Il
rito - 2a parte
Nabiki
aprì gli occhi.
Sprazzi di
migliaia di colori le disturbavano la
visuale, e dovette sbattere più volte le palpebre per poter
mettere a fuoco l’ambiente
circostante. Sentì un odore pungente sovrastarla e qualcosa
di morbido sotto di
sé. I muscoli le facevano incredibilmente male, ma
riuscì a tirarsi su a
sedere, massaggiandosi la testa dolorante. Si concesse un attimo per
riacquistare appieno le sue facoltà sensoriali, e solo
allora si accorse di
esser stata sdraiata su uno dei soffici divanetti della sala; e di
avere vicino
qualcuno di sua conoscenza che balbettava di commozione.
“Nabiki
Tendo, i kami hanno udito le mie devote
preghiere e ti hanno ricondotta su questa triste ma dolce valle di
lacrime!”
La ragazza emise
un gemito disgustato, riconoscendo
il ragazzo dai versi melensi ancor prima di vederlo in faccia.
“Kuno, capisco
che io sono la tua sola fonte di scatti hot
di mia sorella e della ragazza con il codino, ma diamine,
risparmiami
questa roba, per favore!”
“Sono
pur sempre un gentiluomo,” rimbeccò Tatewaki
scandalizzato.
“Non lascerei mai una fanciulla in
difficoltà.” Cominciò una digressione
sulle
qualità che ciascun individuo di sesso maschile avrebbe
dovuto avere, ma la mezzana
Tendo non l’ascoltava. C’era qualcosa di
più importante su cui riflettere, se
mai gli argomenti di Tatewaki Aristocrat Kuno fossero davvero
importanti.
Nabiki
ripercorse tutto ciò che le era accaduto
prima di addormentarsi. Era ancora sull’Isola delle
Illusioni, era chiaro, ed
aveva dei ricordi sfocati della pesca che Tohma e i suoi lasciavano
ogni volta
che una ragazza veniva sottratta ai suoi cari. Solo, non sapeva cosa
l’aveva
fatta svenire. Forse era stata proprio la pesca stessa che, ricordava
sfocatamente come in un sogno, aveva mangiato. A detta di Kuno, doveva
parer
quasi morta - anche se mise in conto che era proprio da lui ingigantire
ogni
cosa. Povero Kuno, pensò, è completamente immerso
nelle sue fantasie di nobile
cavaliere... Ma in fondo è solo una tua pura illusione,
Kuno, anche se la tua
mente non le percepisce come tali.
Provò
una sensazione densa di pietà, per lui. Ma non
aveva intenzione di dar credito a quei pensieri, ora. Cercò
con lo sguardo le
sue sorelle domandandosi dove fossero, ma la risposta le
arrivò dalle sue
stesse orecchie. La voce di suo padre che frignava come un disperato
era
inconfondibile.
“Nabikiiiii,
aiutami!” singhiozzava già da tempo,
mentre l’interpellata faceva slittare il suo sguardo su ogni
singola fanciulla
lì presente.
“Dove
sono Akane, Kasumi e le altre?”
Sì.
Suo padre, oltre che di arti marziali, era un
maestro anche di apprensione. E si trattava di una prerogativa tutta
sua, e non
il risultato di anni ed anni trascorsi con le sue sole figlie nubili.
“Sono...
morte, Nabikiiiii!” disse, senza neanche
sincerarsi di controllare. “Sei l’uni...
l’unica f... figlia che mi è rimastaaa!”
Nabiki non ne fu
affatto convinta. Se era rinvenuta
lei, anche tutte le altre avrebbero riacquistato i sensi. Era
così ovvio che la
fece ridere. Sei troppo apprensivo, papà.
