ed aprendo pigramente il portone.
«Certo. Andiamo» acconsentì frettoloso, sparendo
nell’oscurità dell’atrio seguito dalle due ragazze.
Quando Temari poggiò la mano sulla maniglia laccata in oro
della porta aprendola, Sakura non si aspettava di dover dare ragione alla
bionda quando aveva detto “La nostra casa è enorme”. Certo, avrebbe potuto
essere una casa qualunque, con un locale ben più grande degli altri, ma quella
che doveva essere la sala comune era davvero gigantesca.
Il muro colorato di un beige pallido donava all’atmosfera
una sensazione di calore, come le tende rosso rubino che coprivano a malapena i
cardini delle finestre, da dove era possibile intravedere la strada al di
sotto. Sul muro erano addossate tutte le librerie contenenti un infinito numero
di volumi di tutti i generi: fece in tempo a notare il nome di qualche autore
importante sia nel campo della medicina che della fisica, matematica e
letteratura. Nel centro della stanza, sopra ai tappeti dalle colorazioni chiare
e dalle rifiniture varie, sostavano divani e poltrone dall’aria comoda, sui
quali sedevano alcuni ragazzi bene o male della sua età. C’era chi studiava
silenziosamente, chi ripeteva a bassa voce e chi sussurrava per scambiare due
chiacchiere fra una pagina e l’altra dei libri con gli amici. Ma appena sia lei
che Temari e Shikamaru misero piede nella stanza, tutti alzarono lo sguardo
verso coloro che avevano appena interrotto il loro studio quotidiano.
«Ohi Temari! Alla buon’ora, né!» strillò un ragazzo
piuttosto esile e dai capelli biondi, decisamente scompigliati e dalla
pettinatura pressoché inesistente. S’alzò di tutta fretta dalla poltrona sul
quale si era accomodato chissà quanto tempo prima, raggiungendo a grandi
falcate i nuovi arrivati.
«taci Naruto. I treni possono anche essere in ritardo,
sai?!» domandò retorica la bionda con tono sprezzante, osservando dall’alto in
basso colui che le aveva appena rivolto la parola. Si voltò per togliersi il
giubbotto, seguita da Sakura, ed in quel breve lasso di tempo il biondo riuscì
a regalarle una silenziosa linguaccia. L’Haruno sgranò appena gli occhi chiari,
trattenendosi per non ridere.
«Baka, ti ho visto. Se prendi per il culo Temari, almeno
evita di farlo davanti a me» borbottò con la classica inclinazione scocciata
Shikamaru, buttandosi con ben poca eleganza su un divanetto libero.
«Ciao! Sono Naruto Uzumaki, venticinque anni e pronto a
servirti!» esclamò con convinzione il biondo, ignorando galantemente Shikamaru
che, di tutta risposta, sbadigliò. Sakura spostò la sua attenzione da Temari,
che evidentemente non era d’accordo alle volontà di Shikamaru di schiacciarsi
un sonnellino, a colui che le aveva appena parlato.
«oh, ciao. Mi chiamo Sakura Haruno e anche io ho venticinque
anni. Ehm… beh. Piacere di conoscerti» terminò con forzata sicurezza,
stringendo la mano dell’Uzumaki.
«Eh! Dunque, partendo da destra quelli sono: Tenten – quella
con i capelli castani, la vedi? – Neji, Gaara – è il fratello di Temari! –
Kiba, Sasuke e Shino! Ehi ragazzi, questa è Sakura!» elencò Naruto, indicando
ad ogni nome una persona diversa, fino a puntare il dito su di lei
all’esclamazione finale. Sakura seguì il dito del ragazzo ogni qual volta che
si spostava, distogliendo a fatica l’attenzione da quegli occhi assurdamente
azzurri che aveva il biondo. Studiò Tenten, che tratteneva fra le mani un libro
di chimica e che sembrava avere un viso gentile. Neji le apparse come un
ragazzo fin troppo raffinato e con la puzza sotto al naso, che controllava
diligentemente Tenten in modo che non si distraesse dalla sua lettura. Gaara fu
probabilmente colui che la colpì di più in quel momento. Se era davvero il
fratello di Temari non ci assomigliava per nulla: lei aveva dei capelli biondo
cenere, lui rossi fiammanti, lei aveva degl’occhi di smeraldo grezzo, lui di
acqua cristallina. E se Temari aveva un fisico più che robusto, Gaara era
davvero molto esile.
Colui che doveva essere Kiba la stava guardando con cipiglio
curioso, quasi la stesse studiando, ma Sakura non riuscì ad arrossire per
quell’attenzione puntata su di sé. Spostò lo sguardo su delle spalle larghe
coperte da una maglia blu scura ed infine su una giacca azzurro chiara.
Quelli dovevano essere Sasuke e Shino.
