Tra le fronde segui le lucciole. Gravide di luce. Gonfiano richiami e parole nel loro ventre. Bolle di pensieri che tu non sai accendere. Trattano di amore, di condivisione. Non le comprendi, perché sei votato alla lealtà di un padrone assopito nel suo letto di distruzione.
Non le comprendi, perché sono diapositive antiche di un’infanzia spenta nella fatica.
Cosa ne sai tu delle lucciole?
Cosa ne sai del loro vagare sopra le foglie e le vette dei cespugli? Tu che fra lumicini dorati continui a guardare quell’umana…
La lingua si spoglia come foglia secca. Priva di minacce, di percentuali, di previsioni. Resti muto a osservarla. Retasu è pacifica come i prati estivi, dimentica persino di chi la calpesta. Determinata a superare i tuoi doveri, pur di proporti una tregua… perché tu preferisca l’onda delle acque allo scorrere del sangue, al mostro della guerra. Istiga il cuore all’ammutinamento della ragione.
Il battito aumenta e cerchi la sfumatura tanto nostalgica impressa nelle sue iridi. Ardono di ideali puri e rammenti il pianeta che hai abbandonato.
Retasu è filo d’erba che s’incendia. La sua freschezza sfugge alla logica delle tue strategie. Come lo sciame che ti carezza le dita, ignaro della perfidia con cui annienti gli ostacoli. Lei, invece, conosce bene la tenacia delle tue azioni. Ciononostante, tenta di far breccia e di spegnere la rabbia che ti tormenta.
La trovi impudente e ingenua. Forse, in un’altra epoca, glielo avresti permesso…
Cosa ne sai tu delle lucciole?
Della lenta processione alla ricerca di un compagno col quale trascorrere un’esistenza tanto breve. Dei germogli di emozioni che salgono dal petto fino alle labbra e soffocano tutte le considerazioni futili, impigliandole tra i denti. Cosa ne sai, tu?
Tu che stringi il pugno e tiri le corde della frustrazione a ogni nuova sconfitta, serrando la bocca per contenere il più piccolo impulso. Hai edificato una barriera per ripararti dall’incertezza delle cose belle… e della loro mortalità. Perché la bellezza non è facile da spiegare e i suoi segreti diventano bizze del petto, distrazioni dell’anima.
Tu che indossi una museruola quando lei parla di pace e tentenni, ti sgretoli, al ricordo dolce della miseria trascorsa. Una povertà che non affrontavi da solo, che sapeva di patria, di frivolezze e resistenza per un nuovo, singolo, giorno di vita. Mani più grandi delle tue trattenevano avanzi di cibo per offrirtelo. E in quella povertà ti sentivi ricco. Costretto a strisciare nel sottosuolo, mai a guardare il cielo e le sue luci… eppure sazio d’affetto. Crescendo, hai perduto il significato dell’unità e tutto quel calore è scivolato nell’odio e ha affilato le tue armi.
Oggi combatti solo. È il dolore a renderti tale, mentre i compagni s’infuocano a colpire e ad amare le loro stesse nemiche. Vedi la rovina nei loro occhi. Hanno bevuto il fiele del compromesso e non puoi comprenderli né perdonarli.
Oggi resisti solo. L’oro di queste speranze alate rende palese la sciocchezza dei sogni. Hai lasciato i morti alla resa del sonno e hai attraversato lo spazio per biasimare altri della loro fine, incapace di arrenderti alla fragilità dei tuoi simili.
Percepisci la terra fremere e mostrare le proprie ferite, inferte dagli umani. Anche le cicatrici nella tua memoria sono causa di quegli insulsi insetti. Chi li piegherà a scontare i loro crimini, se non tu?
Lo devi a quelle mani non più grandi, che in passato ti cingevano; adesso hanno il colore della bruma e la tormenta le raggela.
Lo devi al tuo signore. Attendi in ginocchio il suo risveglio, perché porti un’alba di gloria alla tua razza.
Le parole del nemico perdono di efficacia, ma le rievochi. Diventano febbre: montano addosso e si smorzano; fiato corto di fronte alla sofferenza. Le frasi più dolci non possono riparare le grida di dolore e la solitudine.
Fissi Retasu, mentre attende un cenno dal volto del suo alleato e tergiversa prima di seguirlo.
Le viscere si attorcigliano. Vorresti spezzare quel momento fra loro, in un impeto che non ti è chiaro.
La mano chiusa offusca il bagliore di una lucciola e lo estingue. Ti basterebbe premere la vita nel palmo, sino a sentire un lieve scricchiolio frangersi sotto le dita e diventare eredità vischiosa, una massa confusa e informe. È una crudeltà necessaria per riconquistare la terra che spetta al tuo popolo. Distruggere per arrivare alla rinascita.
Però, senza quel chiarore intermittente a illuminare l’erba, come un secondo cielo che odora di terra e di muschio bagnato, ti confondi.
Hai perso di vista Retasu. Si è allontanata nel folto della foresta e ha lasciato piccole orme del proprio passaggio. Impronte e null’altro.
Nei tuoi occhi permane il ritratto della sua figura, immersa nel fogliame. Le palpebre si abbandonano al sogno. La segui, nonostante sia in compagnia di un altro. Un amico. Lo aveva chiamato così, piena di disperazione nel tentativo di salvarlo, ma del suo sguardo si era impadronito il medesimo veleno che accecava Kisshu… e non vedi che anche le tue espressioni si stanno lentamente trasformando senza opporsi.
Apri il palmo. Lo scintillio vacilla e trema sull’addome della lucciola. Vola via con uno scatto incerto e chiazza la notte. Resti a guardare.
La collana di piccoli soli a cui si è unita schiarisce i pensieri e li raggruppa in unico sentiero verso la verità.
Hai bisogno della luce per rimanere nella tua oscurità.
Retasu è di fronte a te: ignara e innocente, vestita di purezza, mentre il cuore le batte troppo in fretta al fianco dell’amico. Le sue guance rosse non sanno mentire.
Non puoi averla, ma non per questo smetterai di studiare i suoi gesti, di essere attratto dalla radiosità che si agita nelle sue iridi. Come lo sfolgorio di un minuscolo insetto, così lei deve essere libera per esprimere la propria bellezza. Lontana dalla tua mano. Affinché possa travolgerti con sguardi raggianti.
Senza mai cadere nella tua morsa.
Senza mai conoscere il varco che ti ha aperto dentro.
E a te avanza il vago scintillio di un ricordo che non sa spegnersi.