Scorse Kasumi
preda dei forti giramenti di testa che
lei stessa aveva provato, vide Soun precipitarsi da lei, e sua sorella
minore
ancora avvolta fra le braccia dell’incoscienza, ma non era
sola. Ranma le era
seduto accanto: con una mano le stringeva la mano inerme e con
l’altra le
scuoteva con forza la spalla nuda per farla rinvenire. La chiamava
insistentemente, con sussurri impazienti di mutare in urla da un
momento
all’altro, con una cadenza di voce che non tradiva la
benché minima sfumatura
di rassegnazione, anzi, così risoluta che avrebbe convinto
anche un cadavere a
resuscitare. Era troppo impegnato perché potesse voltarsi e
vedere Nabiki
arrivare, ma ne percepì la presenza; soprattutto vide che
con delicatezza,
Nabiki sollevava la testa di Akane e l’appoggiava sulle sue
ginocchia. La
piccola Tendo parve scontenta del cambiamento, ma ci vollero pochissimi
istanti
perché aprisse gli occhi e si specchiasse in quelli di
Ranma.
Comparve del
sincero e adrenalinico sollievo sulla
faccia del suo giovane futuro cognato, l’ultimo residuo di
una speranza tenace,
seppur appesa ad un filo, mentre più passavano i secondi,
più Akane perdurò nel
fissarlo.
Senza che ne
fosse consapevole, Nabiki distinse
l’amore che l’uno nutriva nei confronti
dell’altra, diverso da tutti gli altri
con una chiarezza nitida come una fotografia: più profondo,
più sincero di
quello che loro davano a vedere, dettato da una strana alchimia che
rendeva
Ranma indispensabile per Akane e viceversa come l’aria che
respiravano.
Era proprio
ciò che aveva sempre pensato. Solo che
ora, con uno strano senso di meraviglia, ne era assolutamente certa.
Sicura
quanto sapeva che lo fossero la vita e la morte. Il paragone le mise
addosso un
senso di soggezione non indifferente, ma non poté far altro
che reputarlo del
tutto conforme a quel che stava assistendo.
Sorridente,
Ranma attirò a sé Akane in un abbraccio
delicato, e si apprestò a tastarle la fronte. Dalla sua
espressione ormai
rasserenata sembrava tutto a posto anche da quel punto di vista.
“Ma
cosa è successo?” chiese intanto lei.
“Non
lo so di preciso,” rispose Nabiki “dovremmo
domandare a Tohma. Dovrà darci un paio di
spiegazioni.”
“È
stato molto vago quando gli ho parlato,” disse
Ranma furioso. “Ma gli estorcerò la
verità, dovessi pestarlo.”
“Ranma,
aspetta!”
“Akane,
ti ha fatto qualcosa, e ha fatto qualcosa a
tutte loro” affermò, indicando le altre ragazze.
“Aspetta!”
insisté la ragazza prendendogli
inavvertitamente il volto fra le mani.
Un fiume di
informazioni si stava riversando nella
sua mente addormentata, e all’improvviso le parve di aver
bevuto così tanto tè
da scoppiare. Completamente libera dall’intontimento del
sonno, fissò Ranma
intensamente, le sopracciglia aggrottate dalla perplessità;
e appena prima che Ranma
potesse chiederle cosa avesse tanto da guardare la sentì
sciogliere velocemente
il contatto per offrirgli uno più pressante. Lì,
davanti a una folla in cui era
presente anche gente
che avrebbe potuto
ribellarsi a quell’approccio, gli strinse il torace in un
abbraccio.
E pianse, il
pianto più dolce e genuino che Ranma
avesse mai sentito. Dapprima pietrificato per la platealità
con cui la sua
fidanzata aveva agito in pubblico, Ranma sentì centinaia di
paia d’occhi che
puntavano lui ed Akane: sguardi meravigliati, gioiosi, inteneriti,
alcuni
pericolosamente umidi.
Ma ce
n’erano due che trasmettevano tutt’altro.
Entrambi gli sguardi di Shan Pu ed Ukyo erano spenti a quello
spettacolo, ma
paradossalmente non facevano niente per strappare il loro amato dalla
stretta
di Akane. Assistevano, apparentemente impotenti, mentre calde lacrime
di
tristezza e rabbia solcavano i loro volti. Ranma non sapeva cosa
passasse nella
loro testa, ma era chiaro che non avrebbero mosso un dito per
separarli. Molto
probabilmente né in quel frangente, né mai.
“Ranma,
tu...”
La voce soave
della fidanzata lo riscosse, e tremante,
il rigido corpo che faceva da bizzarro contraltare con quello rilassato
di
Akane, provò ad allontanarla.