Notando come Sakura stesse guardando gli ultimi due, Naruto
le si avvicinò di soppiatto con aria di chi la sa lunga, sussurrandole
nell’orecchio poche parole.
«lascia perdere Sasuke “il bastardo”, se proprio ci tieni
concentrati su Shino».
Dopo qualche secondo di smarrimento, tutti lasciarono
perdere i loro studi avvicinandosi alla “novità” e Sakura non poté che sentirsi
decisamente lusingata da tutte quelle considerazioni.
«Ben arrivata, Sakura! Spero ti troverai bene!» aveva
esclamato Tenten, euforica.
«Ossequi» borbottò con tono ironicamente falso Neji,
sbuffando.
«Benvenuta». La voce calma e roca doveva appartenere al
fratello di Temari.
«Ehilà Sakura! Spero di conoscerti molto bene in
questo periodo, eh?!». Kiba si beccò un pugno in testa da Naruto, che brontolò
qualche frase sconnessa all’Haruno incomprensibile.
Shino le rivolse un cenno di saluto con la testa,
nascondendo abilmente il mento sotto al colletto della giacca che indossava e
celando a tutti i suoi occhi con degli occhiali spessi.
Sakura guardò in direzione di Sasuke, aspettandosi anche da
lui un solo cenno di saluto, anche non a parole. L’osservò con insistenza,
sperando che questi si voltasse e si avvicinasse a lei. Non se lo sapeva
spiegare, ma in un qualche modo si sentiva come se quelle spalle robuste le
infondessero un senso di calma e di indefinibile attrazione.
Sasuke non si voltò.
«Ehi, Temari» chiamò sottovoce Sakura, avvicinandosi
lentamente alla donna e liberandosi dall’improvvisa stretta di Naruto che già
voleva farle visitare il posto.
«dimmi».
«Ma… chi è quello?».
Temari si voltò nella direzione indicata da Sakura,
crucciando vagamente le sopracciglia dorate. Appena vide chi Sakura stesse
indicando, scrollò le spalle, quasi fosse infastidita.
«è Sasuke Uchiha. Ha la tua stessa età, ed è laureato in
medicina con specializzazione in cardiologia. Per quanto lo riguarda, dicono
che sia un genio. Infatti a quell’età ha già una specializzazione. Ma diciamo
che la famiglia lo ha aiutato molto; i suoi genitori erano entrambi dei dottori
piuttosto famosi qui in Francia, perciò non gli è stato difficile laurearsi
nella loro stessa materia. Personalmente non l’ ho mai trovato né simpatico né
di buon carattere, non parla mai. Se parla è per riprendere Naruto e Kiba, che
sono dei suoi pseudo amici anche se ha sempre affermato il contrario. Vallo a
capire» spiegò pacatamente la Sabaku, premurandosi di tenere un tono di voce
basso quanto bastava per non farsi sentire dal diretto interessato.
«i suoi genitori erano?» domandò la rosa, tirandosi
appena indietro sottolineando quel tempo verbale passato. Temari strinse le labbra,
assumendo un’espressione sbrigativa.
«sì, erano» ripeté ostinatamente, e Sakura capì di non dover
insistere ulteriormente.
«ti riferivi a lui quando parlavi di persone simpatiche e
non?».
«Non te la prendere se non ti ha manco guardata. È normale,
non ce l’ ha con te. Semplicemente non gli interessa, come non gli interessa di
null’altro se non della medicina. Diciamo che Sasuke Uchiha non è l’esempio
massimo di cordialità in questo posto».
Forse fu solo una sua impressione, ma Sakura poté giurare di
aver visto Sasuke voltarsi appena ed abbandonare la sua posizione compostamente
seduta per guardarle, negli occhi di onice un chiaro accenno di irritazione.
Decise di non farci caso e di unirsi alle chiacchiere di Naruto.
«Sasukeee!». L’urlo.
«Taci, dobe!».
Dopotutto quel posto – con quella voce così bassa, roca,
sensuale – cominciava a piacerle.
«ma come ti permetti?!».
Ed infine, il furore.
Buondì!
Vi ho postato la prima parte della fanfiction che ha
partecipato al contest “Into the Book” di Bambi88 e Kalanchoe, classificandosi
– ebbene sì, signori e signore – seconda! Ed inoltre vincitrice del premio “giuria”
per attinenza alla traccia.
Spero con tutto il cuore che vi possa piacere, mi ci sono
impegnata davvero tanto. Non la dedico a nessuno in particolare, ma a tutti i
fan SasuSaku che sono in astinenza (come me .-.) o che, semplicemente, amano
questa coppia.
Special Thanks to: Rò, la giudice, per aver indetto
questo concorso e avermi spinta a partecipare xD, LullaH perché mi ha
sopportata con i miei “Non finirò mai in tempo, questa fic è uno schifo!”, Lily
e Rota che si sono classificate prima e terza <3.
Thanks for
watching!
Shi No Mori is LOVE!
Rory.