“Io...
cosa? E finiscila di piangere!” borbottò,
mentre era intento a dimenarsi.
Ma non ci fu
nessuna risposta da lei. Piuttosto
replicò una voce che per le sue orecchie era orribilmente
ripugnante.
“Sei
un libro
aperto per lei, adesso.”
Dall’alto
del suo seggio, la sagoma di Tohma
dominava tutta la sala. Incurante della sua espressione rilassata,
della sua
autorità su quell’Isola, e dello scranno che la
marcava, ormai libero Ranma si
fiondò su di lui con il preciso intento di agguantargli la
gola come un leone,
ma venne bloccato dalle robuste braccia delle sue guardie.
Sentì appena il tocco
di Akane sulla sua spalla, che evidentemente si era precipitata nel
tentativo
di dissuaderlo.
“Cosa
le hai fatto?” ringhiò Ranma, l’unica
cosa che
poté fare in quel momento.
“Vi
è stata data la facoltà di distinguere fra le
vostre pie illusioni e l’effettiva realtà, oltre
che ad affrancarvi per sempre
da quest’Isola. In altre parole, vedrete qualsiasi emozione
di chi vi sta
accanto, che sia uomo o donna, e riuscirete a valutare la loro
sincerità in
tutta sicurezza” disse Tohma rivolto alle giovani donne
presenti.
Dal nugolo di
ragazze si levò un borbottio
indistinto. Era evidente che erano terribilmente turbate da quella
notizia, ma
nessuna di loro si azzardò a protestare. Piuttosto,
più avevano il tempo di
pensarci, più ne rimanevano allibite. E pian piano diedero
un nome alla
tenerezza che fluiva da quella coppia alle loro anime e alla
consapevolezza di
essere più lucide, come se qualcuno avesse rimosso dai loro
occhi una patina
creata da loro stesse e vedessero molto più
dell’esteriorità degli altri.
“Perché
non ne hai parlato prima?” domandò Ranma
furibondo.
“Perché
nessuno ha chiesto!” esclamò Tohma
divertito. Ma tornò serio di colpo, tanto che Ranma si
ritrovò a chiedere se la
sua risata fosse stata un’allucinazione provocata dal
disordine del momento. “Prima
di tutto, neanche io so il perché di questa cerimonia. Nei
miei studi se ne fa
accenno, ma alcune delle informazioni necessarie sono state perdute.
Perché non
l’ho detto? Perché sicuramente tu lo avresti
impedito per mancanza di
affidamento, e senza questo rito ed i relativi effetti nessuna ragazza
poteva
lasciare l’Isola.”
“Quindi,
era necessario” rifletté Akane. La
pavimentazione in marmo sembrò oscillare sotto il peso di
tutte quelle
informazioni. Alla piccola Tendo parve di essere vittima
dell’ennesimo
capogiro.
“Sei
decisamente più intelligente di quell’ignorante
del tuo fidanzato” commentò ironico.
“Non volevo però che qualcuna di voi
prendesse così male questo rapimento. È stato il
malcontento di qualcuna la
matrice che ha gettato le fondamenta della difficoltà
impiegata nel portare a
termine il rito. La pesca simboleggiava la vostra permanenza su
quest’Isola, e
il mangiarla, oltre che affrancarvi da questo luogo, vi ha anche
liberato dal
desiderio di vendetta.”
“Ecco
perché ho avuto difficoltà nel riconoscere la
mia pesca.”
“Davvero
pensavi che un rapimento sia piacevole? Sei
proprio un idiota, fattelo dire!” inveì il giovane
Saotome. Davvero non poteva
credere che l’essere sottratti avrebbe potuto arrecare
felicità.
Tohma
annuì però alla piccola Tendo, ignorando del
tutto il suo ex rivale. “Sì, eri piuttosto
arrabbiata di trovarti qui, seppure
circondata da tutto ciò che una donna può
desiderare. È stato questo il motivo
della tua esitazione: il tuo inconscio, così come quello di
chiunque di voi
abbia avuto reticenza nel prendere la propria, ne risentiva.
Così ha provato di sua
iniziativa a ritardare il
momento per poter prendere il sopravvento e reagire. Anche se, in cuor
mio,
penso che Akane non me l’avrebbe mai fatta pagare troppo
duramente.”
“Beh,
no. Non l’avrei fatto, non ad un bambino come
te” sussurrò Akane con l’ombra di un
sorriso. Ranma le rivolse un’occhiataccia
risentita, sbattendo istericamente un piede a terra.
“Non
credevo che qualcuna di voi sarebbe stata
infelice qui” proseguì Tohma in tono affranto.
“Lei,
proprio lei, non desidera tutto questo, più di
quanto non desideri tornare a casa propria” intervenne Nabiki
con un tono duro.
“E tu, nella tua ignoranza, pensi che le donne siano tutte
uguali. Ma dobbiamo
ringraziarti, su questo non ci sono dubbi.”
“Basta,
Nabiki” l’interruppe Kasumi, seguita a ruota
da suo padre. “Tohma ha imparato la lezione, no?”
Il principe
bambino annuì con vigore, la serietà
dipinta sul viso ancora molto infantile, promettendo che
d’ora in avanti
sarebbe stato coscienzioso.
Shan Pu non
aveva resistito a tutto questo, così si era
rintanata in un angolo in completa solitudine a fare un discreto
bilancio della
sua vita fino a quel momento: la sconfitta subita da Ranma, la
consapevolezza
di esser stata battuta da un uomo, il trasferimento in Giappone, i
giorni
passati a far la cameriera sperando che in qualche modo - in qualsiasi
modo -
Ranma prendesse coscienza dei suoi sentimenti e la sposasse.
Ed invece,
dentro Ranma non c’era niente che potesse
essere motivo di speranza per lei. Aveva scandagliato ogni centimetro
della sua
psiche per trovare un qualsivoglia pensiero che fosse indirizzato a
lei, ma
niente. C’era sua madre, le arti marziali, il cibo, e cosa
più importante, che
occupava gran parte del suo essere, Akane.
Akane,
Akane, sempre Akane.
Incrociò
le braccia al petto, guardandosi attorno
spaesata. Dire di sentirsi vuota era ben poco
dell’avvilimento che stava
passando. Ma non poteva farci niente: a conti fatti non ci sarebbe
stato modo
di separare quello che reputava con ostinazione il suo futuro marito
dalla
ragazza che amava sul serio.
Avrebbe dovuto
capirlo fin dall’inizio che neanche
con i sortilegi e gli intrugli avrebbe mai fatto breccia nel suo cuore.
Ranma
si era sempre dimostrato piuttosto freddo con lei, e le sue carinerie e
le
soddisfazioni che le aveva dato erano solo espedienti per arrivare ai
suoi veri
obiettivi: riacquistare le sue sembianze e correre in aiuto di Akane.
“Shan
Pu, che ci fai qui tutta sola?”
Le doleva
ammetterlo, ma solo Mousse, al contrario, non
aveva mai fatto mistero dei suoi sentimenti nei suoi confronti. Ma lui
non era
l’uomo che realmente amava.
“Niente
che ti rigualdi” interloquì lei, il tono
più
arrogante che riuscì a sfoderare. Avvertì il
nervosismo insinuarsi nella mente
del ragazzo, ma tentò di schermarsi per provare a restarne
indifferente.
“Vattene via.”
“Mi
riguarda moltissimo, invece. E non me ne andrò
finché non mi ascolterai. So bene che non sono quel che hai
sempre cercato. Ma
sapevamo tutti che Ranma non è mai stato il tuo potenziale
marito, non davvero.
È vero, ti ha battuta, ma è stato per fortuite
circostanze di cui neanche
sapevi la natura, e non è stato perché voleva
sposarti.”
Il giovane
cinese vide i lineamenti della ragazza
contrarsi, ma il suo dubbio di aver colpito nel segno fu subito
dissolto da
alcune lacrime salate che rotolavano via dalle sue guance.
“Tu
non puoi capile...” mentì, ma sapeva di
sbagliarsi.
“Sì,
che capisco invece! Capisco quando la donna che
ami non ti degna di uno sguardo se non per un suo tornaconto personale.
Ma non
mi importa della tua indifferenza, Shan Pu. Non ho mai nascosto il mio
amore
per te, ma ora so che puoi fare di più: ora lo puoi
percepire, non è così?”
Sì
che lo sentiva. Sentiva un potentissimo flusso di
emozioni forti come un fiume in piena diramarsi per
l’atmosfera circondarla in
un invisibile abbraccio. La sensazione di gioia le fece galoppare il
cuore, ma
dopo un attimo in cui se ne beò, imperterrita
provò ad accantonarla. Era troppo
sbagliata perché
riuscisse ad
accoglierla a braccia aperte.
“No!”
“Cosa?”
“Non
sento niente, Mousse. Pelché la tua è solo
un’infatuazione, che dula
fin da quando
elavamo bambini! Ecco cos’è quello che tu scambi
pel amole!”
“Un’infatuazione
non dura così tanti anni, e affievolisce
nel giro di pochi mesi. È evidente che è
un’infatuazione quella che hai per
Ranma Saotome, se la conosci così bene!”
Si
pentì subito di quel che disse, ma non aggiunse
altro per permetterle comunque di farle assorbire tutte le sue parole
accompagnate da un crescendo
d’ira
che non era riuscito ad arginare. Sembrò che il suo discorso
sortì l’effetto
desiderato, perché Shan Pu prese ad osservarlo attonita,
incapace di spiegarsi
come mai Mousse riuscisse a capire quel che le passava per la testa
meglio di
chiunque altro, perfino della sua bisnonna, e senza l’aiuto
di nessuna
cerimonia.
Sentendosi in
trappola, la giovane amazzone optò per
una via di fuga, lasciandosi dietro l’amico
d’infanzia.
Di certo,
rifletterà su questo, pensò Mousse. Ma se
aveva la certezza che la ragazza avrebbe fatto i conti con le nuove
scoperte,
aveva il serio dubbio che non avrebbe mai imparato a accettarle.
“Scusami
se ti ho dato quella gomitata. Non ne ero
molto consapevole.”
“Beh,
allora se fossi stata in te me ne avresti data
una peggiore” asserì Ranma mestamente.
Erano nel
giardino del palazzo, seduti sull’erba, e
nonostante il crepuscolo ottenebrasse un po’ il mondo
circostante le coste del
Giappone erano perfettamente visibili, al di là della
spiaggia. E Akane era contentissima
di tornare a casa e di proseguire con la sua strampalata vita. Ma al
contrario,
lesse nella mente di Ranma un certo sconforto, come se il ritorno alla
normalità fosse una sorta di impedimento alla soluzione del
suo problema. Era
evidente che qualcosa aveva occupato tutti i suoi pensieri,
dimenticando
perfino i dolori fisici. E la ragazza non faticò molto per
capire di cosa si
trattava.
“Mi
dispiace...”
Esterrefatto, il
ragazzo con il codino le rivolse
uno sguardo interrogativo, e davanti ai suoi occhi inquisitori Akane si
sentì
più colpevole che mai.
“Per
cosa?” chiese innocentemente Ranma.
“Non
fare il finto tonto,” replicò la giovane.
“Mi
dispiace che l’occasione di rompere la tua maledizione ti sia
sfuggita di
mano.” Si strinse le gambe al petto, trovando le sue
ginocchia terribilmente
interessanti. Percepirlo dibattersi dalla frustrazione era troppo.
“Ancora
con questa storia? Akane, è andata ormai.
Non me ne importa più, adesso.”
“Bugiardo!”
obiettò lei “Sei triste da giorni per
questo, e si vede troppo chiaramente per provare a
nasconderlo!”
Le sue parole lo
colpirono come un dardo infuocato.
Distinguere la realtà dall’illusione: era questo
che Tohma aveva detto. Facoltà
di leggere le emozioni. Se prima era in grado di capirlo più
di chiunque altro,
ora non le si poteva nascondere niente. Cominciò a mettergli
una seria
inquietudine addosso, ma tentò di non scomporsi. Piuttosto,
forse sarebbe stato
meglio se avesse cercato un modo per starle più alla larga
possibile, anche se
francamente non sapeva da che parte iniziare. Non c’era modo
di capire se Akane
si rendesse conto del suo stato d’animo anche a distanza
grazie alla prepotenza
con cui si manifestava.
Il desiderio di
avere quell’acqua era ancora troppo
vivo e pulsante perché Akane ne potesse rimanere
indifferente.
“E va
bene, Akane!” sbottò infine.
“Sì, voglio la
Nannichuan o qualsiasi altra acqua
che mi faccia riacquistare la mia virilità completa come mi
è necessaria l’aria
che respiro! Hai ragionissima, non hai mai detto una cosa
più vera di questa!”
Akane
incassò il colpo senza ribattere. Percepì ogni
singolo frammento di abbattimento riversarsi sul quel letto di angoscia
spontanea con un’intensità tale da scuoterla e
farle venire ancora una volta le
lacrime agli occhi.
Una volta
assicuratale la salvezza, Ranma aveva
pensato a lungo alla mancata occasione senza però
rimpiangerla: avrebbe trovato
un altro modo per ritornare un uomo completo in un secondo momento.
“Ma troverò
un altro modo, Akane,” disse, infrangendo con il pollice una
lacrima sfuggita
della fidanzata “e se non dovessi riuscirci, pazienza. Ma non
ho intenzione di
farti rischiare ancora. Non voglio che tu debba addossarti una cosa
simile, per
di più per colpa mia. Penso tu già lo sappia.
Trasformarsi non è uno scherzo, e
non è affatto facile conviverci. E poi, Akane lo
è già, un maschiaccio”
concluse ironicamente.
Akane pianse,
commossa dalle sue parole. Non c’era
la minima sbavatura psicologica in quel che Ranma le aveva detto. Il
ragazzo
era molto più sincero di quanto potesse mai immaginare con
le sue sole forze.
“Quindi...
mi è sembrato di capire che a causa della
cerimonia... ora tu... sai... tutto? Tutto quello che sento io, e
quello che
provo?” balbettò, il volto paonazzo che lasciava
trasparire quel che intendeva
fin troppo palesemente.
“Tutto
tutto!” affermò Akane, divertita. Si
asciugò
da sola il viso bagnato, consolata dalla faccia buffa che aveva di
fronte.
“Però, voglio sentirmelo dire. E non solo che mi
consideri la tua sola
fidanzata...” continuò, un lieve rossore a
colorarle le gote.
“Oh,
no!” replicò Ranma spaventato “Forza,
vieni con
me!” disse tirandola in piedi. “Andiamo dal
principino a vedere cosa si può
fare per annullare questa cosa!”
“Ma
smettila!” rise Akane, dandogli uno schiaffo sul
braccio. “Tanto ormai lo so che mi a...”
“No!
Non dirlo!!”
“E va
bene... che ti piaccio.”
Aveva voglia di
sorridere, di ridacchiare fra sé
lasciando che le sue guance s’imporporassero; e non le
importava affatto che
Ranma negasse quel che provava nei suoi confronti. L’aveva
fatto tutta la vita,
ed ora Akane non pretendeva che dichiarasse ogni cosa ai quattro venti
tutto
d’un tratto.
“Ma
che vai farneticando?! Non è che mi piaci
soltanto...”
Non credendo
alle proprie orecchie, Akane si lasciò
sfuggire una risatina dolce con una velata dose di malizia. E solo
allora Ranma
si rese conto di aver detto qualche parola di troppo. Provò
a fuggire, ma
incespicò nelle folte nuvolette di cespugli che gli
sbarrarono la strada,
costringendolo a non avere altra possibilità che soccombere
alla vegetazione.
Quel che ne derivò fu un fruscio di foglie e un lieve
stridio di rami che
impigliarono il ragazzo e lo fecero rovinare a terra.
“Ranma,
tutto bene?” chiese Akane accovacciandosi,
scostando alcuni rametti per vedere quanto era successo.
L’unica risposta che
ricevette furono indistinte imprecazioni ovattate dalla spropositata
quantità
di foglie nella bocca del malcapitato. Ranma sputò le foglie
temendo di
soffocare.
“Dovresti
stare più attento a ciò che dici, anche se
con me ormai non riuscirai a camuffare granché!”
rise la giovane. Un colpo
secco arrivò sulla schiena di Ranma, talmente forte da
coglierlo impreparato e
fargli perdere l’equilibrio in avanti. Il primo riflesso fu
quello di
protendere le braccia in avanti per attutire la caduta, ma
l’intervento di
Akane lo prevenne. Gli afferrò le spalle, sospingendolo con
il benché minimo
sforzo per permettergli di assumere la posizione seduta.
“E
dovresti riposare. Immagino ne avrai abbastanza
per oggi.”
“Non
ho mai preteso molto dalla vita, sai Ryoga?
Volevo soltanto che Ranma si prendesse cura di me come aveva promesso,
e che mi
amasse come pensavo di meritare. A quanto pare, non merito di essere
amata.”
“Sbagli,
Ukyo. E di grosso, anche. Tu meriti molto,
non solo un uomo che ti ami. Ma sai, non si può pretendere
che le cose vadano
sempre come vogliamo. Io volevo che Akane fosse mia, ma non me la sento
di provare
ancora a dividerli, non quando li vedo così affiatati. Ed
allora rammento a me
stesso che non c’è speranza per me, e che farei
meglio a lasciarli vivere in
pace.”
“Lo
vedo e lo sento,
adesso” asserì Ukyo rattristata, mentre osservava
l’uno arrabbiarsi con
l’altra. Non si rese conto che Ryoga si era avvicinato a lei
di un passo per
catturare la sua attenzione. “E non posso che darti ragione,
anche se
francamente non mi spiegherò mai il perché di
questo eterno tira e molla. Quel
flusso di amore...” si bloccò, portandosi una mano
sugli occhi affinché non
piangesse ancora.
Ryoga
continuò per lei, tirandole via la mano. “Quel
flusso di amore c’è sempre stato. Siamo stati noi
sciocchi che non volevamo
accettarlo.”
“Come
mai hai cambiato idea con tanta facilità?”
domandò
la giovane cuoca. “Tu non hai ricevuto questa
capacità di percepire i
sentimenti altrui. Io li ho avuti, eppure non me ne
capacito...”
“Perché
con il passare del tempo ho capito che non è
in mio potere dividerli, e adesso meno che mai. Da quando la conosco,
Akane ha
sempre avuto solo Ranma nella testa: perfino quelle volte in cui
prendevo il
coraggio a due mani per confessarle che l’amavo. Ma lei,
qualsiasi cosa mi
dicesse, sia in veste di uomo che di P-chan, riguardava sempre lui. Era
chiaro
che per me non c’era spazio, così come non
c’è mai stato per te o per le altre
nella mente di Ranma; e non ci vogliono dei poteri per
capirlo.”
Inavvertitamente,
come se le azioni della coppia
lontana volessero dar corpo al discorso fra i due amici, Ryoga ed Ukyo
videro
Akane baciare una guancia di Ranma, e videro Ranma rimanere sbalordito
e poi
sorridere.
Ryoga
sfoggiò un sorriso a sua volta, ma decisamente
più mesto, quasi doloroso. Lo sguardo della giovane Kuonji
si spostò verso un
punto imprecisato per togliersi Ranma dalla visuale; ed
incontrò una mano
dell’eterno disperso abbandonata lungo il fianco.
Risalì lungo il braccio,
soffermandosi sulla sua bocca, ora contratta in una smorfia di
mortificazione.
Ukyo non faticò a rendersi conto che era lui quello che
stava peggio fra i due.
“Ho
paura che c’è qualcun altro che ha bisogno di
consolazione” disse la ragazza con tono comprensivo. Gli
prese la mano
terribilmente fredda, incitandolo a lasciare Ranma e Akane a loro
stessi.
“Forza,
andiamo a mangiare qualcosa” propose. “È
stata una giornata lunga, dovremmo metter qualcosa sotto i
denti.”
NDA
Sì,
linciatemi pure. L’idea non è granché,
ma
aleggiava nella testa e l’ho tirata fuori. xD
Ci ho messo
tanto, è vero, ma sono stata un po’
di giorni a corto di ispirazione ed altri impegnata. Ad ogni modo,
ringrazio
tutti quelli che mi hanno solo letta, seguita, preferita, ricordata e
recensita! A dispetto delle aspettative, siete in tanti! :)
Scusate se ci
sono degli errori. :*
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